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lunedì 21 dicembre 2015

La Piazza e i suoi annessi, di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud Rebelde del 20/12/15


La Piazza Civica o della Repubblica, cominciò a chiamarsi in modo ufficiale Piazza della Rivoluzione José Martí, a partire del 16 luglio 1961.
A quel tempo questo spazio era circa quattro volte più piccolo di quello che si era previsto in origine e aveva percorso una strada piena di contrarietà e inconvenienti.
Lo storico Emilio Roig riferisce nel suo libro La Habana: apuntes historicos che nel 1905 l’ingegner Raúl Otero, nella sua tesi di laurea segnalò come centro della città futura una prominenza che si trovava non lontano dal Castillo del Príncipe e vicino alla calzada de Ayestarán.
In detta elevazione si ergeva allora la Ermita de Nuestra Señora de Monserrat, cappella dedicata al culto cattolico che per essere stata costruita dalla colonia catalana si conosceva popolarmente come la Ermita de los Catalanes.
Otero propose di creare lì una grande piazza nel cui centro si sarebbe eretto il Capitolio e dalla quale sarebbero partite, orientate coi quattro punti cardinali, larghe strade che l’avrebbero allacciata con i quartieri limitrofi.
Oltre dieci anni dopo di questa proposta, l’urbanista Camilo García de Castro risaltava l’importanza del luogo e nel 1922, l’ingegner Enrique J. Montelieu e l’architetto Pedro Martínez Inclàn riaffermavano il criterio di Otero e proponevano la creazione in questo luogo di un gran parco. Giunge al potere Gerardo Machado, si impegna a modernizzare l’Avana e con questo proposito porta, nel 1926, il gran urbanista francese J.C.N. Forestier che osservò da un aeroplano il territorio capitolino, fece gli studi e le misure pertinenti e con il concorso di ingegneri e architetti cubani – Raúl Otero fra di loro -, consegnò un progetto che prevedeva la Ermita dei Catalani come centro geometricvo della città.
La zona, raccomandava Forestier, doveva convertirsi in un centro civico a cui, per strade radiali e di circonvallazione, si poteva accedere da tutti i quartieri della capitale. Il progetto prevedeva la costruzione della Piazza Civica e di edifici pubblici. In realtà sarebbero state due piazze, una alta e l’altra bassa, nel centro della prima si sarebbe eretto un gran monumento a José Martí.
L’ingegner Otero, dirà poi che l’idea del monumento all’Apostolo dell’Indipendenza fu sua e non del francese.

Speculazione di terreni

A partire del 1935 cominciò a parlarsi della necessità di erigere a Martí un monumento degno della sua statura. In questa data, mediante un decreto del presidente Carlos Mendieta, si costituiva la commissione che avrebbe dato impulso all’opera e si destinava per questa un credito di mezzo milione di pesos. Il presidente Federico Laredo Brú, insistette nell’idea di costruire questo monumento e col consenso di Fulgencio Batista che come capo dell’Esercito era il padrone della nazione, si accordò di unirlo al progetto della piazza. Il monumento si sarebbe installato nello spazio occupato dall’Ermita de los Catalanes.
Quando, nel 1944, Batista cessò alla presidenza, non si era avanzato molto nel tema della piazza e nemmeno ci furono avanzamenti interessanti sotto il Governo di Ramón Grau San Martín (1944-1948). Con Carlos Prío (1948-1952) si riattivarono i progetti, ma il risultato non fu felice.
L’altezza della collina si ridusse notevolmente quando si demolì o spostò l’Ermita de los Catalanes e si realizzarono i lavori di livellamento. Con tutto ciò, questo non fu il peggio. Nel 1926, Forestier e i suoi collaboratori, assegnarono alla piazza un’area di 2.305.000 metri quadrati. Nel 1941, un altro progetto le assegnò un’area di 2.023.000 metri quadrati. Nel 1942, decreto di Batista la ridusse a 1.049.841 metri quadrati. Nel 1951, Prio la riduceva a 850.000 metri quadrati.
Si addussero ragioni di economia. Guarda caso , il bilancio della nazione era di 232 milioni di pesos – davanti agli 89 milioni del 1942 – e il bilancio del 1950 aveva lasciato un attivo di 60 milioni. Per la verità e così si denunciò, figure del Governo e del Potere Giudiziario fecero una speculazione scandalosa con i terreni che si espropriarono per la piazza.

Edifici

Nel concorso decisivo per scegliere il monumento a Martí, venne premiato iol progetto dell’architetto Aquiles Maza e lo scultore Juan José Sicre che non giunse ad essere eseguito.
Questo progetto prevedeva che attorno al monumento a Martí si erigessero vari edifici più o meno simili nel loro aspetto esteriore e che avrebbero ospitato le istituzioni ufficiali.
Questi immobili avrebbero scortato il monumento; sarebbero stati, si diceva, una guardi d’onore permanente.
Non si rispettò questo progetto e in terreni molto vicini al luogo dove si sarebbe posto il monumento a Martí, si dette inizio a edifici che per il loro stile, forma e dimensioni avrebbero contrastato col monumento rompendo la prospettiva della piazza.
Il Governo di Prío assicurò che verbbe tenuta pronta la Piazza (senza monumento a Martí) il 20 maggio del 1952, in occasione del Cinquantenario della Repubblica, maa il 10 marzo di quell’anno, Prío non era già più il Presidente.
Promesse a parte, il primo edificio che si inaugurò nella zona (1954) fu la Corte dei Conti Oggi Ministero degli Interni). Era una specie di organismo di controllo dei fondi e bilanci della Repubblica, creato dal presidente Prío in risposta alle esigenze dela Costituzione del 1940.
Si tratta di un edificio modernissimo, i cui nove piani esibiscono una gra mole di cristalli. È opera dell’architetto Aquiles Capablanca con la collaborazione di Henry Griffing e Germán Hevia e nell’anno della sua inaugurazione meritò la Medaglia d’Oro del  Collegio degli Architetti. Dopo la vittoria della Rivoluzione ospitò il recentemente creato Ministero dell’Industria e gli si aggiunse un annesso quasi uguale al corpo originale. Lì si conservano gli uffici del Comandante Ernesto Che Guevara, Ministro dell’Industria del Governo Rivoluzionario.
Tre anni dopo si inaugurava il cosiddetto Palazzo delle Comunicazioni (oggi Ministero), opera dell’architetto Ernesto Gómez Sampera, lo stesso dell’edificio Focsa.
Comunicazioni, è un edificio monoblocco che occupa un’area di 22.000 metri quadrati e consta di due corpi, uno di dieci piani e l’altro di uno, con sotterranei molto estesi.
Rappresentò un investimento di di due miloni e mezzo di pesos.
Anche del 1957 è il Palazzo di Giustizia (attuale Palazzo della Rivoluzione). L’architetto Pérez Benitoa lo progettò nel 1943, ma non fu che fino a una decade successiva quando la ditta Max Borges e figli cominciò a costruirlo. Ha una superficie coperta di 72.000 metri quadrati e occupa una perimetro di un kilometro quadrato. La facciata ha un’estensione di 350 metri e la sua scalinata di marmo, di 60 metri di larghezza, triplica quella dell’Università. È costata cinque milioni di pesos e si è costruita per ospitare, nel corpo centrale di nove piani, il Tribunale Supremo, la Procura Generale l’Auditoria e la sua procura nel corpo di destra; sette piani e nei sette piani del corpo di sinistra, i processi municipali di prima istanza e di istruzione, così come il Tribunale Superiore Elettorale. Tra il 1964 e ’65 l’architetto Antonio Quintana Simonetti fece grandi trasformazioni all’edificio per adattarlo a Palazzo della Rivoluzione.

