Translate

Il tempo all'Avana

+28
°
C
H: +28°
L: +23°
L'Avana
Lunedì, 24 Maggio
Vedi le previsioni a 7 giorni
Mar Mer Gio Ven Sab Dom
+28° +29° +29° +28° +29° +29°
+24° +24° +24° +24° +24° +24°

lunedì 22 giugno 2015

Tre personaggi di ieri, di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud Rebelde del 21/6/15


Sulla calle chiamata Carlitos Aguirre, chiede il dottor Rafael Nodarse, medico dell’ospedale Calíxto García e professore della sua facoltà di Scienze Mediche. Dice che nel suoi percorsi abituali nella zona, “è inciampato con questa stradina virtuale, racchiusa nell’angolo dove coincide con San Rafael, in un fianco dell’Università” e chiede di raccontare qualcosa su di lei. “Perché un nome tanto piccolo come la stessa via?”, domanda.
Carlitos Aguirre Sánchez era fra quelle persone a cui tocca una morte che non é la propria. Come si legge nel piedistallo della statua eretta nel giardino che porta il suo nome, “fu precocemente strappato alla vita per una tragedia inconcepibile, quando era un esempio per la gioventù, la sua mente vigorosa e la forte volontà erano presagi di indescrivibile grandezza”. Una morte assurda che ce lo fa ricordare. La famiglia incaricò lo scultore italiano Nicolini questa immagine scultorea e la situò nel giardino che fece costruire a fianco dello stadio universitario, dove la strada smette di chiamarsi Ronda per chiamarsi Carlitos Aguirre.
Suo padre Charles Aguirre, fu colonnello dell’Esercito di Liberazione. Terminata la guerra contro la Spagna, fu capitano del porto dell’Avana e più tardi, tra il 1911 e 1912, capo della Polizia nella capitale dell’Isola. Uno sfortunato incidente lo portò in carcere nel maggio del 1916; causò lesioni con arma da fuoco a Generoso Canal. Lo condannarono a tre anni di privazione di libertà. Un indulto lo beneficiò nel novembre del 1918.
La madre, Fredesvinda, era sorella di Maria Luisa, la Moglie di Oreste Ferrara, il navigato politico italiano residente all’Avana, anche lui colonnello delle nostre gesta per l' independenza. La sua residenza che oggi accoglie il Museo Napoleonico, confinava nella parte posteriore con villa Carlitos, residenza degli Aguirre, in San Rafael angolo Ronda, convertita da molti anni in un edificio di appartamenti molto deteriorata dal tempo e l’incuria. Quendo Ferrara era a Cuba – fu ambasciatore negli USA e cancelliere ai tempi di Machado – attraversava il cortile con Maria Luisa per pranzare con gli Aguirre. Lì, mentre pranzava, seppe dell’attentato che costò la vita, nel 1932, a Clemente Vázquez Bello, presidente del Senato e intimo di Machado. Lì, pranzò – maccheroni alla napoletana – il 12 agosto del 1933, quando la dittatura machadista era già crollata. Da casa degli Aguirre si diresse al porto al fine di prendere l’idrovolante che lo avrebbe condotto all’esilio. Solo per caso gli studenti che lo inseguivano non poterono catturarlo.
In una vivida cronaca sulla morte di Carlitos che l’amico e collega Luis Sexto pubblicò anni fa, in questa stessa pagina e che poi inserì nel suo libro El camino siempre va a alguna parte (2008), del quale conservo un esemplare con una dedica generosa del suo autore, si dice che nacque nel 1901 e che nel 1919 si iscrisse alla facoltà di Diritto per laurerarsi come avvocato il 6 luglio del 1923. Luis che visionò la sua cartella universitaria, assicura che nella generalità delle materie è contrassegnato come eccellente, con lode. Il cronista scrive: “La sua cartella conferma che Carlitos Aguirre era una promessa nell’intellettuale e nel morale. Uno dei suoi professori definì la sua vita come il breve sforzo di una mente eccelsa”.
Già allora, Carlitos aveva pubblicato un libro: Sensaciones de viaje, frutto di un periplo turistico per vari Paesi europei e aveva avuto la temerarietà di attraversare in aereo il Canale della Manica, in un’epoca in cui l’aviazione portava ancora i pannolini. Con riferimento a questo volo, confessa Luis che non sentì nessuna paura perché era “un fatalista e sapeva che la sua morte era già scritta con giorno, mese  e anno da un tempo inesorabile”.
Due mesi dopo la laurea, Carlitos Aguirre era cadavere. I suoi successi studenteschi furono premiati con un viaggio in Europa. Il suo corpo, imbalsamato, giunse a Cuba via mare il 4 ottobre. Lo vegliarono nell’Aula Magna dell’Università.
Cosa era successo? Lasciamo che ce lo racconti Luis Sexto:
“Il giorno della sua morte, stava presenziando una corrida di tori a Bayona. Il matador eseguiva le sue ultime figure, finte, passi; l’animale sbuffava, sembrava aprisse un buco con le zampe forse per sfuggire a quello che non capiva. La collera gli alleviava lo sfinimento. Il matador si avvicinava con la spada.
La signorina che lo accompagnava, di origine nordamericana, disse a Carlitos: ‘Mi da fastidio il sole’.
Il matador misurò  la distanza; poi camminò come sulle punte.
Carlitos si alzò e cedette il suo sedile alla signorina Straus. Il matador conficcò la spada lì dove la vita del toro era inerme, vulnerabile. L’animale soffiò, scosse la testa. L’arma si sfilò come un proiettile...
La spada terminò il suo volo nel petto di Carlitos”.

