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mercoledì 28 gennaio 2015
martedì 27 gennaio 2015
Navigazione marittima e aerea sull'Avana
La compagnia spagnola di bandiera Iberia, ha annunciato che dal 1° giugno prossimo riannoderà i voli da Madrid per l'Avana. La frequenza sarà di cinque voli settimanali. In precedenza era giornaliera ed i voli erano sempre pieni...Nel frattempo ha ricominciato ad operare su Santo Domingo. La sospensione dei voli su una tratta che non era certo un "ramo secco" era stata accolta con grande sorpresa: Iberia non aveva mai smesso di volare a Cuba nemmeno ai tempi del dittatore Francisco Franco che aveva risposto alle pressioni degli Stati Uniti dicendo che "Cuba era un affare di famiglia".
Sempre nel campo aeronautico c'è una nuova "via" per e da Miami all'Avana: si tratta di un volo settimanale (il martedì) che raggiunge Freeport (Bahamas) con Cubana de Aviación e prosegue per Miami con la compagnia charter nordamericana Swift Air. Per i mesi di gennaio e febbraio la LatitudCuba (latitudcuba@mtc.co.cu) ha un'offerta promozionale al costo di 399 CUC per andata e ritorno valida 85 giorni.
Nel frattempo si spera in un'apertura del traffico marittimo con gli Stati Uniti, ancora vietato dalla legge sull'embargo degli USA e rafforzato dalla cosiddetta Helms/Burton dai nomi dei senatori che l'hanno proposta e fatta approvare. Purtroppo si prevedono tempi molto lunghi dal momento che non sarebbe nelle prerogative del Presidente farla abrogare, ammesso che lo desiderasse. Intanto giungono alcune navi di altre nazionalità che non possono toccare porti statunitensi nei successivi 180 giorni dal loro attracco a Cuba.
Sempre nel campo aeronautico c'è una nuova "via" per e da Miami all'Avana: si tratta di un volo settimanale (il martedì) che raggiunge Freeport (Bahamas) con Cubana de Aviación e prosegue per Miami con la compagnia charter nordamericana Swift Air. Per i mesi di gennaio e febbraio la LatitudCuba (latitudcuba@mtc.co.cu) ha un'offerta promozionale al costo di 399 CUC per andata e ritorno valida 85 giorni.
Nel frattempo si spera in un'apertura del traffico marittimo con gli Stati Uniti, ancora vietato dalla legge sull'embargo degli USA e rafforzato dalla cosiddetta Helms/Burton dai nomi dei senatori che l'hanno proposta e fatta approvare. Purtroppo si prevedono tempi molto lunghi dal momento che non sarebbe nelle prerogative del Presidente farla abrogare, ammesso che lo desiderasse. Intanto giungono alcune navi di altre nazionalità che non possono toccare porti statunitensi nei successivi 180 giorni dal loro attracco a Cuba.
lunedì 26 gennaio 2015
Sanguily, il mambí dalla camicia rossa, di Ciro Bianchi Ross
Pubblicato su Juventud rebelde del 25/1/15
Fernando Ortiz raccontava che nella sua gioventù, mostrò a Cesare Lombroso, il famoso antropologo italiano di cui era discepolo, una copia della Costituzione cubana del 1901 con le firme autografe dei membri della Commissione che la stipularono. Voleva che il suo maestro, considerato grafologo acuto, classificasse a partire dalla scrittura il carattere di quelle persone, da lui sconosciute. Lombroso esaminò minuziosamente il documento. “Questa è la firma di un alcolizzato” disse. Aggiunse: “Questa di un buffone e quest’altra di un uomo onorato”. “Questa è di un anziano rammollito” proseguì. Così una dopo l’altra, mentre Ortiz seguiva le sue parole in silenzio, convinto di quanta verità c’era nelle affermazioni del maestro. Questi giunse alla firma di Manuel Sanguily. Meditò un momento e disse: “Questa è la firma di un genio”.
José de la Luz y Caballero chiamava Sanguily “Manuel de Manueles”. Un gran giornalista cubano, José Antonio de Castro, in una vivace biografia che scrisse su di lui lo chiama “il mambí dalla camicia rossa” perché, come membro delle leggendarie schiere garibaldine, si vestì di questo colore nei combattimenti a cui prese parte all’inizio della Guerra Grande, nella quale finì con le stelle da colonnello, perché agli ordini di Ignazio Agramonte e del fratello Julio, si cimentò in oltre 50 combattimenti e precedentemente, con la Costituzione di Guáimaro già proclamata, parlò a richiesta di Agramonte davanti all’Assemblea Costituente, per risaltare la presenza di un pugno di antichi schiavi, redenti dalla Rivoluzione. Parole che emozionarono i presenti e strapparono i loro fervidi applausi. Già nella Repubblica, nella sua lotta contro la penetrazione nordamericana, fu portavoce del sentimento nazionale. Come oratore, nessuno eccetto Martí, lo superò nel XIX secolo cubano. Come critico letterario pochi, nella sua epoca, gli guadagnarono nella sicurezza del metodo e nella sagacità e profondità dei suoi apprezzamenti, tanto che fu un giornalista dallo stile magnifico e folgorante.
“Sanguily fu anzitutto sé stesso, ed è la sua personalità quella che veneriamo. Caratteri come il suo, simbolo della passione e della dignità umana, riassumono tutta la nobiltà di un’epoca, l’epoca del sacrificio e dello sforzo”. Scrive Max Enríquez Ureña.
Nel febbraio del 1917, in disaccordo con la politica per la rielezione del presidente Menocal, rinuncia alla direzione generale delle scuole militari della nazione e si ritira dalla vita pubblica. L’uomo che in diversi momenti della vita repubblicana fu senatore, cancelliere e ispettore generale dell’Esercito col grado di brigadiere generale, non ha risorse per vivere e il Congresso deve votare una pensione a suo favore.
Sanguily soleva dire che la Calzada de Belascoaín segnava il limite dell’Avana. Il resto, da Belascoaín in là, affermava, era campagna. I suoi ultimi anni, peraltro, li trascorre a la Vibora. Abita in Calle José Miguel Gómez – Correa – e fino lì si trasferiscono 90 anni orsono, due giovani studenti: Eduardo Robreño e José Lezama Lima. Lezama che lo aveva visto da bambino, durante una visita che Sanguily fece a suo padre, allora direttore della Scuola dei Cadetti, non aveva dimenticato gli occhi azzurri scintillanti e allucinati del patriota. Robreño e Lezama vogliono sentire i suoi consigli da vecchio scrittore, fargli rivivere i suoi giorni alla macchia, sentire le sue opinioni sulla situazione del Paese.
I giovani scelgono male il giorno per la visita. Non li riceve nessuno. Già davanti alla porta di casa, la notizia gli esplode in faccia di colpo.
Manuel Sanguily è morto. È il 23 di gennaio del 1925.
Nella macchia
Manuel Sanguily y Garrite, nacque all’Avana il 26 marzo del 1848. Non scorreva sangue spagnolo nelle sue vene. Il padre, cubano, discendeva da una famiglia del sud della Francia, dalla Guascogna, “terra di poeti e di moschettieri”, dicono i suoi biografi. Il suo cognome deriva dal francese Saint Guilly. La madre, inglese,era nata nella città di Manchester. Rimase orfano di padre molto presto. La madre affronta la vita e la cura dei suoi tre figli piccoli con lavori di cucito. Muore anche lei e il bambino Manuel resta con la protezione del suo padrino, il colonnello Manuel Pizarro y Morejón che ricorderà come “un corretto cavaliere, molto aristocratico, molto spagnolo”.
Ha otto anni d’età, quando il padrino lo iscrive al collegio di José de la Luz y Caballero. Sanguily efettuerà lì la scuola elementare e le medie inferiori. Il bambino ha una così bella calligrafia che Don Pepe lo fa il suo scrivano. Nel collegio El Salvador si disimpegnano come professori intellettuali del calibro di Enrique Piñeyro e José Ignacio Rodríguez.
Don Pepe muore nel 1862, quando Sanguily ha 14 anni e nonostante si mantenga la sua linea etica e pedagogica, lascia un vuoto difficile da colmare ne El Salvador. In uno studio biograficoncritico, Sanguily evocherà con affetto José de la Luz y Caballero, le riunioni nel collegio, la relazione che c’era tra i maestri e gli alunni, le conversazioni del sabato di Don Pepe fino all’ultima in cui, già molto affaticato e malato, prese la parola per dire soltanto: “Signori, parlo per dire che non posso parlare”.
