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mercoledì 19 novembre 2014
martedì 18 novembre 2014
lunedì 17 novembre 2014
Il Bando de Piedad II (fine), di Ciro Bianchi Ross
Pubblicato su Juventud Rebelde del 16/11/14
La notizia la offese e seppe che non poteva rimanere con le braccia incrociate. Non solo doveva ottenere la liberazione dei bambini, venduti a un circo dal loro stesso padre in cambio di 2000 pesos, ma la punizione dei colpevoli, tanto del venditore come di colui che li aveva comprati.
Correva il mese di maggio del 1920 e Jeanette Ryder, una nordamericana arrivata a Cuba dopo la fine della Guerra d’Indipendenza e che nel 1906 fondò all’Avana Il Bando de Piedad per proteggere e aiutare esseri invalidi e indifesi, fossero umani o animali vittimizzati dalla fame, la crudeltà e il maltrattamento, fin dal principio non misurò le difficoltà dell’mpresa che affrontava.. Fino a lì il suo daffare a favore di bambini indifesi, donne, anziani invalidi e anche animali da tiro, cani e gatti randagi, la feceva oggetto di scherzi e sarcasmo. Adesso, nella sua lotta per la liberazione dei bambini, affronterebbe qualcosa di peggio, la prigione.
L’impresario del circoche comprò i bambini si muoveva nell’ombra al fine di uscirne indenne e come venne a sapere di essere oggetto di una richiesta da parte di Jeanette Ryder, curruppe la polizia, il sindaco, il giudice della località avanera di Guara, dove il circo era di stagione. Quando la benefattrice giunse a questa città, fu oggetto di aggressioni verbali che diventarono attacchi fisici prima che la conducessero, come detenuta, al comando locale di Polizia, dove si mantenne in arresto prima di esser inviata al reclusorio di Güines. La giustezza della sua richiesta obbligò a metterla in libertà e successivamente vincerà la battaglia e finalmente i bambini tornarono fra le braccia della madre.
Due settimane dopo il ritorno dei bambini al loro domicilio, la Ryder si impegnava in un’altra battaglia che vincerebbe. Nella tenuta degli Zapotes, alla periferia dell’Avana, si celebravano in segreto corride di tori che si svolgevano con la presenza di alti funzionari pubblici e paludate dame dell’alta società.
Il tema dell protezione degli animali, portato alla Mesa Redonda dello scorso 31 ottobre (programma giornalistico della TV, n.d.t.) portò in primo piano un fatto sensibile che preoccupa sempre più ampi settori della popolazionenencon tale tema il ricordo obbligato di Jeanette Ryder, una donna che, afferma l’investigatore e narratore Jorge Domingo, eccelse per i suoi nobili sentimenti cristiani, la sua estrema sensibilità e la sua ferma volontà di fare del bene.
Originale e pazzoide
L’autore di importanti investigazioni come Españoles en Cuba en el siglo XX e El exilio republicano español en Cuba afferma:
“Dopo poco tempo dal suo arrivo a Cuba, questa donna si dette il compito di offrire aiuto ai numerosi bambini abbandonati che circolavano per la città, nel migliore dei casi si dedicavano a vendere giornali, oppure al furto continuato... Era indignata allo stesso modo davanti al tratamento crudele che ricevevano nelle strade, davanti a tutti, cavalli e altri animali da tiro, bastonati senza pietà dai loro padroni che gli facevano trasportare carichi eccessivi, si confrontò con questa pratica abituale e ricorse alle autorità perche ne ponessero fine. Con lo stesso senso di protezione degli animali, si dedicò a soccorrere con alimenti i numerosi cani e gatti rognosi e si soffermava a fare sermoni agli scugnizzi. Gli scherzi, il sarcasmo le piovvero addosso con forza, ma non la scalfirono nemmeno ne la fecero cambiare di idea. Convinta del giusto e del necessario delle sue azioni, continuò percorrendo ogni giorno la città e mano a mano la sottovalutazione della sua persona cambiò in stupore, rispetto e ammirazione. Alcuni le si avvicinarono per accompagnarla in quella nobile crociata e contando con un numero di seguaci Jeanette Ryder fondò, il 27 di ottobre del 1906 il Bando de Piedad”.
L’impegno non era nuovo, sull’Isola. Ne Los origenes del asociacionismo ambientalista en Cuba – studio sul quale lo scriba promete di tornare – lo storico Reinaldo Funes Monzote dice che i primi riferimenti alla necessità di una società per le attenzioni agli animali datano almeno alla metà del XIX secolobe mette in rilievo che le ordinanze municipali della Colonia contenevano regolamenti detinate alla protezione degli animali. Già nel 1881 il municipio disponeva il peso messimo per il carico delle carrette trainate da buoi e i carrettoni delle mule, penalizzaba l’adulterazione del latte, la contaminazione dell’acqua e le lotte di cani. La Costituzione spagnola del 1876 e la fine della Guerra dei Dieci Anni favorirono la proliferazione, all’Avana, di società di diversa indole, fra questa la Società Cubana Protectora de Animales y Plantas, nel 1882. Il suo fondatore fu lo spagnolo Juan García Villaraza, medico e dentista, fondatore della prima accademia dentistica che esistì a Cuba. Due anni più tardi si creava la Sociedad Protectora de los Niños de la Isla de Cuba. Gli sforzi per consolidare un’associazione dedicata a promuovere la protezione degli animali rinacquero dopo la fine della dominazione spagnola, garantisce Funes Monzote. L’intervento nordamericano e l’instaurazione della Repubblica furono un buon momento per riprendere queste aspirazioni nella Sociedad Humanitaria Cubana Protectora de los Niños y contra la crueldad con los animales (1902). Ebbe sede nell’Accademia delle Scienze e il suo presidente fu l’eminente medico Juan Santos Fernández, presidente anche dell’Accademia.
Cuba lasc iava alle spalle 30 anni di guerra e si imponeva di superare il nefasto lascito della Colonia e la schiavitù. La contesa bellica chideva con numerose perdite di vite umane e di beni materiali, l’analfabetismo elevatissimo era una zavorra per il progresso nazionale. Quindi si imponeva ristrutturare la società e resse un nuovo sistema d’insegnamento’ Il problema sociale del Paese era, senza dubbio, più grave e complesso. Migliaia di reduci dalla guerra si concentravano nei centri abitati, principalmente all’Avana, bambini, anziani, dementi e mutilati, completamente abbandonati, vagavano per le strade e sia il Governo centrale che i municipi facevano poco per loro. Per alleviare le loro disgrazie sorse la Sociedad Protectora de los Niños, Animales y Plantas conosciuta anche come Bando de Piedad che adottò come slogan queste parole: “Noi parliamo per chi non può parlare”.
Un carico eccessivo
Il Bando de Piedad creò un dispensario per prestare assistenza medica gratuita ai minori e stabilì una distribuzione di pane e latte per i mendicanti. Porto la colazione alle donne detenute nelle stazioni di Polizia, combatté il proposito di ristabilire le corride e si operò per la sopressione delle scuole di ballo che in realtà erano veri centri, camuffati, per la prostituzione.
Nonostante, per questa via, non finirebbero mai di risolversi i problemi sociali del Paese, la predica e l’impegno di Jeanette Ryder guadagnarono spazio e seguaci. Il Bando de la Piedad era un’organizzazione con limitate possibilità economiche che si sosteneva, per l’essenziale, grazie alla carità pubblica e che stirava al massimo le sue scarse risorse al fine di beneficiare il maggior numero di persone bisognose. Il cammino umanitario di Jeanette, assecondata sempre in modo attivo da suo marito, il nordamericano Clifford Ryder, permeò anche le sfere ufficiali e nel 1915, il Governo del generale García Menocal cedette al Bando l’edificio di Paula angolo Picota all’Avana Vecchia che serví da rifugioa numerosi bambini orfani. L’organizzazione contò con un a sua propria rivista che ebbe fra i suoi collaboratori il giornalista Félix Soloni e lo scrittore Juan Marinello.
La Ryder aveva 33 anni, al momento del suo arrivo a Cuba. Passò il tempo, ma non per quello diminuirono le sue convinzioni. Però era eccessivo il carico che la sua debole costituzione fisica portava. Nelle prime settimane del 1931 le diagnosticarono una seria malattia polmonare. I tentativi di salvarla furono inutili. Morì, dice Jorge Domingo, l’11 aprile; nell’enciclopedia popolare illustrata Cuba en la mano si afferma il 10.
Vuoto incolmabile
La morte di Jeanette Ryder lasciò un vuoto incolmabile nel Bando de Piedad. I tempi in cui avvenne il decesso non erano dei migliori. Infuriava la lotta contro il dittatore Machado e la crisi economica spingeva alla miseria un numero sempre superiore di famiglie. Di conseguenza le donazioni e lasciti erano sempre minori e sporadici. Per colmo dei mali sorsero litigi fra alcuni dei suoi membri. Per fortuna il Rotay Club intervenne nella faccenda e col suo aiuto economico l’organizzazione poté continuare il suo lavoro.
Nel 1934 il disegnatore Ricardo de la Torriente, il creatore del personaggio di Liborio, lasciò al Bando una tenuta rustica nel Cotorro.
In quello spazio in un edificio moderno, costruito al proposito, entrò in servizio una scuola ostello che accolse numerose bambine. In modo parallelo e senza dioendere dal bando, la poetessa Dulce María Loynaz, premio Cervantes, manteneva senza nessun aiuto, un ospizio canino nella sua tenuta La Misericordia, alla periferia dell’Avana e silenziosamente, creò un paradiso per i cani randagi. Il Bando de la Piedad funzionò fino al 1959, quando lo Stato asunse le sue funzioni. La sua ultima clinica veterinaria, con servizi gratuiti, ebbe sede nella calle Trocadero al numero 413, in Centro Avana. Da anni l’Associazione Cubana per la Protezione degli Animali e le Piante (Aniplan) svolge un lavoro encomiabile, non sempre riconosciuta con tutta la giustizia, nella vaccinazione, desparassitaggio e sterilizzazione degli animali. Lo stesso fa l’Ufficio dell’Historiador de La Habana. La Direzione del Benessere Animale del Ministero dell’Agricoltura, lavora alla terza versione del progetto di legge della protezione degli animali e non mancano le persone che apportano al tema tempo e risorse convinti che, più indifesa si trovi una creatura, più diritto ha che l’uomo la difenda dalla crudeltà dell’uomo.
