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sabato 22 ottobre 2016
giovedì 20 ottobre 2016
martedì 18 ottobre 2016
Apagones, che passione
La settimana scorsa, quasi ogni giorno, abbiamo avuto un black aut di corrente che durava dalle due alle 5 ore circa, ieri invece "solo" 10. Si tratta di lavori di manutenzione, senza preavviso naturalmente. Oltre alla sostituzione di pali di sostegno, trasformatori e cavi, si aggiungono periodicamente i lavori di potatura degli alberi per limitare eventuali danni da uragani e trormente e io continuo a chiedermi come mai si insiste con le linee aeree, sia di luce che di telefono, in una zona prediletta dagli eventi estremi. In quanto a internet, per almeno 16/18 ore al giorno: "c'è congestione sulle linee" come annuncia un bel messaggio registrato con musichetta di sottofondo oppure la linea cade dopo qualche minuto, mentre uno sta leggendo o scrivendo. Che gioia!
domenica 16 ottobre 2016
sabato 15 ottobre 2016
Dizionario del mare per lupi di terra
BOZZA: prima tiratura di un testo da correggere e passare alla stampa
venerdì 14 ottobre 2016
Dizionario del mare per lupi di terrra
BOROSA: può esssere "vecia" per un alpino raffreddato che la tiene di riserva
giovedì 13 ottobre 2016
Dario Fo, un'altro grande ci lascia
Proprio ieri ho pubblicato uno scorcio di ricordo della
settimana che ho, in parte condiviso con Dario Fo e famiglia. Oggi mi è
arrivata la notizia della sua scomparsa o che è “andato avanti” come suol dire
il mio ex collega Gianfranco Peletti, con un’espressione che alleggerisce la
drammaticità dell’evento.
Immagino che fonti e persone molto più autorevoli abbiano, o stiano per farlo, pubblicato “il coccodrillo” riguardante la vita e opera del grande
artista e Premio Nobel per la Letteratura. Da parte mia, oltre al grande
piacere e onore di averlo conosciuto, ricordo quando ero bambino e ascoltavo un
programma radiofonico, di cui non ricordo il nome, nel quale faceva sketch con
il suo collega e amico Franco Parenti altro grande, col quale ha condiviso
lunghi anni di attività teatrale. Ricordo vagamente anche qualche film
vagamente neorealista e di “bocca buona” interpretato assieme alla sua adorata
Franca e sinceramente, almeno dal punto di vista fisico, mi sembrava fosse
davvero una strana coppia. Evidentemente, invece, c’erano cose ben più profonde
e importanti che legavano quel tipo bruttino, magro, allampanato e con i denti
da coniglio a quella bionda esplosiva, la “Marilyn Monroe dei poveri”,
naturalmente di allora.
Nella sua lunga vita dopo aver scelto di percorrere una
propria strada, senza peraltro terminare l’amicizia, affetto e stima personale
con Franco. Cominciò a scrivere e interpretare testi sempre più impegnati. Ebbe
anche un lungo periodo di collaborazione con Enzo Jannacci, col quale compose
molte canzoni milanesi, interpretate, fra i tanti, anche da Cochi e Renato coi
quali collaborò anche nei loro testi surreali e strampalati.
A lui si deve anche il salvataggio e la riutilizzazione della Palazzina Liberty dell'ex Ortomercato, guarda caso, diventata poi roccaforte della destra che a suo tempo voleva abbatterla.
A lui si deve anche il salvataggio e la riutilizzazione della Palazzina Liberty dell'ex Ortomercato, guarda caso, diventata poi roccaforte della destra che a suo tempo voleva abbatterla.
Senza dubbio la sua opera maggiore rimane il “Mistero
buffo”, portato sulle scene di tutto il mondo e sempre aggiornato col passare
dei tempi. Parte del testo era in legnanese abbastanza stretto, per cui alcuni
dettagli erano difficili da capire anche per i milanesi. Ma erano proprio
dettagli. La mimica e il “gramelot” utilizzato, rendevano comprensibile
l’insieme dell’opera anche a chi parla lingue distanti dalle radici latine.
Anche lui, come molti grandi, fra i quali il principe
Antonio De Curtis iniziò dalla gavetta e dalla fame, con un tipo di comicità
molto semplice e ingenua, probabilmente adatta ai tempi.
Poi fu maturando sempre più, nella sua arte e nella sua
vita rivolta all’aiuto dei più sfortunati con scelte, a volte estremiste che
non condividevo, ma che segnano il profilo della sua grande umanità.
Non mi resta che salutarlo con una frase storica che era
il tormentone del suo duetto radiofonico con Franco Parenti, ciao Dario: “poer
nanu”.
mercoledì 12 ottobre 2016
Raggiunti i tre milioni di visitatori a Cuba
Alla fine del mese di settembre scorso, si sono raggiunti i tre milioni di turisti che hanno visitato Cuba, si conta di arrivare a 3,7 entro la la fine del 2016. E dire che il "grosso" dei nordamericani non può ancora venire...nel frattempo si aprono nuovi mercati e si aggiungono linee aeree straniere che operano su Cuba. Una delegazione del Ministero del Turismo si trova attualmente in Italia per promuovere il "prodotto" in uno dei maggiori mercati emissori.