Nel 1864 Sanguily si confronta con un tremendo dilemma. Il padrino vuole che faccia la carriera militare in Spagna. Si rifiuta rotondamente a ubbidire al Colonnello e quella stessa sera, con un fagotto, abbandona la casa. Non ha chi lo accolga e dorme nei portici del Palazzo di Aldama. La fortuna lo accompagna. José María Zayas, il successore di Don Pepe alla direzione de El Salvador gli offre un posto di professore supplente. Diventa liceale e si iscrive alla Facoltà di Diritto dell’Università, studi che interrompe allo scoppio della Guerra dei Dieci Anni. Continua ad essere legato a El Salvador e riallaccia le relazioni col padrino, ma non torna ad abitare nella sua casa. Esordisce come giornalista e fa conoscere i suoi primi articoli nel giornale El Siglo, del Conte di Pozos Dulces e nella Revista del Pueblo, del suo maestro Enrique Piñeyro.
Sono sempre più i giovani che spariscono dall’Avana per apparire, poi, nella macchia redentrice. Un giorno sparisce Julio, il fratello maggiore, Manuel non tarda a seguirne le orme. Nel gennaio del 1869, con un’altra trentina di cubani si imbarca, a Nassau, sulla goletta inglese Galvanic che li trasporta a Cayo Romano. Gli spedizionari attraversano un breve tratto di mare e sbarcano a Guanaja sulla costa nord camagüeyana. A Guáimaro conosce il Padre della Patria e Manuel de Quesada, generale a capo dell’Esercito di Liberazione, lo designa segretario privato del Ministro della Guerra. Avvocato in potenza assunse con frequenza, nei consigli di guerra, la difesa di insorti accusati di qualche infrazione o delitto e anche di soldati e ufficiali spagnoli, per molti dei quali – tra loro Vicente Mariteguy, che col passare del tempo sarà Ministro della Guerra nel suo Paese – ottennero l’assoluzione.
Giunge l’anno 1877. Sanguily è già colonnello e suo fratello Julio, maggior generale. L’insurrezione è minacciata dal collasso definitivo. Il Governo della Repubblica in Armi, nomina julio suo agente confidenziale all’estero e Manuel lo accompagna in qualità di segretario. Tanto in Giamaica come a New York e altre città nordamericane, sono inutili i suoi sforzi per far giungere armi ed equipaggiamenti agli insorti. La distensione interna mina la Rivoluzione e non tarda a concretarsi col Patto del Zanjón.
Fra le due guerre
Allora va in Spagna, con l’aiuto che gli presta la madre dello scomparso patriota Luis Ayestarán e finisce gli studi di diritto. Ma non giunge a esercitare l’avvocatura. Per farlo dovrebbe prestare giuramento di fedeltà alla metropoli e al monarca spagnolo e non è disposto a ciò. Torna a Cuba nell’ottobre 1879. Vive molto modestamente con quello che gli apportano le lezioni private che impartisce, la correzione di bozze nella Revista de Cuba e i lavori ausiliari che presta in un paio di studi di grande prestigio.
Dopo il decennio passato nella Guerra Grande, Sanguily si trova in un mondo diverso. Il movimento intellettuale fiorisce nell’Isola e rinasce la vita culturale. Nei dieci anni precedenti, sorsero nuove tendenze e orientamenti nelle arti, le lettere, il pensiero.
Sorge all’Avana la Società Antropologica; Varona comincia all’Accademia delle Scienze le sue Conferenze filosofiche, ci sono serate e dibattiti alla Caridad del Cerro e nel liceo di Guanabacoa. Sanguily deve aggiornarsi. Interrompe la sua produzione letteraria per i tre anni che seguono il suo ritorno a Cuba mentre, in quello che riguarda la sua vita pubblica,assume il ruolo di osservatore perché non è disposto ad affacciarsi al dibattito di idee politiche se non per dire la sua verità ad alta voce e riaffermare le sue idee independentiste.
Rompe il silenzio nel 1882. È assiduo alle serate de la Revista de Cuba e quando questa, nel 1885, è sostituita dalla Revista Cubana di Varona, si converte in suo assiduo collaboratore. Nel 1887 si lancia nel gioco politico nel Circulo de la Juventud Liberal de Matanzas, senza che questo significhi l’adesione al Partido Liberal Autonomista né ad alcuna associazione politica. Tutto un popolo levò la sua voce quando rese il suo tributo di ammirazione e rispetto a coloro che sostenevano l’ideale dell’indipendenza. Poco dopo tornava al Circulo de la Juventud Liberal. Si raccoglievano i fondi per il monumento agli studenti di Medicina fucilati il 27 novembre del 1871. Sanguily chiama “bestie furiose rivoltantesi nel sangue” i colpevoli di quella giornata e il delegato del Governatore spagnolo, presente in sala, lo interrompe con alte grida dando per conclusa la serata.
Non importa, i presenti circondano Sanguily e già nella pubblica piazza gli chiedono che prosegua con le sue perorazioni e che le autorità provino a interromperlo.
Nel marzo del 1891 comincia a pubblicare la sua rivista Hojas Literarias. Più che la critica dei libri a Sanguily interessavano i temi relativi al processo politico di Cuba. Articoli che senza bavaglio glorificavano la Rivoluzione e nel tono generale della rivista fecero si che il Pubblico Ministero per la Stampa denunciasse Sanguily e lo portasse davanti ai tribunali. Miguel Figueroa lo fece assolvere. Si origina una nuova accusa, ma il Tribunale emana un decreto di libertà condizionale. Sanguily non riposa. Continua ad essere, nella sua pubblicazione, l’insorto indomabile di sempre che denuncia malefatte ed errori. In dicembre del 1894 scompare Hojas Literarias. Nel febbraio 1895 scoppia la Guerra d’Indipendenza. Sanguily non tarda nell’uscire allo scoperto. Scrive in Patria e altri giornali ed è instancabile nella sua predica dalla tribuna. (Continua)
Sanguily, el mambí de la camisa roja (I)
Ciro Bianchi Ross * digital@juventudrebelde.cu
24 de Enero del 2015 18:41:27 CDT
Contaba Fernando Ortiz que, en su juventud, mostró a César Lombroso,
el famoso antropólogo italiano, de quien era discípulo, una copia de
la Constitución cubana de 1901 con las firmas autógrafas de los
miembros de la Convención que la redactó. Quería que su maestro,
considerado un agudo grafólogo, calificara, a partir de las rúbricas,
el carácter de aquellas personalidades para él desconocidas. Lombroso
examinó minuciosamente el documento. “Esta es la firma de un
alcohólico”, dijo. Añadió: “Esta, la de un farsante, y esta otra, la
de un hombre honrado”. “Esta es la de un anciano reblandecido”,
prosiguió. Así una tras otra, mientras que Ortiz seguía sus palabras
en silencio, convencido de cuanta verdad había en las aseveraciones
del maestro. Llegó este a la firma de Manuel Sanguily. Meditó un
momento y advirtió: “Esta es la firma de un genio”.
“Manuel de los Manueles”, llamaba José de la Luz y Caballero a
Sanguily. Un gran periodista cubano, José Antonio Fernández de Castro,
en una vívida semblanza que escribió sobre él, lo llama “el mambí de
la camisa roja”, porque, como un miembro de las legendarias huestes
garibaldinas, vistió de ese color en los combates en los que tomó
parte en los inicios de la Guerra Grande, en la cual terminaría con
las estrellas de coronel. Porque a las órdenes de Ignacio Agramonte,
Máximo Gómez y su hermano Julio se batió en más de 50 combates
--Peralejo, Palo Seco, el ataque a la torre óptica de Colón y la toma
de Las Tunas, entre otros-- y resultó herido en dos de estos.
Durante la guerra no fueron pocas las veces que pronunció fogosas
arengas a caballo antes de entrar en combate, y con anterioridad,
proclamada ya la Constitución de Guáimaro, habló, a petición de
Agramonte, ante la Asamblea Constituyente, para resaltar la presencia
de un puñado de antiguos esclavos redimidos por la Revolución,
palabras que emocionaron a los presentes y arrancaron aplausos
fervorosos. Ya en la República, en su lucha contra la penetración
norteamericana, fue vocero del sentimiento nacional. Como orador,
nadie, salvo Martí, lo superó en el siglo XIX cubano. Como crítico
literario, pocos en su época le ganaron en la seguridad del método y
en la sagacidad y hondura de sus apreciaciones, en tanto que fue un
periodista de estilo magnífico y fulgurante.