La lealtà
Jeanette Ryder fu inumata nella necropoli avanera di Colón. La sua cagna Rintisi sdraiò vicino al sepolcro rifiutando acqua e cibo che le portavano gli addetti dal cimitero. Aquando morì una scultura la immortalò ai piedi della sa padrona. È il monumento alla lealtà.
Non so se si tratta di una celebrazione universale, ma il 10 di aprile è la Giornata del Cane. Così lo annuncia l’Associazione Cubana per la Protezione di Animali e Piante. Senza dubbio dovrebbe essere tutto l’anno il giorno del cane, del proprio o dell’altrui e di quello che vagabonda abbandonato alla sorte. Non basta con offrirgli un tetto e cibo sufficiente. È anche importante che li si prenda in considerazione. Captano e condividono i nostri stati d’animo e capiscono tutto quello che gli diaciamo. E sono capaci di risponderci dicendoci quello che vogliono. Provate a prestare attenzione all’abbaiare o al grugnire del vostro compagno. Nono sono mai uguali. Ce n’è uno per ogni occasione. Loro non sono colpevoli se, indifferneti come siamo, non sempre li comprendiamo.
Ciro Bianchi Ross * digital@juventudrebelde.cu
15 de Noviembre del 2014 20:35:27 CDT
La noticia la indignó y supo que no podría permanecer con los brazos
cruzados. No solo debía obtener la liberación de dos niños, vendidos a
un circo por su propio padre a cambio de 2 000 pesos, sino el castigo
de los culpables, tanto del vendedor como del que los había adquirido.
Corría el mes de mayo de 1920 y Jeannette Ryder, una norteamericana
llegada a Cuba tras el cese de la Guerra de Independencia y que en
1906 fundara en La Habana el Bando de Piedad para proteger y ayudar a
seres desvalidos e indefensos, fueran humanos o animales victimizados
por el hambre, la crueldad y el maltrato, no midió de inicio las
dificultades de la empresa que afrontaba. Hasta ahí su quehacer en
favor de niños desamparados y mujeres y ancianos desvalidos y también
bestias de tiro y de perros y de gatos callejeros, la hacía centro de
burlas y sarcasmos. Ahora, en su lucha por la liberación de los niños,
enfrentaría algo peor, la cárcel.
El empresario del circo que compró a los niños se movía en las sombras
a fin de salirse con la suya, y tan pronto supo que sería objeto de
reclamación por parte de Jeannette Ryder, sobornó a la policía, al
alcalde y al juez de la localidad habanera de Guara, donde el circo
estaba de temporada. Cuando arribó la filántropa a esa ciudad, fue
objeto de agresiones verbales que pasaron al ataque físico antes de
que la llevaran en calidad de detenida a la unidad policial, donde se
le mantuvo bajo arresto antes de que la remitieran al vivac de Güines.
Lo justo de su reclamo obligó a ponerla en libertad y a la postre
ganaría la pelea cuando los niños volvieron al lado de su madre.
Dos semanas después del retorno de los niños a su hogar, la Ryder se
enfrascaba en una nueva batalla que también ganaría. En la finca Los
Zapotes, en las afueras de La Habana, se celebraban en secreto
corridas de toros que transcurrían con la presencia de altos
funcionarios públicos y encopetadas damas de la alta sociedad.
El tema de la protección de animales llevado a la Mesa Redonda del
pasado 31 de octubre, trajo a primer plano un asunto sensible que
preocupa cada vez más a amplios sectores de la población y con dicho
tema el recuerdo obligado de Jeannette Ryder, una mujer que, afirma el
investigador y narrador Jorge Domingo, sobresalió por sus nobles
sentimientos cristianos, su sensibilidad extrema y su firme voluntad
de hacer el bien.
Estrafalaria y chiflada
15 de Noviembre del 2014 20:35:27 CDT
La noticia la indignó y supo que no podría permanecer con los brazos
cruzados. No solo debía obtener la liberación de dos niños, vendidos a
un circo por su propio padre a cambio de 2 000 pesos, sino el castigo
de los culpables, tanto del vendedor como del que los había adquirido.
Corría el mes de mayo de 1920 y Jeannette Ryder, una norteamericana
llegada a Cuba tras el cese de la Guerra de Independencia y que en
1906 fundara en La Habana el Bando de Piedad para proteger y ayudar a
seres desvalidos e indefensos, fueran humanos o animales victimizados
por el hambre, la crueldad y el maltrato, no midió de inicio las
dificultades de la empresa que afrontaba. Hasta ahí su quehacer en
favor de niños desamparados y mujeres y ancianos desvalidos y también
bestias de tiro y de perros y de gatos callejeros, la hacía centro de
burlas y sarcasmos. Ahora, en su lucha por la liberación de los niños,
enfrentaría algo peor, la cárcel.
El empresario del circo que compró a los niños se movía en las sombras
a fin de salirse con la suya, y tan pronto supo que sería objeto de
reclamación por parte de Jeannette Ryder, sobornó a la policía, al
alcalde y al juez de la localidad habanera de Guara, donde el circo
estaba de temporada. Cuando arribó la filántropa a esa ciudad, fue
objeto de agresiones verbales que pasaron al ataque físico antes de
que la llevaran en calidad de detenida a la unidad policial, donde se
le mantuvo bajo arresto antes de que la remitieran al vivac de Güines.
Lo justo de su reclamo obligó a ponerla en libertad y a la postre
ganaría la pelea cuando los niños volvieron al lado de su madre.
Dos semanas después del retorno de los niños a su hogar, la Ryder se
enfrascaba en una nueva batalla que también ganaría. En la finca Los
Zapotes, en las afueras de La Habana, se celebraban en secreto
corridas de toros que transcurrían con la presencia de altos
funcionarios públicos y encopetadas damas de la alta sociedad.
El tema de la protección de animales llevado a la Mesa Redonda del
pasado 31 de octubre, trajo a primer plano un asunto sensible que
preocupa cada vez más a amplios sectores de la población y con dicho
tema el recuerdo obligado de Jeannette Ryder, una mujer que, afirma el
investigador y narrador Jorge Domingo, sobresalió por sus nobles
sentimientos cristianos, su sensibilidad extrema y su firme voluntad
de hacer el bien.
Estrafalaria y chiflada
Precisa el autor de importantes investigaciones como Españoles en Cuba
en el siglo XX y El exilio republicano español en Cuba:
“l poco tiempo de su llegada a La Habana esta mujer se inició en la
tarea de ofrecerles ayuda a los numerosos niños desamparados que
recorrían la ciudad, se dedicaban a vender periódicos, en el mejor de
los casos, o al hurto continuado... De igual modo, indignada ante el
trato cruel que recibían en la calle, ante la vista de todos, caballos
y otros animales de tiro, apaleados sin compasión por sus dueños para
que transportasen cargas excesivas, se enfrentó a esta práctica
habitual y recurrió a las autoridades para ponerle fin. En igual
sentido de protección a los animales se dedicó a socorrer con
alimentos a los numerosos perros y gatos abandonados en la ciudad.
Muy pronto se fue extendiendo la noticia de que una estrafalaria y
chiflada mujer norteamericana se enfrentaba a los rudos carretoneros
cuando estos castigaban a sus caballos, cargaba con bolsas de
alimentos para repartirlos entre perros y gatos sarnosos y se detenía
a sermonear a los pilluelos. La burla y el sarcasmo cayeron sobre ella
con saña; pero no lograron causarle el menor daño ni hacerle variar su
actitud. Convencida de lo correcto y de lo necesario de su proceder,
continuó recorriendo cada día la ciudad y paulatinamente el
menosprecio hacia su persona se fue trocando en asombro, en respeto,
en admiración. Algunos se acercaron a ella para acompañarla en aquella
noble cruzada, y al contar entonces con un grupo de seguidores,
Jeannette Ryder fundó el 27 de octubre de 1906 el Bando de Piedad” en la Isla. En su Los orígenes del sociacionismo ambientalista en Cuba --estudio este sobre el que el
escribidor promete volver-- el historiador Reinaldo Funes Monzote dice
que las primeras referencias a la necesidad de una sociedad para el
cuidado de animales datan al menos de mediados del siglo XIX, y pone
de relieve que las ordenanzas municipales de la Colonia contenían
regulaciones destinadas a la protección de los animales. Ya en 1881 el
municipio disponía el peso máximo para las cargas de las carretas
tiradas por bueyes y carretones de mulas, y penalizaba la adulteración
de la leche, la contaminación de las aguas y las peleas de perros.
La Constitución española de 1876 y el fin de la Guerra de los Diez
Años favorecieron la proliferación en La Habana de sociedades de
diversa índole, entre estas la Sociedad Cubana Protectora de Animales
y Plantas, en 1882. Su fundador fue el español Juan García Villarraza,
médico y dentista, fundador de la primera academia dental que existió
en Cuba. Dos años más tarde se creaba la Sociedad Protectora de los
Niños de la Isla de Cuba. Los esfuerzos por consolidar una asociación
dedicada a promover la protección de los animales renacieron tras el
fin de la dominación española, asevera Funes Monzote. La intervención
norteamericana y la instauración de la República fueron un buen
momento para retomar esas aspiraciones en la Sociedad Humanitaria
Cubana Protectora de los Niños y contra la crueldad con los animales
(1902). Radicó en la sede de la Academia de Ciencias y su presidente
fue el eminente médico Juan Santos Fernández, presidente también de la
Academia.