lunedì 10 ottobre 2016
sabato 8 ottobre 2016
venerdì 7 ottobre 2016
Dizionario del mare per lupi di terra
BORA: quando è doppia è un incantevole atollo del sud Pacifico
Usa - Cuba, la diplomazia del pallone
Dopo 69 anni dall’ultimo incontro amichevole, in questo strano tentativo di normalizzazione tra USA e Cuba, le rispettive nazionali di calcio si sono affrontate, questo pomeriggio sul terreno dal fondo insidioso, dello stadio Pedro Marrero nella capitale cubana. Per la cronaca la squadra ospite ha vinto per 0 a 2 con marcature nella prima metà del secondo tempo, dove la squadra cubana ha mostrato qualche cedimento rispetto ai primi 45 minuti. La solita Cuba, abbastanza grintosa in difesa, meno che nelle occasioni dei due gol nordamericani e sempre senza idee e potenza di penetrazione dalla metà campo in avanti. È vero che oggi si è vista una squadra leggermente migliore del solito, specie nella prima metà, ma la differenza di “rango” è diventata evidente. Indubbiamente gli USA hanno una squadra più geometrica ed esperta, con giocatori che militano in diversi campionati professionisti, anche in Europa. Le sostituzioni effettuate dal CT, nostra vecchia conoscenza Jurgen Klinsman, hanno spostato in avanti il baricentro della sua squadra mettendo a dura prova il centrocampo e difesa cubana che comunque ha retto con dignità, nonostante il risultato avverso.
mercoledì 5 ottobre 2016
martedì 4 ottobre 2016
Nuovo premio a Luca Lombroso
Nel
pomeriggio di Domenica 2 Ottobre presso il festival “Un mare di lettere”
tenutosi sulla costa tirrenica laziale di Civitavecchia,
Luca Lombroso,
presidente dell’Associazione ASMER Emilia Romagna Meteo, è stato premiato
con un importante riconoscimento.
Il libro “Ciao
fossili – cambiamenti climatici resilienza e futuro post Carbon”, Edizioni
Artestampa, Vince il contro premio Carver 2016 Sezione saggistica.
Complimenti e auguri all'amico Luca.
Complimenti e auguri all'amico Luca.
Dizionario del mare per lupi di terra
BOMPRESSO: con Sofro e Pietrostefano coinvolto in omicidio politico
lunedì 3 ottobre 2016
sabato 1 ottobre 2016
venerdì 30 settembre 2016
mercoledì 28 settembre 2016
Dizionario del mare, per lupi di terra (riproviamoci)
BOCCAPORTO: orifizio utile al porto per nutrirsi e parlare
lunedì 26 settembre 2016
Il Reportage, da Cuba
Da domani dovrebbe essere in edicola la rivista trimestrale Il Reportage con una serie di interviste, fatte da Giulio Messina, a personaggi anche di alto profilo con le loro opinioni sull'attuale situazione del Paese.
C'è anche l'intervista a un non cubano, non di alto profilo, ma il resto è molto interessante.
Un numero certamente da non perdere per i "cubanofili".
C'è anche l'intervista a un non cubano, non di alto profilo, ma il resto è molto interessante.
Un numero certamente da non perdere per i "cubanofili".
venerdì 9 settembre 2016
Torniamo a parlare di Cuba
Come avevo scritto, ho sospeso (temporaneamente) il blog
per cause di connettività. Ultimamente ho notato che i momenti in cui si possa
entrare in rete, lentamente e col rischio di restare a metà strada, sono
leggermente migliorati nonostante, per esempio, l’urgenza che ieri mi ha
costretto a servirmi dei “profumati” servigi del Melià (sic!) Habana Libre.
Da un po’ di tempo non faccio i miei personali e
discutibili commenti su quanto, vengo a sapere, di ciò che succede a Cuba.
In questi ultimi tempi si stanno concretizzando gli
annunciati voli commerciali delle linee nordamericane. Secondo dichiarazioni di
un rappresentante dell’American Airlines, i voli potranno essere usufruiti non
solo dai cubani e statunitensi in possesso dei requisiti richiesti dal Governo
nordamericano, ma anche da cittadini di pesi terzi. In parole povere, per
esempio, se un italiano volesse visitare entrambi i Paesi, lo potrebbe fare con
relativo visto per Cuba ed ESTA per gli USA. Non solo, ma con un “piano voli”
preorganizzato, potrebbe ottenere connessioni con altri Paesi. Direi che
dissipato questo dubbio, la notizia non è solo buona, ma ottima.
Sempre restando nel campo “visite”, ma completamente
turistiche, si prevede un buon incremento di crociere con base o scalo
all’Avana e altri porti cubani. MSC, raddoppia, così come la consociata di
Carnival Cruise ed a loro dovrebbero aggiungersi altre compagnie, di cui sembra
certo, una tedesca.
In compenso, proprio oggi (venerdì), in un’affollata
conferenza stampa, il Ministro degli esteri Bruno Rodriguez Parrilla ha
annunciato il contenuto del nuovo ricorso all’Assemblea Generale dell’ONU,
sottolinenando che seppure ci sono stati progressi nelle relazioni bilaterali,
secondo il punto di vista cubano, il Presidente Obama non ha usato tutte le sue
prerogative per “alleggerire” alcuni aspetti dell’embargo che in toto non
potrebbe comunque eliminare. Non solo, l’annunciato consenso alle transazioni
finanziarie in dollari USA da parte delle banche ed enti commerciali cubani,
non è mai diventata effettiva.
lunedì 5 settembre 2016
Ma i vecchi, sono rimbecilliti o saggi?
Da che ho l’età della ragione, i vecchi hanno sempre
avuto a che dire su tutto, cominciando dal tempo che “è (sempre) impazzito” i
“miei” vecchi, molto prima delle attuali emergenze, davano la colpa alle bombe
atomiche che, dopo Hiroshima e Nagasaki, si continuava a far esplodere in
atmosfera per provarne i miglioramenti. Qualcuno invece, magari dei più vecchi
(saggi) diceva: “El temp l’è cume el cü,
el fa semper me voeur lü!”