“Sanguily fue, ante todo, él mismo, y es su personalidad lo que más
veneramos. Caracteres como el suyo, símbolo de la pasión y de la
dignidad humana, resumen toda la nobleza de una época, la época del
sacrificio y del esfuerzo”, escribe Max Henríquez Ureña.
En febrero de 1917, en desacuerdo con la política reeleccionista del
presidente Menocal, renuncia a la dirección general de las escuelas
militares de la nación y se retira de la vida pública. El hombre que
en diferentes momentos de la vida republicana fue senador, canciller e
inspector general del Ejército con el grado de brigadier general, no
tiene recursos para vivir y debe el Congreso votar una pensión a su
favor.
Sanguily solía decir que la Calzada de Belascoaín marcaba el límite de
La Habana. Lo demás, de Belascoaín para allá, afirmaba, era el campo.
Sus años finales, sin embargo, los pasa en la Víbora. Vive en la calle
José Miguel Gómez --Correa-- y hasta allí se trasladan, hace 90 años,
dos jóvenes estudiantes, Eduardo Robreño y José Lezama Lima. Lezama,
que lo había visto de niño, en una visita que Sanguily hizo a su
padre, director entonces de la Escuela de Cadetes, no olvidaba los
ojos azules chisporroteantes y alucinados del patriota. Robreño y
Lezama quieren oírle sus consejos de viejo escritor, hacerle revivir
sus días en la manigua, escucharle sus opiniones sobre la situación
del país.
Los jóvenes escogen mal día para la visita. Nadie los atiende. Ya ante
la puerta de la casa, la noticia les explota de golpe en la cara.
Manuel Sanguily ha muerto. Es el 23 de enero de 1925.
En la manigua
Ciro Bianchi Ross * digital@juventudrebelde.cu
24 de Enero del 2015 18:41:27 CDT
Contaba Fernando Ortiz que, en su juventud, mostró a César Lombroso,
el famoso antropólogo italiano, de quien era discípulo, una copia de
la Constitución cubana de 1901 con las firmas autógrafas de los
miembros de la Convención que la redactó. Quería que su maestro,
considerado un agudo grafólogo, calificara, a partir de las rúbricas,
el carácter de aquellas personalidades para él desconocidas. Lombroso
examinó minuciosamente el documento. “Esta es la firma de un
alcohólico”, dijo. Añadió: “Esta, la de un farsante, y esta otra, la
de un hombre honrado”. “Esta es la de un anciano reblandecido”,
prosiguió. Así una tras otra, mientras que Ortiz seguía sus palabras
en silencio, convencido de cuanta verdad había en las aseveraciones
del maestro. Llegó este a la firma de Manuel Sanguily. Meditó un
momento y advirtió: “Esta es la firma de un genio”.
“Manuel de los Manueles”, llamaba José de la Luz y Caballero a
Sanguily. Un gran periodista cubano, José Antonio Fernández de Castro,
en una vívida semblanza que escribió sobre él, lo llama “el mambí de
la camisa roja”, porque, como un miembro de las legendarias huestes
garibaldinas, vistió de ese color en los combates en los que tomó
parte en los inicios de la Guerra Grande, en la cual terminaría con
las estrellas de coronel. Porque a las órdenes de Ignacio Agramonte,
Máximo Gómez y su hermano Julio se batió en más de 50 combates
--Peralejo, Palo Seco, el ataque a la torre óptica de Colón y la toma
de Las Tunas, entre otros-- y resultó herido en dos de estos.
Durante la guerra no fueron pocas las veces que pronunció fogosas
arengas a caballo antes de entrar en combate, y con anterioridad,
proclamada ya la Constitución de Guáimaro, habló, a petición de
Agramonte, ante la Asamblea Constituyente, para resaltar la presencia
de un puñado de antiguos esclavos redimidos por la Revolución,
palabras que emocionaron a los presentes y arrancaron aplausos
fervorosos. Ya en la República, en su lucha contra la penetración
norteamericana, fue vocero del sentimiento nacional. Como orador,
nadie, salvo Martí, lo superó en el siglo XIX cubano. Como crítico
literario, pocos en su época le ganaron en la seguridad del método y
en la sagacidad y hondura de sus apreciaciones, en tanto que fue un
periodista de estilo magnífico y fulgurante.
“Sanguily fue, ante todo, él mismo, y es su personalidad lo que más
veneramos. Caracteres como el suyo, símbolo de la pasión y de la
dignidad humana, resumen toda la nobleza de una época, la época del
sacrificio y del esfuerzo”, escribe Max Henríquez Ureña.
En febrero de 1917, en desacuerdo con la política reeleccionista del
presidente Menocal, renuncia a la dirección general de las escuelas
militares de la nación y se retira de la vida pública. El hombre que
en diferentes momentos de la vida republicana fue senador, canciller e
inspector general del Ejército con el grado de brigadier general, no
tiene recursos para vivir y debe el Congreso votar una pensión a su
favor.
Sanguily solía decir que la Calzada de Belascoaín marcaba el límite de
La Habana. Lo demás, de Belascoaín para allá, afirmaba, era el campo.
Sus años finales, sin embargo, los pasa en la Víbora. Vive en la calle
José Miguel Gómez --Correa-- y hasta allí se trasladan, hace 90 años,
dos jóvenes estudiantes, Eduardo Robreño y José Lezama Lima. Lezama,
que lo había visto de niño, en una visita que Sanguily hizo a su
padre, director entonces de la Escuela de Cadetes, no olvidaba los
ojos azules chisporroteantes y alucinados del patriota. Robreño y
Lezama quieren oírle sus consejos de viejo escritor, hacerle revivir
sus días en la manigua, escucharle sus opiniones sobre la situación
del país.
Los jóvenes escogen mal día para la visita. Nadie los atiende. Ya ante
la puerta de la casa, la noticia les explota de golpe en la cara.
Manuel Sanguily ha muerto. Es el 23 de enero de 1925.
En la manigua
Manuel Sanguily y Garrite nació en La Habana el 26 de marzo de 1848.
No corría sangre española por sus venas. El padre, cubano, descendía
de una familia francesa del sur, de Gascuña, “tierra de poetas y de
mosqueteros”, dicen sus biógrafos. Del apellido francés Saint Guilly
viene el suyo. La madre, inglesa, había nacido en la ciudad de
Manchester. Muy pronto quedó huérfano de padre. La madre, con labores
de costura, enfrenta la vida y el cuidado de sus tres pequeños hijos.
Fallece ella también, y el niño Manuel queda al amparo de su padrino,
el coronel Manuel Pizarro y Morejón, a quien recordaría como “un
cumplido caballero, aristócrata, muy español”.
Tiene ocho años de edad cuando el padrino lo matricula en el colegio
de José de la Luz y Caballero. Allí cursará Sanguily la primera y la
segunda enseñanza. Tiene tan buena letra el niño que Don Pepe lo hace
su amanuense. En el colegio El Salvador se desempeñan como profesores
intelectuales del calibre de Enrique Piñeyro y José Ignacio Rodríguez.
Muere Don Pepe en 1862, cuando Sanguily tiene 14 años, y aunque se
mantiene su ideario ético y pedagógico, deja en El Salvador un hueco
difícil de llenar. En un estudio biográfico crítico, Sanguily evocará
con cariño a José de la Luz y Caballero, las reuniones en el colegio,
la relación que existía allí entre maestros y alumnos, las pláticas
sabatinas de Don Pepe hasta aquella última en la que ya, muy fatigado
y enfermo, tomó la palabra para decir tan solo: “Hablo, señores, para
decir que no puedo hablar”.
En 1864 se enfrenta Sanguily a un tremendo dilema. El padrino quiere
que curse la carrera militar en España. Se niega de manera rotunda a
obedecer al Coronel y esa misma noche, con un pequeño bulto de ropa,
abandona la casa. No tiene quien lo acoja y duerme en los portales del
Palacio de Aldama. La suerte lo acompaña. José María Zayas, el sucesor
de Don Pepe en la dirección de El Salvador, le ofrece en el colegio
una plaza de profesor sustituto. Se hace bachiller y matricula Derecho
en la Universidad, estudios que interrumpe al estallar la Guerra de
los Diez Años. Sigue vinculado a El Salvador y reanuda relaciones con
el padrino, pero no vuelve a residir en su casa. Se inicia como
periodista y da a conocer sus artículos iniciales en el diario El
Siglo, del Conde de Pozos Dulces, y en la Revista del Pueblo, de su
maestro Enrique Piñeyro.