Nicanor del Campo

Une lettore, di cui purtroppo non ho annotato il nome, dopo essersi confessato assiduo lettore di questa pagina, si interessa di sapere perché la località dove vive, appartenente al municipio Playa, si chiama Nicanor del Campo.
Non è molto quello che lo scriba conosce circa questo personaggio. In ogni caso, non molto più di quello che riferì una delle sue nipoti, Emilia “Lili” del Campo, alle scrittrici francesi Marjorie Moore e Adrienne Hunter quando compilavano il loro libro su diverse signore dell’alta borghesia cubana che decisero di rimanere a Cuba dopo il 1959. Il libro, pubblicato dall’editrice Ciencias Sociales nel 2003, s’intitola Siete mujeres y la revolución Cubana e oltre a quello di Emilia del Campo, raccoglie le testimonianze di Laura Gómez Tarafa “Chinie”, Celia Ponce de León “Cuqui”, Gloria González, Margot del Pozo, Natalia Bolívar e Conchita Freire de Andrade. Un discendente di Nicanor del Campo, dallo stesso nome, presta servizio come specialista di Medicina Interna nell’ospedale clinico-chirurgico Joaquín Albarrán, dell’Avana.
Il personaggio in questione fu il fondatore del quartiere Almendares. La nipote dice nella citata intervista: “Il suo nome è ben conosciuto all’Avana perché c’è un quartiere che si chiama così. Questo non è il suo nome ufficiale, ma la gente è abituata ad associare il quartiere con lui e lo chiamava in questo modo. Il nome ufficiale è quello che proprio mio nonno gli diede: Reparto Almendares”.
Emilia del campo precisa che suo nonno venne a Cuba come funzionario dell’amministrazione coloniale e che anche se non combatté contro i ‘mambises’ fu tenente del corpo dei Volontari. Qui prosperò, si sposò con una cubana, sua nonna, e rimase sull’Isola una volta che Cuba ottenne l’indipendenza.
Fu proprietario di una fabbrica di tegole. Con gli utili che gli produceva, comprò la tenuta che una volta urbanizzata, fu il quartiere Almendares. Inoltre possedeva una fattoria lattiera, chiamata Il Maggiore, dotata di un sistema di mungitura meccanica e impianti per la pastorizzazione e omogeneizzazione del latte. In questo giro aveva un forte concorrente, la Ward Company, un grande complesso lattiero nordamericano, stabilitosi a Cuba, che faceva gelati e altri prodotti del latte essendo molto più grande della latterie cubane.
Emilia Commenta che suo nonno giunse ad essere multimilionario. Aveva l’orgoglio di essere il maggior contribuente del municipio di Marianao; quello che pagava maggiori contribuzioni e tasse in quel territorio. Gran parte della sua fortuna  si volatilizzò quando il crollo della borsa valori di New York, il 13 ottobre del 1929, dette inizio alla Grande Depressione. Nicanor del Campo perse o si vide obbligato a disfarsi di m olte delle sue proprietà. Col tempo riuscì a recuperare parte della sua fortuna, ma già niente era più come prima. Cessò di essere il maggior contribuente di Marianao. Morì nel 1941.

Carlos Manuel de Céspedes

Carlos Manuel de Céspedes y Quesada, figlio del Padre della Patria, fu uno dei tre presidenti della Repubblica che vide la luce fuori di Cuba. Nacque a New York il 12 agosto 1871, dopo che sua madre riuscì ad andarsene dall’Isola. Suo padre non giunse a conoscerlo. Di lui si interessa il lettore Jorge López di Madruga.
Studiò negli Stati Uniti e in Francia, già diplomato al liceo fece un viaggio in Germania italia e Inghilterra. Poco dopo l’inizio della Guerra d’Indipendenza arriva a Cuba con la spedizione del vapore Laurada che lo sbarca vicino a Baracoa. Raggiunse il grado di colonnello e fu delegato all’Assemblea Costituente di La Yaya. Concluso il conflitto si oppose, nell’Assemblea del Cerro, alla destituzione di Máximo Gómez come Generale in Capo dell’Esercito di Liberazione. Si laureò da avvocato nel 1901. In questo stesso anno venne eletto a Rappresentante alla Camera, incarico nel quale venne rieletto nel 1905. La piccola guerra dell’agosto 1906 contro il presidente Estrada Palma fa si che si apparti dalla vita pubblica. Il presidente José Miguel Gómez lo designa ambasciatore a Roma ed è inviato speciale della Repubblica ai funerali del re Giorgio di Grecia. Nel 1913 è ambasciatore a Buenos Ayres e più tardi a Washington, dove coordina i lavori incamminati alla costruzione del bell’edificio che ospiterà l’Ambasciata di Cuba, attuale ufficio d’interessi.
Il presidente Zayas gli affida il Segretariato di Stato (Relazioni Estere) ed è ministro interinale dell’Industria., più tardi, della Guerra. Nel novembre 1924 rappresenta la repubblica negli atti per la presa di possesso di Plutarco Elias Calles come presidente del Messico e il 20 maggio del 1933, Machado lo dichiara in disponibilità.
Quando, alla caduta di Machado, i militari si negano ad accettare il generale Alberto Herrera come sostituto del dittatore in fuga, l’Ambasciatore nordamericano impone Céspedes alla presidenza della Repubblica. Prende possesso il 12 agosto del 1933, giorno in cui compiva 62 anni d’età. Dura 23 giorni in carica. Lo abbatte, il 4 settembre, un movimento di classi e soldati che capeggia un sergente di nome Batista. Si rifiuta di assecondare gli ufficiali ammutinati nell’Hotel Nacional che lo vogliono vedere tra loro. Dice: “Per me non si spargerà sangue cubano né si avrà intervento straniero”.

Il presidente Mendieta lo designa ambasciatore in Spagna. Rappresenta Cuba all’Assemblea Straordinaria della Società delle Nazioni. Al fronte del Partito Centrista, vuole aspirare alla Presidenza, ma la mancanza di calore popolare lo spinge a desistere. In giugno rinuncia al suo incarico in Spagna, ma sempre con rango di ambasciatore, gli si affida l’assistenza tecnica del Segretariato di Stato ed é giudice del Tribunale di Arbitraggio. Morì all’Avana il 27 marzo del 1934. Fu accademico di Storia. Scrisse una biografia di suo padre e un’altra di suo zio, il polemico generale Manuel de Quesada, fra altri libri e lasciò un’opera inedita nella quale descrive il suo passaggio fugace alla Presidenza.


Tres figuras de ayer

Ciro Bianchi Ross • 
digital@juventudrebelde.cu
20 de Junio del 2015 19:10:42 CDT