Per i “vecchi”, la gioventù è sempre stata “perduta”,
senza valori, morale, educazione, cultura, musica e chi più ne ha più ne metta. Vuoi al
tempo dei “capelloni” che a quello dei “naziskin” pelati, al di la delle
differenze socio politiche.
Poi c’erano i dualismi sportivi che partendo da Binda e
Guerra, passavano poi a Coppi e Bartali o Moser e Adorni, nel ciclismo, solo
per ricordare i più famosi, ma non unici.
Nel calcio ricordo Buffon (Lorenzo) e Giorgio Ghezzi, Pelé
con la “meteora” Eusebio, Mazzola (Sandro) e Rivera, Baggio e Del Piero per
arrivare oggi a Ronaldo (Cristiano) e Messi.
Nello spettacolo: Corrado Mantoni o Mike Bongiorno, Enzo
Tortora o Pippo Baudo? Sempre per citare i più famosi.
Adesso che sono vecchio anch’io vengo portato ai dilemmi
della politica che più che sporca mi sembra proprio lurida. Nel nostro stivale
è indimenticabile la rivalità, prima tra Monarchia e Repubblica e poi, DC/PCI, questa, portata magistralmente nei libri e poi
sugli schermi con Don Camillo e Peppone.
Tra il dopoguerra e quella “fredda”, ricordo le
divergenze tra paesi che dovevano essere “fratelli”: Cina e Urss, per esempio o
Albania e URSS o il triangolo Jugoslavia/Albania/URSS. Per non parlare degli
arabi che pur essendo dello stesso ceppo etnico avevano profonde differenze,
sopratutto religiose, così come nel resto del mondo islamico non arabo.
Adesso, nel 21° secolo, io invece mi chiedo come possono
esistere strane alleanze o complicità del tutto contrastanti.
URSS/USA: dopo essere passati dal disgelo del neoliberale
Ronald Reagan col comunista Michail Gorbachëv sono tornati ad esser nemici
seppure con la Russia non più comunista. Mentre sono culo e camicia con i
comunisti cinesi e vietnamiti, che a suo tempo avevano invaso con una guerra
dolorosa e perdente. Ma quello che più mi richiama l’attenzione è la situazione
medio orientale e i suoi risvolti in altre aree. Tutti sanno che l’Arabia
Saudita (modello di Democrazia e Dirirtti Umani, sic!!!!) è l’alleato d’acciaio
degli Stati Uniti, mentre è acerrimo nemico dell’altro alleato, di titanio: Israele.
La stessa Arabia Saudita è, in questi giorni, stata al centro di progetti di
collaborazione con Cuba che nonostante tutto, non è proprio sorella di USA e
Israele...La Turchia, altro alleato inossidabile dei nordamericani, pur essendo
paese islamico e con il partito religioso al potere, è “amico” di Israele e
nemico dell’Arabia Saudita. Il Paese del “popolo eletto”, da parte sua contro
tutto e tutti, prosegue la sua politica repressiva contro i palestinesi e
costruendo nuove colonie nei territori occupati e non cede un centimetro in
favore di concedere uno Stato indipendente in terre nelle quali hanno coabitato
per secoli. In più, è notizia recente, ha bombardato postazioni in Siria. Tutti
sappiamo che nei momenti di tensione e di guerra tra Islam e Ebraismo, la Siria
è stata una dei nemici più acerrimi e irriducibili, ma...se tra i due mali è meglio
scegliere il minore, in questo particolare momento storico, non sarebbe meglio
(per loro) se non sostenere, almeno non combattere il regime di Assad per far
si che non cada in mano del cosiddetto Stato Islamico?
Afganistan, Iraq e Libia, non hanno insegnato proprio niente?
Certo le incongruenze non finiscono qua, nel mondo, ma io
non sono certo uno studioso, sono solo un vecchio imbecille, saggio o
semplicemente una persona normale? Ai postini l’ardua sentenza. (Perdonami Don
Lisander, ma era lui?).
sabato 3 settembre 2016
martedì 5 luglio 2016
Washington versus Madrid: pagine di guerra (III e fine), di Ciro Bianchi Ross
Pubblicato su Juventud Rebelde del 3/7/16
Washington vs. Madrid: Páginas de la guerra (III y final) Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
Washington vs. Madrid: Páginas de la guerra (III y final) Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
2 de Julio del 2016 19:10:44 CDT
La derrota de la escuadra española,
barrida total y en toda la línea por la flota norteamericana, no solo elimina
la última de las esperanzas de España en su victoria en la guerra con EE.UU.,
sino que desmoraliza a los defensores de Santiago de Cuba. El Ejército
Libertador, por su parte, mantiene cercada la ciudad y con su acerado
despliegue impide que le lleguen refuerzos desde otras plazas militares de la
provincia oriental, en tanto que en el resto de la Isla los mambises mayorean a
sus adversarios.
Los días 10 y 11 de julio, una
semana después del desastre naval, las tropas norteamericanas de mar y tierra
abren fuego sobre las posiciones españolas en los límites de Santiago, y el
general Shafter, jefe del ejército norteamericano en Cuba, amenaza con bombardear
la ciudad si no se rinde.
Comienza el éxodo de la población
civil atemorizada y hambrienta. Unos buscan amparo en los campamentos
norteamericanos, otros se dirigen a las zonas controladas por los mambises. En
el campo cubano, el mayor general Calixto García, lugarteniente general del
Ejército Libertador, revisa las listas con los nombres de los refugiados. Se
topa en una de ellas con el de Federico Capdevila, capitán retirado del
ejército español.
