Translate

Il tempo all'Avana

+28
°
C
H: +28°
L: +23°
L'Avana
Lunedì, 24 Maggio
Vedi le previsioni a 7 giorni
Mar Mer Gio Ven Sab Dom
+28° +29° +29° +28° +29° +29°
+24° +24° +24° +24° +24° +24°

lunedì 9 giugno 2014

Bejucal ha compiuto 300 anni, di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud Rebelde dell' 8/6/14


Nella Cuba coloniale, l’insediamento e fondazione di una città era cosa del re spagnolo. Così era abitualmente, ma ci sono state le loro eccezioni. Nell’Isola sono nate cinque città grazie all’iniziativa privata. Furono: Santa María del Rosario, Jaruco, San Antonio de los Baños, Guisa e Bejucal.
La persona che si mettesse sulle spalle simile impresa doveva avere, naturalmente, risorse sufficienti per compierla. A carico suo c’era la costruzione del nuovo nucleo urbano con le sue strade, piazza centrale, la chiesa e il municipio con le sue dipendenze, oltre ad alcune case e la formazione di un minimo di servizi. Questo non era tutto. Il fondatore doveva essere un uomo influente per conseguire che la gente che fino a quel momento viveva in altre parti, si installassero e risiedessero nella nuova località. Il re, ricompensava il fondatore con un titolo nobiliare e consolidava il suo dominio sul territorio che gli aveva regalato, non solo economicamente, ma anche politicamente e giuridicamente.

Camino real e di ferro

Il capitano Juan Nuñez de Castilla era il padrone della ricca regione di Bejucal e del prospero affare del tabacco che si stava sviluppando. Sarebbe stato lui che avrebbe assunto la fondazione della località che nasceva col nome di San Felipe y Santiago de Bejucal, il 9 di maggio del 1714, già 300 anni orsono.
Attorno a questo personaggio, dice la dottoressa María Teresa Cornide nel suo libro De La Habana, de siglos y de familias: “Alla fine del XVIII secolo giunse all’Avana, proveniente da Almuñecar, Granada, il capitano don Juan Nuñez del Castillo y Piñeiro Espejo y Castilla...Era un ricco latifondiario e commerciante che aveva viagiato a Corte, dove argomentó la sua richiesta di fondazione di un paese, vicino all’Avana, che favorisse l’insediamento di numerosi abitanti delle Canarie che avevano cominciato ad arrivare a Cuba, dal 1768, come misura di incermento delle coltivazioni del tabacco. È così che fu fondato un paese...in terreni della tenuta chiamata El Bejucal, perció si concedette la prima Signoria dell’Isola e fu l’Illustre e Giudice Superiore di Bejucal. Anni dopo gli si concederà il titolo di Marchese di San Felipe y Santiago (1730) con il primo titolo di Visconte di San Geronimo”.
La posizione di Bejucal era strategica già da allora. Situata al centro dell’antica provincia dell’Avana, la località si trovava alla stessa distanza dal porto della capitale che da quello di Batabanõ, punti che questa si incaricò di allacciare mediante un camino real molto attivo e transitato. Nei giorni di assedio presa dell’Avana dagli inglesi, nel 1762, Bejucal allestì tre compagnie di volontari. Una di loro fu inviata all’Avana al fine di rinforzare la difesa della città, un’altra si destinò a proteggere Batabanó e la terza rimase alla protezione della stessa città che col tempo acquisirebbe primaria importanza per l’acclimatazione delle truppe giunte dalla Spagna e la successiva dislocazione nel resto dell’Isola, Yucatán e Sud America, così come la custodia dei prigionieri, i rifornimenti del commercio e il combattimento agli schiavi fuggiaschi, incluso in altre aree dei Caraibi.
Nel 1837, la ferrovia allacciò l’Avana e Bejucal, primo passo di quello che allacciò l’Avana con Güines, nel 1838. Fu la prima strada ferrata ad esistere nell’America Hispana e nella stessa Spagna, impresa colossale che richiese risorse straordinarie e riunì mano d’opera composta da creoli, europei poveri e negri africani.
La popolazione - in maggioranza canaria, castigliana e andalusa – sperimentò un intenso processo di mescolanza etnica, sociale e culturale con l’arrivo di schiavi procedenti da diverse regioni dell’Africa. Verso la seconda metà del XIX secolo e l’inzio del XX, arrivarono anche cinesi, galiziani, catalani, baschi, francesi, polacchi, tedeschi, libanesi...Questo miscuglio di razze questo “minestrone” forgiò caratteri e tradizioni molto originali che conformarono le charangas di Bejucal, alimentarono la passione per il teatro e dotarono di carettaristiche particolari la musica.
Ponte permanente di incontri e confluenze, Bejucal si stabilì alle falde della sierra che porta il suo nome, a riparo di siccità e uragani, in una valle così fertile che il vescovo Espada disse che “temeva porre la punta del suo bastone per paura che nascesse”.
Illustri cittadini di Bejucal sono: il colonnello Juan Delgado, che dopo il combattimento di San Pedro riscattò i resti del maggior generale Antonio Maceo e del capitano aiutante Franciscvo Gómez Toro; Arturo Comas, pioniere dell’aviazione: lo scrittore Félix Pita Rodríguez e suo fratello il giornalista Paco P: il cantante Orestes Macías. Anche lo scultore René Negrín, la pittrice Mirta Cerra, il teatrante Carlos Díaz, la soprano Bárbara Llanes, il cantante e compositore David Blanco e il cineasta Evaristo Herrera. Il comandante Juan Ramòn Fleitas, fondatore della colonna Enrique Hart, fra molti altri. Non deve rimanere fuori da questo elenco José Francisco Arango del Castillo, fondatore e primo direttore della prima biblioteca pubblica che esistì nell’Isola e che auspicò la Società Economica di Amici del Paese.
Per questo, anche se dovevamo averlo fatto almeno da un mese, andiamo adesso a Bejucal e lo facciamo per mezzo del nostro amico il narratore Omar Felipe Mauri, presidente del comitato provinciale dell’Unione di Scrittori e Artisti di Cuba di Mayabeque che per modestia non si include nalla lista di cittadini illustri nonostante abbia abbondanti ragioni per farlo.
A giudizio di Mauri, quello che segna Bejucal nei suoi 300 anni di esistenza, è il suo destino di unire, comunicare e abbracciare. Se si vuole dar risalto a qualcosa in questa data è l’apporto di questa città, per modesto che sia, del Paese.
Poco interessa che Bejucal fosse la prima Signoria – e furono solo cinque – né che sia una città fondata e costruita non a spese della colonia spagnola, ma da un privato in una specie di lavoro per conto proprio coloniale, dice Mauri e precisa: “Quello che importa è di aver contribuito , diciamo, alla difesa dell’Avana quando ci fu l’attacco e la presa di questa città che protagonizzarono gli inglesi nel 1762. Importano le sue “charangas” una delle feste popolari, a detta di Fernando Ortiz, più genuine dell’Isola e importano le figure imprescindibili che ha apportato alle lettere e alle arti plastiche nazionali.