Sobre la calle llamada Carlitos Aguirre inquiere el doctor Rafael
Nodarse, médico del hospital Calixto García y profesor de su Facultad
de Ciencias Médicas. Dice que en sus recorridos habituales por la zona
ha «tropezado con esa callecita casi virtual, enclavada en la esquina
donde coincide con San Rafael, a un costado de la Universidad», y pide
que contemos algo sobre ella. «¿Por qué el nombre tan pequeñín como la
calle misma?», pregunta.
Carlitos Aguirre Sánchez es de esas personas a las que toca una muerte
que no es la suya. Como se lee en el pedestal de la estatua que se le
erigió en el parque que lleva su nombre, fue «tempranamente arrancado
de la vida por inconcebible tragedia cuando era ejemplo a la juventud
y la mente vigorosa y fuerte voluntad eran presagios de indescriptible
grandeza». Una muerte absurda que hace que lo recordemos. La familia
encargó al escultor italiano Nicolini esa imagen de bulto y la emplazó
en el parque que hizo construir a un costado del estadio de la
Universidad, donde la calle deja de ser Ronda para llamarse Carlitos
Aguirre.
Su padre fue Charles Aguirre, coronel del Ejército Libertador. Cesada
la guerra contra España fue capitán del puerto de La Habana, y más
tarde, entre 1911 y 1912, jefe de la Policía en la capital de la Isla.
Un incidente desafortunado lo llevó a la cárcel en mayo de 1916; causó
lesiones con arma de fuego a Generoso Canal. Lo condenaron a tres años
de privación de libertad. Un indulto lo benefició en noviembre de
1918.
La madre, Fredesvinda, era hermana de María Luisa, la esposa de
Orestes Ferrara, el avieso político italiano avecindado en La Habana,
también coronel de nuestras gestas independentistas. Su residencia,
que acoge hoy al Museo Napoleónico, colindaba por la parte trasera con
Villa Carlitos, morada de los Aguirre, en San Rafael y Ronda,
convertida desde hace años en una casa de vecindad muy deteriorada por
el tiempo y el abandono. Siempre que Ferrara estaba en Cuba —fue
embajador en EE.UU. y canciller en tiempos de Machado— atravesaba el
patio, junto con María Luisa, para almorzar con los Aguirre. Allí,
mientras almorzaba, supo del atentado que costó la vida, en 1932, a
Clemente Vázquez Bello, presidente del Senado e íntimo de Machado.
Allí almorzó —macarrones napolitanos— el 12 de agosto de 1933, cuando
ya la dictadura machadista se había desplomado. De casa de los Aguirre
salió hacia el puerto a fin de tomar el hidroavión que lo conduciría
al exilio. De pura casualidad los estudiantes que lo perseguían no
pudieron atraparlo.
En una vívida crónica sobre la muerte de Carlitos, que el amigo y
colega Luis Sexto publicó hace años en estas mismas páginas y que
compiló luego en su libro El camino siempre va a alguna parte (2008),
del que conservo un ejemplar con una generosa dedicatoria del autor,
se dice que nació en 1901, y que en 1919 matriculó la carrera de
Derecho para graduarse de abogado el 6 de julio de 1923. Luis, que
revisó su expediente universitario, asegura que la generalidad de las
asignaturas muestra el cuño de sobresaliente, con premios. Escribe el
cronista: «Su expediente confirma que Carlitos Aguirre era una promesa
en lo intelectual y lo moral. Uno de sus profesores definió su vida
como el breve esfuerzo de una mente electa».
Ya para entonces Carlitos había publicado un libro, Sensaciones de
viaje, fruto de un periplo turístico por varios países europeos, y
había tenido la temeridad de cruzar en avión el Canal de la Mancha en
una época en que la aviación estaba aún en pañales. Con relación a ese
vuelo confiesa, dice Luis, que no sintió miedo porque «era fatalista y
sabía que su muerte estaba prescrita, con día, mes y año en un tiempo
inexorable».
Dos meses después de su graduación, Carlitos Aguirre era cadáver. Sus
éxitos estudiantiles fueron premiados con un viaje a Europa. Su cuerpo
embalsamado llegó a Cuba por mar el 4 de octubre. Lo velaron en el
Aula Magna de la Universidad.
¿Qué sucedió? Dejemos que Luis Sexto nos lo cuente:
«El día de su muerte presenciaba una corrida de toros en Bayona. El
matador ejecutaba sus últimas figuras, fintas, pases; la bestia
resoplaba, parecía querer abrir un hueco con las patas para tal vez
huir de aquello que no comprendía. La cólera le aliviaba el
agotamiento. El matador se acercaba con la espada.
«La señorita que lo acompañaba, norteamericana de origen, le dijo a
Carlitos: “El sol me molesta”.
«El matador midió la distancia; caminó luego como en puntillas.
Carlitos se levantó y cedió su asiento a la señorita Straus. El
matador clavó la espada allí donde la vida del toro estaba inerme,
vulnerable. El animal bufó, sacudió la testuz. El arma se desprendió
como un proyectil…
«La espada terminó su vuelo en el pecho de Carlitos».

Nicanor del Campo

Un lector cuyo nombre, lamentablemente, no anoté, luego de confesarse
seguidor asiduo de esta página, se interesa por saber por qué el lugar
donde vive, perteneciente al municipio de Playa, se denomina Nicanor
del Campo.
No es mucho lo que conoce el escribidor acerca de ese personaje. En
todo caso, no más de lo que sobre él refirió una de sus nietas, Emilia
«Lili» del Campo, a las escritoras francesas Marjorie Moore y Adrienne
Hunter cuando acometían su libro sobre varias señoras de la alta
burguesía cubana que decidieron permanecer en Cuba después de 1959. El
libro, publicado por la editorial de Ciencias Sociales en 2003, se
titula Siete mujeres y la Revolución Cubana y aparte del de Emilia del
Campo recoge los testimonios de Laura Gómez Tarafa «Chinie», Celia
Ponce de León «Cuqui», Gloria González, Margot del Pozo, Natalia
Bolívar y Conchita Freire de Andrade. Un descendiente de Nicanor del
Campo, de igual nombre,  presta servicios como especialista en
Medicina Interna en el hospital clínico-quirúrgico Joaquín Albarrán,
de La Habana.
El personaje en cuestión fue el fundador del reparto Almendares. Dice
su nieta en la entrevista aludida: «Su nombre es bien conocido en La
Habana porque hay un barrio que se llama igual. Ese no es su nombre
oficial, pero la gente estaba acostumbrada a asociar el barrio con él
y lo llamaba de esa manera. El nombre oficial es el que mi propio
abuelo le dio: Reparto Almendares».
Precisa Emilia del Campo que su abuelo vino a Cuba como funcionario de
la administración colonial y que, aunque no peleó contra los mambises,
fue teniente del cuerpo de Voluntarios. Prosperó aquí, se casó con una
cubana, su abuela, y permaneció en la Isla una vez que Cuba alcanzó su
independencia.
Fue propietario de una fábrica de tejas. Con las ganancias que le
producía compró la finca que una vez urbanizada fue el reparto
Almendares. Poseía además una granja lechera, llamada El Mayor, dotada
de un sistema de ordeño mecanizado y de equipos para la pasteurización
y homogenización de la leche. Tenía en este giro un competidor fuerte,
la Ward Company, un gran negocio lechero norteamericano, establecido
en Cuba, que hacía helados y otros productos lácteos y era mucho mayor
que las lecherías cubanas.
Comenta Emilia que su abuelo llegó a ser multimillonario. Tenía el
orgullo de ser el mayor contribuyente del municipio de Marianao; esto
es, el que más contribuciones e impuestos pagaba en ese territorio.
Gran parte de su fortuna se volatizó cuando el desplome de la bolsa de
valores de Nueva York, el 13 de octubre de 1929, dio inicio a la Gran
Depresión. Nicanor del Campo perdió o se vio obligado a deshacerse de
muchas de sus propiedades. Con el tiempo logró rehacer parte de su
fortuna, pero ya nada fue como antes. Había dejado de ser el mayor
contribuyente de Marianao. Falleció en 1941.