Llama de inmediato a su ayudante
Luis Rodolfo Miranda de la Rúa y le ordena que localice a Capdevila, le
presente, en su nombre, sus respetos, y se entere de lo que quiera o pueda
necesitar para él o su familia. Recalca el guerrero:
—Fíjese bien, Comandante, tengo
especial interés en que no le ocurra a Capdevila nada desagradable. ¡Cuide a
ese hombre que supo serlo cuando muchos no fueron capaces de ello!
Federico Capdevila fue, en 1871, el
valiente defensor de los estudiantes de Medicina.
Circula un rumor
El 16 se rinden las tropas españolas
que defienden Santiago. Al día siguiente entran en la ciudad los
norteamericanos; solo los norteamericanos, pues el general Shafter prohíbe la
entrada a las tropas cubanas.
Un hecho digno de tenerse en cuenta
ocurre cuando en el Palacio de Gobierno es arriada la bandera española y se iza
la de EE. UU.
Indignados y coléricos, los mambises
destacados en el fuerte de La Socapa izan, en señal de protesta, la bandera de
la estrella solitaria, que es rápidamente retirada para que la sustituya la de
las barras y las estrellas.
José de Armas y Cárdenas, uno de los
periodistas cubanos más destacados de todos los tiempos y que hizo célebre el
seudónimo de Justo de Lara, escribe entonces desde el mismo teatro de
operaciones donde asiste como corresponsal de guerra: «Mientras que el general
Shafter necesitó del general García, se comunicaba con él, poniéndolo al
corriente de todas las operaciones. Una vez que acordó con los españoles la
rendición de la plaza, se apartó del general cubano, a quien llegó a ocultar la
importante operación que iba a realizar».
Es el mismo Calixto García quien
ofrece los elementos de juicio necesarios para comprender lo que pasa, cuando
en la carta que dirige a Shafter y que dicta a Justo de Lara, afirma:
«Los importantes actos de la
rendición del ejército español y de la toma de posesión de la ciudad por usted
tuvieron lugar, y solo llegaron a mi conocimiento por rumores públicos. No fui
tampoco honrado con una sola palabra de parte de usted, invitándome a mí, a los
demás oficiales de Estado Mayor, para que representáramos al ejército cubano en
ocasión tan solemne.
«Sé, por último, que usted ha dejado
constituidas en Santiago a las mismas autoridades españolas contra las cuales
he luchado tres años como enemigas de la independencia de Cuba. Yo debo
informar a usted, que esas autoridades no fueron nunca electas por los
habitantes residentes en Santiago de Cuba, sino nombradas por un decreto de la
reina de España».
Expresa, por último, el mayor
general Calixto García:
«Circula un rumor, que por lo
absurdo no es digno de crédito general, de que la orden de impedir a mi
ejército su entrada en Santiago ha obedecido al temor de venganza contra los
españoles. Permítame usted que proteste contra la más ligera sombra de
semejante pensamiento, porque no somos un pueblo de salvajes que desconoce los
principios de la guerra civilizada, formamos un ejército pobre y harapiento
como lo fue el ejército de sus antepasados en su guerra noble por la
independencia de Estados Unidos de América, pero a semejanza de los héroes de Saratoga
y Yorktown, respetamos demasiado nuestra causa para mancharla con la barbarie y
la cobardía».
Shafter obedece instrucciones
Shafter sin embargo no actuaba por
iniciativa propia. Lo deja muy claro en su respuesta a Calixto: «Yo no puedo
discutir la política del Gobierno de Estados Unidos, al querer que continúen en
sus puestos temporalmente las personas que los ocupaban. Para que usted se
entere bien, le remito copia de las instrucciones del Presidente que recibí
ayer, las cuales resuelven cualquier dificultad que pueda suscitarse en el
Gobierno de este territorio mientras esté ocupado por Estados Unidos».
Cuando Calixto García logra entrar
en la ciudad, son apoteósicos el entusiasmo y la alegría de los santiagueros
que salen en masa a saludarlo, y lo mismo sucederá a su llegada a La Habana. En
carta al mayor general Máximo Gómez presenta su renuncia irrevocable al cargo
de Lugarteniente General «por no estar dispuesto a seguir obedeciendo las
órdenes y cooperando a los planes del ejército americano». Informa que marcha a
Jiguaní, con toda la tropa bajo su mando, en espera de la respuesta del jefe
del Ejército Libertador. El 29 de julio ocupa Gibara y presta toda la ayuda
posible a heridos y enfermos españoles que abarrotan los hospitales de guerra
de esa localidad. Días después, derrota, en las inmediaciones de esa ciudad, a
la tropa del general Luque, que intenta recuperar Gibara. No pasa mucho tiempo
sin que Shafter sea relevado de su mando y sustituido por el general Lawton.
En Washington se tributaría a
Calixto García una acogida que testigos cubanos califican de «grandiosa», si
bien no se concedió carácter oficial a su visita.
«Se cometió el error de poner al
general Shafter al frente de las tropas que vinieron a Santiago, y su ineptitud
tenía que traer, como trajo, la protesta del mayor general García, quien no
podía, por la dignidad y prestigio de su ejército, y del suyo propio de
soldado, aceptar la preterición de que fuimos objeto, cuando el buen éxito de
la campaña de Santiago corresponde en gran parte —como algún día próximo he de
demostrar— al ejército cubano de Oriente y a sus valientes generales bajo el
mando del propio general García».
Así lo declara a un semanario
habanero, el 20 de octubre de 1898, el coronel Cosme de la Torriente, uno de los
oficiales del Estado Mayor de Calixto y que andando el tiempo —falleció en
1956— llegaría a ser embajador y canciller de Cuba y presidente de la Asamblea
de la Sociedad de Naciones, un distinguido jurista con bufete en Mercaderes
número 26, en La Habana Vieja.