La lotteria e il teatro

La prima pietra dell’edificio della Biblioteca Nazionale si collocò nel 1952, ma l’immobile opera degli architetti Govantes e Cabarrocas, si inaugurò nel febbraio 1958. Ha dietro di sé una storia curiosa.
Quando cominciò a costruirsi, senza nessuna visione urbanistica, questo edificio così vicino al monumento a Martí, gli chiudeva la prospettiva.
Quando si erani già investiti oltre cento mila pesos, l’opera dovette essere paralizzata per reiniziarla nel suo sito attuale.
Il Ministero dell’Economia occupa l’edificio che si era destinato originariamente ai Redditi della Lotteria. La Rivoluzione lo convertì nella sede dell’Istituto Nazionale del Risparmio e Case, presieduto da Pastorita Nuñez che in solo due anni edificò e consegnò “chiavi in mano” 8.500 abitazioni. Separat dalla piazza, sul lato sud della collina del Principe, il Ministero delle Opere Pubbliche (della Costruzione) occupò quella che sarebbe stata la sede del Banco de Fomento Agricola e Industrial de Cuba (Banfaic) che si terminò di edificare nel settembre del 1959. Il Teatro Nacional, opera dell’architetto Nicolás Arroyo, tardò molto di più ad essere terminato.
Cominciò a costruirsi negli anni ’50 e si concluse alla vigilia delle celebrazioni, all’Avana, del Vertice dei Paesi non Allineati, nel 1979.
Una delle edificazioni di maggior altezza della città, è l’edificio del Ministero delle Forze Armate. Ha 24 piani e misura 94 metri dalla base. Sarebbe stata destinata a Municipio dell’Avana. La vittoria della Rivoluzione cambiò la sua destinazione. Gli si dette il nome di Sierra Maestra e vi si installarono gli uffici dell’Istituto Nazionale per la Riforma Agraria, presieduto da Fidel.

Strade

Fino al 1946, Boyeros arrivava fino alla Calzada del Cerro e Paseo fino a Zapata. Fu quest’anno quando si tracciò l’avenida 20 di Maggio per facilitare l’accesso allo stadio del Cerro e a questo quartiere popolato.
In questa stessa epoca, l’avenida 26 si estese fino a Boyeros, dove incrociò anche la via Blanca. Nel 1950, Santa Catalina si prolungò da Boyeros fino a oltre la calzada di 10 de Octubre e l’avenida Acosta uscì da Dolores fino a connettersi con San Miguel e Camagüey per arrivare a Boyeros. Da Boyeros uscì Vento costeggiando il canale di Albear fino a Santa Catalina. Il Terminal degli Omnibus prestò servizio dal 1952.

E il monumento?

Nel concorso definitivo per selezionare il progetto del monumento a Martí (quarto e ultimo concorso, 1943) risultò premiato, come si disse sopra, quello dell’architetto Aquiles Maza e lo scultore Juan José Sicre.
Al secondo posto venne selezionato quello degli architetti Govantes e Cabarrocas. Il terzo posto lo occupò quello degli architetti e ingegneri Varela, Labatut, Raúl Otero, Manuel Tapia Ruano e lo scultore Alexander Sambugnac.
Siccome il monumento che si sarebbe elevato era quello di Maza-Sicre, si suggerì che il progetto di Govantes-Cabarrocas si erigesse come Biblioteca Nazionale e quello di Varela si adattasse per il monumento a Carlos Manuel de Céspedes.
Ma, nel 1952, si decise di erigere quello di Varela, ministro delle Opere Pubbliche dell’allora dittatore Batista. Questo motivò la protesta del Collegio degli Architetti che reclamò in quanto quello scelto per essere eretto doveva essere quello di Maza-Sicre. Ma Sicre accettò di scolpire la statua seduta dell’Apostolo che si aggiunse al progetto di Varela che originalmente non l’aveva e che oggi è quella che c’è nella Piazza. Da parte sua, la Giunta dei Patroni della Biblioteca Nazionale decise di portare alla realizzazione, con fondi propri, il progetto Govantes-Cabarrocas, al fine di installarla nella Biblioteca.

Paradossalmente, l’unico monumento che non si costruí fu quello del progetto che venne premiato nel concorso.

La Plaza y sus lugares
Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
19 de Diciembre del 2015 22:04:42 CDT

La Plaza Cívica o de la República comenzó a llamarse de manera oficial Plaza de la Revolución José Martí a partir del 16 de julio de 1961.
Para entonces, dicho espacio era unas cuatro veces menor de lo que se planteó en sus orígenes y había recorrido un camino lleno de contrariedades e  inconvenientes.
Refiere el historiador Emilio Roig en su libro La Habana: apuntes históricos, que en 1905 el ingeniero Raúl Otero en su tesis de grado señaló como centro de la ciudad futura una eminencia que se localizaba no lejos del Castillo del Príncipe y cerca de la Calzada de Ayestarán.
En dicha elevación se alzaba entonces la Ermita de Nuestra Señora de Montserrat, capilla dedicada al culto católico y que por haber sido construida por la colonia catalana se le conocía popularmente como Ermita de los Catalanes.
Otero propuso crear allí una gran plaza en cuyo centro se erigiría el Capitolio y de la que partirían, orientadas hacia los cuatro puntos cardinales, sendas avenidas que la enlazarían con los barrios colindantes.
Más de una década después de esa propuesta, el urbanista Camilo García de Castro resaltaba  la importancia del lugar, y en 1922 el ingeniero Enrique J. Montoulieu y el arquitecto Pedro Martínez Inclán reafirmaban el criterio de Otero y proponían la creación en ese sitio de un gran parque. Llega Gerardo Machado al poder, se empeña en modernizar La Habana y, con ese propósito, trae en 1926  al gran urbanista francés J. C. N. Forestier, quien observó desde un aeroplano el territorio capitalino, hizo los estudios y las mediciones pertinentes y, con el concurso de arquitectos e ingenieros cubanos —Raúl Otero, entre ellos—, entregó un proyecto que situaba a la Ermita de los Catalanes como centro geométrico de la ciudad.
La zona, recomendaba Forestier, debía convertirse en un centro cívico al que por avenidas radiales y de circunvalación podría accederse desde todos los barrios de la capital. El plan contemplaba la construcción de la Plaza Cívica y de edificios públicos. Serían en verdad dos plazas, una alta y otra baja, y en el centro de la primera se erigiría un gran monumento a José Martí.
El ingeniero Otero diría después que la idea del monumento al Apóstol de la Independencia fue suya y no del francés.