Carlos Manuel de Céspedes

Carlos Manuel de Céspedes y Quesada, hijo del Padre de la Patria, fue
uno de los tres presidentes de la República que vio la luz fuera de
Cuba. Nació en Nueva York, el 12 de agosto de 1871, luego de que su
madre lograra salir de la Isla. Su padre no llegó a conocerlo. Por él
se interesa el lector Jorge López, de Madruga.
Estudió en EE.UU. y en Francia, y graduado ya de bachiller hizo un
viaje por Alemania, Italia e Inglaterra. Poco después de iniciada la
Guerra de Independencia llega a Cuba en la expedición del vapor
Laurada, que desembarca cerca de Baracoa. Alcanzó el grado de coronel
y fue delegado a la Asamblea Constituyente de La Yaya. Concluida la
contienda, se opuso en la Asamblea del Cerro a la destitución de
Máximo Gómez como General en Jefe del Ejército Libertador.
Se graduó de abogado en 1901. En ese mismo año resultó electo
Representante a la Cámara, cargo en que se reeligió en 1905. La
guerrita de agosto de 1906 contra el presidente Estrada Palma hace que
se aparte de la vida pública. El presidente José Miguel Gómez lo
designa embajador en Roma y es enviado especial de la República a los
funerales del rey Jorge, de Grecia. En 1913 es embajador en Buenos
Aires y más tarde en Washington, donde coordina los trabajos
encaminados a la construcción del bello edificio que daría albergue a
la Embajada de Cuba, actual Oficina de Intereses.
El presidente Zayas le confía la Secretaría de Estado (Relaciones
Exteriores) y es Ministro interino de Hacienda y, más tarde, de
Guerra. En noviembre de 1924 representa a la República en los actos de
toma de posesión de Plutarco Elías Calles como presidente de México, y
el 20 de mayo de 1925, el presidente Machado lo ratifica en la cartera
de Estado. En 1926, desde París, envía su renuncia a esa cartera y
acepta la embajada en Francia. Con posterioridad se le traslada a
Inglaterra con igual rango, y, también como embajador, vuelve a
Francia, hasta que se le designa en México. No llega a tomar posesión.
El 20 de mayo de 1933 Machado lo declara en disponibilidad.
Cuando, a la caída de Machado, los militares se niegan a aceptar al
general Alberto Herrera como sustituto del dictador en fuga, el
Embajador norteamericano impone a Céspedes en la presidencia de la
República. Toma posesión el 12 de agosto de 1933, el día en que
cumplía 62 años de edad. Dura 23 días en el cargo. Lo derroca, el 4 de
septiembre, un movimiento de clases y soldados que encabeza un
sargento llamado Batista. Se niega a secundar a los oficiales
amotinados en el Hotel Nacional que quieren verlo entre ellos. Dice:
«Por mí no se derramará sangre cubana ni habrá intervención
extranjera».
El presidente Mendieta lo designa embajador en España. Representa a
Cuba en la Asamblea Extraordinaria de la Sociedad de Naciones. Al
frente del Partido Centrista quiere aspirar a la Presidencia, pero la
falta de calor popular lo empuja a desistir. En junio renuncia a su
cargo en España, pero siempre con categoría de embajador, se le
designa asesor técnico de la Secretaría de Estado y juez del Tribunal
de Arbitraje. Murió en La Habana, el 27 de marzo de 1934. Fue
académico de la Historia. Escribió una biografía de su padre y otra de
su tío, el polémico general Manuel de Quesada, entre otros libros, y
dejó inédita una obra en la que relató su paso fugaz por la
Presidencia.

Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
http://wwwcirobianchi.blogia.com/
http://cbianchiross.blogia.com/

sabato 20 giugno 2015

Sfilatino

SFILATINO: Tino partecipa alla sfilata

venerdì 19 giugno 2015

Setaccio

SETACCIO: qualora rimanga zitto

XV° Colloquio Internazionale su Ernest Hemingway

Fonte: Granma

Ernest Hemingway, un puente entre culturas
El XV Coloquio Inter­nacional sobre la obra del Premio Nobel fue inaugurado ayer en La Habana
18 de junio de 2015 23:06:51


 Ricardo Koon, autor del libro El Último León. Foto:Padrón, Abel                          

Como una excelente oportunidad para conocer por qué Ernest He­ming­way se enamoró de Cuba, catalogó Julián González, ministro de Cultura, al XV Coloquio Inter­nacional que lleva el nombre del autor de El Viejo y el Mar,cita de probado nivel académico que comen­zó sus sesiones ayer, con la presencia de investigadores y seguidores de la vida y obra del genial escritor.
El titular comentó a la prensa acerca del número de estudiosos norteamericanos que asisten a cada edición del evento y cómo su interés por la vida del Premio Nobel de Literatura también les acerca a la vida social y cultural de la Isla.
Lo que enamoró a Hemingway de nuestro país, señaló, fueron las características del pueblo, porque “él era enemigo de las formalidades y aquí encontró un marco adecuado para hacer su obra, sin el protocolo habitual de otra gran capital. Esa frescura se multiplica en el nivel cultural de nuestra gente, en la manera con que aprecian las artes en general y la literatura en particular”.
Una gran oportunidad, dijo Gon­zález, que va a tener una magnitud cada vez mayor en la medida que vayan mejorando las relaciones en­tre Cuba y Estados Unidos, sobre todo cuando quede eliminado el blo­queo.
Siguiendo esta línea resaltó el papel de Hemingway como puente entre las dos culturas, “hoy más que nunca porque de poder los norteamericanos viajar a la Isla libremente, un gran incentivo podría ser descubrir qué encontró aquí el escritor, qué vio en nuestra gente que le hizo establecerse acá y adoptar a Cuba como una segunda patria”.
La jornada inaugural del coloquio arrancó con un homenaje a René Vi­lla­real, el mayordomo de Ernest He­mingway en Finca Vigía, y a quien el reconocido autor llamara su hijo cu­bano.
Villareal fue el hombre de confianza del afamado escritor durante 14 años, aunque su relación con él data de mucho antes, de su niñez, cuando en 1939 el también ganador del Premio Pulitzer rentó la propiedad porque en ella encontró la tranquilidad para escribir.
Luego le siguió la presentación del libro El último León, del investigador argentino Ricardo Koon, que en seis partes hace un recorrido por la vida del notable escritor norteamericano desde su infancia en Illi­nois, hasta su muerte en Idaho.
Koon señaló que realizar la in­vestigación le tomó aproximadamente cuatro décadas y en ella logró reunir los testimonios de personas que de varias maneras estuvieron relacionadas con la vida y obra de Hemingway, entre ellas el artista de la plástica catalán Joan Miró y el también escritor Rafael Alberti.
Para los próximos días del en­cuentro, que finaliza este domingo, el programa contempla las celebraciones del aniversario 80 de la primera publicación de Las verdes colinas de África, y los 90 años de la publicación de su cuaderno de cuen­tos En nuestro tiempo.
También el panel Hemingway y Martha Gellhorn: En el amor y en la guerra, a cargo de la profesora San­dra Spanier, de la Universidad del estado de Pensilvania, y la presentación del libro Hemingway: ese desconocido, del cubano En­rique Cirules.


giovedì 18 giugno 2015

Google consiglia Cuba di passare direttamente al wireless, saltando l'infrastruttura cablata

Fonte: El Nuevo Herald
Google aconseja a Cuba saltar a las conexiones móviles
Agence France Presse
LA HABANA 