Escribe Torriente, el 11 de
diciembre de 1899, en ocasión del primer aniversario de la muerte de Calixto:
«Cuando alguno de los que estuvieron
con él en el sitio de Santiago de Cuba publique sus recuerdos de esa campaña…
entonces, solo entonces se podrán apreciar sus grandes servicios al ejército
americano; entonces se podrá conocer la participación principalísima que en tal
campaña tuvo el ejército cubano, que tan criticado fue por los que tanto le
debieron; entonces se podrán aquilatar el gran tacto y la gran pericia de
Calixto García para tratar con aquel general inepto… y entonces se verán
también las grandes virtudes de nuestro héroe, su gran patriotismo, su gran
respeto a la ley y a la libertad».
Ochenta y seis corresponsales de guerra
Se dice que esta fue la primera
guerra moderna. No por el armamento empleado, sino por su impacto mediático.
Sucesos que antecedieron al estallido de la contienda fueron enfocados por la
prensa norteamericana con un tinte «amarillo» y sensacionalista que en buena
medida acondicionó para lo que vendría la mentalidad del norteamericano
promedio.
Hubo hechos construidos por la
propia prensa, como la fuga de la patriota cubana Evangelina Cossío de la Casa
de Recogidas de La Habana, a quien, ya en EE. UU., se le tributó una recepción
grandiosa en Madison Square, el Presidente la recibió en la Casa Blanca, la
agasajaron en el Congreso y las familias más conspicuas, mientras se fundían en
su honor cien mil monedas de plata para hacerle vivir sus 15 minutos de gloria,
porque moriría olvidada y en la pobreza.
Para reportar el conflicto —algo
insólito en la época— 86 periodistas se acreditaron y viajaron como
corresponsales de guerra, entre ellos 20 fotógrafos y seis dibujantes. Con
ellos vino el antes aludido Justo de Lara.
El cinematógrafo, recién inventado
entonces, no quedó fuera y llegó asimismo para dar testimonio en las
principales direcciones en que el cine habría de desarrollarse: la ficción y el
documental. Fue entonces cuando se filmaron, por la Vitagraph Company, las
primeras imágenes en movimiento de una guerra real. La historia del teniente
Rowan, portador del célebre mensaje del Presidente norteamericano, a Calixto
García, se ficcionó en una cinta de Hollywood protagonizada por Wallace Beary,
uno de los adelantados del entonces incipiente sistema de estrellas.
¿Qué nombre dar a esta guerra?
Durante años, mientras se daba al conflicto el nombre de guerra
hispano-norteamericana, historiadores cubanos se empeñaron y consiguieron un
nuevo nombre: guerra hispano-cubano-americana.
¿Cuál de los dos es más apropiado?
El historiador Oscar Loyola se decide por el primero. La guerra que Cuba libró
contra España entre 1895 y 1898 —guerra hispano-cubana— fue una clásica guerra
anticolonial; la intervención norteamericana no introdujo un tercer elemento en
esta guerra, dice Loyola, pues los sujetos sociales implicados se mantuvieron
idénticos. Lo que sucedió es que a esa contienda anticolonial se le superpuso
otra, la de EE. UU. contra España por el dominio de Cuba; un colonialismo nuevo
que daba una batalla, ganada de antemano, por desplazar de la Isla a un viejo
colonialismo.
Esa guerra, que debe denominarse
hispano-norteamericana, se libra en el mismo escenario geográfico en que
transcurría la guerra hispano-cubana. Apunta Loyola: «Los intereses que
llevaron a Cuba, a España y a EE. UU. a la guerra eran tremendamente diferentes…
Lo que determina el carácter de una guerra es el fin que persigue. A la guerra
nacional liberadora del pueblo cubano le fue arrebatada, en los marcos de una
guerra entre potencias, la primacía histórica.
Ciro Bianchi
Ross
Washington vs. Madrid: Páginas de la guerra (III y final) Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
2 de Julio del 2016 19:10:44 CDT
La derrota de la escuadra española,
barrida total y en toda la línea por la flota norteamericana, no solo elimina
la última de las esperanzas de España en su victoria en la guerra con EE.UU.,
sino que desmoraliza a los defensores de Santiago de Cuba. El Ejército
Libertador, por su parte, mantiene cercada la ciudad y con su acerado
despliegue impide que le lleguen refuerzos desde otras plazas militares de la
provincia oriental, en tanto que en el resto de la Isla los mambises mayorean a
sus adversarios.
Los días 10 y 11 de julio, una
semana después del desastre naval, las tropas norteamericanas de mar y tierra
abren fuego sobre las posiciones españolas en los límites de Santiago, y el
general Shafter, jefe del ejército norteamericano en Cuba, amenaza con bombardear
la ciudad si no se rinde.
Comienza el éxodo de la población
civil atemorizada y hambrienta. Unos buscan amparo en los campamentos
norteamericanos, otros se dirigen a las zonas controladas por los mambises. En
el campo cubano, el mayor general Calixto García, lugarteniente general del
Ejército Libertador, revisa las listas con los nombres de los refugiados. Se
topa en una de ellas con el de Federico Capdevila, capitán retirado del
ejército español.
Llama de inmediato a su ayudante
Luis Rodolfo Miranda de la Rúa y le ordena que localice a Capdevila, le
presente, en su nombre, sus respetos, y se entere de lo que quiera o pueda
necesitar para él o su familia. Recalca el guerrero:
—Fíjese bien, Comandante, tengo
especial interés en que no le ocurra a Capdevila nada desagradable. ¡Cuide a
ese hombre que supo serlo cuando muchos no fueron capaces de ello!
Federico Capdevila fue, en 1871, el
valiente defensor de los estudiantes de Medicina.