Cada vez son más los jóvenes que desaparecen de La Habana para
aparecer luego en la manigua redentora. Un día desaparece Julio, el
hermano mayor. Manuel no demora en seguirle las huellas. En enero de
1869, con otros treintitantos cubanos, aborda en Nassau la goleta
inglesa Galvanic, que los lleva a Cayo Romano. Atraviesan los
expedicionarios un corto tramo de mar y desembarcan en la Guanaja, en
la costa norte camagüeyana. Conoce, en Guáimaro, al Padre de la
Patria, y Manuel de Quesada, general en jefe del Ejército Libertador,
lo designa secretario particular del Ministro de Guerra. Abogado en
ciernes, asumió con frecuencia, en los consejos de guerra, la defensa
de insurrectos acusados de alguna infracción o delito y también de
soldados y oficiales españoles, para muchos de los cuales --entre ellos
Vicente Martitegui, que andando el tiempo sería en su país ministro de
Guerra-- obtuvo la absolución.
Llega el año de 1877. Sanguily es ya coronel y su hermano Julio, mayor
general. La insurrección está amenazada del colapso definitivo. El
Gobierno de la República en Armas nombra a Julio su agente
confidencial en el exterior, y Manuel lo acompaña en calidad de
secretario. Tanto en Jamaica como en Nueva York y otras ciudades
norteamericanas, son inútiles sus esfuerzos por allegar armas y
pertrechos para el campo insurrecto. La disensión interna mina la
Revolución y no tarda en concretarse el Pacto del Zanjón.
Entre dos guerras
Se va entonces a España, con la ayuda que le presta la madre del
desaparecido patriota Luis Ayestarán, y concluye los estudios de
Derecho. Pero no llega a ejercer la abogacía. Para hacerlo tendría que
prestar juramento de fidelidad a la metrópoli y al monarca español, y
no está dispuesto a ello. Regresa a Cuba en octubre de 1879. Vive muy
modestamente con lo que le reportan las clases privadas que imparte,
la corrección de pruebas en la Revista de Cuba y los trabajos
auxiliares que presta en un par de bufetes de prestigio.
Tras la década pasada en la Guerra Grande, Sanguily emerge a un mundo
distinto. El movimiento intelectual florece en la Isla y renace la
vida cultural. En los diez años precedentes surgieron nuevas
tendencias y orientaciones en las artes, las letras, el pensamiento.
Sesiona, en La Habana, la Sociedad Antropológica; Varona inicia, en la
Academia de Ciencias, sus Conferencias filosóficas, hay veladas y
debates en la Caridad del Cerro y en el Liceo de Guanabacoa. Sanguily
debe ponerse al día. Interrumpe su producción literaria durante los
tres años que siguen a su regreso a Cuba, mientras que, en lo que
atañe a la vida pública, asume el papel de observador porque no está
dispuesto a asomarse al debate de las ideas políticas si no para decir
su verdad en voz alta y reafirmar sus ideas independentistas.
Rompe el silencio en 1882. Es asiduo a las veladas de la Revista de
Cuba, y cuando esta, en 1885, es reemplazada por la Revista Cubana, de
Varona, se convierte en su colaborador asiduo. En 1887 se lanza al
ruedo político en el Círculo de la Juventud Liberal de Matanzas, sin
que eso signifique su adhesión al Partido Liberal Autonomista ni a
organización política alguna. Todo un pueblo habló por su voz cuando
rindió tributo de admiración y respeto a los que sostuvieron y
sostenían el ideal de la independencia. Poco después volvía al Círculo
de la Juventud Liberal. Se recaudaban fondos para el monumento a los
estudiantes de Medicina fusilados el 27 de noviembre de 1871. Sanguily
llama “bestias enfurecidas revolcándose en la sangre” a los culpables
de aquella jornada, y el delegado del Gobernador español, presente en
la sala, lo interrumpe y, a grito pelado, da por concluida la velada.
No importa. Los presentes rodean a Sanguily y ya en la plaza pública
le piden que prosiga su peroración, sin que las autoridades se atrevan
a interrumpirlo.
En marzo de 1891 comienza a publicar su revista Hojas Literarias. Más
que la crítica de libros interesaban a Sanguily los temas relacionados
con el proceso político de Cuba. Artículos que de manera desembozada
glorificaban a la Revolución y el tono general de la revista hicieron
que el Fiscal de Imprenta denunciara a Sanguily y lo llevara ante los
tribunales. Miguel Figueroa lo sacó absuelto. Se origina una nueva
acusación, pero la Audiencia dicta un acto de sobreseimiento libre.
Sanguily no descansa. Sigue siendo en su publicación el insurrecto
indomable de siempre que denuncia lacras y errores. En diciembre de
1894 desaparece Hojas Literarias. En febrero de 1895 estalla la Guerra
de Independencia. No tarda Sanguily en salir al exterior. Escribe en
Patria y otros periódicos y es incansable en su prédica desde la
tribuna. (Continuará)
Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
http://wwwcirobianchi.blogia.com/
http://cbianchiross.blogia.com/
domenica 25 gennaio 2015
sabato 24 gennaio 2015
venerdì 23 gennaio 2015
Terminata la prima fase dei colloqui Cuba Stati Uniti
Anche la seconda giornata, ultima in questa prima fase, di colloqui tra le due delegazioni non ha portato grosse novità rispetto ai contatti preesistenti. La notizia più importante è la conferma della volontà di entrambi i Paesi di ristabilire le relazioni diplomatiche e quindi dovranno sedersi nuovamente, in data da stabilire, per esaminare gli aspetti relativi anche se il puro fatto di aprire le Ambasciate non comporta particolari difficoltà tecniche o logistiche. Il tutto però comporta un cammino politico un po' più lungo. Nel frattempo, il Segretario di Stato John Kerry ha annunciato la sua disponibilità per viaggiare, presto, a Cuba "appena si saranno create le condizioni".
giovedì 22 gennaio 2015
Iniziate le conversazioni bilaterali Cuba - Usa
È
iniziata ieri la prima delle due giornate di conversazione ad alto livello tra
le rappresentazioni cubana e statunitense. Il primo tema affrontato è stato
quello migratorio che peraltro, non ha apportato nessuna novità rispetto a
quanto già in vigore.
Il
tema più delicato e urgente da risolvere, secondo le aspettative cubane,
sarebbe quello della cosiddetta “Ley de ajuste cubana” che permette ai cubani,
giunti negli Stati Uniti illegalmente, un trattamento diverso rispetto ai
cittadini di qualunque altra parte del mondo: immediato diritto di asilo,
residenza dopo un anno, e aiuti economici e sociali. Indubbiamente questi benefici sono un incentivo all’emigrazione clandestina, spesso effettuata in
condizioni di sicurezza estremamente precaria, o nulla.
Un
effetto secondario di questa legge dice che hanno questi diritti i cittadini
cubani che calpestano il suolo degli Stati Uniti, non quelli riscattati in mare
e per assurdo, sulla battigia, ma non ancora giunti a terra. Questa particolarità
che non è legge, in se, ma appunto un’interpretazione della Ley de ajuste viene
detta: “de los piés secos y piés mojados” ovvero “piedi asciutti o piedi
bagnati”. Secondo il punto di vista cubano, nemmeno questo aspetto viene sempre
rispettato, in quanto si verificherebbero casi in cui persone riscattate in
mare verrebbero ammesse in territorio nordamericano.
A
questo proposito, al termine della riunione, il Sottosegretario Aggiunto per
gli Affari dell’Emisfero Occidentale del Dipartimento di Stato degli U.S.A.
Edward Alex Lee capo della delegazione, ha dichiarato in conferenza stampa che
il suo Governo “non ha nessuna intenzione di abolire la Ley de ajuste cubana" (e
di conseguenza l’appendice riguardante piès secos y piés mojados).
Insoddisfatta,
naturalmente, Josefina Vidal Ferreiro, Direttrice Generale del Dipartimento
Estados Unidos del Ministero degli Esteri di Cuba che comunque auspica un
proseguimento delle conversazioni sul tema, magari in un quadro più ampio delle
trattative sui temi bilaterali riguardanti, in primo luogo, il
ristabilimento formale delle relazioni diplomatiche e gli altri problemi rimasti aperti da oltre 50 anni, sui quali si apre oggi la seconda
giornata di consultazioni.