Especulación de terrenos

A partir de 1935 comenzó a hablarse de la necesidad de erigir a Martí un monumento digno de su estatura. En esa fecha, mediante un decreto del presidente Carlos Mendieta se constituía la comisión que impulsaría la obra y se destinaba para ella un crédito de medio millón de pesos. El presidente Federico Laredo Brú insistió en la idea de construir ese monumento y con el consentimiento de Fulgencio Batista que, como jefe del Ejército, era el amo de la nación, se acordó fusionarlo con el proyecto de la plaza. El monumento se emplazaría en el sitio ocupado por la Ermita de los Catalanes.
Entre 1938 y 1942 se libraron varias convocatorias a concurso para la elección del monumento, y el ya presidente Batista, en aras de la utilidad pública del proyecto, dispuso  mediante decretos la expropiación de terrenos colindantes que se hallaban en manos de particulares.
Cuando en 1944 Batista cesó en la     presidencia no se había avanzado
mucho en el tema de la plaza, y tampoco hubo avances de interés bajo el Gobierno de Ramón Grau San Martín (1944-1948). Con Carlos Prío
(1948-l952) se reactivaron los proyectos, pero el resultado no fue feliz.
La altura de la colina se redujo notablemente cuando se demolió o desplazó la Ermita de los Catalanes y se realizaron las tareas de nivelación. Con todo, eso no fue lo peor.
En 1926, Forestier y sus colaboradores asignaron a la plaza un área de
2 305 000 metros cuadrados. En 1941, otro proyecto le asignó un área de 2 023 000 metros cuadrados. En 1942, un decreto de Batista la redujo a 1 049 841 metros cuadrados. En 1951, Prío la reducía a 580 000 metros cuadrados.
Se adujo razones de economía. Sin embargo, el presupuesto de la nación en 1951 era de 232 millones de pesos  —frente a los 89 millones de 1942— y el presupuesto de 1950 había dejado un superávit de 60 millones. En verdad, y así se denunció, figuras del Gobierno y del Poder Judicial acometieron una especulación escandalosa con los terrenos que se expropiaron para la plaza.

Edificios

En el concurso definitivo para seleccionar el monumento a Martí fue premiado el proyecto del arquitecto Aquiles Maza y el escultor Juan José Sicre, el que no llegó a ejecutarse.
Ese proyecto contemplaba que en torno al monumento a Martí se erigiesen varios edificios, más o menos similares en su aspecto exterior y que albergarían a las instituciones oficiales. Esos inmuebles escoltarían al monumento; serían, se dijo, una guardia de honor permanente.
No se respetó ese proyecto y en terrenos muy próximos al lugar donde se ubicaría el monumento a Martí, se acometió la construcción de edificios que por su estilo, forma y dimensiones contrastarían con el monumento y romperían la perspectiva de la plaza.
El Gobierno de Prío aseguró que tendría lista la Plaza (sin el monumento a Martí) el 20 de mayo de 1952, en ocasión del Cincuentenario de la República. Pero el 10 de marzo de ese año, Prío no era ya el Presidente.
Promesas aparte, el primer edificio que se inauguró en la zona (1954) fue el del Tribunal de Cuentas (ahora, Ministerio del Interior). Era una especie de organismo auditor de los fondos y presupuestos de la República creado por el presidente Prío en respuesta a una exigencia de la Constitución de 1940.
Se trata de un edificio modernísimo, cuyos nueve pisos remedan una mole de cristal. Es obra del arquitecto Aquiles Capablanca con la colaboración de Henry Griffing y Germán Hevia, y mereció en el año de su inauguración, la Medalla de Oro del Colegio de Arquitectos. Tras el triunfo de la Revolución albergó el recién creado Ministerio de Industrias y se le agregó un anexo casi igual al cuerpo original. Allí se conservan las oficinas del Comandante Ernesto Che Guevara, ministro de Industrias del Gobierno Revolucionario.
Tres años después se inauguraba el llamado Palacio de las Comunicaciones (hoy, Ministerio), obra del arquitecto Ernesto Gómez Sampera, el mismo del edificio Focsa. Comunicaciones es un edificio monobloque que ocupa un área de 22 000 metros cuadrados y consta de dos cuerpos, uno de diez pisos y otro, de uno, con sótanos muy extendidos. Representó una inversión de dos millones y medio de pesos.
También de 1957 es el Palacio de Justicia (actual Palacio de la Revolución). El arquitecto Pérez Benitoa lo proyectó en 1943, pero no fue hasta una década después que la firma de Max Borges e hijos comenzó a ejecutarlo. Tiene una superficie de fabricación de 72 000 metros cuadrados y ocupa un perímetro de un kilómetro cuadrado. La fachada tiene una extensión de 350 metros y su escalinata, de mármol, de 60 metros de ancho, triplica la de la Universidad. Costó cinco millones de pesos y se construyó para albergar, en el cuerpo central de nueve pisos, el Tribunal Supremo y la Fiscalía General; la Audiencia y su fiscalía en el cuerpo de la derecha; siete pisos, y en los siete pisos del cuerpo de la izquierda, los juzgados municipales, de primera instancia y de instrucción, así como el Tribunal Superior Electoral. Entre 1964 y 1965 el arquitecto Antonio Quintana Simonetti hizo grandes transformaciones al edificio para adaptarlo a Palacio de la Revolución.

La lotería y el teatro

La primera piedra del edificio de la Biblioteca Nacional se colocó en 1952, pero el inmueble, obra de los arquitectos Govantes y Cabarrocas, se inauguró en febrero de 1958. Tiene detrás una historia curiosa.
Cuando comenzó a construirse, sin visión urbanística alguna, este edificio tan cerca del monumento a Martí, le cerraba la perspectiva.
Cuando ya se habían invertido más de cien mil pesos, la obra debió ser paralizada para reiniciarla en su emplazamiento actual.
El Ministerio de Economía ocupa el edificio que se destinó originalmente a Renta de Lotería. La Revolución lo convirtió en la sede del Instituto Nacional de Ahorro y Vivienda, presidido por Pastorita Núñez, que en solo dos años edificó y entregó «llave en mano» 8 500 viviendas. Apartado de la plaza, al lado sur de la loma del Príncipe, el Ministerio de Obras Públicas (de la Construcción) ocupó la que hubiera sido la sede del Banco de Fomento Agrícola e Industrial de Cuba (Banfaic) que se terminó de edificar en septiembre de 1959. El Teatro Nacional, obra del arquitecto Nicolás Arroyo, demoró mucho más en terminarse. Comenzó a construirse en los años 50 y se concluyó en vísperas de la celebración en La Habana de la Cumbre de los Países No Alineados, en 1979.
Una de las edificaciones de mayor altura en la ciudad es el edificio del Ministerio de las Fuerzas Armadas. Tiene 24 pisos y mide 94 metros desde los cimientos. Se destinaría a Alcaldía de La Habana. El triunfo de la Revolución cambió su destino. Se le dio el nombre de Sierra Maestra y allí se instalaron las oficinas del Instituto Nacional de la Reforma Agraria presidido por Fidel.