Circula un rumor
El 16 se rinden las tropas españolas
que defienden Santiago. Al día siguiente entran en la ciudad los
norteamericanos; solo los norteamericanos, pues el general Shafter prohíbe la
entrada a las tropas cubanas.
Un hecho digno de tenerse en cuenta
ocurre cuando en el Palacio de Gobierno es arriada la bandera española y se iza
la de EE. UU.
Indignados y coléricos, los mambises
destacados en el fuerte de La Socapa izan, en señal de protesta, la bandera de
la estrella solitaria, que es rápidamente retirada para que la sustituya la de
las barras y las estrellas.
José de Armas y Cárdenas, uno de los
periodistas cubanos más destacados de todos los tiempos y que hizo célebre el
seudónimo de Justo de Lara, escribe entonces desde el mismo teatro de
operaciones donde asiste como corresponsal de guerra: «Mientras que el general
Shafter necesitó del general García, se comunicaba con él, poniéndolo al
corriente de todas las operaciones. Una vez que acordó con los españoles la
rendición de la plaza, se apartó del general cubano, a quien llegó a ocultar la
importante operación que iba a realizar».
Es el mismo Calixto García quien
ofrece los elementos de juicio necesarios para comprender lo que pasa, cuando
en la carta que dirige a Shafter y que dicta a Justo de Lara, afirma:
«Los importantes actos de la
rendición del ejército español y de la toma de posesión de la ciudad por usted
tuvieron lugar, y solo llegaron a mi conocimiento por rumores públicos. No fui
tampoco honrado con una sola palabra de parte de usted, invitándome a mí, a los
demás oficiales de Estado Mayor, para que representáramos al ejército cubano en
ocasión tan solemne.
«Sé, por último, que usted ha dejado
constituidas en Santiago a las mismas autoridades españolas contra las cuales
he luchado tres años como enemigas de la independencia de Cuba. Yo debo
informar a usted, que esas autoridades no fueron nunca electas por los
habitantes residentes en Santiago de Cuba, sino nombradas por un decreto de la
reina de España».
Expresa, por último, el mayor
general Calixto García:
«Circula un rumor, que por lo
absurdo no es digno de crédito general, de que la orden de impedir a mi
ejército su entrada en Santiago ha obedecido al temor de venganza contra los
españoles. Permítame usted que proteste contra la más ligera sombra de
semejante pensamiento, porque no somos un pueblo de salvajes que desconoce los
principios de la guerra civilizada, formamos un ejército pobre y harapiento
como lo fue el ejército de sus antepasados en su guerra noble por la
independencia de Estados Unidos de América, pero a semejanza de los héroes de Saratoga
y Yorktown, respetamos demasiado nuestra causa para mancharla con la barbarie y
la cobardía».
Shafter obedece instrucciones
Shafter sin embargo no actuaba por
iniciativa propia. Lo deja muy claro en su respuesta a Calixto: «Yo no puedo
discutir la política del Gobierno de Estados Unidos, al querer que continúen en
sus puestos temporalmente las personas que los ocupaban. Para que usted se
entere bien, le remito copia de las instrucciones del Presidente que recibí
ayer, las cuales resuelven cualquier dificultad que pueda suscitarse en el
Gobierno de este territorio mientras esté ocupado por Estados Unidos».
Cuando Calixto García logra entrar
en la ciudad, son apoteósicos el entusiasmo y la alegría de los santiagueros
que salen en masa a saludarlo, y lo mismo sucederá a su llegada a La Habana. En
carta al mayor general Máximo Gómez presenta su renuncia irrevocable al cargo
de Lugarteniente General «por no estar dispuesto a seguir obedeciendo las
órdenes y cooperando a los planes del ejército americano». Informa que marcha a
Jiguaní, con toda la tropa bajo su mando, en espera de la respuesta del jefe
del Ejército Libertador. El 29 de julio ocupa Gibara y presta toda la ayuda
posible a heridos y enfermos españoles que abarrotan los hospitales de guerra
de esa localidad. Días después, derrota, en las inmediaciones de esa ciudad, a
la tropa del general Luque, que intenta recuperar Gibara. No pasa mucho tiempo
sin que Shafter sea relevado de su mando y sustituido por el general Lawton.
En Washington se tributaría a
Calixto García una acogida que testigos cubanos califican de «grandiosa», si
bien no se concedió carácter oficial a su visita.
«Se cometió el error de poner al
general Shafter al frente de las tropas que vinieron a Santiago, y su ineptitud
tenía que traer, como trajo, la protesta del mayor general García, quien no
podía, por la dignidad y prestigio de su ejército, y del suyo propio de
soldado, aceptar la preterición de que fuimos objeto, cuando el buen éxito de
la campaña de Santiago corresponde en gran parte —como algún día próximo he de
demostrar— al ejército cubano de Oriente y a sus valientes generales bajo el
mando del propio general García».
Así lo declara a un semanario
habanero, el 20 de octubre de 1898, el coronel Cosme de la Torriente, uno de los
oficiales del Estado Mayor de Calixto y que andando el tiempo —falleció en
1956— llegaría a ser embajador y canciller de Cuba y presidente de la Asamblea
de la Sociedad de Naciones, un distinguido jurista con bufete en Mercaderes
número 26, en La Habana Vieja.
Escribe Torriente, el 11 de
diciembre de 1899, en ocasión del primer aniversario de la muerte de Calixto:
«Cuando alguno de los que estuvieron
con él en el sitio de Santiago de Cuba publique sus recuerdos de esa campaña…
entonces, solo entonces se podrán apreciar sus grandes servicios al ejército
americano; entonces se podrá conocer la participación principalísima que en tal
campaña tuvo el ejército cubano, que tan criticado fue por los que tanto le
debieron; entonces se podrán aquilatar el gran tacto y la gran pericia de
Calixto García para tratar con aquel general inepto… y entonces se verán
también las grandes virtudes de nuestro héroe, su gran patriotismo, su gran
respeto a la ley y a la libertad».