Per
adesso, usando il gergo calcistico...0 a 0, palla al centro.
mercoledì 21 gennaio 2015
Nuovo passo verso la riunificazione monetaria
Sono in arrivo le nuove
banconote di grosso taglio. Un ulteriore passo verso l’unificazione monetaria.
Per chi non sapesse l’origine di questa doppia circolazione, farò una succinta
storia. Nei primi anni ’90 Il Governo
decise di legalizzare il possesso e l’uso della valuta straniera da parte dei
cittadini cubani o residenti stranieri in forma permanente, per i quali ne era proibito l’uso e il
possesso. Una misura necessaria per vivacizzare un’economia, già povera,
penalizzata ancora di più dal cosiddetto “periodo
especial de guerra, en tiempo de paz”, proclamato da Fidel Castro. Questa
misura allargò la possibilità di commercio grazie alle rimesse dall’estero e
altre entrate legali...o no. Si creò però un problema dato dalla circolazione
di tanta valuta pregiata che non si sapeva bene che fine facesse nella sua
totalità...Inoltre gli acquisti dovevano essere effettuati in USD e quindi chi
non li portasse da altri Paesi doveva cambiare la propria valuta in quella
statunitense. Per questo vennero create le cosiddette CADECA, ovvero Casas de
Cambio. Per riordinare questo flusso, siccome il Peso Cubano (CUP) non era
convertibile, non aveva sufficiente potere di acquisto e non c'era sufficiente riserva circolante di dollari per cambiare le altre divise, si “inventò” il Peso
Cubano Convertibile (CUC) che faceva confluire alle casse dello Stato ogni tipo
di valuta e consentiva, nei luoghi preposti, l’acquisto di generi di importazione o comunque "pregiati" con un solo tipo di moneta in sostituzione del dollaro.
Se questa manovra ha, in
certo modo semplificato il problema del circolante, non ha risolto quello del
potere d’acquisto legato alle retribuzioni. Ora, in un Paese in gravi
difficoltà economiche mi sembra giusto applicare prezzi adeguati alle merci
d’importazione ed esportare a prezzi ragionevolmente competitivi, ma sul
mercato interno non mi sembra giusto che vuoi in CUC, CUP o qualunque altra
moneta si voglia, i prodotti nazionali che hanno sicuramente un valore aggiunto
molto più basso di quelli importati vengano equiparati, nelle apposite
rivendite, a quelli di importazione. Questo non risolve sicuramente il problema
del potere di acquisto, nemmeno rialzando di qualche punto il livello medio
delle retribuzioni. Certamente lo stato perderebbe, inizialmente, grosse fette
di entrata che però verrebbero compensate a medio termine con un’economia più
vivace e maggior circolazione di contante e livelli contributivi dati dal
crescente lavoro privato.
Vedremo cosa succederà
realmente al momento dell’annuncio ufficiale sulla riunificazione monetaria,
certo le premesse date dai biglietti di grosso taglio non è incoraggiante.
martedì 20 gennaio 2015
lunedì 19 gennaio 2015
Nuez a prima vista, di Ciro Bianchi Ross
Pubblicato su Juventud Rebelde del 18/1/15
Fu un lavoratore
infaticabile. Adesso che è morto, sono tornato sulla sua cronologia e risulta
impressionante quello che arrivò a fare lungo i 78 anni che ha vissuto. René de
la Nuez non lasciò passare un giorno senza mettere un disegno sui suoi cartoncini.
Era molto giovane quendo si
fece conoscere come disegnatore. Debuttò in pubblicazioni studentesche e nella
rivista Páginas, del Circolo degli Artigiani di San Antonio de los Baños, sua
città natale. Ede ra anche molto giovane quando presentò – a due mani con Jsé
Luis Posada – la sua prima esposizione ed ottenne il primo dei molti
riconoscimenti che avrebbe conquistato nella sua lunga carriera. Vent’anni dopo
di quel riconoscimento iniziale, si considerava tra i migliori cento
caricaturisti del mondo e posteriormente meriterà il Premio Nazionale
dell’Umore (2008). Quattro anni più tardi il Premio Nazionale delle Arti
Plastiche coronava la sua opera.
Il
fatto è che René de la Nuez eccelse, e in che modo, in tutte le sfaccettature
dell’umore che coltivò: quello di costume, il politico, la caricatura, l’umore
bianco...non per niente l‘Università di Alcalá di Henares, in Spagna, lo nminò
Professore Emerito nella categoria dell’umore grafico.
Suo
padre fu l’influenza più remota. Non era pittore né disegnatore, ma gli piaceva
dipingere e disegnare e i suoi modesti tentativi da dilettante ispirarono il
figlio, lo motivarono e gli fecero pensare che anche lui poteva farlo. Daltra
parte, a San Antonio de los Baños, esisteva un clima propizio per il disegno. Di
lì era oriundo Eduardo Abela, il creatore de El Bobo (lo scemo, n.d.t.)m uno
dei personaggi meglio delineati e con maggiori sfaccettature dell’umorismo
grafico cubano.
Nella
località coincisero il già citato Posada, Peroga, Jesús de Armas e Manuel Alonso
che fu l’iniziatore dell’umorismo grafico locale.
Con
le loro concezioni e realizzazioni, questi artisti, tanto giovani in alcuni
casi come lo stesso Nuez, lo aiutarono alla ricerca della propria opinione, a
cercare e fare un umorismo lontano dalla ordinarietà, lungi dalla battuta per
la battuta e che fosse anche un’opera artistica di valore.
Nuez
dedicò oltre mille disegni alla causa de popolo vietnamita e molti altri alla
lotta del Cile contro il fascismo di Pinochét.
Realizzò
mostre personali a Praga, Mosca, Vienna, Managua, Berlino e in numerose città
messicane, così come in Francia, India, Canada. Titoli come Allí fumé, El humor NUEZtro de cada día y
Cuba, risaltano fra i suoi libri.
L’artista
disse in un’opportunità che l’umorismo doveva essere essenzialmente critico. Disse
inoltre: “L’uorismo è ovunque. È un modo di vedere la vita, assumere e
affrontare i problemi”.
Aggiunse
anche: “Non posso vivere senza l’Avana e quindi, senza Cuba. Qua mi nutro. Mi
piace moltissimo vedere il mare, se non lo vedo, muoio...Ho chiesto che le mie
ceneri le getino in mare, nelle profondità del Golfo, non ai bordi, perché mi
piace pensare che arriveranno al Meditarraneo, in Tunisia, negli Stati Uniti,
in qualunque altro posto. È qualcosa di bello. Un modo di continuare ad essere
vivo senza esserlo...”
Fare il matto
Ricordate
El Loquito (Il Pazzerello, n.d.t.)? È uno dei personaggi più popolari della
caricatura cubana. Un assieme di occhi strabici e naso a cartoccio, con
perennemente in testa un cappello di carta di giornale che sebbene non parlasse
diceva con lucidità luciferina quello che la dittatura di Fulgencio Batista
pretendeva di nascondere con la repressione e la censura. El loquito faceva
allusioni che il popolo sapeva tradurre e interpretare. Se il personaggio leggeva
sulla stampa di una “Grande offerta, 33,33 per cento di sconto”, era
evidenteche lanciava un avvertimento contro gli informatori batistiani ai quali
si pagava 33 pesos e 33 centesimi per il loro deplorevole compito. O
raccomandava di muoversi con cautela davanti alla censura della stampa quando,
davanti a un fioraio, vedeva un cartello che diceva: “Ditelo con i fiori”. In
un altro disegno El Loquito“ mette molto vicine le dita indice e pollice di una
delle sue mani; sostiene qualcosa di piccolo. Il testo dice: “Un granello di
sabbia”; un invito a collaborare con la lotta insurrezionale. In un altro vede
arrivare un autobus della linea 30 che faceva il percorso tra il Reparto
Sierra, a Marianao e il centro dell’Avana. Messaggio chiarissimo: è prossima la
vittoria della Rivoluzione.
La
dottoressa Adelaida de Juan dice nel suo libro Pintura cubana: temas y variaciones – Union, l’Avana, 1978 – che
come il Bobo di Abela, El loquito di René de la Nuez, porta un nome che indica
la sua condizione di necessario inganno alle autorità. Uno “fa” lo scemo e
l’altro il matto e nella loro apperente semplicità, nascondono la loro
posizione ferma.