Cuba dejaba atrás 30 años de guerra y se imponía superar el legado
nefasto de la Colonia y la esclavitud. La contienda bélica cerraba con
el saldo de cuantiosas pérdidas humanas y materiales, y el
analfabetismo elevadísimo lastraba el progreso nacional. Se imponía
entonces reestructurar la sociedad y rigió un nuevo sistema de
enseñanza. El problema social del país era, sin embargo, más grave y
complejo. Miles de desplazados por la guerra se concentraban en las
poblaciones, principalmente en La Habana, y niños, ancianos, dementes
y mutilados, en total desamparo, vagaban por las calles, y poco hacían
por ellos el Gobierno central y los municipios. Para paliar su
desgracia surgió la Sociedad Protectora de Niños, Animales y Plantas,
también conocida como Bando de Piedad, que adoptó como lema estas
palabras: “Nosotros hablamos por los que no pueden hablar”.
Una carga excesiva
El Bando de Piedad auspició un dispensario para prestar asistencia
médica gratuita a menores y estableció un reparto de leche y pan para
mendigos. Llevó desayuno a mujeres detenidas en unidades policiales y
combatió el propósito de restablecer en la Isla las corridas de toros
y abogó por la supresión de las academias de baile que eran, en
verdad, centros velados de prostitución.
Aunque por ese camino nunca terminarían de resolverse los problemas
sociales del país, la prédica y el quehacer de Jeannette Ryder ganaron
espacios y seguidores. Era el Bando de Piedad una organización de
limitadas posibilidades económicas, que se sostenía, en lo esencial,
gracias a la caridad pública y que estiraba al máximo sus escasos
recursos a fin de beneficiar a la mayor cantidad de personas
necesitadas. El proceder humanitario de Jeannette, secundada siempre,
de manera activa, por su esposo, el médico norteamericano Clifford
Ryder, permeó también las esferas oficiales y en 1915 el Gobierno del
general García Menocal cedió al Bando el edificio de Paula esquina a
Picota, en La Habana Vieja, que sirvió de albergue a numerosos niños
en estado de orfandad. Tuvo la organización su propia revista, que
contó entre sus colaboradores al periodista Félix Soloni y al escritor
Juan Marinello.
La Ryder tenía 33 años de edad en el momento de su llegada a Cuba.
Pasó el tiempo y no por ello disminuyeron sus convicciones. Pero
resultaba excesiva la carga que soportaba su débil constitución
física. En las primeras semanas de 1931 se le diagnosticó una seria
enfermedad pulmonar. Fueron inútiles los intentos por salvarla.
Falleció, dice Jorge Domingo, el 11 de abril; el 10, se afirma en la
enciclopedia popular ilustrada Cuba en la mano.
Vacío irreparable
médica gratuita a menores y estableció un reparto de leche y pan para
mendigos. Llevó desayuno a mujeres detenidas en unidades policiales y
combatió el propósito de restablecer en la Isla las corridas de toros
y abogó por la supresión de las academias de baile que eran, en
verdad, centros velados de prostitución.
Aunque por ese camino nunca terminarían de resolverse los problemas
sociales del país, la prédica y el quehacer de Jeannette Ryder ganaron
espacios y seguidores. Era el Bando de Piedad una organización de
limitadas posibilidades económicas, que se sostenía, en lo esencial,
gracias a la caridad pública y que estiraba al máximo sus escasos
recursos a fin de beneficiar a la mayor cantidad de personas
necesitadas. El proceder humanitario de Jeannette, secundada siempre,
de manera activa, por su esposo, el médico norteamericano Clifford
Ryder, permeó también las esferas oficiales y en 1915 el Gobierno del
general García Menocal cedió al Bando el edificio de Paula esquina a
Picota, en La Habana Vieja, que sirvió de albergue a numerosos niños
en estado de orfandad. Tuvo la organización su propia revista, que
contó entre sus colaboradores al periodista Félix Soloni y al escritor
Juan Marinello.
La Ryder tenía 33 años de edad en el momento de su llegada a Cuba.
Pasó el tiempo y no por ello disminuyeron sus convicciones. Pero
resultaba excesiva la carga que soportaba su débil constitución
física. En las primeras semanas de 1931 se le diagnosticó una seria
enfermedad pulmonar. Fueron inútiles los intentos por salvarla.
Falleció, dice Jorge Domingo, el 11 de abril; el 10, se afirma en la
enciclopedia popular ilustrada Cuba en la mano.
Vacío irreparable
La muerte de Jeannette Ryder dejó un vacío irreparable en el Bando de
Piedad. Los tiempos en que ocurrió el deceso no eran los mejores.
Arreciaba la lucha contra la dictadura de Machado y la crisis
económica empujaba a la miseria a un número cada vez mayor de
familias. Por consiguiente, las donaciones y legados eran cada vez menores y más esporádicos. Para colmo de males, surgieron pugnas entre
algunos de sus miembros. Por suerte, el Club Rotario intervino en el
asunto y con su apoyo monetario pudo la organización proseguir su
labor.
En 1934, el dibujante Ricardo de la Torriente, el creador del
personaje de Liborio, legó al Bando una finca rústica en el Cotorro.
En dicho predio, en un moderno edificio construido al efecto, entró en
servicio una escuela-albergue que acogió a numerosas niñas. De manera
paralela y sin depender del Bando, la poetisa Dulce María Loynaz,
premio Cervantes, mantenía sin ayuda de nadie un asilo canino en su
finca La Misericordia, en las afueras de La Habana, y calladamente
creó un paraíso para los perros callejeros. El Bando de Piedad
funcionó hasta 1959, cuando el Estado asumió sus funciones. Su última
clínica veterinaria, con servicios gratuitos, radicó en la calle
Trocadero número 413, en Centro Habana. Desde hace años la Asociación
Cubana para la Protección de Animales y Plantas (Aniplan) acomete una
encomiable labor, no siempre reconocida con entera justicia, en la
vacunación, desparasitación y esterilización de animales. Lo mismo
hace la Oficina del Historiador de La Habana. La Dirección de
Bienestar Animal del Ministerio de la Agricultura trabaja en la
tercera versión del proyecto de ley de protección de los animales, y
no faltan personas que aportan al tema tiempo y recursos, convencidos
de que mientras más indefensa se encuentre una criatura más derecho
tiene a que el hombre la defienda de la crueldad del hombre.
La lealtad
Jeannette Ryder fue inhumada en la necrópolis habanera de Colón. Su
perra Rinti se echó entonces junto al sepulcro y rechazó el agua y los
alimentos que le ofrecían los empleados del cementerio. Cuando murió,
una escultura la inmortalizó a los pies de su dueña. Es el monumento a
la lealtad.
Desconozco si se trata de una celebración universal, pero el 10 de
abril es el Día del Perro. Así lo anuncia la Asociación Cubana para la
Protección de Animales y Plantas. Todo el año debía ser, sin embargo,
el día del perro, del propio y del ajeno y de ese que anda por ahí,
abandonado a su suerte. No basta con proporcionarles un techo y
alimento suficiente. También es importante hacerles sentir que son
queridos e importantes, que se les toma en cuenta. Captan y comparten
nuestros estados de ánimo y entienden todo lo que les decimos. Y son
capaces de respondernos y de decirnos lo que quieren. Preste, si no,
atención a los ladridos y gruñidos de su mascota. Nunca son iguales.
Hay uno para cada ocasión. No son ellos culpables de que, lerdos como
somos, no siempre los entendamos.
Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
http://wwwcirobianchi.blogia.com/
http://cbianchiross.blogia.com/
Conversando con Enrique Molina
Ieri ho avuto la gradita visita di uno dei più
popolari, amati e bravi attori del cinema, teatro e televisione di Cuba: Enrique
Molina e signora Elsa.
Fra le altre cose abbiamo
ricordato amici comuni e ci siamo raccontati aneddoti delle rispettive vite. Mi
ha raccontato di come si è trovato per caso (e per necessità) a fare l’attore
senza nessuna scuola, completamente da autodidatta. All’unico corso di formazione
professionale avanzata a cui si era iscritto, già come attore alla fine degli
anni ’60, era stato bocciato. A questo punto gli ho detto che qualcosa di simile era capitato anche all'indimenticabile Alberto Sordi...
Enrique è nato a Bauta,
provincia dell’Avana nel 1943. All’età di 10 anni si trasferì con la famiglia a
Santiago de Cuba e nell’adolescenza trovò lavoro come garzone in una
caffetteria sita in uno dei parchi centrali della città, la “Nubiola”,
proprietà di uno spagnolo. Poco a poco il giovane Molina imparò l’arte di stare
dietro il banco e di servire i clienti così crebbe professionalmente fino a
diventare il dipendente di fiducia del proprietario.
Dietro l’angolo della piazza
dove si trovava il locale, aveva sede un’accademia artistica per la formazione
di attori che si chiamava “Enramada” che un bel giorno si sciolse dando vita al
“Conjunto Dramaturgico di Oriente”, ovvero una compagnia di teatro. Gli
artisti, naturalmente erano clienti del locale vicino e un bel giorno uno di
loro chiese a Enrique quanto guadagnava nella caffetteria, lui gli rispose 67
pesos al mese. L’amico allora gli disse perché non si presentava alla sede del
gruppo per fare una prova come attore. Molina non si sentiva preparato per
quello ed era un pò riluttante, ma quando il suo interlocutore gli disse che
avrebbe avuto uno stipendio di 150 pesos mensili...si fece venire la voglia.
Il provino fu un disastro e
venne respinto, ma sempre grazie alle amicizie formatesi con la clientela gli
venne data una prova d’appello. Il direttore del gruppo era un argentino e gli
disse che la prova d’ammissione sarebbe consistita nell’entrare nel suo ufficio
dicendo: “io voglio fare l’attore”, ma la frase doveva essere ripetuta diverse
volte con differenti intonazioni. Enrique ricorda: “Mancava solo che prendessi
per il collo l’argentino per fargli la richiesta in modo estremamente violento,
le altre intonazioni le avevo provate tutte. Venni assunto”. Da quel giorno era
diventato attore professionista con uno stipendio più che doppio rispetto a
quello della caffetteria.