Ochenta y seis corresponsales de guerra
Se dice que esta fue la primera
guerra moderna. No por el armamento empleado, sino por su impacto mediático.
Sucesos que antecedieron al estallido de la contienda fueron enfocados por la
prensa norteamericana con un tinte «amarillo» y sensacionalista que en buena
medida acondicionó para lo que vendría la mentalidad del norteamericano
promedio.
Hubo hechos construidos por la
propia prensa, como la fuga de la patriota cubana Evangelina Cossío de la Casa
de Recogidas de La Habana, a quien, ya en EE. UU., se le tributó una recepción
grandiosa en Madison Square, el Presidente la recibió en la Casa Blanca, la
agasajaron en el Congreso y las familias más conspicuas, mientras se fundían en
su honor cien mil monedas de plata para hacerle vivir sus 15 minutos de gloria,
porque moriría olvidada y en la pobreza.
Para reportar el conflicto —algo
insólito en la época— 86 periodistas se acreditaron y viajaron como
corresponsales de guerra, entre ellos 20 fotógrafos y seis dibujantes. Con
ellos vino el antes aludido Justo de Lara.
El cinematógrafo, recién inventado
entonces, no quedó fuera y llegó asimismo para dar testimonio en las
principales direcciones en que el cine habría de desarrollarse: la ficción y el
documental. Fue entonces cuando se filmaron, por la Vitagraph Company, las
primeras imágenes en movimiento de una guerra real. La historia del teniente
Rowan, portador del célebre mensaje del Presidente norteamericano, a Calixto
García, se ficcionó en una cinta de Hollywood protagonizada por Wallace Beary,
uno de los adelantados del entonces incipiente sistema de estrellas.
¿Qué nombre dar a esta guerra?
Durante años, mientras se daba al conflicto el nombre de guerra
hispano-norteamericana, historiadores cubanos se empeñaron y consiguieron un
nuevo nombre: guerra hispano-cubano-americana.
¿Cuál de los dos es más apropiado?
El historiador Oscar Loyola se decide por el primero. La guerra que Cuba libró
contra España entre 1895 y 1898 —guerra hispano-cubana— fue una clásica guerra
anticolonial; la intervención norteamericana no introdujo un tercer elemento en
esta guerra, dice Loyola, pues los sujetos sociales implicados se mantuvieron
idénticos. Lo que sucedió es que a esa contienda anticolonial se le superpuso
otra, la de EE. UU. contra España por el dominio de Cuba; un colonialismo nuevo
que daba una batalla, ganada de antemano, por desplazar de la Isla a un viejo
colonialismo.
Esa guerra, que debe denominarse
hispano-norteamericana, se libra en el mismo escenario geográfico en que
transcurría la guerra hispano-cubana. Apunta Loyola: «Los intereses que
llevaron a Cuba, a España y a EE. UU. a la guerra eran tremendamente diferentes…
Lo que determina el carácter de una guerra es el fin que persigue. A la guerra
nacional liberadora del pueblo cubano le fue arrebatada, en los marcos de una
guerra entre potencias, la primacía histórica.
Ciro Bianchi
Ross
lunedì 4 luglio 2016
giovedì 30 giugno 2016
I primi investimenti nordamericani dopo oltre un cinquantennio
Completamente
ristrutturato, è stato riaperto l’ex Hotel Quinta Avenida, dell’impresa cubana
Gaviota, con il nuovo nome di Four Points by Sheraton, è il primo caso di
investimento nordamericano a Cuba dopo il 1959. Evidentemente tra le pieghe dei
“decreti Obama”, una delle più grandi catene alberghiere del mondo, di
proprietà statunitense è riuscita a realizzare questo investimento in qualità
di gestore. Prossimo obbiettivo della Starwood Hotels and Resorts Worldwide è
il centralissimo Hotel Inglaterra che aprirà in agosto col nuovo nome di Luxury
Collection by Starwood.
mercoledì 29 giugno 2016
Ricordando Bud Spencer e la sua città preferita (dopo Napoli)
Mi è giunta la notizia della scomparsa di Bud
Spencer, al secolo Carlo Pedersoli da Napoli, ex campione e primatista italiano di nuoto
che fu componente della nostra squadra olimpica negli anni ’50 del secolo
scorso. Il “gigante buono” del cinema di cassetta, protagonista di improbabili
quanto divertenti, risse e scazzottate contro miriadi di “cattivi” condotte da
solo o spesso in compagnia di Terence Hill, al secolo Mario Girotti che hanno
fatto divertire giovani e meno giovani.
Carlo o
Bud, a seconda di come si preferisce ricordarlo, era un grande frequentatore
della Florida, in particolare di Miami, dove ha girato diversi film e serie
televisive rendendo ‘popolari’ diversi scorci di questa località. Ci mancherà,
come mancherà a Miami.
Pur
senza avere elementi culturali di spicco, Miami, è indubbiamente una città che
attira sempre più gli italiani. Particolarmente Miami Beach che è municipio
indipendente e non fa parte amministrativa di Miami City.
Nei
tempi che si stanno avvicinando potrebbe aumentare il suo traffico turistico
con la possibilità di trasferimenti da o per l’Avana in settembre, infatti,
dovrebbero iniziare i voli commerciali tra gli Stati Uniti e Cuba aperti a
chiunque. Per il momento i voli diretti sono solo per cittadini in possesso di
passaporto cubano o statunitensi autorizzati, compresi in dodici categorie
previste da un recente decreto del presidente Obama.