La
menzionata saggista puntualizza: “Fare lo scemo (o il matto) rappresenta
colloquialmente l’uomo intelligente che si vede obbligato a camuffare il suo
genio. In questo si differenziano dal rimo simbolo repubblicano del popolo, il
Liborio di Torriente”. Liborio cresce in un’epoca di grandi delusioni
politiche, è carente di speranze, non ha fede che la sua situazione, un giorno,
cambi; è amareggiato, vede se stesso come una vittima. Così non si vedono El
Bobo né El Loquito. Adelaida segnala: “Hanno armi per combattere, riflesso
della lotta rivoluzionaria e delle loro rispettive epoche”.
Nuez
volle cercare il suo Liborio, questi è un personaggioche simbolizzò il cubano
dei suoi tempi. Ma a differenza di quello di Torriente che le è sempre apparso
passivo e tollerante, voleva un personaggio più vivace. Un giorno, passando in
autobus davanti all’ospedale dei Dementi di Mazorra, gli venne l’idea de El
Loquito. La lotta sulla Sierra Maestra era cominciata, la dittatura accentuava
la repressione e il personaggio, con la sua follia, diceva la verità di quello
che succedeva nel Paese, cosa che non sempre poteva essere detta dalla stampa.
Quando
ideò El Loquito, Nuez disponeva di uno spazio settimanale fisso nel settimanale
Zig Zag la pubblicazione umoristica cubana più importante del momento.
José
Manuel Roseñada, direttore di Zig Zag, accolse immediatamente El loquito, che
non rivelò i suoi veri propositi nelle sue prime uscite in pubblico. All’inizio
faceva solo pazzie, cose senza molto senso e fu cadendo, poco a poco, nel
politico. Così creò le sue chiavi. Il suo creatore aveva un vantaggio sul resto
dei suoi compagni di redazione: era vincolato al “26 de Julio” ed era legame
del coordinatore provinciale del Movimento. Così conosceva molto bene le
notizie dalla Sierra Maestra, della lotta clandestina nelle città e a partire
da lì, anche El Loquito le avrebbe sapute.
Altri personaggi
Fu
un personaggio che prese nella coscienza collettiva. Grazie a lui, il suo
creatore, si vide coinvolto in situazioni davvero commoventi come quando, un
giorno del 1958, ricevetta a Zig Zag un gruppo di massoni che gli fece visita
credendolo in pericolo. Per una di questa casualità della vita, El Loquito,
appariva in un gesto che loro identificarono come segnale di aiuto massonico ed
erano lì per offrirgli il loro aiuto.
Altri
personaggi di Nuez penetrarono così nel pubblico. El Barbudo ha un precedente
nelle stesse caricature de El Loquito, anteriori al 1959, nelle quali appare
Fidel.
Dopo
la vitoria della Rivoluzione, questo personaggio attraversa tappe in cui si
arricchisce e divente simbolo del popolo cubano. È in filo conduttore dentro la
caricatura dell’artista: porta la voce del popolo e della Rivoluzione e Nuez ha
voluto vederlo come l’aspetto maschile de La Flora, di René Portocarrero.
Nella
stessa linea c’è un altro suo personaggio, Mogollón. Apparve prima della
promulgazione della legge sul vagabondaggio (1971) come un modo di creare un
rigetto, nella popolazione verso il vagabondo e
quando, alla fine apparve la legge, il popolo bruciò la sua immagine in
tutte le province. Il curioso è che Nuez si era riproposto, con la legge ancora
in vigore, di continuare a utilizzarlo. Non poté farlo, vista la reazione
popolare. Se la gente aveva bruciato Mogollón, questi già non esisteva e lo
fece sparire con la stessa allegria con cui lo aveva concepito. Il giorno
seguente, nelle pagine del giornale Granma appariva un altro personaggio, di
cognome Mogollones, che non era esattamente un vagabondo, ma apparteneva alla
stessa famiglia: un soggetto indolente, apatico indifferente allo sforzo
altrui.
Il
popolo aveva già sotterrato Don Cizaño, altro suo personaggio, simbolo della
stampa borghese. Il giorno in cui il Governo Rivoluzionario nazionalizzò le
pubblicazioni che rimanevano in mano alla borghesia, gli studenti si lanciarono
nelle strade con un feretro. Dentro c’era Don Cizaño. Allora divenne
impossibile che il suo creatore continuasse ad utilizzarlo. Anche El loquito
perse la sua ragione di esistere. Nel gennaio del 1959, Fidel inviò alla
direzione di Zig Zag una lettera nella quale si congratulava con col personale
del settimanale e in particolare con El Loquito per la posizione tenuta durante
la lotta. Poco dopo, manco a dirlo, i proprietari di Zig Zag cominciarono a
entrare in contraddizione con la Rivoluzione e cominciarono i problemi tra Nuez
e Roseñada. Le differenze diventarono crisi in maggio. Operai armati sfilarono
per le strade per esprimere la volontà di difendere la Rivoluzione fino alle
ultime conseguenze e Roseñada si oppose a che Nuez mettesse i lavoratori e le
loro armi nella sua vignetta. Allora l’artista se ne andò dal settimanale, dove
gli pagavano già bene i suoi disegni e El Loquito riapparve nelle pagine del
giornale Revolución. Aveva Don Cizañp come contrapposto.
Con
i giorni El loquito perse il suo senso. La Rivoluzione era al potere e il
personaggio non doveva dire cifratamente quello che poteva gridare a piena
voce, non doveva già ingannare nessuna censura. I suoi sogni si erano fatti
realtà e smise di apparire.
El
loquito, col tempo, giunse ad apparire ingenuo al suo creatore. Nello
strettamente professionale gli insegnò ne passare dei mesi, a risolvere
problemi di disegno in uno spazio molto ridotto. Si apprezzeranno i suoi
cambiamenti se si osserva, in ordine cronologico, la collezione di Zig Zag;
variazioni, non in quanto alla filosofia del personaggio, ma in relazione al
disegno e le soluzioni prese. Alla periferia di San Antonio de los Baños si
eresse un monumento a El Loquito. Questa è la storia. Adesso lo è anche il suo
creatore, Rné de la Nuez.
Nuez a primera vista
Ciro Bianchi Ross * digital@juventudrebelde.cu
17 de Enero del
2015 19:41:04 CDT
Fue un
trabajador infatigable. Ahora que ha muerto, volví sobre su cronología y
resulta impresionante lo que llegó a hacer a lo largo de los 78 años que vivió.
René de la Nuez no dejó pasar un día sin llevar el dibujo a sus cartones.
Era muy joven
cuando se dio a conocer como dibujante. Debutó en publicaciones estudiantiles y
en la revista Páginas, del Círculo de Artesanos de San Antonio de los Baños, su
ciudad natal. Y era muy joven asimismo cuando presentó --a dos manos con José
Luis Posada-- su primera exposición y obtuvo el primero de los muchos
galardones que conquistaría en su larga carrera. Veinte años después de aquel
reconocimiento inicial, se le conceptuaba entre los cien mejores caricaturistas
del mundo, y con posterioridad merecería el Premio Nacional del Humor (2008).
Cuatro años más tarde, el Premio Nacional de Artes Plásticas coronaba su quehacer.
Y es que René
de la Nuez sobresalió y de qué manera en todos los costados del humor que
cultivó: lo costumbrista, lo político, la caricatura personal, el humor
blanco... No en balde la Universidad de Alcalá de Henares, en España, lo
designó Profesor de Mérito en la categoría de humorismo gráfico.
Su padre fue su
influencia más remota. No era pintor ni dibujante, pero gustaba de pintar y
dibujar, y sus modestos afanes de aficionado inspiraron al hijo, lo motivaron y
le hicieron pensar que él también podría hacerlo. Por otra parte existía en San
Antonio de los Baños un clima propicio para el dibujo. De allí era oriundo
Eduardo Abela, el creador de El Bobo, uno de los personajes mejor delineados y
con mayores aristas del humorismo gráfico cubano. Coincidieron en la localidad
el ya aludido Posada, Peroga, Jesús de Armas y Manuel Alonso, que fue allí el
iniciador del humorismo gráfico.
Con sus
concepciones y realizaciones, esos artistas, tan jóvenes en algunos casos como
el mismo Nuez, lo ayudaron a bosquejar la opinión propia, a buscar y hacer un
humor alejado de lo chabacano, lejos del chiste por el chiste y que fuera
también obra artística de valor.