Ti racconto delle charangas

L’origine delle charangas si perde nella notte dei tempi e nel loro divenire si evolvierono e si arricchirono senza perdere l’essenza. Come nei carnevali dell’Avana e Santiago de Cuba e le “parrandas” di Remedios, alla loro nascita intervennero anche gli schiavi che dopo la messa del Gallo (la notte di Natale, n.d.t.), ballavano al ritmo del tamburo attorno alla chiesa di Bejucal, mentre bianchi e mulatti godevano dello spettacolo che quei negri regalavano, mentre invocavano i loro dei con movimenti frenetici.
Le charangas non tardarono in convertirsi in scenario dell’acuto confronto tra spagnoli e cubani. Per questo sorsero i fronti de los malayos che comprendeva i primi e quello de los musicangas, dove si riunivano i negri –schiavi o no – mulatti e bianchi che seguivano il ritmo furioso dei tamburi, mentre los malayos sfilavano rigidi, in attitudine quasi marziale, al ritmo della loro banda.
Così giunse il XX secolo e i gruppi ricevettero nomi nuovi.
Musicanga diventò La Ceiba de Plata, col suo distintivo color azzurro e lo scorpione come simbolo. Malayos si chiamò La Espina de Oro e si decise per il rosso e il gallo. Fino ad oggi.
Non c’è fatto nella storia di Bejucal che rimanga fuori dalle sue charangas, una festa in cui coincidono la musica, la danza, il teatro, l’artigianato. In esse non passano nemmeno inavvertiti fatti trascendentali della Nazione. Li incorpora e rimangono incisi come tracce definitrici dello sviluppo espressivo, concettuale e artistico di una celebrazione che soprassale, per la sua magia, i suoi tamburi, il suo reggente eper quei personaggi come Macorina, Mujiganga, el Yerbero, la Bollera e la Culona che introducono una nota in più di allegria nel duello fraterno che intavolano, nei giorni finali di ogni anno, La Ceiba de Plata e La Espina de Oro, o lo scorpione e il gallo, a difesa dei rispettivi colori.