Calles

Hasta 1946, Boyeros llegaba hasta la calzada del Cerro y Paseo hasta Zapata. Fue en ese año cuando se trazó la avenida de 20 de Mayo para facilitar el acceso al Estadio del Cerro y a esa populosa barriada.
Por esa misma época, la avenida 26 se extendió hasta Boyeros, donde también entroncó la Vía Blanca. En 1950 Santa Catalina se prolongó desde Boyeros hasta más allá de la calzada del 10 de Octubre, y la Avenida de Acosta salió de Dolores hasta conectarse con San Miguel y Camagüey para llegar a Boyeros. De Boyeros salió Vento y bordeó el Canal de Albear hasta Santa Catalina. La Terminal de Ómnibus prestó servicios desde 1952.

¿Y el monumento?

En el concurso definitivo para seleccionar el proyecto del monumento a Martí (cuarto y último concurso, 1943) resultó premiado, como se dijo antes, el del arquitecto Aquiles Maza y el escultor Juan José Sicre.
En segundo lugar, resultó seleccionado el de los arquitectos Govantes y Cabarrocas. Ocupó el tercer lugar el de los arquitectos e ingenieros  Varela, Labatut, Raúl Otero, Manuel Tapia Ruano y el escultor Alexander Sambugnac.
Como el monumento que se acometería era el de Maza-Sicre, se sugirió que el proyecto de Govantes-Cabarrocas se erigiese como Biblioteca Nacional, y el de Varela se adaptase para monumento a Carlos Manuel de Céspedes.
Pero en 1952, se decidió que se erigiera el de Varela, ministro de Obras Públicas del entonces dictador Batista. Esto motivó la protesta del Colegio de Arquitectos, que reclamó que el escogido para erigirse era el de Maza-Sicre. Pero Sicre aceptó esculpir la estatua sedente del Apóstol que se adicionó al proyecto de Varela y que originalmente no tenía, y que es la que está hoy en la Plaza. Por su parte, la Junta de Patronos de la Biblioteca Nacional decidió llevar a la realidad, con fondos propios, el proyecto Govantes-Cabarrocas, a fin de instalar la Biblioteca.
Paradójicamente, el único monumento que no se construyó fue el del proyecto que resultó premiado en el concurso.

Ciro Bianchi Ross


domenica 20 dicembre 2015

Tomás Milián, un anno dopo il ritorno

Un anno dopo averlo riportato a Cuba dopo circa un sessantennio di assenza dal suo Paese natale, l’architetto Marini vice presidente della IXCO e produttore del film “The cuban Hamlet”, è andato a trovare Tomás Milián nella sua casa di Miami Beach. Una breve visita, ma sufficiente per portare alcune fotografie dell’attore nella sua casa dove, fra i molti ricordi campeggia solo un unico manifesto dei film interpretati da Tomás: quello di “Tepepa”, forse il personaggio in cui si identifica di più, dopo Nico Giraldi? Fra le foto dei muri che rappresentano un hobby di Milián e altri oggetti artistici campeggia, in camera da letto una statuina fatta da lui stesso a cui ha dato il nome, con un gesto tipico della religione cubana ove si mischia il sacro col profano, di “Nuestra Señora de la Basura”, ovvero Nostra Signora della Monnezza, a ricordo perenne del personaggio che si era inventato e lo ha reso popolarissimo, dopo una carriera "impegnata", dandogli anche un supporto economico da non disprezzare.
Tomás ha ribadito di aver compiuto un gesto liberatorio dai fantasmi di un passato anche tragico e dichiarato di non escludere di tornare all’Avana, magari senza impegni di lavoro.

Ringrazio, l’amico Marco per la gentile concessione delle foto e il permesso di pubblicarle.





sabato 19 dicembre 2015

Presentata la storia dell'automobile a Cuba



Presentato dal dottor Claudio Izquierdo, sociologo, scrittore e regista, il libro “Historia y pasión del automóvil en Cuba”, di Marcelo Israel Gorajuría Marichal, naturalmente giunto a bordo di auto d’epoca, pluripremiata. Per la precisione una Ford modello A del 1930.
Un libro ricco di testo, documenti, statistiche e sopratutto di immagini che fanno rivivere la storia dell’automobilismo cubano, sportivo e non, fin dall’arrivo della prima quattroruote nel 1898, proveniente dalla Francia e di marca rimasta sconosciuta: La Parisienne. Probabilmente un prodotto artigianale.
Nella raccolta di dati e documentazione non potevano mancare  le citazioni dei Gran Premi dell’Avana del 1957 e 1958 nel quale il pilota argentino pluricampione del mondo con Maserati e Ferrari, Juan Manuel Fangio, fu il grande assente in quanto venne rapito da giovani rivoluzionari ai quali è poi rimasto legato da amicizia, poche ore prima dell’inizio della gara. Non manca nemmeno il Gran Premio dell Stelle del 1997, organizzato grazie all’impulso organizzativo del comune amico Sergio Terni, all’epoca presidente e fondatore della TES (Turismo Specializzato a Cuba), nel quale hanno partecipato diversi campioni del Mondo di Formula 1 che si sono cimentati, per l’occasione in una gara di karting. 
La storia, non conlusa, racconta poi della fondazione del club di auto d'epoca "A lo cubano", di cui l'autore del libro è stato uno degli artefici e i flash sulle recenti visite di Stirlig Moss e Jean Todd.
Ho visto crescere questo libro fin dalla sua gestazione la passione e la dedizione posta nel lavoro, lungo e meticoloso dal suo autore a cui mi lega un’amicizia quasi quarantennale. L’edizione, peraltro molto curata, viene un po’ penalizzata dalla mancata pubblicazione in colore di molte immagini che lo sono nell’originale, specie le più recenti e le riproduzioni dei marchi dei fabbricanti.

Vadano i complimenti e gli auguri all’autore per questo suo terzo volume che, per il sottoscritto, è indubbiamente superiore agli altri due e che merita di trovare edizioni, magari tradotte in atre lingue per altri Paesi, dove gli si possa dare una veste editoriale ancora più ricca e completa. 