Más de mil
dibujos dedicó Nuez a la causa del pueblo vietnamita, y otros muchos a la lucha
de Chile contra el fascismo pinochetista.
Realizó
exposiciones personales en Praga, Moscú, Viena, Managua, Berlín y en numerosas
ciudades mexicanas así como de Francia, India, Canadá. Títulos como Allí fumé,
El humor NUEZtro de cada día y Cuba sí sobresalen entre sus libros.
Expresó el
artista en una oportunidad que el humor tenía que ser esencialmente crítico.
Dijo además: “El humor está en todo. Es una forma de ver la vida y asumir y
enfrentar los problemas”.
Dijo también:
“No puedo vivir
sin La Habana y, por ende, sin Cuba. Aquí me nutro. Me gusta muchísimo ver el
mar, y si no lo veo, me muero... He pedido que mis cenizas las echen al mar, en
las profundidades del golfo, no en la orilla, porque me gusta pensar que
llegarán al Mediterráneo, a Túnez, a Estados Unidos, a cualquier otro lugar.
Eso es algo lindo. Una forma de seguir vivo sin estarlo...”.
Hacerse el loco
¿Recuerdan a El
Loquito? Es uno de los personajes más populares de la caricatura cubana. Un
ente de ojos estrábicos y nariz de cucurucho, tocado invariablemente con un
gorro de papel periódico, que aunque no hablaba decía con lucidez luciferina
aquello que la dictadura de Fulgencio Batista pretendía ocultar con la
represión y la censura. El Loquito hacía alusiones que el pueblo sabía traducir
e interpretar. Si el personaje leía en la prensa el anuncio de una “Gran oferta,
33,33 por ciento de rebaja”, se hacía evidente que lanzaba una advertencia
contra los chivatos batistianos, a los que se les pagaba 33 pesos con
33 centavos por
su deplorable proceder. O que recomendaba moverse con cautela ante la censura
de prensa cuando, delante de una florería, veía un cartel que decía: “Dígalo
con flores”. En otro dibujo, El Loquito coloca muy juntos los dedos índice y
pulgar de una de sus manos; sostiene algo pequeño. El texto dice: “Un granito
de arena”; un llamado a colaborar con la lucha insurreccional. En otro, ve
llegar un ómnibus de la ruta 30, que hacía el recorrido entre el reparto La
Sierra, en Marianao, y el centro de La Habana. Mensaje clarísimo: está próximo
el triunfo de la Revolución.
Dice la doctora
Adelaida de Juan, en su libro Pintura cubana: temas y variaciones --Unión, La
Habana, 1978-- que al igual que El Bobo, de Abela, El Loquito, de René de la
Nuez, lleva un nombre que indica su condición de necesario engaño a la
autoridad. Uno se “hace” el bobo, el otro, el loco, y en su aparente ingenuidad
y simpleza esconden su firme posición. Puntualiza la mencionada ensayista: “Hacerse
el bobo (o el loco) representa coloquialmente al hombre inteligente que se ve
obligado a enmascarar su ingenio. En esto se diferencian del primer símbolo
republicano del pueblo, el Liborio, de Torriente”. Liborio crece en una época
de grandes decepciones políticas, carece de esperanzas, no tiene fe en que su
situación cambiará un día; está amargado, se ve a sí mismo como una víctima. No
se ven así El Bobo ni El Loquito. Señala Adelaida: “Tienen armas de combate,
reflejo de la lucha revolucionaria de sus épocas respectivas”.
Nuez quiso
buscar su Liborio, esto es, un personaje que simbolizara al cubano de su
tiempo. Pero a diferencia del de Torriente, que siempre le pareció pasivo y
aguantón, quería a un personaje más vivo. Un día, al pasar en un ómnibus frente
al Hospital de Dementes de Mazorra, se le ocurrió El Loquito. La lucha en la
Sierra Maestra había comenzado, la dictadura acentuaba la represión y el
personaje, con su locura, diría la verdad de lo que sucedía en el país, lo que
no siempre podía ser dicho por la prensa.
Cuando ideó El
Loquito, Nuez disponía ya de un espacio semanal fijo en Zig Zag, la publicación
humorística cubana más importante del momento.
Al comienzo no
devengaba pago alguno por sus cartones, pero eso resultaba secundario para el
joven dibujante, que agradecía la posibilidad de publicar en dicho semanario y
de relacionarse con algunos de los más destacados humoristas de la época.
José Manuel
Roseñada, director de Zig Zag, acogió de inmediato a El Loquito, que no
revelaría sus verdaderos propósitos en sus primeras salidas en público. Al
comienzo hizo solo locuras, cosas sin mucho sentido y fue cayendo
paulatinamente en lo político. Así creó sus claves. Su creador tenía una
ventaja sobre el resto de sus compañeros de redacción: se hallaba vinculado al
26 de Julio y era enlace del coordinador provincial del Movimiento. Así,
conocía muy bien las noticias de la Sierra Maestra y de la lucha clandestina en
las ciudades, y a partir de ahí El Loquito también las sabría.
Otros personajes
Fue un
personaje que prendió en la conciencia colectiva. Gracias a él su creador se
vio envuelto en situaciones verdaderamente conmovedoras, como cuando un día de
1958 recibió en Zig Zag a un grupo de masones que lo visitó al creerlo en
peligro. Por una de esas casualidades de la vida, en una caricatura El Loquito
aparecía con un gesto que ellos identificaron como una señal de auxilio
masónico y allí estaban para ofrecerle su ayuda.
Otros
personajes de Nuez calaron asimismo en el público. El Barbudo tiene su
antecedente en las propias caricaturas de El Loquito, anteriores a 1959, en las
que aparece Fidel. Después del triunfo de la Revolución ese personaje atraviesa
etapas en las que se enriquece y deviene símbolo del pueblo cubano. Es un hilo
conductor dentro de la caricatura del artista: lleva la voz del pueblo y la
Revolución, y Nuez ha querido verlo como el masculino de la Flora, de René
Portocarrero.
En la misma
línea está otro personaje suyo, Mogollón. Apareció antes de la promulgación de
la ley contra la vagancia (1971) como una forma de crear en la población el
rechazo hacia el vago, y cuando al fin apareció la ley el pueblo quemó su
imagen en todas las provincias. Lo curioso es que Nuez se había propuesto, aun
con la ley en vigencia, seguir utilizándolo. No pudo hacerlo dada la reacción
popular. Si la gente lo había quemado, Mogollón ya no existía y lo hizo
desaparecer con la misma alegría con la que lo concibió. Al día siguiente, en
las páginas del periódico Granma aparecía otro personaje, de apellido
Mogollones, que no era propiamente un vago, pero pertenecía a la misma familia,
un sujeto indolente, apático, indiferente al esfuerzo ajeno.
Ya el pueblo
había enterrado a Don Cizaño, otro personaje suyo, símbolo de la prensa
burguesa. El día en que el Gobierno Revolucionario nacionalizó las
publicaciones que quedaban aún en manos de la burguesía, los estudiantes se
echaron a la calle con un ataúd.
Dentro iba Don
Cizaño. Se hizo imposible entonces que su creador siguiera utilizándolo.
También El
Loquito perdió su razón de existir. En enero de 1959 Fidel remitió a la
dirección de Zig Zag una carta en la que felicitaba al colectivo del semanario,
y muy especialmente a El Loquito, por la posición mantenida durante la lucha.
Poco después, sin embargo, los propietarios de Zig Zag comenzaron a entrar en
contradicciones con la Revolución y empezaron los problemas entre Nuez y
Roseñada. Las diferencias hicieron crisis en mayo. Obreros armados desfilaron
por las calles para expresar así su decisión de defender la Revolución hasta
las últimas consecuencias y Roseñada se opuso a que Nuez llevara a los
trabajadores con sus armas a su caricatura. Entonces el artista se fue del
semanario, donde ya le pagaban muy bien sus dibujos, y El Loquito reapareció en
las páginas del periódico Revolución. Tenía a Don Cizaño de contrafigura.
Con los días,
El Loquito perdió sentido. La Revolución estaba en el poder y el personaje no
tenía que decir en clave lo que podía gritar a voz en cuello, no debía burlar
ya ninguna censura. Sus sueños se habían hecho realidad, y dejó de salir.