Un directivo de Google Ideas declaró que Cuba debe aprovechar su atraso tecnológico y saltar directamente a las conexiones móviles de teléfonos y tabletas con el fin de ahorrarse el costoso cableado, informó una revista en internet.
“Cuba tiene la gran oportunidad de saltar en su infraestructura directo a móvil sin pasar por todo el camino del cableado, como están haciendo los países de África”, dijo Brett Perlmutter, de Google Ideas, en un diálogo con responsables de la revista en línea OnCuba en La Habana.
Perlmutter y Brehanna Zwart, de Google Access & Energy, formaron parte de un grupo de ejecutivos estadounidenses que visitaron la redacción de la revista en La Habana, donde conversaron con su director, el empresario cubanoestadounidense Hugo Cancio, y otros directivos.
“Mucha gente nos ve solo como el buscador (de internet), pero somos una de las empresas de infraestructura más grande del mundo y podemos hacer que crezca la infraestructura del país”, dijo Perlmutter, citado por OnCuba.
Este es el cuarto viaje de ejecutivos estadounidenses de los sectores de alimentos y bebidas, infraestructura de móviles, seguros y derecho corporativo internacional organizados por la ONG Americas Society and Council of the Americas, en base a intercambios “persona a persona”, autorizados por Washington.
Desde que el 17 de diciembre Estados Unidos y Cuba comenzaron un proceso de deshielo, numerosos legisladores, empresarios, artistas y deportistas estadounidenses han visitado la isla, a pesar de que ambos países no restablecen todavía relaciones diplomáticas y sigue en pie el embargo económico.
“Varias publicaciones norteamericanas manejan desde el fin de semana la tesis (…) de que Google ya presentó su propuesta de participación en el tendido de infraestructura (de telecomunicaciones) en Cuba y ahora espera respuesta del gobierno cubano”, pero “los directivos (de Google) prefirieron no hablar sobre el tema”, dijo OnCuba.
Cuba tiene escasa cobertura de internet y telefonía móvil, pero el presidente estadounidense Barack Obama decidió ayudar a la isla a desarrollar su infraestructura de telecomunicaciones como parte de las medidas de deshielo.


Sentinella

SENTINELLA: ascolta Nella

mercoledì 17 giugno 2015

Ancora Biennale....



E c'è molto di più...

Senato

SENATO: qualora fosse nato

martedì 16 giugno 2015

Cuba, prematuramente, fuori dal mondiale di calcio

Doppio pareggio della Nazionale cubana con la "temibilissima" compagine di Curaçao. Allo 0-0 dell'andata è seguito un 1-1 tra le mura domestiche che ha permesso la qualificazione al prossimo turno degli ospiti, in una qualificazione di Zona complicatissima per la serie di gruppi e incontri da effettuare.

Nonostante l'entusiasmo crescente, specialmente dei giovani e giovanissimi, c'è ancora molta strada da percorrere: dalla preparazione tecnica e tattica alla velocità di esecuzione delle giocate. Come già detto e commentato da molti, è indispensabile il miglioramento delle strutture del Pedro Marrero per poter ospitare squadre straniere che aiutano nell'accumulare esperienza oltre a poter fornire un gioco senza falsi rimbalzi o buche che possano danneggiare caviglie o legamenti degli atleti. Sicuramente non è un terreno col quale si possa aspirare a un bel gioco. Certo la "colpa" non è solo del terreno e nemmeno dei tecnici chiamati a guidare la squadra che a loro volta mancano di esperienza internazionale se non...quella vista in TV.

Sedotto

SEDOTTO: possibilmente colto

lunedì 15 giugno 2015

Camminando per Reina, di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud Rebelde del 14/6/15 

Reina continua ad essere Regina, nostante dal 1918 questa importante calzada del municipio di Centro Avana porti il nome di Simón Bolívar. Purtroppo le usanze e le abitudini attuarono, qui, negativamente. Perdurò il suo nome coloniale e quasi nessuno la conosce con onorato nome del “Libertador” che è rimasto relegato a documenti più o meno ufficiali.
Dapprima siu chiamò Camino de San Antonio, perché conduceva allo zuccherificio di San Antonio il Piccolo, proprietà del reggente Don Blas de Pedroso che esisteva nella zona dell’attuale Plaza de la Revolución. Fu la principale strada di uscita dalla citta verso la campagna fino al 1735, quando si costruì il primo ponte di Chávez che rese possibile l’uscita dalla Calzada del Monte. Questa strada partiva dall’antica calle Real (Muralla), attraversava il Campo di Marte (in quella che oggi è la zona del Parque de la Fraternidad, si allacciava con quella che sarà Carlos III e proseguiva verso il citato zuccherificio. Nel 1751, nel costruirsi una cappella consacrata a San Luis Gonzaga all’angolo con la cosiddetta  Calzada de la Beficencia (Belascoain), la si cominciò a chiamare con questo nome: San Luis Gonzaga. La cappella fu demolita nel 1835, ai tempi del capitano generale Tacón, dato che costituiva un ostacolo per la costruzione del cosiddetto Paseo Militar o di Tacón (Carlos III o Salvador Allende) per unirlo a Reina.
Quando Carlos III fu pronto, fu una passeggiata splendida per gli avaneri della metà del XIX secolo uscire in calesse dalle vicinanze del Castillo de la Punta e proseguire, grazie all’Alameda o il Paseo del Prado, fino al Campo de Marte, oggi plaza de la Fraternidad svoltare attorno alla Fuente de la India e continuare il percorso per Reina e Carlos III fino al Castillo del Principe per terminare il percorso.
Si racconta che all’angolo di Águila c’era “el mentidero”, giardinetto ombreggiato con un semicerchio di panche dove nei pomeriggi si riunivano i vecchi e i politici a fare chiacchiere e bere la bibita di “sambumbia” che si offriva nelle vicinanze. In questa stessa zona funzionava, dal 1817, un mercato costruito per la maggioranza con casupole di legno e frasche e dove si trovava un’osteria di proprietà di Francisco “Pancho” Marty, contrattista del teatro Tacòn, l’uomo che aveva il monopolio del pesce all’Avana. Da una delle pareti di quell’osteria pendeva un quadro del Neptuno, prima nave a vapore che giunse all’Avana, nel 1819 e questa immagine finì per dare il nome quella casa di cibi e a tutto il mercato, situato tra le calles di Reina, Galiano, Dragones e Águila. Questo mercato lo costruì Tacón per migliorare le condizioni del primitivo mercato di legna e frasche. Portava il nome di Tacón, ma tutti quanti lo conosceva, fino a date molto recenti, come Plaza del Vapor. Il luogo dove oggi si trova il parco El Curita, soprannome di Sergio González, militante del Movimento 26 di Luglio, assassinato da sicari batistiani. Il luogo è un importante nodo del trasporto urbano.
È nel 1844 quando questa calle guadagnò il nome di rina, Calzada de la Reina, in omaggio a Isabella II, figlia di Fernando VII che un anno prima aveva cominciato  a reggere i destini della Spagna e sarebbe stata una donna d’infausta memoria per i suoi intrighi, errori politici e leggerezze. Isabella II, quella dei detini tristi e degli amori allegri.