MSC Opera inizia la stagione invernale 2015/16 ai Caraibi





Con un arrivo a sorpresa, anticipato di cinque ore sull’orario previsto, è arrivata nel porto dell’Avana la nave da crociera MSC Opera che è la più grande che sia giunta nella baia di Carenas. Il primato precedente forse fu nel 1983, anno in cui attraccò la Eugenio C. A differenza di questa che fu di passaggio nel suo giro del mondo, la Opera si ferma per tutta la stagione invernale iniziando il 22 con le crociere a base settimanale che partono dal porto avanero e toccando la Giamaica, le isole Cayman e lo Yucatan, vi fanno ritorno fino al 12 aprile quando la nave tornerà in Europa con una maxi crociera che toccherà: Giamaica, Antille Olandesi, Aruba e Barbados per poi traversare l’Atlantico giungendo in Spagna, Portogallo, Francia, Inghilterra, Danimarca, per finire Warnemunde (Germania) dopo ben 26 giorni e 25 notti di viaggio.







venerdì 18 dicembre 2015

Arrivano i voli commerciali U.S.A.

Ieri, a Washington, è stato firmato un memorandum d'intesa per il ristabilimento dei voli commerciali tra i due Paesi che dovrebbero iniziare in un lasso di tempo compreso fra i tre e i sei mesi. Un'altra barriera che cade. In tempi relativamente brevi chiunque, escluso i turisti nordamericani, potrà usufruire di collegamenti fra le due nazioni. per il momento le altre norme rimangono, seppure alleggerite con il "decreto Obama" che permette una maggior frequentazione di cittadini statunitensi di Cuba con motivi extra turistici.

martedì 15 dicembre 2015

La porta segreta di Batista, di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud Rebelde del 13/12/15

Nella storia di Cuba non manca una porta segreta quando non appare un tunnel o un passaggio mimetizzato da un armadio. Sembra che abbiamo visto troppe pellicole, come quelle di Zorro nelle quali, il soggetto col suo abito di tutti i giorni, si infilava in un camino e riappariva a cavallo e mascherato, da una cascata che riusciva ad attraversare senza che l’acqua gli bagnasse nemmeno il cappello. Zorro “mascherato e fuggiasco” come si diceva in quella serie di avventure delle sette e mezza di sera e che andavano in onda in diretta, con Julito Martínez e Jorge Sosías, ai tempi in cui la televisione era un cassone di legno.
Si parla di un tunnell che allaccia l’antico Palazo Presidenziale – oggi Museo della Rivoluzione – col Capitolio. Di quello che unisce la residenza dell’ex presidente Ramón Grau San Martín, nella quinta Avenida tra 12 e 14 a Miramar, con una casa della calle Tercera.
Del corridoio sotterraneo che porta dalla casa di Orestes Ferrara – attuale Museo Napoleonico – in San Miguel e Ronda, fino alla costa. Del passaggio segreto che corre tra il castello di Averhoff a Mantilla e il vecchio castello di Atarés, all’altro lato della città!
Se si visita Kuquine, la tenuta di riposo di Fulgencio Batista, qualcuno parlerà del passaggio sotto terra che unisce la casa del suddetto con la residenza del generale Roberto Fernández Miranda, cognatissimo del dittatore, a un kilometro di distanza dalla tenuta medesima. E non mancherà la menzione di un altro tunnel che se esistesse, sarebbe il più spettacolare dell’epoca: quello che unisce Kuquine con la città militare di Columbia, a circa 15 km. di distanza.
Il curioso di tutto ciò è che c’è sempre qualcuno che assicura di aver visto questi corridoi e di averci camminato, ma non danno mai l’ubicazione esatta della casa dove sbocca il tunnel di Grau né la parte della costa dove si apre quello di Ferrara. Non spiegano nemmeno il senso che avrebbe un passaggio segreto tra il Palazzo Presidenziale e il Capitolio né se Batista, da Kuquine, avrebbe percorso il tratto che lo separava dal campo di Columbia a piedi, cavallo o in bicicletta. Su ciò ci sono confessioni patetiche, come di quella persona che garantì allo scriba di aver scoperto il tunnel di Ferrara solo nel comprovare che un cancello con grosse sbarre di ferro lo chiudeva sotto l’intersezione di Infanta e San Lázaro. Se questo era certo, come sapeva che arrivava alla costa?
Si è parlato molto di questi tunnel. Ma niente ha fatto correre l’immaginazione come la cosiddetta porta segreta di Batista.

L’oroscopo dell’anno

Il mercoledì 13 marzo del 1957, un commando del Directorio Revolucionario assalì il Palazzo Presidenziale con l’intenzione di giustiziare il dittatore Fulgencio Batista. Diversi di questi giovani salirono al secondo piano e penetrarono nello studio ufficiale del presidente, ma l’ufficio era deserto. Si parlò in seguito di una porta segreta che si apriva in una scala che conduceva alle stanze private di Batista, al terzo piano. Fu questa porta che si trova nel breve corridoio che unisce lo studio col salone di riunione del Consiglio dei Ministri e che era allora nascosta da una tenda di velluto rosso, quella che permise al dittatore, dissero gli assaltanti, di fuggire miracolosamente. Aggiunsero che pur sapendo di un passaggio segreto, non poterono trovarlo e che il medesimo non era riportato nei disegni del Palazzo che avevano potuto reperire.
L’etnologa Natalia Bolívar, studiosa di religioni di origine africana, assicura che la fuga di Batista quel 13 di marzo, si relaziona con la cerimonia che nella santeria si conosce come “l’oroscopo dell’anno”, nella quale un gruppo di babalaos predice i fatti a venire e l’orisha che governerà in quel periodo. Natalia precisa che il segno reggente nel 1957 era Obbara Meyi che indica che il re deve cercare costantemente un’uscita, un’uscita segreta. Fu allora, ribadisce Natalia che Batista fece costruire non uno, ma tre passaggi segreti. Quello del Palazzo; quello di Kuquine e un’altro nella casa presidenziale di Columbia.
Victor Betancourt, altro studioso di religioni afrocubane, non è d’accordo con la famosa autrice di Los orishas en Cuba  e afferma che l’oroscopo vigente quell’anno era Odí Iká, segno che allude a un governante che sarà attaccato ddai suoi nemici.
Natalia menziona il foglietto intitolato Los babalaos tenían razón pubblicato, secondo lei,dalla rivista Bohemia in quella data e nella quale si appoggia la sua versione. Detto opuscolo non appare in nessuna biblioteca cubana né della Florida. Un altro studioso del tema, Abel Sierra Madero, scrive in un articolo che in nessuna delle cronache che si pubblicarono al momento dell’assalto al Palazzo, si fa menzione dell’oroscopo dell’anno e nemmeno della porta segreta.
Quanto era segreta davvero questa porta?

