– Roberto Livi, 19.07.2025
Cacciata la ministra Meno di 48 ore dopo il suo intervento la ministra ha dato le dimissioni, con un mea culpa sull’«errore» commesso nel suo discorso, che era diventato virale ed aveva provocato forti critiche in rete anche da parte di militanti del Pcc È del tutto inusuale a Cuba che un ministro – e membro del Comitato centrale del Partito comunista – venga silurato, per di più sotto pressione di una forte reazione nei social media. È quanto è accaduto martedì alla (ex) ministra del lavoro Marta Elena Feitó Cabrera che, nel corso di un dibattito in una commissione dell’Assemblea nazionale del Poder popular (Parlamento), aveva asserito: «A Cuba non vi sono mendicanti» né povertà. Quelli che con un eufemismo di lunga data vengono indicati come deambulantes non sarebbero che «persone travestite da mendicanti che in questo modo si guadagnano facilmente la vita senza dover lavorare». Meno di 48 ore dopo il suo intervento la ministra ha dato le dimissioni, con un mea culpa sull’«errore» commesso nel suo discorso, che era diventato virale ed aveva provocato forti critiche in rete anche da parte di militanti del Pcc. Lo stesso presidente Miguel Díaz-Canel aveva pubblicamente censurato la Feitó accusandola di essere «disconnessa dalla realtà in cui viviamo». «Non si difende la rivoluzione quando occultiamo i problemi che abbiamo», aveva affermato il presidente di fronte al Parlamento, indignato per la prova di «superbia» e di «prepotenza» della sua (ex) ministra. La decisione del presidente di prendere pubblicamente le distanze da una sua subalterna (ma compagna del Comitato centrale) è un fatto del tutto inusuale. Che indica non solo la gravità della questione povertà nell’isola ma anche un forte disagio politico nel Paese. Il presidente e primo segretario del Pcc non abbandona i suoi compagni di partito e governo, specie in un frangente in cui il governo socialista è nel mirino di una vera e propria guerra economico-commerciale decretata dall’amministrazione Trump. La decisione di silurare la ministra – non vi è stato alcun accenno a «un trasferimento ad altri incarichi», formula con la quale il partito-governo sostituisce i suoi responsabili – indica una situazione politicamente del tutto nuova in Cuba. Da una parte la pressione di economisti, intellettuali e cubani de a pie per censurare la ministra del lavoro indica la possibile gestazione in Cuba di una vera società civile indipendente (quella ufficiale è di fatto composta da cinghie di trasmissione del Pc) che pretende di essere ascoltata. E di essere politicamente partecipe. Dall’altra, se Díaz-Canel ha prontamente e pubblicamente reagito all’ondata di critiche e sdegno che vengono dal basso significa che il presidente sceglie di schierarsi contro una parte del partito che probabilmente avrebbe – al massimo – spostato la ministra ad altro incarico. In effetti l’intervento della Feitó nella commissione parlamentare non aveva ricevuto alcun segnale di critica, anzi aveva avuto applausi per quella che era (e tutto sommato resta) la linea ufficale: le «situazioni di vulnerabilità» in crescita nell’isola – nella grande maggioranza dei pensionati e in buona parte dei neri – sono responsabilità del bloqueo degli Usa e non si configurano come povertà grazie ai programmi di aiuti dello Stato. Riconoscere, come ha fatto Diaz-Canel che «dobbiamo abbordare con serietà e umanismo le problematiche che esistono….e per combatterle bisogna riconoscerle» significa ammettere responsabilità ed errori del governo e dunque del Partito. Analizzare realisticamente la situazione e ammettere errori è la premessa per impostare ed eventualmente mettere in opera quelle riforme di struttura del socialismo cubano che vengono chieste da anni da economisti vicini al governo e fino a oggi ignorate. Díaz- Canel– che a differenza dei suoi predecessori Fidel e Raúl Castro non possiede il carisma dei comandanti e nemmeno una grande popolarità – sembra dunque appoggiare la necessità di riforme sempre più richieste dalla base e che, con evidenza, sono rifiutate da altri alti dirigenti del Pc. È difficile avere un’idea chiara dei rapporti di forza all’interno dell’Ufficio politico del Pcc e del vertici dello Stato visto che lo slogan ripetuto a ogni passo è l’unità nel solco della «continuità della Rivoluzione». Ma il fatto che i superfalchi della gang di Trump, in primis il segretario di Stato Marco Rubio, abbiano emesso di recente sanzioni contro Díaz-Canel (e famiglia e alleati) potrebbe rafforzare l’idea di un presidente disposto a riforme di sistema.
Trump e Rubio non vogliono riforme a Cuba ma abbatterne il governo.