Girovago

Anche se maltrattata per il passare del tempo e l’abbandono, questa frequentata arteria commerciale fu conosciuta come la Regina delle Strade, soprannome che le dierono i commercianti stabilitisi in essa. Comincia col bellissimo Palazzo di Aldama (Reina numero 1) e finisce più in la della chiesa del Sagrado Corazón de Jesús, l’edificio a carattere religioso più alto di Cuba.
Corre dalla calle Amistad fino a Belascoain. Fra una strada e l’altra esistono o esitirono importanti esrcizi commercialicome i magazzini Ultra e Sears, quest’ultimo convertito nel Palazzo Centrale dell’Informatica. La redazione e i laboratori dei giornali El País e Excelsior, al numero 158. La grande casa marcata col numero 352, all’angolo con Lealtad, del più puro stile  Art Nouveau e dove per tanti anni si trovò la redazione della rivista Cuba. Anche la Camera di Commercio cinese, al numero 161. Il locale col numero 402, della già scomparsa Polizia Segreta e al 362, la pure estinta Scuola Elementare di Arti Plastiche, annessa a San Alejandro. Il narratore e giornalista Enrique Labrador Ruiz, “il romanziere fatto nelle redazioni”, come lui stesso si definì, abitò per lunghi anni al numero 107, dove faceva tesoro una delle biblioteche private più grandi di cui si abbia notizia a Cuba. Già che si parla di libri, impossibile tralasciare di menzionare la libreria Canelo, al 259, emblematica per ciò che si riferisce alla compravendita di testi di seconda mano, dove lo scriba converso molte volte con il romanziere de La sangre hambrienta che conobbe in casa del poeta José Zacarías Tallet.
Per non lasciar perdere, al numero 306 esisteva la funeraria Vega Flores e una ferrramenta, al numero 319 che tutti continuiamom a identificare con i cognomi dei suoi fondatori; Feito e Cabezón, nella parte superiore di questo esrcizio funzionava una mensa popolare. Al contrario di ciò che pensano ancora molti, Al Bon Marché, numero 467, noin fu solo una rivendita di articoli religiosi, ma libreria e giocattolaio, che come Los Reyes Magos di Galiano e San Miguel, poteva esibire sempre le ultime novità nel campo dei giocattoli. Al numero 314 di questa strada funzionò la clebre 1010, emittente del Partito Socialista Popolare (Comunista), dove debuttarono o fecero le loro prime armi molti artisti duraturi nel tempo.
La Calzada de Reina fu e continua ad essere, in qualche modo, una strada eminetemente commerciale, senza che per questo sottovaluti la funzione abitativa e di servizio.
Un’indagine frettolosa e possibilmente incompleta dice che nel 1958, fra altri esercizi, in questa strada aprivano le porte 17 grandi magazzini, 13 gioiellerie, dieci pelletterie, sei negozi per la vendita di elettrodomestici, due mobilifici, una piastrelleria, un materassaio e tre sartorie, fra di loro al numero 61 El Arte, dove lavorò il leggendario Comandante Camilo Cienfuegos.
Inoltre c’erano quattro saloni di bellezza, fra loro al numero 82, quello di Joseito El Mago, il Re della permanente e sei pensioni, quattro negozi di alimentari e liquori fini, otto ristoranti con bar, due dolcifici, tre librerie, tre cliniche o dispensari medici, un dentista, un laboratorio farmaceutico, due sale cinematografiche, sei studi fotografici e un gabinetto di scultura e decorazione.
Si dovrebbero includere, inoltre, otto studi di avvocati. Il Conservatorio Peyrellade, al numero 453; il convento di María Reparadora al 409; e in reina 303, il Tribunale Municipale del Sud.

I prezzi fissi

Da bambino, sempre nel pomeriggio del sabato, andavo con mia madre a I Prezzi Fissi, un grande magazzino con pelletteria, chincaglieria, magazzino di tessuti e laboratorio di confezioni. La facciata dell’edificio dava su Reina, ma aveve le due entrate dalle calles Águila e Estrella. In giorni come questi, questo negozio come tutti quelli dell’Avana, erano frequentatissimi. Indubbiamente però, non si faceva la coda né in questo né in nessun altro, né si chiedeva chi era l’ultimo, se non che il cliente o per meglio dire la cliente, si avvicinava al banco e aspettava che la commessa la servisse con l’ordine che la stessa commessa stabiliva. La mia famiglia aveva lì una crta di credito che permetteva di comprare e pagare nel tempo convenuto.
In quei sabati pomeriggio cercavo sempre il modo di affacciarmi al cortile centrale del Palazzo di Aldama. L’immobiloe apparteneva da molto tempo prima a uno dei sette rami dell’opulenta famiglia Mendoza, ma quasi tutti i commerci che vi si aprivano portavano il nome del proprietario originale. C’era una caffeteria Aldama, una pelletteria Aldama e per non variare anche un salone di bellezza Aldama.
Di fronte, l’imponente edificio della Sears Roebuck and Company S.A., commercio a ldettaglio di articoli vari, una delle cinque filiali a Cuba di ditte nordamericane sotto il controllo del gruppo finanziario di Chicago la cui casa madre dallo stesso nome era, allora, la maggior catena di negozi degli U.S.A. e la principale fra tutti i loro interessi. Mi sono tanto affezionato alla Sears avanera che quando, oggi, visito gli Stati Uniti, faccio gli acquisti in esercizi di questa entità dove, per mia sorpresa ho incontrato tra le venditrici, non poche lettrici di questa pagina.
Camminando per Reina, verso Belascoain, sul marciapiede di sinistra, si trovano i Magazzini Ultra, altro grande magazzino dell’Avana di ieri e di oggi. Luis e lizardo González, fratelli oriundi di Sagua la Grande, dediti al commercio di tessuti, la fondarono nel 1938 nel mismo luogo dove si trova adesso. Avevano un socio comandatario, lo spagnolo César Rodríguez che non tardò a controllare gli affari. L’attivo totale degli Ultra superava i quattro milioni di pesos e le sue vendite annuali oscillavano tra intre e i quattro milioni, mentre che gli utili passarono dagli 86.700 pesos del 1956 a 151.000 nel 1959.
Mi permetta, il lettore una disgressione. Ancora negli anni ’80 i sandwich del bar El Polo, in reina e Ángeles erano spettacolari. Quando i soldi non bastavano, mettevamo mano ai panini di formaggio del piccolo caffè di Reina e Escobar.