Changò gira le spalle al generale

Si suppone che Batista fece costruire la porta in questione quando, nel gennaio 1957, si fecero conoscere i risultati dell’oroscopo dell’anno e che il 13 marzo successivo fosse già pronta. Il capitano Alfredo J. Sadulé, l’unico dei sei aiutanti presidenziali di Batista che è ancora vivo, in una lunga conversazione che abbiamo avuto a Miami alla fine del 2014 smentì l’esistenza di queste tre porte segrete e negò che quella del palazzo fosse stata costruita da Batista “almeno negli anni ‘50”. Precisò che il dittatore si serviva di questa porta quando voleva entrare o uscire dallo studio senza che lo vedessero, ma che abitualmente usava l’ascensore.
Batista seppe, all’inizio di gennaio delle minacce che gravavano su di lui in quel 1957? Conobbe e prese sul serio le previsioni dei babalaos?
Nella sua infanzia ebbe un’educazione protestante e già nel suo esilio in Spagna, dopo la morte a 19 anni di suo figlio Carlos Manuel, sembrò inclinarsi verso il cattolicesimo. Però si dice, anche se non si è potuto comprovare che ricevette la mano di Orula ed era figlio di Changó.
In una cronaca su Kuquine pubblicata su Bohemia – Edicción de la Libertad – il giornalista insiste nell’affermare che vide nella casa principale della tenuta, altari di santeria con chiocciole, zampe di gallo, e pannocchie di granoturco, ma...nelle sue pagine non c’è una sola foto che avalli l’affermazione.
Sempre su Bohemia, il 24 maggio del 1959, un’altro servizio con il titolo di Io sono stato lo stregone di Batista, firmato da Guillermo Villaronda, rende nota l’esistenza di Chano Betongó, una relazione che se fosse vera, si era tenuta nascosta per diversi anni.
Secondo Villaronda, Batista fu a “consultarsi” con Betongó che risiedeva al Calvario, quando era ancora un oscuro sergente. Il soggetto invocò Changó per predire il futuro del suo cliente Batista avrebbe percorso un cammino lungo e tranquillo, anche se alla fine lo attendeva “un mare immenso, agitato dall’uragano, spesso e rosso”. Era un mare che cominciava in “una riva d’oro” e finiva per unirsi a un cielo di un rosso più vivo di quello del sangue. Batista sarebbe arrivato alla fine di questo cammino, ma dipendeva da lui farlo felicemente. Non doveva nemmeno arrivare alla fine, quando poteva fermarsi all’ombra di un albero e ricevere il saluto affettuoso dei passanti. Poco dopo, Betongó, venne a sapere che quel soggetto dai capelli lisci, pelle da indio e con le narici dilatate era stato protagonista, il 4 settembre del 1933, del colpo di Stato contro il presidente Céspedes.
Batista convocò Betongó a Kuquine, prima delle elezioni generali del 1952. Voleva sapere se avesse conquistato la presidenza della Repubblica. Non coi voti, rispose Betongó, ma qualcosa si poteva realizzare se si sacrificavano un vitello e un cervo. Batista fu d’accordo e nella tenuta si fecero i sacrifici. Ci fu un’altra convocazione. Questa volta Betongó entrò a Palazzo. I venti che guarivano lo spirito di Batista si stavano allontanando, per contrastare le avversità lo stregone sacrificò, nel medesimo studio presidenziale, vari galli neri e un porcellino.  Ciò nonostante non era sufficiente e raccomandò inoltre di prendere la terra delle sei province e quindi di ricoprire galli e galline con molto miele. Disse a Bohemia: “Io volevo rimuovere la coscienza di Changó, ma non fu possibile”. A partire da lì tutto andò crollando. Il dittatore chiamò Betongó dopo le elezioni spurie del 1954. Questa volta la sua sentenza fu lapidaria. Le strade di batista erano chiuse “vicino al mare dalle acque rosse” una mare che finirebbe inghiottendolo. Non c’era già salvezza possibile. Disse Betongó: “Changó girava le spalle al generale”.
Elogiato da Juan Ramón Jiménez e da Pablo Neruda, Guillermo Villaronda era un poeta, il suo libro Hontanar meritò il Premio Nazionale di Poesia nel 1937. La cronaca citata, a giudizio dello scriba, ha più della poesia che della realtà. Accettiamo che un intervistatore colorisca in qualche modo il linguaggio del suo intervistato, ma il linguaggio di Betongó non è quello di un letterato, cosa che mette in crisi la credibilità del testo di Villaronda, a parte che sacrificare un porcellino nello studio ufficiale dei presidenti cubani è qualcosa di inconcepibile. Per fortuna, allora, non si parlava ancora della porta segreta, se no Betongó avrebbe avuto qualcosa da dire al rispetto. Alcuni anni or sono ho cercato di rintracciare Chano Betongó al Calvario; non lo conosceva nessuno.
Non se lo ricorda nemmeno il capitano Sadulé. Mentre pranzavamo, invitati da Max Lesnik, presidente dell’Alleanza Martiana, nel miglior ristorante di cucina spagnola di Miami, l’aiutante presidenziale negava con enfasi qualunque relazione di Batista con le religioni di origine africana. “Marta, sua moglie ne aveva terrore”, disse mentre degustava un piatto di riso nero. Rivela peraltro che nel 1954 alla vigilia delle elezioni, il dittatore consultò uno spiritista. Poi non tornò a vederlo, ma alla fine del 1956 Sadulé si imbatté casualmente con lui. Gli disse che presentiva che il palazzo sarebbe stato assaltato e che per 13 pesos avrebbe fatto un amuleto a lui e a suo padre, membro della scorta di Batista. Sadulé chiese a suo padre se dovevano dirlo al presidente, ma accordarono di non farlo.
Sierra Madero dice, anche se non ha potuto confermarlo che il “padrino” di Batista fu Bernardo Rojas, sacerdote di Ifá molto rispettato. Aggiunge che fu lui, anche se nemmeno questo ha potuto confermarlo, che fece la previsione dell’assalto al Palazzo. Quel 13 di marzo il dittatore non scappò da una porta segreta. Non  poteva farlo, semplicemente perché non era nello studio ufficiale. Salvo eccezioni, non scendeva al secondo piano prima delle cinque del pomeriggio. Quel giorno, all’ora dell’assalto, si preparava a pranzare al terzo piano con Marta e Andrés Domingo, segretario della Presidenza. Ma esisteva quella porta?
“Oltre mezzo secolo dopo, risulta difficile stabilire con certezza che e quando si costruì la porta, e meno ancora se fu costruita a seguito di qualche previsione religiosa”, scrive Sierra Madero. Indubbiamente la risposta è semplice.
Questa porta non ebbe mai niente di segreto. Era lì fin dalla costruzione del Palazzo Presidenziale e nella stessa posizione, si ripete al primo piano dell’edificio. La usò Batista così come la usarono i suoi predecessori dal presidente Menocal e continuarono ad usarla quelli che gli succedettero.