Passò qualche tempo e gli
venne proposto di frequentare, all’Avana, un corso di drammaturgia tenuto
dalla famosa attrice Gloria Paradiso. Partì carico di speranze per migliorare
la sua professionalità molto rustica, ma quando si trovò a dover studiare testi
di tali Shakespeare o Stanislawsky, rimase tagliato fuori...e fu lunico
allievo a non ottenere il diploma.
Tempo dopo gli venne offerta
un’altra opportunità, quella di entrare nella formazione di un altro grande
maestro: Humberto Arenal, drammaturgo e attore che aveva fondato il “Grupo 6”.
La prova di ammissione consisteva nel rispondere a 10 domande...Enrique rispose
correttamente a una sola. Altro fiasco e altra delusione, però continuava ad
essere considerato attore professionista.
Nel 1970 gli venne offerta
l’opportunità di entrare a Tele Rebelde, allora televisione locale di Oriente,
successivamente divenuta emitente nazionale. Molina, come abbiamo visto non
aveva nessuna preparazione professionale teorica e nemmeno aveva una vocazione
coltivata da bambino o ragazzo, era entrato nel mondo dello spettacolo per caso,
ma la sua caparbietà e intelligenza lo portò a praticare in modo del tutto
spontaneo il metodo Stanislawsky senza nemmeno sapere chi fosse costui e ancora
oggi dice che i libri del famoso teorico dell’arte scenica li tiene chiusi
nello scaffale, senza averli mai letti.
Così come aveva fatto da
dipendente della caffetteria, Enrique Molina continuò a crescere e migliorarsi
professionalmente, pur senza un supporto teorico. Dopo i primi anni di lavoro
nella emittente televisiva giunse il debutto su grande schermo con uno dei
classici della cinematografia cubana: “El hombre de Maisinicú”, nel 1973. Da
quel momento, la strada che aveva percorso faticosamente diventò più agevole,
il lavoro a fianco di altri grandi maestri delle scene gli servì per andare
sempre più superando sé stesso. Da allora ad oggi ha interpretato una trentina
di film, numerose opere di teatro e un’infinità di novelle televisive.
Attualmente è sul piccolo
schermo con la telenovela “La otra esquina”, protagonizzata anche da Blanca
Rosa Blanco, come riportato in questo spazio un paio di settimane fa. Nel
frattempo sta ultimando le riprese della prossima telenovela in programma dopo la
fine di quella attualmente in onda. L’opera non ha ancora un titolo definitivo,
ne ha due che sarebbero: “Vereda Tropical” oppure “Piél de barrio” con maggiori
possiblità che sia quest’ultimo. Ha appena terminato di girare il film “Contigo
pan y cebolla” diretto da Juan Carlos Cremata e tratto dal lavoro teatrale di
Héctor Quintero, grandissimo commediografo cubano. Il film verrà proiettato
fuori concorso, come da richiesta del suo regista, al prossimo festival del
Nuovo Cinema Latinoamericano dopo la sua premiére al cine Chaplin il prossimo
giorno 20, quindi sarà portato in Italia grazie a un amico personale ed estimatore
di Cremata che vuole fare una settimana dedicata al regista, presentando le 6
pellicole finora da lui realizzate.
E fin qua, succintamente, la
storia professionale di un attore per caso che però è apprezzato da pubblico e
critica nonostante la sua formazione da assoluto autodidatta e che forse proprio la sua spontaneità lo porta ad applicare, in modo del tutto personale il metodo Stanislawsky, anche se oggi sa bene chi sia...
domenica 16 novembre 2014
La posta dei lettori
Alcuni giorni fa ho ricevuto, come capita ogni tanto, questa mail che pubblico in forma anonima seppure sia firmata ed accompagnata, ovviamente, dall'indirizzo informatico del mittente che se d'accordo, potrei citare (il solo nome, naturalmente).
Al di là del fatto che le allodole, normalmente, si caccerebbero e non pescherebbero, sono rimasto perplesso sul contenuto che non ho bene afferrato se è ironico o serio. In privato ho espresso il mio punto di vista e non ho più avuto notizie del lettore. Sarà rimasto completamente soddisfatto della risposta?
Nel contesto gli dicevo che sarebbe bello avere le opinioni dei lettori come commenti pubblici, magari con pseudonimo, perché potrebbero esserci argomenti interessanti anche per altri...il dado (per eventuali corrispondenti) è tratto.
Oggetto: Continuando a pescare allodole
Egr. SIg. Vecchio,
secondo la sua opinione è ipotizzabile, una volta lì, alll'Habana o in Cuba, dedicarsi
(esclusivamente o non solo) con profitto ad
attività intellettuali nell'ambito della comunicazione,
dell'educazione e del sociale?
Come si gestiscono i rapporti con la gente o con le autorità per chi
straniero è, ma turista non è?
Ringrazio di antemano se ci sarà una risposta (dato che ho letto alcuni
suoi commenti dal suo eccellente blog risalenti al 2007 o giù di lì)
Sinceri Saluti
L’autunno/inverno cubano è ricco di avvenimenti economici e culturali. Chiusi da poco i battenti del Festival Internazionale del Balletto e della Fiera dell’Avana, oggi si sta disputando la maratona Marhabana che quest’anno ha oltre 650 podisti provenienti dall’estero e più di tremila cubani. Come sempre è stata preceduta da Maracuba, ovvero le maratone locali tenute, praticamente, in ogni municipio del Paese al di Fuori della capitale. Quest’anno la gara coincide con il 495mo anniversario della fondazione de la Villa de San Cristobal de La Habana, il 16 novembre. Gli avaneri non mancheranno di fare la coda per i rituali tre giri di buon auspicio attorno alla ceiba della Plaza de los Capitanes Generales, di fronte al Templete, lasciando le monetine attorno alla pianta.
Intanto si profila il prossimo Festival del Nuovo Cine Latinoamericano che sarà dal 4 al 14 dicembre, seguito a non moltissima distanza dalla Fiera internazionale del Libro, nella sua abituale cornice del Parco Morro-Cabaña.
sabato 15 novembre 2014
venerdì 14 novembre 2014
giovedì 13 novembre 2014
Il testo completo delle possibilità di investimento (PDF da aprire)
Presentato il
portafoglio degli investimenti stranieri a Cuba (+PDF ufficiale)
Pubblicato da Redazione TTC
Il
portafoglio degli investimenti stranieri a Cuba è stato presentato durante la 32 °
Fiera Internazionale de L’Avana, FIHAV 2014. Il documento
contiene un elenco completo dei progetti in settori quali il turismo, settore
agro-alimentare, delle biotecnologie, energia e minerario, tra gli altri.
Durante la presentazione, il ministro cubano del Commercio
Estero e degli Investimenti Rodrigo Malmierca ha spiegato che il portafoglio
contiene 246 progetti, esclusi quelli già in corso di negoziazione. Tutti sono
stati presentati da imprese cubane e comprendono studi di fattibilità sia
tecnica che economica.
Ha detto che l’elenco delle opportunità viene aggiornato ogni
anno in quanto si vuole incoraggiare gli investitori a partecipare a progetti
di cui più ha bisogno l’isola, progetti integrali che creano legami produttivi.
Egli ha aggiunto che i progetti sono sparsi in tutto il paese
dei Caraibi, e ha riferito che nel settore del turismo sono stati presentati 56
progetti di sviluppo immobiliare associati a campi da golf, si stanno
discutendo 33 nuovi hotel a contratti di gestione, così come la costruzione e
la commercializzazione delle capacità alberghiere.
Malmierca ha sottolineato che gli investimenti esteri sono una
delle azioni più convincenti per l’aggiornamento del modello economico cubano,
in modo che la politica per attirare capitali esteri sia considerata una
risorsa e fondamentale per la crescita di alcuni settori.
I contributi possono essere effettuati in contanti, in beni
tangibili o no, e possono essere effettuati tramite joint venture, con capitali
totalmente esteri o per contratti di associazione economica internazionale che
comprendono un contratto di gestione.
Secondo i dati presentati nel corso della riunione le autorità
cubane cercano di orientare gli investimenti stranieri alla esportazione e alla
sostituzione dell’importazione, alla creazione di catene di produzione e alla
modifica delle infrastrutture.
Il ministro ha detto che Cuba offre un ambiente favorevole alle
imprese, un’infrastruttura completa, istituzioni pronte ad assumersi la
responsabilità necessaria e un quadro normativo aggiornato, ma anche stabilità
politica e sociale.
Possibilità di investimenti stranieri nel turismo a Cuba
Oportunidades para la inversión extranjera en el
turismo cubano
Entre las opoturnidades de
negocios se encuentra la construcción o reparación de instalaciones de
alojamiento.
Con el objetivo de atraer
mayor participación del capital extranjero en proyectos asociados a la
industria turística nacional, durante la 32 edición de la Feria Internacional
de La Habana se presentaron los proyectos disponibles para ese fin en los polos
turísticos de todo el país.
De acuerdo con la
información presentada por las autoridades del sector, la participación de la
inversión extranjera en esa industria en Cuba está
dirigida a:
-Promover la actividad
hotelera a través de nuevas construcciones o restauraciones de instalaciones de
alojamiento, así como de infraestructuras complementarias.
-En la actividad
extrahotelera para promover el desarrollo inmobiliario asociado a campos de golf
y a otros que puedan tener como complemento marinas cubanas. Además se
promueve la construcción de parques temáticos donde se vinculen altas
tecnologías. Se excluyen las actividades relacionadas con la gastronomía,
marinas y sus servicios complementarios.