Tamburo maggiore e trombetta

Mauri, che pubblicò anni fa un libro sulle “charangas” – De la mágica cubania –  laadesso chiarisce che senza congas non ci sono charangas. Come in altre località cubane, a Bejucal, la conga ha un significato di unità, comunicazione e profonda socievolezza. Il popolo le accetta come un fatto culturale di di particolare importanza, modifica ed eternizza cori e intonazioni della conga, il dialogo che si stabilisce tra quelli che ruotano dietro ai musicisti e l’improvvisatore e la trombetta  provano la radice collettiva delle congas charrangueras. È il genere musicale cubano per eccellenza, sentenzia Mauri. In ocerte occasioni si è discusso sulla paternità del bolero, l’habanera, il mambo e perfino della salsa, dalla Spagna, Messico, Portorico e Stati Uniti, ma nessuno dubita sulle origini della conga. Il mondo intero la riconosce come segno della nostra identità. La conga è la cubanità totale. Non esiste, nella geografia cubana, una località che sia carente di questi gruppi, informali, ma sempre pronti. Non c’è municipi nella provincia di Mayabeque che non disponga di una conga per celebrare qualunque avvenimento, sfilata, attività o incontro. Bejucal in particolare, non avrebbe una delle feste più importanti del Paese senza questo rtimo di tamburi, sbarre di aratri e cancelli, tamburo maggiore e trombetta. Omar Felipe Mauri conclude: “Anche se sembra di vivere in un limbo di nessuno, la conga continua a mantenere accesa l’anima cubana per le sue manifestazioni di giubilo e celebrazione...La conga non ha bisogno di saloni o di scenari; nessuno insegna a ballarla, né si impara in nessuna scuola. Ha poco spazio nei progetti accademici ma continua viva nelle strade di Bejucal, Quivicán, Güines, Nueva Paz, madruga o San Nicolas de Bari. Vive ancora, per la felicità e fortuna di tutti.

Bejucal cumplió 300 años
Ciro Bianchi Ross *
7 de Junio del 2014 18:49:12 CDT

En la Cuba colonial, el establecimiento y fundación de una ciudad era
cosa del rey español. Así sucedía de manera habitual, pero hubo sus
excepciones. Cinco ciudades nacieron en la Isla gracias a la
iniciativa privada. Fueron Santa María del Rosario, Jaruco, San
Antonio de los Baños, Guisa y Bejucal.
La persona que echara sobre sus hombros semejante empresa debía tener,
por supuesto, recursos suficientes para asumirla. A su cargo estaría
la construcción del nuevo núcleo urbano con sus calles y plaza
central, la iglesia y el ayuntamiento con sus dependencias, además de
algunas viviendas y el bosquejo de un conjunto de servicios mínimos.
Eso no era todo. El fundador debía ser hombre influyente para
conseguir que personas que hasta el momento vivían en otros sitios, se
instalaran y mantuvieran en la nueva localidad. El rey recompensaba al
fundador con un título nobiliario y consolidaba su dominio sobre el
territorio que le había donado, no solo en lo económico, sino también
en lo político y lo jurídico.