La puerta secreta de Batista
Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
12 de Diciembre del 2015 21:43:18 CDT

En la historia de Cuba no falta una puerta secreta cuando no aparece un túnel o pasadizo disimulado por un escaparate. Parece que hemos visto demasiadas películas, como aquellas del Zorro en las que el sujeto, con su atuendo de calle, se escabullía por una chimenea y reaparecía, a caballo y disfrazado, por una cascada que lograba atravesar sin que el agua le mojara siquiera el sombrero. El Zorro «enmascarado y fugitivo», como se decía en aquellas Aventuras de las siete y treinta de la tarde, que salían al aire en vivo, con Julito Martínez y Jorge Sosías, en tiempos en que la TV era de palo.
Se habla del túnel  que enlaza el antiguo Palacio Presidencial —hoy Museo de la Revolución— con el Capitolio. Del que conecta la residencia del ex presidente Ramón Grau San Martín, en Quinta Avenida entre 12 y 14, en Miramar, con una casa de la calle Tercera. Del corredor subterráneo que lleva desde la casa de Orestes Ferrara —actual Museo Napoleónico—, en San Miguel y Ronda, a la costa. Del pasadizo que corre entre el castillo de Averhoff, en Mantilla, y el viejo castillo de Atarés, ¡al otro lado de la ciudad!
Si se visita Kuquine, la finca de descanso de Fulgencio Batista, alguien le hablará del paso bajo tierra que une la casa de vivienda del predio con la residencia del general Roberto Fernández Miranda, cuñadísimo del dictador, a un kilómetro de distancia en la propia finca. Y no faltará la mención de otro túnel que, de existir, sería el más espectacular de la época: el que conecta Kuquine con la Cuidad Militar de Columbia, a unos 15 kilómetros de distancia.
Lo curioso de todo esto es que siempre hay alguien que asegura haber visto esos corredores y haber caminado por ellos, pero nunca dejan claro la ubicación exacta de la casa donde desemboca el túnel de Grau ni el lugar de la costa donde se abre el de Ferrara. Tampoco explican el sentido que tendría un paso secreto entre el Palacio Presidencial y el Capitolio ni si Batista, desde Kuquine, recorrería el tramo que lo separaba del campamento de Columbia a pie, a caballo o bicicleta. Hay en esto confesiones patéticas, como la de la persona que aseguró al escribidor haber descubierto el túnel de Ferrara solo para comprobar que una reja de gruesos barrotes lo cerraba bajo la intersección de Infanta y San Lázaro. Si eso era así, ¿cómo supo entonces que llegaba a la costa?
Mucho se ha hablado sobre esos túneles. Pero nada ha hecho correr tanto la imaginación  como la llamada puerta secreta de Batista.

La letra del año

El miércoles 13 de marzo de 1957, un comando del Directorio Revolucionario asaltó el Palacio Presidencial con la intención de ajusticiar al dictador Fulgencio Batista. Varios de esos jóvenes subieron al segundo piso y penetraron en el despacho oficial del mandatario, pero la oficina estaba desierta. Se habló después de una puerta secreta que se abría a una escalera que conducía a las habitaciones privadas de Batista, en la tercera planta. Fue esa puerta, que se halla en el breve pasillo que une el despacho con el salón de reuniones del Consejo de Ministros, y que estaba entonces disimulada por una cortina de terciopelo rojo, la que permitió al dictador, dijeron los asaltantes,  escapar milagrosamente. Añadieron que aunque sabían de un pasadizo secreto, no pudieron hallarlo y que el mismo no aparecía reflejado en los planos del Palacio que habían podido allegar.
La etnóloga Natalia Bolívar, estudiosa de las religiones de origen africano, asegura que la huida de Batista aquel 13 de marzo se relaciona con la ceremonia que en la santería se conoce como «la letra del año», en la que un grupo de babalaos predice los sucesos venideros  y el orisha que gobernará  en el período. Precisa Natalia que el signo regente  en 1957 fue Obbara Meyi, que indica que el Rey debe buscar constantemente una salida, una salida oculta. Fue entonces, recalca Natalia, que Batista hizo construir no uno, sino tres escapes secretos. El de Palacio; el de Kuquine y otro más en la casa presidencial de Columbia.
Víctor Betancourt, otro estudioso de las religiones afrocubanas, no coincide con la célebre autora de Los orishas en Cuba y afirma que la letra vigente en ese año fue Odí Iká, signo que alude a un gobernante que será atacado por sus enemigos.
Natalia menciona el folleto titulado Los babalaos tenían razón, publicado, según ella, por la revista Bohemia en esa fecha y en el que apoya su versión. Dicho opúsculo no aparece en ninguna biblioteca cubana ni de Florida. Otro estudioso del tema, Abel Sierra Madero, escribe en un artículo que en ninguno de los reportajes que en su momento se publicaron sobre el asalto a Palacio se menciona la letra del año ni tampoco la puerta secreta.
¿Cuán secreta era en verdad esa puerta?