-Diversificar la
administración y comercialización de las instalaciones turísticas por cadenas
extranjeras reconocidas.
-Priorizar las zonas de Guardalavaca, norte de Holguín; la Costa Sur Central: las
ciudades de Cienfuegos y Trinidadespecíficamente; Playa Santa Lucía, al norte de Camagüey; el polo turístico de Covarrubias, al norte de la
oriental provincia de La Tunas; y excepcionalmente se aceptarán propuestas en La Habana y Varadero.
Precisan los datos que ya
existen proyectos en la Habana Vieja, Playas del Este de la capital, y la
cayería norte del país.
Al cierre del 2013, operaban
en Cuba 17 gerencias extranjeras que administran más de 31 mil habitaciones,
distribuidas en 64 contratos de administración y comercialización hotelera. En
el caso de los hoteles en operación, se prevé la posibilidad de incluir
financiamiento de la gerente para la reconstrucción de la instalación.
Cuba si prepara a una nuova stagione di crociere
Santiago de Cuba
Hosteltur.com, pubblicato: 5
Novembre 2014
Sette punti della geografia cubana serviranno come scali per diverse
crociere durante l’alta stagione turistica sull’isola, che si estenderà dal 21
novembre 2014 al 10 aprile 2015. La prossima stagione crocieristica promette di
essere una delle più dinamiche degli ultimi anni, infatti 13 navi hanno chiesto
di entrare nei porti cubani dal 21 novembre fino al 10 aprile 2015, ha fatto
sapere il direttore di Aries Transportes SA, Norberto Pérez.
Queste navi arriveranno a L’Avana, Santiago di Cuba, Cienfuegos e sulla
spiaggia di Punta Frances sulla Isola della Gioventù, oltre a visitare il porto
orientale di Antilla nella provincia di Holguin; la spiaggia di Ancón vicino
alla città di Trinidad, e Rancho Luna, nella provincia meridionale di
Cienfuegos. Si prevede il ritorno della crociera Louis Cristal, unica che ha
fissato il suo porto madre a L’Avana e che realizzerà una circumnavigazione
settimanale dell’isola con scali in vari porti del Paese, ha detto il
responsabile di Aries Transportes SA, la società che gestisce l’attività delle
crociere a Cuba.
Come ha pubblicato Hosteltur Cuba riceverà più di 200 crociere il prossimo
inverno e ci saranno anche altre navi, anche se alcune sono molto piccole come
la “Panorama” e il veliero “Stard Flyer”, che percorreranno la costa
meridionale dell’arcipelago. Secondo le previsioni, questa volta sarà superata
la fase precedente, che ha registrato l’ingresso di 12 crociere con 82 scali e
quest’anno potrebbe concludersi con 141 scali e una media di 35.000 passeggeri.
Norberto Pérez ha detto che l’isola ha maggiori possibilità, infatti, a suo
parere, le strutture sono sottoutilizzate dal 1995, quando si sono create le
condizioni per lo sviluppo di questa modalità, che non è mai stata sfruttata
più del 10% della capacità dell’infrastruttura .
Secondo gli esperti, l’infrastruttura portuale cubano supporta l’ingresso
di 21 crociere settimanali attraverso i porti a L’Avana, nelle province di
Santiago de Cuba (sud-est) e di Cienfuegos (al centro) e sull’Isola della
Gioventù (sud-ovest). “Considerando le strutture che abbiamo e le operazioni
che si possono fare con una occupazione media di 1.090 navi passeggeri,
possiamo dire che muoveremmo in un anno, 1.190.800 passeggeri e 161.200 membri
dell’equipaggio”, ha detto Pérez.
L’anno più impegnato nelle operazioni è stato il 2005, quando sono stati
realizzati 122 scali con 102.440 passeggeri. Il Turismo da crociera a Cuba è
sceso dell’89% dal 2005 al 2007, passando da 102.440 a 11.000 visitatori in
seguito all’acquisto da parte della società americana Royal Caribbean della
spagnola Pullmantur, proprietaria della nave “Holiday Dream” che viaggiava
regolarmente lungo l’isola e lasciava più di 15 milioni di dollari di entrate.
Nel 2009, le operazioni sono state riprese dopo una pausa, e sono stati
calcolati circa 20 scali con circa 6.368 passeggeri. Ha detto che a causa
dell’embargo degli Stati Uniti, in vigore dal 1962, Cuba ha smesso di ricevere
tra il 2013 e quest’anno più di 149 milioni di dollari.
mercoledì 12 novembre 2014
Il Sans Soucí, ieri e oggi
In diverse cronache di Ciro Bianchi si parla del mitico cabaret Sans Soucí concorrente, negli anni '50, del Tropicana. Feudo di Santo Traficante ed altri mafiosi di diverso calibro.
Non ci sono, o almeno non ho trovato, molte foto dell'epoca, se non quelle riguardanti quadri degli spettacoli, ma non dell'ambiente. Oggi l'isolato che occupava è sede della rivendita statale di automobili Multimarca.
Non ci sono, o almeno non ho trovato, molte foto dell'epoca, se non quelle riguardanti quadri degli spettacoli, ma non dell'ambiente. Oggi l'isolato che occupava è sede della rivendita statale di automobili Multimarca.
martedì 11 novembre 2014
lunedì 10 novembre 2014
Bando de Piedad, di Ciro Bianchi Ross
Pubblicato su Juventud Rebelde dell' 8/11/14
Las peleas de gallos vienen--se dice-- desde la antigua Grecia.
Temístocles, el general ateniense que venció a los persas en Salamina,
inflamaba los ánimos de sus soldados haciéndoles presenciar peleas de
gallos antes de los combates.
Bien pronto el gusto por ellas se extendió a otros países. Hay autores
que afirman que Colón disfrutó en Cuba de esos espectáculos, pues
trajo gallos de lidia en su expedición. Esto puede ser cierto o no,
pero la verdad es --dice Emilio Roig-- que la afición por los gallos se
manifestó aquí en todas las épocas y circunstancias desde que La
Habana no era más que el puerto de Carenas. Fundada cada nueva villa,
los colonizadores tenían como primer objetivo construir una iglesia o
una edificación que hiciera las veces de esta y facilitara la práctica
religiosa. Al mismo tiempo se construía la valla de gallos. Sin ir más
lejos, el propio capitán general Francisco Dionisio Vives tuvo su
gallería en el patio del Castillo de la Fuerza y puso al frente de
ella a un asesino alevoso de apellido Padrón, a quien sacó de la
cárcel y convirtió en su protegido en virtud de su habilidad en el
manejo y cuidado de los gallos finos.
Pese a su popularidad y criollismo, figuras del Ejército Libertador,
tan pronto finalizó la Guerra de Independencia en 1898, comenzaron a
gestionar la prohibición de las peleas de gallos y las corridas de
toros, y el general Brooke, primer interventor norteamericano,
suspendió las segundas, pero no se atrevió con los gallos por temor a
la reacción que provocaría la suspensión de estas peleas. Su sucesor,
el general Wood, sin embargo, atendió el pedido que muchos notables le
hicieran en ese sentido, y las suspendió a partir del 1ro. de junio de
1900 y ordenó la imposición de multas de 500 pesos a los
contraventores de la medida.
Ya en la República, el tema de las peleas de gallos volvió a primer
plano con virulencia. Se convirtió en tema de polémicas periodísticas
y motivó manifestaciones públicas. Ante la magnitud del problema, la
revista habanera El Fígaro, en su edición del 16 del diciembre de
1902, publicó una encuesta sobre el asunto. En su respuesta, el
Generalísimo Máximo Gómez, opuesto a su reinstauración, dijo que “nos
distanciamos de la moderna cultura cuando nos deleitamos con escenas
de sangre”, y el general José Miró Argenter expresó que permitirlas
otra vez equivaldría a una vuelta al pasado, y evocó al general
español José Gutiérrez de la Concha, verdugo de tantos patriotas,
aquel funesto gobernante que se deleitaba con los espolazos de los
“jabaos” y los pintos mientras clavaba su espolón de militarote feroz
en las mismas entrañas del país. Manuel Sanguily afirmó por su parte
que restablecer las peleas de gallos era como volver a la Colonia
contra la que “se enarboló nuestra bandera y se sacrificaron tres
generaciones”. Figuras de la Autonomía, como Montoro y Gálvez, se
manifestaron también en contra y lo mismo hizo don Nicolás Rivero,
director del ultraconservador Diario de la Marina. El sentir, según la
encuesta de El Fígaro, parecía ser unánime, pero...
Vuelven los gallos
El 21 de enero de 1907, José Miguel Gómez compareció ante el juez
correccional de Marianao. Se le impuso una multa de 50 pesos por su
participación como espectador en una valla de gallos. También fueron
multados los generales José de Jesús Monteagudo y Faustino “Pino”
Guerra y el coronel Carlos Mendieta, sorprendidos en el mismo acto;
todos ellos liberales miguelistas. El encono que esto provocó fue de
tal magnitud que elementos liberales agredieron físicamente a Manuel
María Coronado, director de La Discusión, el periódico que dio a
conocer el incidente.
La condena sirvió para que los correligionarios de José Miguel tomaran
el tópico del restablecimiento de las lidias de gallos como una
cuestión política. Organizaron manifestaciones públicas y el 24 de
febrero desfilaron ante el Palacio de Gobierno, en la Plaza de Armas,
a fin de solicitar a Charles Magoon --eran los tiempos de la segunda
intervención militar norteamericana-- la derogación de la orden militar
que las prohibía. José Miguel Gómez, que había pedido y apoyado la
suspensión de estas peleas tras el fin de la Guerra de Independencia,
se convirtió en su más apasionado defensor en los días de su campaña
para la presidencia de la República al frente del Partido Liberal. De
ahí que el emblema de esa organización política fuera precisamente la
imagen del gallo y el arado.