Lealtad

Una targa di bronzo ricorda il luogo dove cadde, abattuto dalla forza pubblica, Francisco “Paquito” González Cueto, dell’età di 13 anni. Si preparava a partecipare al seppellimento delle ceneri del leader comunista Julio Antonio Mella, quando fu vittima della brutalità poliziesca. Ci furono altri morti e feriti, compreso poliziotti e pompieri che non si menzionano mai, in quella manifestazione che partì dalla residenza di Reina 402, angolo Escobar, dove si tenne la veglia funebre e fu accommiatato con la voce affogata per la tubercolosi e l’emozione, dall’oggi sempre più dimenticato Rubén Martínez Villena. Le ceneri di quell’atleta divenuto leader che ra morto, assassinato in Messico, sarebbero state depositate in un tumulo costruito di corsa nella Plaza de la Fraternidad. Non si poté consumare l’atto. Le spoglie, apparentemente perse, si mantennero nascoste fino alla decade del 1960, quando si depositarono nella Plaza Mella, di fronte alla scalinata dell’università.
Quella casa di Reine e Escobar, poi della Polzia Segreta, era quella del senatore Wilfredo Fernández, sostenitore del dittatore Gerardo Machado, assassino di Mella. Il popolo la saccheggiò alla caduta della dittatura machadista, il 12 agosto del 1933 e mise mano al suo proprietario quando, travestito da marinaio, cercava di uscire da Cuba con una nave.
Lo scriba si mosse molto nella Calzada de Reina. Tra il 1972 e 1989 lavorò nella rivista Cuba, ubicata nella casa che all’inizio del XX secolo si fece costruire il fabbricante si sapone Ramón Crusellas, all’angolo di Lealtad. Nell’abandonarla detta rivista, si penso che in essa si sarebbe installato il Museo del Centro Avana. Pia illusione. La si dette a un’impresa di confezioni tessili. Oggi la casa, disabitata, si sta distruggendo davanti alla pigrizia di quelli che dovevano metterci la schiena per salvarla.


Caminando por Reina
Ciro Bianchi Ross 
digital@juventudrebelde.cu
13 de Junio del 2015 21:49:27 CDT

Reina sigue siendo Reina, aunque desde 1918 esa importante calzada del
municipio de Centro Habana lleve el nombre oficial de Avenida de Simón
Bolívar. Lamentablemente el uso y la costumbre actuaron aquí
negativamente. Perduró uno de sus nombres coloniales, y casi nadie la
conoce con el honroso nombre del Libertador, que ha quedado relegado a
documentos más o menos oficiales.
Se le llamó primero Camino de San Antonio, por conducir al ingenio San
Antonio el Chiquito, propiedad del regidor Don Blas de Pedroso, que
existía en la zona de la actual Plaza de la Revolución. Fue, desde la
ciudad, el camino principal de salida hacia el campo hasta 1735,
cuando se construyó el primer puente de Chávez que posibilitó la
salida por la Calzada del Monte. Partía ese camino de la antigua calle
Real (Muralla), atravesaba el Campo de Marte (en lo que hoy es la zona
del Parque de la Fraternidad), enlazaba con lo que sería Carlos III y
seguía hasta el citado ingenio. En 1751, al construirse una ermita
consagrada a San Luis Gonzaga en la esquina con la llamada Calzada de
la Beneficencia (Belascoaín), se le comenzó a llamar con este nombre,
San Luis Gonzaga. La ermita fue demolida en 1835, en tiempos del
capitán general Tacón, por constituir un obstáculo para la
construcción del llamado Paseo Militar o de Tacón (Carlos III o
Salvador Allende) y unirlo a Reina.
Cuando Carlos III estuvo listo, fue un paseo espléndido para los
habaneros de mediados del siglo XIX salir en volanta desde las
inmediaciones del Castillo de la Punta y seguir, gracias a la Alameda
o el Paseo del Prado, hasta el Campo de Marte, hoy Plaza de la
Fraternidad, dar vueltas en torno a la Fuente de la India y continuar
el recorrido por Reina y Carlos III hasta el Castillo del Príncipe
para desandar el recorrido.
Se cuenta que en la esquina de Águila estaba “el mentidero”, placer
sombreado con un semicírculo de bancos donde se reunían por la tarde
los viejos y los políticos a formar tertulia y beber el refresco de
sambumbia que se ofertaba en las inmediaciones. En esa misma zona
funcionaba, desde 1817, un mercado construido de casetas de madera y
guano en su mayoría, y donde también se encontraba una fonda,
propiedad de Francisco “Pancho” Marty, el contratista del Teatro de
Tacón, el hombre que tenía el monopolio del pescado en La Habana.
Colgaba en una de las paredes de esa fonda un cuadro del Neptuno,
primer barco de vapor que vino a La Habana, en 1819, y esa imagen
terminó dándole nombre a esa casa de comidas y a todo el mercado,
encuadrado en las calles de Reina, Galiano, Dragones y Águila. Ese
mercado lo construyó Tacón para mejorar las condiciones del mercado
primitivo de casetas de madera y guano. Llevaba el nombre de Tacón,
pero todo el mundo lo conoció hasta fechas muy recientes como Plaza
del Vapor. Es el sitio donde hoy se asienta el parque El Curita,
sobrenombre de Sergio González, militante del Movimiento 26 de Julio
asesinado por sicarios batistianos. El lugar es un importante nudo del
transporte urbano.
Es en 1844 cuando esta calle ganó el nombre de Reina, Calzada de la
Reina, en homenaje a Isabel II, la hija de Fernando VII, que un año
antes había comenzado a regir los destinos de España y sería una mujer
de infausta memoria por sus intrigas, desaciertos políticos y
liviandades. Isabel II, la de los tristes destinos y los alegres
amores.