Changó da la espalda al general

Se ha sugerido que Batista mandó a construir la puerta en cuestión cuando en enero de 1957 se dieron a conocer los resultados de la letra del año y que ya estaba lista el 13 de marzo siguiente. El capitán Alfredo J. Sadulé, el único de los seis ayudantes presidenciales de Batista que aún vive, en una larga conversación que sostuvimos en Miami a fines del año 2014 desmintió la existencia de esas tres salidas secretas y negó que la de Palacio fuese construida por Batista «al menos en los años 50». Precisó que el dictador se valía de  esa puerta cuando quería entrar o salir del despacho sin que lo vieran, pero que usualmente utilizaba el ascensor.
¿Supo Batista, a inicios de enero, de las amenazas que lo asechaban en aquel 1957? ¿Conoció y tomó en serio las predicciones de los babalaos?
Tuvo en su infancia una formación protestante, y ya en su exilio en España, luego de la muerte, con 19 años, de su hijo Carlos Manuel, pareció inclinarse hacia el catolicismo. Pero se dice, aunque no ha podido comprobarse, que recibió la mano de Orula y era hijo de Changó.
En un reportaje gráfico sobre Kuquine publicado en Bohemia —Edición de la Libertad— el periodista insiste en afirmar que vio en la casa de vivienda de la finca altares de santería con caracoles, patas de gallo y mazorcas de maíz… pero no hay en sus páginas una sola foto que avale la afirmación.
También en Bohemia, el 24 de  mayo de 1959 otro reportaje bajo el título de Yo fui el brujo de Batista y firmado por Guillermo Villaronda, da cuenta de la existencia de Chano Betongó, una relación que, de ser cierta, se había mantenido oculta durante años.
Según Villaronda, Batista fue a «consultarse» con Betongó, que residía en el Calvario, cuando era todavía un oscuro sargento. El sujeto invocó a Changó para predecir el futuro de su cliente. Batista recorrería un camino largo y plácido, aunque al final lo esperaba «un mar inmenso, agitado por el huracán, espeso y rojo». Era un mar que empezaba en «una orilla de oro» y terminaba junto a un cielo de un rojo más vivo que el de la sangre. Batista llegaría al final de ese camino, pero de él dependía hacerlo felizmente. Tampoco tenía porqué llegar al final cuando podía detenerse y a la sombra de un árbol recibir el saludo afectuoso de los caminantes. Poco después, Betongó se enteraba que aquel sujeto de pelo lacio y tez aindiada, que no se había relajado durante la «consulta» y que lo escuchó con las aletas de la nariz dilatadas, había protagonizado, el 4 de septiembre de 1933, el golpe de Estado contra el presidente Céspedes.
Batista llamó a Betongó a Kuquine antes de las elecciones generales de 1952. Quería saber si ganaría la presidencia de la República. No por votos, respondió Betongó, pero algo podría lograrse si se sacrificaban un novillo y un venado. Batista estuvo de acuerdo y los sacrificios se hicieron en la finca. Hubo otro llamado. Esta vez Betongó entró en Palacio. Los vientos que sanaban el espíritu de Batista iban alejándose, y, para contrarrestar las adversidades, el brujo sacrificó, en el propio despacho presidencial, varios gallos negros y un becerro. Con todo, no era suficiente y recomendó además tomar tierra de las seis provincias  de entonces y ofrendar gallos y gallinas con mucha miel. Dijo a Bohemia: «Yo quería remover la conciencia de Changó, pero no fue posible». A partir de ahí todo fue cuesta abajo. El dictador llamó a Betongó luego de la elecciones espurias de 1954. Esta vez su sentencia fue lapidaria. Los caminos de Batista estaban cerrados «junto al mar de agua roja», un mar que terminaría tragándoselo. Ya no había salvación posible. Decía Betongó:
«Changó le daba la espalda al General».
Elogiado por Juan Ramón Jiménez y por Pablo Neruda, Guillermo Villaronda era un poeta, Su libro Hontanar mereció Premio Nacional de Poesía en 1937. El  reportaje citado, a juicio del escribidor, tiene más de poesía que de realidad. Aceptemos que un entrevistador matice de alguna manera el lenguaje de su entrevistado. Pero el lenguaje de Betongó no es el de un mayombero, lo que pone en crisis la credibilidad del texto de Villaronda, aparte de que sacrificar un becerro  en el despacho oficial de los presidentes cubanos, es algo inconcebible. Por suerte, no se hablaba entonces de la puerta secreta, si no Betongó hubiera tenido algo que decir al respecto. Hace unos diez años traté de rastrear la huella de Chano Betongó en el Calvario; nadie lo conocía.
Tampoco lo recuerda el capitán Sadulé. Mientras almorzamos, invitados por Max Lesnik, presidente de la Alianza Martiana,  en el mejor restaurante de cocina española de Miami, el ayudante presidencial niega con énfasis cualquier relación de Batista con religiones de origen africano. «Marta, su esposa, le tenía terror a eso», dice mientras degusta un plato de arroz negro. Revela, sin embargo, que en 1954, en vísperas de los comicios, el dictador consultó a un espiritista. Luego no lo volvió a ver, pero a fines de 1956 Sadulé se lo tropezó de manera casual. Le dijo que presentía que Palacio sería asaltado y que por 13 pesos le haría un amuleto a él y a su padre, miembro de la escolta de Batista. Sadulé preguntó a su padre si se lo decían al Presidente, y acordaron no hacerlo.
Dice Sierra Madero, aunque no pudo confirmarlo, que el «padrino» de Batista fue Bernardo Rojas, sacerdote de Ifá muy respetado. Añade que fue él, aunque tampoco pudo confirmarlo, quien hizo la predicción del asalto a Palacio. Aquel 13 de marzo de 1957 el dictador no escapó por una puerta secreta. No podía hacerlo sencillamente porque no estaba en el despacho oficial. Salvo excepciones, no bajaba al segundo piso antes de las cinco de la tarde. Aquel día, a la hora del asalto, se disponía a almorzar en la tercera planta con Marta y Andrés Domingo, secretario de la Presidencia. Pero ¿existía esa puerta?
«Más de medio siglo después, resulta difícil establecer con certeza quién y cuándo se construyó la puerta, mucho menos si fue construida a raíz de alguna predicción religiosa», escribe Sierra Madero. Sin embargo, la respuesta es simple.
Esa puerta no tuvo nunca nada de secreta. Estuvo allí desde la construcción del Palacio Presidencial, y, con idéntica posición, se repite en el primer piso del edificio. La usó Batista así como la usaron sus antecesores desde el presidente Menocal y siguieron usándola los que le sucedieron.

Ciro Bianchi Ross






















lunedì 14 dicembre 2015

Chiuso il 37° Festival del Nuovo Cine Latinoamericano

Con le parole del Presidente del Festival, Ivan Giroud che ha ricordato i grandi cineasti che hanno contribuito alla creazione del Nuovo Cine Latinoamericano compreso lo stesso festival dell'Avana, la Fondazione e la Scuola Internazionale di Cinema e Televisione di S. Antonio de los Baños si è conclusa anche questa edizione che oltre alle centinaia di proiezioni offerte, non solo nella capitale, ha visto svolgere seminari, conferenze, colloqui, mostre, lezioni magistrali e una vasta serie di attività collaterali, si sono spenti i riflettori anche su questa edizione 2015 che ha visto premiato con il "Coral" per il miglior film, "El Club" del cileno Pablo Larrain che ha ricevuto il trofeo dalle mani di Geraldine Chaplin, presidentessa della giuria per i lungometraggi di fiction.






Facce da Festival

Una piccola galleria di personaggi famosi a Cuba, ma non solo...incrociati al Festival del Nuovo Cine Latinoamericano
n° 37























                                             Geraldine Chaplin   (GBR)




















Ethan Hawke (USA) attore e soggettista


























                                                                                                                                                                   Laura de la Uz (Cuba) attrice



              Mirtha Ibarra (Cuba) attrice



                                                                              Enrique Molina (Cuba) attore



      Vladimir Cruz (Cuba) attore-regista



                                                            Daisy Granados e Manuel Porto (Cuba) attori



Benicio del Toro (Portorico) attore - regista




                                Quando il flash ti tradisce...al momento giusto

venerdì 11 dicembre 2015

Visite al Festival: Ethan Hawke

L’attore e soggettista nordamericano Ethan Hawke, nominato 4 volte all’Oscar, due come attore e 2 come autore di soggetto, è fra gli ospiti del Festival. Ha partecipato ad oltre 50 film el il suo “lancio” è stata una scelta di Robin Williams. Fra i suoi progetti e desideri c’è la possibilità di “girare” a Cuba e non esclude di poterlo fare nel  prossimo anno.