El Loquito, con
el tiempo, llegó a parecer ingenuo a su creador. En lo estrictamente
profesional, le enseñó, a lo largo de meses, a resolver problemas de dibujo en
un espacio muy reducido. Se apreciarán sus cambios si se revisa, en orden
cronológico, la colección de Zig Zag; variaciones no en cuanto a la idea y
filosofía del personaje, sino en relación con el dibujo y las soluciones. Un
monumento a El Loquito se erigió en las afueras de San Antonio de los Baños.
Está en la historia. Y ahora lo está también su creador, René de la Nuez.
Ciro Bianchi Ross
domenica 18 gennaio 2015
sabato 17 gennaio 2015
venerdì 16 gennaio 2015
Entrano in vigore le prime misure "Obama"
Entrarán
en vigor nuevas medidas de Estados Unidos respecto a Cuba
Se mantiene el bloqueo
económico, comercial y financiero
15 de enero de
2015 23:01:35
El Gobierno de Estados Unidos anunció ayer, 15 de
enero, que a partir de hoy viernes entrarán en vigor las medidas anunciadas por
el presidente Barack Obama el pasado 17 de diciembre del 2014, que eliminan
algunas restricciones al comercio y los viajes de ciertas categorías de
estadounidenses a Cuba.
Una lectura preliminar de las regulaciones emitidas
por los Departamentos del Tesoro y Comercio, indican que estas modifican la
aplicación de algunos aspectos del bloqueo contra Cuba.
Aunque no se suprime la prohibición total de viajar a
Cuba, lo cual requiere aprobación del Congreso, se eliminan algunas
restricciones para los viajes de los ciudadanos estadounidenses y residentes
permanentes en ese país que califiquen dentro de las 12 categorías autorizadas.
Entre otros, elimina los límites de los gastos que los viajeros de EE.UU.
pueden realizar en Cuba y les permite usar tarjetas de crédito y débito, y
autoriza a las líneas aéreas y a las agencias de viajes organizar visitas y
contratar servicios de compañías de seguros. Sin embargo, no se aprobó que los
norteamericanos viajen a Cuba por la vía marítima.
Por otra parte, entre las medidas que se anuncian está
que el límite en el envío de remesas aumentará de los 500 a los 2 000 dólares
trimestrales.
Se mantienen las restricciones a las exportaciones de
Estados Unidos a Cuba, especialmente de productos de alta tecnología, con
excepción de limitadas ventas de materiales de construcción, equipos e
implementos agrícolas que se permitirán realizar a particulares, al parecer a
través de empresas cubanas.
Continúan prohibidas las exportaciones de productos
cubanos al mercado estadounidense, excepto un limitado número que los
visitantes norteamericanos podrán llevar consigo de regreso a su país, por un
valor que no exceda los 400 dólares, de ellos 100 dólares en tabaco y ron.
Las telecomunicaciones fueron abordadas con amplitud
en las regulaciones, en correspondencia con los objetivos de la política de Estados
Unidos de tratar de incrementar su influencia en la sociedad cubana. Sobre esta
base, al sector de las infocomunicaciones es al único que se le autoriza hacer
inversiones en infraestructura y vender a empresas del estado servicios,
software, dispositivos y equipos, aunque no de alta tecnología.
Por otro lado, se permite a instituciones financieras
norteamericanas abrir cuentas en bancos cubanos para las transacciones que sean
autorizadas entre ambos países. Pero no hay un tratamiento recíproco; nuestros
bancos no podrán hacer lo mismo en Estados Unidos.
Las regulaciones no modifican las fuertes
restricciones existentes para la transportación marítima, aunque a partir de
este momento, barcos que transporten alimentos, medicinas, equipos médicos y
materiales para situaciones de emergencia desde terceros países con destino a
Cuba, no tendrán que esperar 180 días para tocar puertos estadounidenses, como
hasta ahora.
Aspectos medulares de la política de bloqueo que
afectan a Cuba no fueron modificados, entre ellos, el uso del dólar en
nuestras transacciones financieras internacionales, la adquisición en otros
mercados de equipos y tecnología que contengan más de 10 % de componentes
norteamericanos, la posibilidad de comerciar con subsidiarias de empresas
estadounidenses en terceros países y las importaciones por EE.UU. de mercancías
que contengan materias primas cubanas.
Las medidas anunciadas constituyen un paso en la
dirección correcta, pero aún queda un largo camino que recorrer para desmontar
muchos otros aspectos del bloqueo económico, comercial y financiero mediante
el uso de las prerrogativas ejecutivas del Presidente, y para que el Congreso
de EE.UU. ponga fin a esta política de una vez. (AIN)
Entrano in vigore da
oggi le nuove misure degli Stati Uniti rispetto a Cuba
Si mantiene il blocco
economico, commerciale e finanziario.
Il Governo degli Stati Uniti ha annunciato
che a partire da oggi, venerdì 16 gennaio, entrano in vigore le misure
annunciate dal presidente Barack Obama lo scorso 17 dicembre del 2014,
che eliminano alcune restrizioni al commercio e ai viaggi di certe categorie di
statunitensi a Cuba.
Una lettura preliminare delle regole
emesse dal Dipartimento del Tesoro e del Commercio, indicano che queste regole
modificano l’applicazione di alcuni aspetti del blocco contro Cuba.
Anche se non si elimina la proibizione
totale di viaggiare a Cuba che richiede l’approvazione del Congresso, sono
state eliminate alcune restrizioni per i viaggi dei cittadini statunitensi e
residenti permanenti in questo paese che rientrano nelle 12 categorie
autorizzate.
Tra l’altro questo elimina i limiti delle
spese che i viaggiatori degli USA possono realizzare inCuba e permette di usare
carte di credito e di debito, autorizzando le linee aeree e le agenzie di
viaggi a organizzare e contrattare servizi di compagnie di assicurazioni.
Indubbiamente non è stato approvato che gli statunitensi viaggino a Cuba per
via marittima. Tra le misure annunciata c’è che il limite delle rimesse
aumenterà da 500 a 2000 dollari trimestrali.
Si mantengono le restrizioni alle
esportazioni degli Stati Uniti a Cuba e soprattutto dei prodotti di alta
tecnologia, con eccezione delle vendite limitate di materiali per la
costruzione, strumenti e implementi agricoli, che le persone singole potranno
realizzare apparentemente attraverso le imprese cubane.
Sono sempre proibite le esportazioni dei
prodotti cubani nel mercato degli USA, eccetto un limitato numero che i
vistanti nordamericani potranno portare con sè di ritorno nel paese per un
valore che non superi i 400 dollari, tra i quali 100 in sigari e rum.
Le telecomunicazioni sono state ampiamente
inserite nelle nuove regole, in corrispondenza con gli obiettivi della politica
degli Stati Uniti di cercare d’incrementare la loro influenza nella società
cubana.
Su questa base il settore delle
info-comunicazioni è l’unico che può realizzare investimenti in
infrastrutture e che può vendere alle imprese dello Stato, servizi,
software, dispositivi e strumenti anche se non di alta tecnologia.
Si permette alle istituzioni finanziarie
nordamericane di aprire conti nelle banche cubane per le transazioni
autorizzate tra i due paesi, ma non c’è un trattamento reciproco e le banche
cubane non possono fare lo stesso negli Stati Uniti.
Le regole non modificano le forti
restrizioni che esistono per il trasporto marittimo, anche se a partire da oggi
venerdì 16, le navi per il trasporto marittimo che trasportano
alimenti, medicinali, strumenti medici e materiali per le situazioni
d’emergenza da terzi paesi, con destinazione Cuba, non dovranno più aspettare
180 giorni per poter toccare i porti degli USA com’è avvenuto sino ad ora.
Aspetti di enorme importanza della
politica di blocco che danneggiano Cuba non sono stati modificati e tra questi
l’uso del dollaro nelle transazioni cubane finanziarie internazionali,
l’acquisto in altri mercati di strumenti e tecnologie che contengano più del
10% di componenti statunitensi, la possibilità di commerciare con sussidiarie
di imprese statunitensi in terzi paesi e le importazioni negli Stati Uniti di
merci che contengono materie prime cubane.
Le misure annunciate
costituiscono un passo nella direzione corretta, ma resta un lungo cammino da
percorrere per smontare molti altri aspetti del blocco economico, commerciale e
finanziario mediante l’uso delle prerogative esecutive del Presidente Obama e
per far sì che il congresso degli USA ponga fine a questa politica di una volta(AIN/ Traduzione GM GranmaInt.)
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