En las elecciones de 1908, los liberales derrotaron a los
conservadores y se alzaron con el poder. José Miguel, una vez en la
presidencia, no fue lento ni perezoso en el cumplimiento de su promesa
electoral de restablecer las lidias. Tomó posesión el 28 de enero de
1909 y ya el 1ro. de febrero se conocía en la Cámara de Representantes
el proyecto de ley que derogaba todas las disposiciones contrarias a
las peleas de gallos. Ese cuerpo colegislador aprobó la propuesta por
50 votos contra 12. Días más tarde la ley era también conocida por el
Senado. De poco valieron allí las opiniones adversas de Salvador
Cisneros, marqués de Santa Lucía, y de Manuel Sanguily. No sin humor,
Cisneros expresó que la ley de lotería, aún sin haber “pasado” --esto
es, discutida y aprobada--, estaba ya incluida en el presupuesto de la
nación, y lo mismo sucedía con la de los gallos, que sin haberse
aprobado había propiciado la creación de gallerías en todas partes.
Sanguily fue demoledor en su discurso: “Yo digo que este es un mal
paso, que esta es una imprudencia del más puro y del más elemental de
nuestros deberes: el deber de ir preparando en las vías de la mejor
moralidad política, la conciencia y el carácter de nuestro pueblo”.
Sin embargo, todo fue inútil. La ley fue aprobada. En las actas del
Senado correspondientes al día de la votación, solo aparece un voto en
contra, el de Manuel Sanguily.
A punta de espuela
Ya en la República hubo intentos de restablecer las corridas de toros
con el pretexto del turismo extranjero que podrían atraer, y hasta
llegó a constituirse un Comité Pro Arte Taurino. Esfuerzos en el mismo
sentido se hicieron tras el triunfo de la Revolución.
Después de aquella prohibición de finales del siglo XIX, las corridas
pasaron para siempre. Los gallos, en cambio, volvieron con fuerza. En
1958 había en la Isla unas 500 vallas de gallos que, en conjunto,
recaudaban más dinero que todos los cines y teatros del país. En días
de pelea no menos de cien personas acudían a cada una de ellas.
Algunas eran famosas, como la valla Habana, en la plazoleta de Agua
Dulce, y la valla Nacional, en la Esquina de Tejas.
Entre 1913 y 1925 vinieron de España gallos jerezanos criados en Cádiz
y en Jerez de la Frontera. El jerezano es más fuerte que el criollo,
aunque no tan buen peleador. En la década de 1950 se trajeron cornish
de Inglaterra y se ligaron con criollos. Esas crías se pusieron de
moda. Al igual que el jerezano, el cornish es más alto, ancho de pecho
y resistente que el criollo. Pero muchos salen capirros, cobardes.
Ninguno es de tan buena ley como el criollo. Solo cruzando varias
veces los gallos extranjeros con los criollos se consigue un animal
alto y fuerte, y que sea al mismo tiempo buen peleador. Algunos
criadores eran enemigos de mezclar sus gallos. El ex presidente
Mendieta solo criaba criollos puros, por lo que se le consideraba un
criador “de los viejos”. La vergüenza que le causaba que uno de sus
gallos huyera, lo llevaba a deshacerse de toda la cría.
Carlos Mendieta fue de los grandes criadores cubanos de gallos, famoso
por el gallo que lleva su nombre. También lo fueron el general
Monteagudo y Diego Trinidad, entre otros de Las Villas, Camagüey y La
Habana. Se decía en la década de 1940 que nadie en el mundo superaba a
los cubanos en lo referido a la cría de gallos finos o de pelea.
Prueba de ello es que entre 1946 y 1947 el Ministerio de Agricultura
concedió permisos de exportación para más de 2 000 gallos que, en su
mayoría, fueron a parar a Puerto Rico y también a México, Venezuela y
Colombia. Fue una primacía conquistada --decía un especialista-- a punta
de espuela.
Niños, animales y plantas
Tras el cese de la soberanía española, llegaba a La Habana la
norteamericana Jeannette Ryder. Quiso poner fin a males que la
superaban y que eran imposibles de enfrentar certeramente de manera
individual. Palió el desamparo de niños desvalidos, dio pan y leche a
los mendigos, y llevó desayuno a mujeres detenidas en estaciones de
Policía. Enfrentó a cocheros que apaleaban a sus caballos y socorrió a
gatos y perros abandonados. La tildaron de loca y debió soportar
maltratos verbales y físicos. Algunos, en cambio, se le acercaron para
acompañarla. Fueron ellos los que la apoyaron en la fundación de una
llamada Sociedad Protectora de Niños, Animales y Plantas, también
conocida como Bando de Piedad. Así lo veremos la semana próxima.
Il lettore si immagini la
Guerra che stavano dando le zanzare già che a metà del XVI secolo gli avaneri
avevano offerto 32 corride di tori a San Cristóbal de La Habana perché le
facesse andare via dalla città e, di passo, portassero con loro mosche, cavallette
e formiche.
La prima corrida di tori che
si celebró a Cuba ebbe luogo a Santiago nel 1538, con motivo dell’arrivo di
Hernando de Soto, Governatore dell’Isola e “Avanzato” della Florida, dove cercò
invano la fonte dell’ete
Ben presto, il gusto per
queste si estese ad altri paesirna giovinezza. Non tarderà a trasferirsi
all’Avana dove, per la sua ripercussione, la cronaca lascerà le note contro le
zanzare e il saluto all’ascesa al trono del re spagnolo Carlos III.
Ciò nonostante, non si ebbe
una vera e propria arena per corride, in questa città, fino al 1769 quando si
installò quella di Monte angolo Arsenal in un posto chiamato successivamente
l’Immondezzaio. La seconda, nel 1818 si collocò nella calle Aguila, dietro la
pensioncina di un tal Cabrera e nel Campo di Marte (attuale Parque de la
Fraternidad) si situò la successiva, nel 1825. Molto frequentato fu il rodeo
che nel 1842, si fece nella piazza principale di Regla per corride e esordi:
gli avaneri travresavano la baia per non perdersi lo spettacolo. Ci fu un’altra
arena, a partire dal 1853 nella calle Belazcoain, di fronte all’edificio che
occupava la Casa di Beneficenza, spazio dove oggi si erge l’ospedale Hermanos
Ameijeiras. L’ultima arena venne situata all’angolo di Carlos III e Infanta, dove
oggi si trova il ristorante Las Avenidas. Questo successe nel 1886 e l’anno
seguente le tribune di questo cerchio traboccavano per presenziare
all’attuazione del celebre Luis Mazzantini che, fra toro e toro, viveva un
romanzo rovente con l’attrice francese Sarah Bernhardt, quella donna che a dire
di Alessandro Dumás (figlio) aveva viso d’angelo e corpo di scopa.
Arrivarono
con Colombo
I combattimenti dei galli
vengono – si dice – dall’antica Grecia.
Temistocle, il generale
ateniese che vinse i persi a Salamina, infiammava gli animi dei suoi soldati
facendoli presenziare a combattimenti fra galli, prima delle battaglie.
Ben presto il gusto per le
medesime si estese ad altri Paesi. Ci sono autori che affermano che Colombo
godette, a Cuba, di questi spettacoli, ebbene nella sua spedizione aveva
portato galli da combattimento. Ciò può essere vero o no, ma la verità è - dice
Emilio Roig – che la passione per i galli si manifestò qua in tutte le epoche e
circostanze da quando l’Avana non era che il porto di Carenas. Per ogni nuova
città fondata, i colonizzatori avevano come primo obiettivo di costruire una
chiesa o un edificio che ne facesse le veci e facilitasse le pratiche
religiose. Al tempo stesso si costruiva il recinto per i galli. Senza andare
tanto lontano, il proprio capitano generale Francisco Dionisio Vives ebbe il
suo recinto per galli nel cortile del Castillo de la Fuerza e mise ad
occuparsene un connotato assassino di cognome Padrón che fece uscire dal
carcere e convertì in suo protetto in virtù della sua abilità nelmaneggio e la
cura di galli di razza.
Nonostante la popolarità
nelle radici creole, figure dell’Esercito di Liberazione, come finì la Guerra
d’Indipendenza nel 1898, cominciarono a prospettare la proibizione di
combattimenti fra galli e corride di tori e il generale Brooke, primo
intervenzionista nordamericano, sospese le seconde, ma non osò prospettare la
proibizione delle lotte fra galli per paura delle reazioni che sarebbero
seguite alla sospensione di questi combattimenti. Il suo successore, il
generale Wood, invece ascoltò le richieste che molti notabili gli fecero in
questo senso e le sospese a partire dal 1° giugno del 1900 ordinando
l’imposizione di una multa di 500 pesos ai contravventori della misura.
Già nella Repubblica, il
tema dei combattimenti dei galli tornò con veemenza in primo piano. Si convertì
in tema di polemiche giornalistiche e motivò manifestazioni pubbliche. Davanti
alla grandezza del problema, la rivista avanera El Figaro, nella sua edizione
del 16 dicembre del 1902, pubblicò un’inchiesta sulla faccenda. Nella sua
risposta, il Generalissimo Máximo Gómez, opposto alla sua restaurazione, disse
che “ci distanziamo dalla cultura moderna quando ci divertiamo con scene di
sangue” e il generale José Miró Argenter espresse che permetterle ancora
equivaleva a un ritorno al passato ed evocò il generale spagnolo José Gutiérrez
de la Concha, giustiziere di tanti patrioti, quel funesto governante che si
divertiva con i colpi di sperone dei “jabaos” (bianco biondastri, n.d.t.) e dei
rossicci, mentre conficcava il suo sperone da soldataccio nelle stesse viscere
del Paese. Manuel Sanguily affermò da
parte sua che ristabilire i combattimenti dei galli era come tornare alla
Colonia contro la quale “si inalberò la nostra bandiera e si sacrificarono tre
generazioni”. Figure dell’Autonomia, come Montoro y Gálvez, si manifestarono a
loro volta contro e lo stesso fece don Nicolás Rivero, direttore dell’ultra
conservatore Diario de la Marina. Il sentimento, secondo l’inchiesta di El
Figaro, sembrava unanima, ma...