Camino real y el de hierro

El capitán Juan Núñez de Castilla era el dueño de la rica región de
Bejucal y del próspero negocio de tabaco que allí florecía. Sería él
quien asumiría la fundación de la localidad que nacía con el nombre de
San Felipe y Santiago de Bejucal, el 9 de mayo de 1714, hace ya 300
años.
Acerca de ese personaje, dice la Doctora María Teresa Cornide en su
libro De La Habana, de siglos y de familias:
“A finales del siglo XVIII llegó a La Habana, procedente de Almuñécar,
en Granada, el capitán don Juan Núñez del Castillo y Piñero Espejo y
Castilla... Era un rico latifundista y comerciante quien había viajado a
la Corte, donde argumentó su solicitud de fundación de un pueblo
cercano a La Habana que favoreciera el asentamiento de los numerosos
canarios que habían comenzado a llegar a Cuba, desde 1678, como una
medida para el fomento de las vegas de tabaco. Es así que fue fundado
un pueblo... en terrenos de la hacienda llamada El Bejucal, por lo que
se le concedió el primer Señorío de la Isla y fue el Adelantado y
Justicia Mayor de Bejucal. Años más tarde se le concedería el título
de Marqués de San Felipe y Santiago (1730) con el Vizcondado previo de
San Jerónimo”.
La posición de Bejucal para entonces era ya estratégica. Situada en el
centro de la antigua provincia de La Habana, la localidad se hallaba a
la misma distancia del puerto de La Habana que del puerto de Batabanó,
puntos que esta se encargó de enlazar mediante un camino real muy
transitado y activo. En los días del asedio y toma de La Habana por
los ingleses, en 1762, Bejucal alistó tres compañías de voluntarios.
Una de ellas fue enviada a La Habana a fin de reforzar la defensa de
la ciudad, otra se destinó a proteger Batabanó y la tercera quedó al
cuidado de la propia villa que, con el tiempo, adquiriría importancia
primordial en la aclimatación de las tropas llegadas de España y su
dislocación posterior por el resto de la Isla, Yucatán y Sudamérica,
así como también en la concertación de presos, el aseguramiento del
comercio y el combate del cimarronaje, incluso en otras áreas del
Caribe.
En 1837 el ferrocarril enlazó La Habana y Bejucal, paso inicial del
que unió La Habana con Güines, en 1838. Fue el primer camino de hierro
que existió en Hispanoamérica y aun en España, empresa colosal que
exigió recursos extraordinarios y reunió una mano de obra compuesta
por criollos, europeos pobres y negros africanos.
Con el tiempo, el cultivo del tabaco fue desplazado por el del azúcar
en Bejucal. Y la población --mayoritariamente canaria, castellana y
andaluza-- experimentó un intenso proceso de mestizaje étnico, social y
cultural con el arribo de esclavos llegados desde regiones diversas de
África. Hacia la segunda mitad del siglo XIX y comienzos del XX,
llegaron asimismo, chinos, gallegos, catalanes, vascos, franceses,
polacos, alemanes, libaneses... Esa mezcla de razas, ese <<ajiaco>>, forjó
caracteres y tradiciones muy originales que conformaron las charangas
de Bejucal, alimentaron la pasión por el teatro y dotaron de rasgos
muy particulares a la música.
Puente permanente de encuentros y confluencias, Bejucal se asentó en
la falda de la sierra que lleva su nombre, a resguardo de sequías y
huracanes, en un valle feraz del que el obispo Espada dijo que “temía
poner la punta de su bastón por miedo a que naciera”.
Bejucaleños ilustres son el coronel Juan Delgado, que tras el combate
de San Pedro, rescató los restos del mayor general Antonio Maceo y del
capitán ayudante Francisco Gómez Toro;  Arturo Comas, precursor de la
aviación; el escritor Félix Pita Rodríguez y su hermano, el periodista
Paco P; y el cantante Orestes Macías. También el escultor René Negrín,
la pintora Mirta Cerra, el teatrista Carlos Díaz, la soprano Bárbara
Llanes, el cantante y compositor David Blanco y el cineasta Evaristo
Herrera. El comandante Juan Ramón López Fleitas, fundador de la
columna Enrique Hart, entre otros muchos. No debe quedar fuera de esta
relación José Francisco Arango del Castillo, fundador y primer
director de la primera biblioteca pública que existió en la Isla y que
auspició la Sociedad Económica de Amigos del País.
Por eso, aunque debimos haberlo hecho hace por lo menos un mes, nos
vamos a Bejucal ahora, y lo hacemos de la mano de nuestro amigo el
narrador Omar Felipe Mauri, presidente del comité provincial de la
Unión de Escritores y Artistas de Cuba en Mayabeque, quien por
modestia no se incluye en la relación de bejucaleños ilustres, aun
cuando tiene sobradas razones para hacerlo.
A juicio de Mauri, lo que marca a Bejucal en sus 300 años de
existencia es su destino de unir, comunicar y abrazar. Si algo quiere
resaltar en la fecha es el aporte de esa ciudad, por modesto que sea,
a la construcción del país.
Poco importa que Bejucal fuera el primer señorío --y fueron solo
cinco--, ni que sea una ciudad fundada y construida no a expensas de la
colonia española, sino de un particular en una suerte de
cuentapropismo colonial, dice Mauri y precisa: “Lo que importa es
haber contribuido, digamos, a la defensa de La Habana cuando el ataque
y la toma de esa ciudad que protagonizaron los ingleses en 1762.
Importan sus charangas, una de las fiestas populares, al decir de
Fernando Ortiz, más genuinas de la Isla, e importan las figuras
imprescindibles que ha aportado a las letras y a la plástica
nacionales”.