Callejero

Aunque maltratada hoy por el paso del tiempo y la desidia, esta
concurrida arteria comercial fue conocida como la Reina de las Calles,
sobrenombre con que la promocionaban los comerciantes asentados en
ella. Comienza con el bellísimo Palacio de Aldama (Reina número 1) y
termina más allá de la iglesia del Sagrado Corazón de Jesús, la
edificación de carácter religioso más alta de Cuba.
Corre desde la calle Amistad hasta Belascoaín. Entre una calle y la
otra existen o existieron importantes establecimientos comerciales
como los almacenes de Ultra y Sears, convertido este último en el
Palacio Central de Computación. La redacción y los talleres de los
periódicos El País y Excélsior, en el número 158. La casona marcada
con el número 352, en la  esquina con Lealtad, del más puro estilo Art
Nouveau y donde durante largos años se ubicó la redacción de la
revista Cuba. También la Cámara de Comercio china, en el número 161.
El local, con el número 402, de la ya desaparecida Policía Secreta y,
en el 362, la también extinguida Escuela Elemental de Artes Plásticas,
anexa a San Alejandro. El narrador y periodista Enrique Labrador Ruiz,
“el novelista hecho en la redacciones”, como él mismo se llamó, habitó
durante largos años en el número 107, donde atesoraba una de las
bibliotecas particulares más grandes de que se tenga noticia en Cuba.
Y ya que se habla de libros, imposible dejar de mencionar la librería
Canelo, en el 259, emblemática en lo que a la compraventa de textos de
segunda mano se refiere, donde el escribidor conversó varias veces con
el novelista de La sangre hambrienta, a quien conoció en casa del
poeta José Zacarías Tallet.
Por no dejar de haber, existió allí, en el número 306, la  funeraria
Vega Flores, y una ferretería, en el número 319, a la que todos
seguimos identificando por los apellidos de sus fundadores, Feíto y
Cabezón. En los altos de este establecimiento funcionaba un comedor
popular. Contrario a lo que muchos piensan aún, Al Bon Marché, número
467, no fue solo un expendio de artículos religiosos, sino librería y
juguetería que, al igual que Los Reyes Magos, de Galiano y San Miguel,
podía exhibir siempre las últimas novedades en juguetes. En el número
314 de esta calle funcionó la célebre 1010, emisora del Partido
Socialista Popular (Comunista), donde debutaron o hicieron sus
primeras armas muchos artistas perdurables.
La Calzada de Reina fue y sigue siendo en alguna medida, una vía
eminentemente comercial, sin que soslaye por eso la función
habitacional y de servicio.
Un levantamiento apresurado y posiblemente incompleto arroja que en
1958, entre otros establecimientos, en dicha calle abrían sus puertas
17 tiendas por departamentos, 13 joyerías, diez peleterías, seis casas
de venta de efectos eléctricos, dos mueblerías, una locería, una
colchonería y tres sastrerías, entre ellas, la número 61, El Arte,
donde laboró el legendario Comandante Camilo Cienfuegos.
Asimismo, había cuatro salones de belleza, entre ellos, el número 82,
el de Joseíto El Mago, el Rey del desriz. Y seis casas de huéspedes,
cuatro tiendas de víveres y licores finos, ocho restaurantes con
bares, dos dulcerías, tres librerías, tres clínicas o dispensarios
médicos, un dentista, un laboratorio farmacéutico, dos salas
cinematográficas, seis estudios fotográficos y un gabinete de
escultura y decoración.
Habría que incluir además ocho bufetes de abogados. El Conservatorio
Peyrellade, en el número 453; el convento de María Reparadora, en el
409; y en Reina 303, el Juzgado Municipal del Sur.

Los precios fijos

De niño, siempre los sábados por la tarde, iba con mi madre a Los
Precios Fijos, una tienda por departamentos con peletería, quincalla,
almacén de tejidos y taller de confecciones. La fachada del edificio
daba a Reina, pero tenía también entradas por las calles Águila y
Estrella. En días como esos, esa tienda, al igual que casi todas las
otras de La Habana, estaba abarrotada. Sin embargo, no se hacía cola
en esta ni en ninguna, ni se preguntaba quién era el último, sino que
el cliente, digamos mejor, la clienta, se arrimaba al mostrador y
esperaba que la empleada la atendiera por el orden que la propia
empleada establecía. Mi familia tenía allí una tarjeta de crédito que
le permitía comprar y pagar en el plazo convenido.
Siempre encontraba la manera, en aquellos sábados por la tarde, de
asomarme al patio central del Palacio de Aldama. El inmueble
pertenecía desde mucho tiempo antes a una de las siete ramas de la
opulenta familia Mendoza, pero casi todos los comercios que abrían al
patio llevaban el nombre del propietario original. Había una cafetería
Aldama, una peletería Aldama y, para no variar, un salón de belleza
también Aldama.
Enfrente, el edificio imponente de la Sears Roebuck and Company S.A.,
comercio minorista de artículos varios, una de las cinco filiales en
Cuba de firmas norteamericanas bajo el control del grupo financiero de
Chicago, cuya casa matriz de igual nombre era entonces la mayor cadena
de tiendas de EE.UU. y la principal entre todos sus intereses. Me
aficioné tanto a la Sears habanera que hoy, cuando visito Estados
Unidos, hago las compras en establecimientos de esa entidad, donde,
para mi sorpresa he encontrado, entre las vendedoras, no pocas
seguidoras de esta página.
Caminando por Reina hacia Belascoaín, por la acera de la izquierda, se
hallan los Almacenes Ultra, otra gran tienda de La Habana de ayer y de
hoy. Luis y Lizardo González, hermanos oriundos de Sagua la Grande
dedicados al comercio de tejidos, la fundaron en 1938, en el mismo
sitio donde se encuentra ahora. Tenían un socio comanditario, el
español César Rodríguez, que no demoró en controlar el negocio. Los
activos totales de Ultra superaban los cuatro millones de pesos y sus
ventas anuales oscilaban entre los tres y los cuatro millones,
mientras que las utilidades pasaron de 86 700 pesos, en 1956,  a 151
000 en 1959.
Permítame el lector una digresión. Todavía en los años 80 eran
espectaculares los sándwiches del bar El Polo, en Reina y Ángeles.
Cuando el dinero no alcanzaba, echábamos mano a los bocaditos de queso
del cafecito de Reina y Escobar.

Lealtad
Una tarja de bronce rememora el lugar donde cayó abatido por la fuerza
pública Francisco “Paquito” González Cueto, de 13 años de edad. Se
disponía a participar en el entierro de las cenizas del líder
comunista Julio Antonio Mella, cuando fue víctima de la brutalidad
policíaca. Hubo otros muertos y heridos, incluso policías y bomberos,
que nunca se mencionan, en aquella manifestación que salió de la
residencia de Reina 402, esquina a Escobar, donde se llevó a cabo el
velorio y fue despedido, con la voz ahogada por la tuberculosis y la
emoción, por el hoy cada vez más olvidado Rubén Martínez Villena. Las
cenizas de aquel atleta hecho líder, que había muerto asesinado en
México, se depositarían en un túmulo construido a la carrera en la
Plaza de la Fraternidad. No pudo consumarse el acto. Los despojos,
aparentemente perdidos, se mantuvieron ocultos hasta la década de
1960, cuando se depositaron en la Plaza Mella, frente a la escalinata
de la Universidad.
Aquella casa de Reina y Escobar, después de la Policía Secreta, era la
del senador Wifredo Fernández, alabardero del dictador Gerardo
Machado, asesino de Mella. El pueblo la saqueó a la caída de la
dictadura machadista, el 12 de agosto de 1933, y echó el guante a su
propietario cuando, disfrazado de marinero, pretendía salir de Cuba en
un barco.
Mucho se movió el escribidor por la Calzada de Reina. Entre 1972 y
1989 trabajó en la revista Cuba, ubicada en la casa que a comienzos
del siglo XX se hizo construir el jabonero Ramón Crusellas en la
esquina de Lealtad. Al abandonarla dicha revista, se pensó que en ella
se instalaría el museo de Centro Habana. Vana ilusión. Se le dio a una
empresa de confecciones textiles. Hoy la casa, desocupada, se destruye
ante la pereza y la indolencia de los que debían meter el hombro para
salvarla.

Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
http://wwwcirobianchi.blogia.com/
http://cbianchiross.blogia.com/