Tornano
i galli
Il 21 gennaio del 1907, josé
Miguel Gómez comparve davanti al giudice correzionale di Marianao. Gli venne
imposta una multa di 50 pesos per la sua partecipazione, come spettatore, in un
recinto per i galli. Furono multati anche i generali José de Jesús Monteagudo e
Faustino “Pino” Guerra e il colonnello Carlos Mendieta, sorpresi nella stessa
circostanza; tutti loro erano liberali
miguelisti. Il botto che questo provocò fu di tale grandezza che elementi
liberali aggredirono fisicamente Manuel Maria Coronado, direttore de La
Discusión, il giornale che fece conoscere il fatto.
La condanna serví affinché i
confratelli di José Miguel prendessero il pretesto del ristabilimento dei
combattimenti dei galli come questione politica. Organizzarono manifestazioni
pubbliche e il 24 di febbraio sfilarono davanti al Palazzo del Governo, nella
Plaza de Armas, al fine di sollecitare Charles Magoon – erano i tempi del
secondo intervento militare nordamericano – la deroga dell’ordine militare che
stabiliva la proibizione. José Miguel Gómez che aveva chiesto e appoggiato la
sospensione di questi combattimenti, dopo la fine della Guerra d’indipendenza,
si convertì nel suo più appassionato difensore, nei giorni della campagna per
la presidenza della Repubblica a capo del Partito Liberale. Di lì che lo stemma
di questa organizzazione politica era precisamente l’immagine del gallo e
l’aratro.
Nelle elezioni del 1908, i
liberali sconfissero i conservatori e si alzarono al potere. José Miguel, una
volta alla presidenza, non fu lento nel compiere la sua promessa elettorale di
ristabilire i combattimenti. Prese possesso il 28 gennaio del 1909 e già il 1°
febbraio si conosceva, alla Camera dei Rappresentanti, il progetto di legge che
derogava tutte le disposizioni contrarie ai combattimenti dei galli. Questo
corpo legislativo approvò la proposta per 50 voti contro 12. Alcuni giorni dopo
la legge era approvata anche dal Senato. Di poco valsero le opinioni contrarie
di Salvador Cisneros, marchese di Santa Lucía e di manuel Sanguily. Non senza
umore Cisneros espresse che la legge della lotteria, pur non essendo “passata”
– ovvero discussa e approvata – era già inclusa nel bilancio della nazione e lo
stesso succedeva con quella dei galli che senza essere stata approvata aveva
propiziato la creazione di “gallodromi” dappertutto. Sanguily nel suo discorso
fu demolitore: “Io dico che questo è un passo sbagliato, che questa è
un’imprudenza del più puro e più elementare dei nostri doveri: il dovere di
preparare, in vista della miglior moralità politica, la coscienza e il
carattere del nostro popolo”.
Comunque fu tutto inutile.
La legge fu approvata. Agli atti del Senato, corrispondenti al giorno della
votazione, appare un solo voto contrario, quello di Manuel Sanguily.
A
punta di sperone
Sempre con la Repubblica ci
furono tentativi di ristabilire le corride col pretesto che potevano attrarre
il turismo straniero e si giunse perfino a costituire un Comitato Pro Arte
Taurina. Tentativi in questo senso si fecero anche dopo la vittoria della
Rivoluzione.
Dopo quel divieto alla fine
del XIX secolo, le corride sono finite per sempre. I galli, invece, tornarono
con forza. Nel 1958 c’erano nell’Isola circa 500 recinti di galli che fra
tutti, incassavano più soldi che tutti i cine e teatri del Paese. Nei giorni di
combattimento non meno di cento persone si recava in ciscuno di essi. Alcuni
erano famosi come il recinto Habana nella piazzetta di Agua Dulce e il recinto
Nacional nell’Esquina de Tejas.
Tra il 1913 e 1925 vennero
dalla Spagna galli jereziani allevati a Cadice e Jerez de la Frontera. Il
jereziano è più forte del creolo, anche se non è altrettanto buono come
combattente. Nella decade del ’50 si portarono cornish dall’Inghilterra e si
mescolarono coi creoli. Queste covate divennero di moda. Come il jereziano, il
cornish è più alto, di petto ampio e più resistente del creolo. Però molti
nascono imbastarditi e vigliacchi. Nessuno è coraggioso come il creolo. Solo
incrociando varie volte i galli stranieri con i creoli si ottiene un animale
alto e forte che allo stesso tempo sia anche un buon combattente. Alcuni
allevatori erano contrari a mescolare i loro galli. L’ex presidente Mendieta
allevava solo creoli puri, per cui si considerava un allevatore “dei vecchi”.
La vergogna che gli causava se uno dei suoi galli fuggisse, lo portva a
disfarsi di tutta la covata.
Carlos Mendieta fu uno dei grandi
allevatori cubani di galli, famoso per il gallo che porta il suo nome. Anche il
generale Monteagudo e Diego Trinidad, fra altri di Las Villas, Camagüey e
l’Avana. Nella decade del ’40 si diceva che nessuno superava i cubani
nell’allevamento dei galli di razza o da combattimento. Prova ne è che nel 1946
e 1947 il Ministero dell’Agricoltura concesse permesso di esportazione per più
di 2.000 galli che nella maggior parte terminarono a Portorico e anche in
Messico, Venezuela e Colombia. Fu un primato conquistato – diceva uno
specialista – a punta di sperone.
Bambini,
animali e piante
Dopo la fine della sovranità
spagnola, giungeva all’Avana la nordamericana Jeannette Ryder. Volle poner fine
a mai che la sovrastavano e che erano impossibili da affrontare con sicurezza
in modo individuale. Curò l’abbandono di bambini invalidi, diede pane e latte
ai mendicanti e portava la colazione a donne detenute nelle stazioni di
Polizia. Affrontó cocchieri che picchiavano i loro cavalli e soccorse cani e
gatti abbandonati. La etichettarono come matta e dovette sopportare
maltrattamenti verbali e fisici. Alcuni, in cambio le si avvicinarono per
unirsi a lei. Furono loro che la appoggiarono per la fondazione di una
cosiddetta Società Protettrice di Bambini, Animali e Piante, conosciuta anche
come Bando de la Piedad. Così lo vedremo la settimana prossima.
Bando de Piedad (I)
Ciro Bianchi Ross * digital@juventudrebelde.cu
8 de Noviembre del 2014 19:14:59 CDT
Imagine el lector la guerra que estarían dando los mosquitos que, a
mediados del siglo XVI, los habaneros ofrendaron 32 corridas de toros
a San Cristóbal de La Habana para que los sacara de la villa y, de
paso, se llevara con ellos moscas, bibijaguas y hormigas.
La primera corrida de toros que se celebró en Cuba tuvo lugar en
Santiago, en 1538, con motivo de la llegada de Hernando de Soto,
Gobernador de la Isla y Adelantado de la Florida, donde buscaría en
vano la fuente de la eterna juventud. No demoraría en pasar a La
Habana donde, por su repercusión, la crónica dejaría anotadas las ya
aludidas contra los mosquitos y la que saludó el ascenso al trono del
rey español Carlos III.
Con todo, no hubo propiamente una plaza de toros en esta ciudad hasta
1769, cuando se instaló la de Monte esquina a Arsenal, en un sitio
después llamado el Basurero. La segunda, en 1818, se emplazó en la
calle Águila, al fondo de la posada de un tal Cabrera, y en el Campo
de Marte (actual Parque de la Fraternidad) se situó la siguiente, en
1825. Muy concurrido fue el rodeo que, en 1842, se instaló en la plaza
principal de Regla para corridas y novilladas: los habaneros cruzaban
la bahía para no perderse el espectáculo. Hubo otra plaza, a partir de
1853, en la calle Belascoaín, frente a la edificación que ocupaba la
Casa de Beneficencia, espacio donde hoy se erige el hospital Hermanos
Ameijeiras. La última plaza se situó en la esquina de Carlos III e
Infanta, donde hoy se halla el restaurante Las Avenidas. Eso ocurrió
en 1886, y al año siguiente las gradas de este ruedo se desbordaban
para presenciar la actuación del célebre Luis Mazzantini quien, entre
toro y toro, vivía un tórrido romance con la actriz francesa Sarah
Bernhardt, aquella mujer que, al decir de Alejandro Dumas (hijo),
tenía rostro de ángel y cuerpo de escoba.
Llegaron con Colón
Ciro Bianchi Ross * digital@juventudrebelde.cu
8 de Noviembre del 2014 19:14:59 CDT
Imagine el lector la guerra que estarían dando los mosquitos que, a
mediados del siglo XVI, los habaneros ofrendaron 32 corridas de toros
a San Cristóbal de La Habana para que los sacara de la villa y, de
paso, se llevara con ellos moscas, bibijaguas y hormigas.
La primera corrida de toros que se celebró en Cuba tuvo lugar en
Santiago, en 1538, con motivo de la llegada de Hernando de Soto,
Gobernador de la Isla y Adelantado de la Florida, donde buscaría en
vano la fuente de la eterna juventud. No demoraría en pasar a La
Habana donde, por su repercusión, la crónica dejaría anotadas las ya
aludidas contra los mosquitos y la que saludó el ascenso al trono del
rey español Carlos III.