De las charangas te cuento

El origen de las charangas se pierde en la noche de los tiempos, y en
su devenir evolucionaron y se enriquecieron sin perder la esencia.
Como en los carnavales de La Habana y Santiago de Cuba, y las
parrandas de Remedios, en su nacimiento intervinieron también los
esclavos que, tras la Misa del Gallo, bailaban, al compás del tambor,
alrededor de la iglesia de Bejucal, mientras que blancos y mulatos
disfrutaban del espectáculo que regalaban aquellos negros que, con
movimientos frenéticos, invocaban a sus dioses.
No tardaron las charangas en convertirse en escenario de la aguda
confrontación entre españoles y cubanos. Por eso surgieron el bando de
los malayos, que agrupaba a los primeros, y el de los musicangas, en
el que se concertaban negros --esclavos y no--, mulatos y blancos que
seguían el compás furioso de los tambores, mientras que los malayos
desfilaban muy tiesos, en actitud casi marcial, al ritmo de su banda.
Así llegó el siglo XX, y los grupos recibieron nuevos nombres.
Musicanga pasó a ser La Ceiba de Plata, con su distintivo color azul y
el alacrán como símbolo. Malayos se llamó La Espina de Oro y se
decidió por el rojo y el gallo. Hasta hoy.
No hay suceso del acontecer de Bejucal que quede fuera de sus
charangas, una fiesta en la que coinciden la música, la danza, el
teatro, la artesanía. Tampoco pasan inadvertidos en ellas
acontecimientos trascendentales de la nación. Los incorpora y quedan
grabados como huellas definitorias del desarrollo expresivo,
conceptual y artístico de una celebración que sobresale por su magia,
sus tambores, su cabildo y por esos personajes como Macorina,
Mujiganga, el Yerbero, la Bollera y la Culona, quienes ponen una nota
más de alegría en el duelo fraterno que entablan, en los días finales
de cada año, La Ceiba de Plata y La Espina de Oro, o el alacrán y el
gallo, en defensa de sus colores respectivos.

Bombo y trompeta


Mauri, que publicó hace años un libro sobre las charangas - De la
mágica cubanía -, aclara ahora que sin congas no hay charangas. Como en
otras localidades cubanas, la conga tiene en Bejucal un significado de
unidad, comunicación y de profunda sociabilidad. Como un hecho
cultural de particular importancia, el pueblo acepta, modifica y
eterniza coros y tonadas de la conga, y el diálogo que se entabla
entre los que arrollan tras los músicos y el improvisador o la
trompeta prueban la raíz colectiva de las congas charrangueras.
Es el género musical cubano por excelencia, sentencia Mauri. En
ocasiones se nos ha discutido la paternidad del bolero, la habanera,
el mambo y hasta la salsa desde España, México, Puerto Rico y Estados
Unidos, pero nadie duda del origen de la conga. El mundo entero la
reconoce como signo de nuestra identidad. La conga es cubanía total.
No existe en la geografía cubana localidad que carezca de esas
agrupaciones --informales, pero siempre listas. No hay municipio en la
provincia de Mayabeque que no disponga de una conga para celebrar
cualquier acontecimiento, desfile, acto o encuentro. Bejucal, en
específico, no tendría una de las fiestas más importantes del país sin
ese ritmo de tambores, rejas de arado y cencerro, bombo y trompeta.
Concluye Omar Felipe Mauri:
“Aunque parece vivir en un limbo de nadie, la conga sigue fuertemente
prendida al alma cubana, a sus demostraciones de júbilo y celebración...
La conga no necesita salones ni escenarios; nadie la enseña a bailar
ni se aprende en ninguna escuela. Tiene poco espacio en los planes
académicos, pero sigue viva en cualquier calle de Bejucal, Quivicán,
Güines, Nueva Paz, Madruga o San Nicolás de Bari. Vive aún para
felicidad y suerte de todos”.

Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
http://wwwcirobianchi.blogia.com/
http://cbianchiross.blogia.com/

2 commenti:

  1. Ho scovato per puro caso questo articolo che parla del mio avo Juan Nuñez de Castilla. Mi ha fatto piacere leggerlo, se vi servissero altre informazioni storiche "di prima mano" sulle vicissitudini della famiglia Castillo a Cuba sono a vostra disposizione. Parte della famiglia è divenuta italiana qualche generazione fa.

    Cordiali Saluti,
    Andrea Nuñez del Castillo

    RispondiElimina
  2. Egregio signor Andrea, la ringrazio per il prezioso commento e la invito, come ho fatto in altra parte del blog, a contattare Ciro o me con il suo indirizzo di posta elettronica. Grazie ancora e se ha occasione, continui a seguirmi...ogni tanto.

    RispondiElimina