Con todo, no hubo propiamente una plaza de toros en esta ciudad hasta
1769, cuando se instaló la de Monte esquina a Arsenal, en un sitio
después llamado el Basurero. La segunda, en 1818, se emplazó en la
calle Águila, al fondo de la posada de un tal Cabrera, y en el Campo
de Marte (actual Parque de la Fraternidad) se situó la siguiente, en
1825. Muy concurrido fue el rodeo que, en 1842, se instaló en la plaza
principal de Regla para corridas y novilladas: los habaneros cruzaban
la bahía para no perderse el espectáculo. Hubo otra plaza, a partir de
1853, en la calle Belascoaín, frente a la edificación que ocupaba la
Casa de Beneficencia, espacio donde hoy se erige el hospital Hermanos
Ameijeiras. La última plaza se situó en la esquina de Carlos III e
Infanta, donde hoy se halla el restaurante Las Avenidas. Eso ocurrió
en 1886, y al año siguiente las gradas de este ruedo se desbordaban
para presenciar la actuación del célebre Luis Mazzantini quien, entre
toro y toro, vivía un tórrido romance con la actriz francesa Sarah
Bernhardt, aquella mujer que, al decir de Alejandro Dumas (hijo),
tenía rostro de ángel y cuerpo de escoba.
Llegaron con Colón
Las peleas de gallos vienen--se dice-- desde la antigua Grecia.
Temístocles, el general ateniense que venció a los persas en Salamina,
inflamaba los ánimos de sus soldados haciéndoles presenciar peleas de
gallos antes de los combates.
Bien pronto el gusto por ellas se extendió a otros países. Hay autores
que afirman que Colón disfrutó en Cuba de esos espectáculos, pues
trajo gallos de lidia en su expedición. Esto puede ser cierto o no,
pero la verdad es --dice Emilio Roig-- que la afición por los gallos se
manifestó aquí en todas las épocas y circunstancias desde que La
Habana no era más que el puerto de Carenas. Fundada cada nueva villa,
los colonizadores tenían como primer objetivo construir una iglesia o
una edificación que hiciera las veces de esta y facilitara la práctica
religiosa. Al mismo tiempo se construía la valla de gallos. Sin ir más
lejos, el propio capitán general Francisco Dionisio Vives tuvo su
gallería en el patio del Castillo de la Fuerza y puso al frente de
ella a un asesino alevoso de apellido Padrón, a quien sacó de la
cárcel y convirtió en su protegido en virtud de su habilidad en el
manejo y cuidado de los gallos finos.
Pese a su popularidad y criollismo, figuras del Ejército Libertador,
tan pronto finalizó la Guerra de Independencia en 1898, comenzaron a
gestionar la prohibición de las peleas de gallos y las corridas de
toros, y el general Brooke, primer interventor norteamericano,
suspendió las segundas, pero no se atrevió con los gallos por temor a
la reacción que provocaría la suspensión de estas peleas. Su sucesor,
el general Wood, sin embargo, atendió el pedido que muchos notables le
hicieran en ese sentido, y las suspendió a partir del 1ro. de junio de
1900 y ordenó la imposición de multas de 500 pesos a los
contraventores de la medida.
Ya en la República, el tema de las peleas de gallos volvió a primer
plano con virulencia. Se convirtió en tema de polémicas periodísticas
y motivó manifestaciones públicas. Ante la magnitud del problema, la
revista habanera El Fígaro, en su edición del 16 del diciembre de
1902, publicó una encuesta sobre el asunto. En su respuesta, el
Generalísimo Máximo Gómez, opuesto a su reinstauración, dijo que “nos
distanciamos de la moderna cultura cuando nos deleitamos con escenas
de sangre”, y el general José Miró Argenter expresó que permitirlas
otra vez equivaldría a una vuelta al pasado, y evocó al general
español José Gutiérrez de la Concha, verdugo de tantos patriotas,
aquel funesto gobernante que se deleitaba con los espolazos de los
“jabaos” y los pintos mientras clavaba su espolón de militarote feroz
en las mismas entrañas del país. Manuel Sanguily afirmó por su parte
que restablecer las peleas de gallos era como volver a la Colonia
contra la que “se enarboló nuestra bandera y se sacrificaron tres
generaciones”. Figuras de la Autonomía, como Montoro y Gálvez, se
manifestaron también en contra y lo mismo hizo don Nicolás Rivero,
director del ultraconservador Diario de la Marina. El sentir, según la
encuesta de El Fígaro, parecía ser unánime, pero...
Vuelven los gallos
El 21 de enero de 1907, José Miguel Gómez compareció ante el juez
correccional de Marianao. Se le impuso una multa de 50 pesos por su
participación como espectador en una valla de gallos. También fueron
multados los generales José de Jesús Monteagudo y Faustino “Pino”
Guerra y el coronel Carlos Mendieta, sorprendidos en el mismo acto;
todos ellos liberales miguelistas. El encono que esto provocó fue de
tal magnitud que elementos liberales agredieron físicamente a Manuel
María Coronado, director de La Discusión, el periódico que dio a
conocer el incidente.
La condena sirvió para que los correligionarios de José Miguel tomaran
el tópico del restablecimiento de las lidias de gallos como una
cuestión política. Organizaron manifestaciones públicas y el 24 de
febrero desfilaron ante el Palacio de Gobierno, en la Plaza de Armas,
a fin de solicitar a Charles Magoon --eran los tiempos de la segunda
intervención militar norteamericana-- la derogación de la orden militar
que las prohibía. José Miguel Gómez, que había pedido y apoyado la
suspensión de estas peleas tras el fin de la Guerra de Independencia,
se convirtió en su más apasionado defensor en los días de su campaña
para la presidencia de la República al frente del Partido Liberal. De
ahí que el emblema de esa organización política fuera precisamente la
imagen del gallo y el arado.
En las elecciones de 1908, los liberales derrotaron a los
conservadores y se alzaron con el poder. José Miguel, una vez en la
presidencia, no fue lento ni perezoso en el cumplimiento de su promesa
electoral de restablecer las lidias. Tomó posesión el 28 de enero de
1909 y ya el 1ro. de febrero se conocía en la Cámara de Representantes
el proyecto de ley que derogaba todas las disposiciones contrarias a
las peleas de gallos. Ese cuerpo colegislador aprobó la propuesta por
50 votos contra 12. Días más tarde la ley era también conocida por el
Senado. De poco valieron allí las opiniones adversas de Salvador
Cisneros, marqués de Santa Lucía, y de Manuel Sanguily. No sin humor,
Cisneros expresó que la ley de lotería, aún sin haber “pasado” --esto
es, discutida y aprobada--, estaba ya incluida en el presupuesto de la
nación, y lo mismo sucedía con la de los gallos, que sin haberse
aprobado había propiciado la creación de gallerías en todas partes.
Sanguily fue demoledor en su discurso: “Yo digo que este es un mal
paso, que esta es una imprudencia del más puro y del más elemental de
nuestros deberes: el deber de ir preparando en las vías de la mejor
moralidad política, la conciencia y el carácter de nuestro pueblo”.
Sin embargo, todo fue inútil. La ley fue aprobada. En las actas del
Senado correspondientes al día de la votación, solo aparece un voto en
contra, el de Manuel Sanguily.
A punta de espuela
Ya en la República hubo intentos de restablecer las corridas de toros
con el pretexto del turismo extranjero que podrían atraer, y hasta
llegó a constituirse un Comité Pro Arte Taurino. Esfuerzos en el mismo
sentido se hicieron tras el triunfo de la Revolución.
Después de aquella prohibición de finales del siglo XIX, las corridas
pasaron para siempre. Los gallos, en cambio, volvieron con fuerza. En
1958 había en la Isla unas 500 vallas de gallos que, en conjunto,
recaudaban más dinero que todos los cines y teatros del país. En días
de pelea no menos de cien personas acudían a cada una de ellas.
Algunas eran famosas, como la valla Habana, en la plazoleta de Agua
Dulce, y la valla Nacional, en la Esquina de Tejas.
Entre 1913 y 1925 vinieron de España gallos jerezanos criados en Cádiz
y en Jerez de la Frontera. El jerezano es más fuerte que el criollo,
aunque no tan buen peleador. En la década de 1950 se trajeron cornish
de Inglaterra y se ligaron con criollos. Esas crías se pusieron de
moda. Al igual que el jerezano, el cornish es más alto, ancho de pecho
y resistente que el criollo. Pero muchos salen capirros, cobardes.
Ninguno es de tan buena ley como el criollo. Solo cruzando varias
veces los gallos extranjeros con los criollos se consigue un animal
alto y fuerte, y que sea al mismo tiempo buen peleador. Algunos
criadores eran enemigos de mezclar sus gallos. El ex presidente
Mendieta solo criaba criollos puros, por lo que se le consideraba un
criador “de los viejos”. La vergüenza que le causaba que uno de sus
gallos huyera, lo llevaba a deshacerse de toda la cría.
Carlos Mendieta fue de los grandes criadores cubanos de gallos, famoso
por el gallo que lleva su nombre. También lo fueron el general
Monteagudo y Diego Trinidad, entre otros de Las Villas, Camagüey y La
Habana. Se decía en la década de 1940 que nadie en el mundo superaba a
los cubanos en lo referido a la cría de gallos finos o de pelea.
Prueba de ello es que entre 1946 y 1947 el Ministerio de Agricultura
concedió permisos de exportación para más de 2 000 gallos que, en su
mayoría, fueron a parar a Puerto Rico y también a México, Venezuela y
Colombia. Fue una primacía conquistada --decía un especialista-- a punta
de espuela.
Niños, animales y plantas
Tras el cese de la soberanía española, llegaba a La Habana la
norteamericana Jeannette Ryder. Quiso poner fin a males que la
superaban y que eran imposibles de enfrentar certeramente de manera
individual. Palió el desamparo de niños desvalidos, dio pan y leche a
los mendigos, y llevó desayuno a mujeres detenidas en estaciones de
Policía. Enfrentó a cocheros que apaleaban a sus caballos y socorrió a
gatos y perros abandonados. La tildaron de loca y debió soportar
maltratos verbales y físicos. Algunos, en cambio, se le acercaron para
acompañarla. Fueron ellos los que la apoyaron en la fundación de una
llamada Sociedad Protectora de Niños, Animales y Plantas, también
conocida como Bando de Piedad. Así lo veremos la semana próxima.
Ciro Bianchi Ross
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