Oggi
per gli stranieri il viaggio non è dei più agevoli, ma non impossibile. Le due
località sono unite da voli (con scalo) da Copa Airlines (Panama), Interjet e
Cubana de Aviaciòn (Messico), Bahamas Air (Nassau) o Air Cayman. Per esperienza
personale quest’ultima è la combinazione migliore per qualità/prezzo. Purtroppo
il volo che se fosse diretto durerebbe circa 40 minuti diventa di 3 ore da
Miami all’Avana e di 4 in senso inverso, per via della sosta a Gran Cayman.
Se la
città in sé non offre molte attrattive se non il clima e la spiaggia, bisogna
ricordare che è la capitale delle crociere per i Caraibi a cui si è aggiunta
anche quella, quindicinale che tocca anche Cuba, dopo oltre 50 anni di divieto
imposto dalle autorità degli U.S.A. oltre a questa attrattiva si possono
raggiungere località suggestive come le Everglades, territori in gran parte
sede delle riserve “indiane” dei Mikkosukee e dei Seminole con la loro
incredibile ricchezza di fauna, oppure la caratteristica Key West, ultima delle isolette da cui parte la mitica U.S.1 che raggiunge il confine canadese, lungo la
costa est degli U.S.A e punto più
meridionale degli Stati Uniti continentali a solo 160 chilometri da Cuba e in
cui, fra le altre attrattive si trova una delle case caraibiche che furono di
proprietà dello scrittore Ernest Hemingway, molto simile, come caratteristiche,
a quella che ebbe all’Avana. Entrambe oggi musei riguardanti la vita e le opere
di Hemingway.
Per chi
volesse avere maggiori informazioni su Miami e le sue possibilità può trovarle
sul blog www.italianiamiami.it redatto in modo
scanzonato da due ragazze italiane che come Paolo Maldini e il compianto Bud,
fra gli altri, sono o furono amanti di questa località.
martedì 28 giugno 2016
Washington versus Madrid, pagine di guerra (II), di Ciro Bianchi Ross
Pubblicato su Juventud Rebelde del 26/6/16
Fin da
prima di rompere le ostilità, Washington aveva ordinato il blocco navale
dell’Isola cosa che impediva alla Spagna, da una parte, di portare truppe
fresche, armamenti e munizioni e dall’altra, muovere risorse tra i diversi
porti del territorio. Navi da guerra statunitensi stazionate di fronte ai porti
di Mariel, Cabañas, Matanzas, Cárdenas, Cienfuegos e l’Avana erano visibili
dalla costa e impedivano l’entrata e l’uscita di imbarcazioni di qualunque
bandiera. Non meno di dieci mercantili spagnoli furono sequestrati e portati a
Key West. La misura aveva anche altri obbiettivi strategici: aspettare che le
truppe regolari nordamericane destinate a sbarcare completassero le loro
manovre durante l’estate, a New Orleans, Mobile e Tampa e lasciare che le forze
cubane continuassero a dissanguare gli spagnoli.
Fu così
che il capitano generale Ramón Blanco y Erenas, Marchese di Peña Plata,
sollecitò a Madrid l’invio della truppa spagnola dell’Atlantico che in quel
momento aspettava gli ordini di fronte alle isole di Cabo Verde, nell’Africa
Occidentale.
Questa
era comandata dall’ammiraglio Pascual Cervera, un marinaio di quasi 60 anni
d’età – nato a Jerez de la Frontera il 18 febbraio del 1839 – che dopo essere
uscito dalla scuola navale di San Fernando ascese grado a grado, grazie alla
sua partecipazione ai fatti più importanti della storia del suo Paese nella
seconda metà del XIX secolo, un’epoca il cui finale tragico sarebbe stato
simbolizzato con l’affondamento della squadra che gli toccò comandare.
Cervera
prese parte a, campagna del Marocco (1853), nella spedizione spagnola contro la
Cocincina (1862) e già come capitano di vascello assunse, nel 1866, il
pattugliamento delle coste del Perù. Durante la guerra dei dieci anni fu di
vigilanza alle coste cubane. Partecipò inoltre alla guerra carlista distinguendosi
nella difesa dell’arsenale de La Carraca. Nel 1891 presiedette la delegazione
del suo Paese alla Conferenza Navale di Londra e l’anno seguente lo nominarono
ministro della Marina nel Governo di
Madrid nel gabinetto del presidente Sagasta, incarico a cui rinunciò per
protesta per la scrsa dotazione economica destinata al suo ministero come se
prevedesse, come dicono gli storici, la tragedia che avrebbe sofferto la flotta
spagnola quando le sarebbe toccato afffrontare forze superiori, più moderne e
meglio equipaggiate.
Facevano
parte della flotta dell’Atlantico quattro incrociatori corazzati e tre
destroyer che stazzavano un complesso di 28.600 tonnellate e disponevano,
almeno in teoria, di 120 cannoni, otto mitragliatrici pesanti e 24 tubi lancia
siluri, installati nei piccoli destroyer.
Cervera
fece quanto alla sua portata al fine di convincere il ministro della Marina e
il Governo di Madrid che non mandassero la flotta a Cuba o a Portorico.
Suggeriva che facesse base alle Canarie per proteggere, da quella posizione, le
isole e il territorio della Penisola. Il fatto, secondo lui, era di evitare uno
scontro frontale con i nordamericani nei Caraibi.
“Vado al sacrificio”
La
flotta nordamericana dell’Atlantico, al comando dell’ammiraglio William T.
Sampson, era molto superiore alla spagnola. Disponeva di nove incrociatori
corazzati che stazzavano oltre 65.000 tonnellate e aveva installati quasi 300
cannoni, 22 mitragliatrici pesanti e 37 tubi lancia siluri. Non solo superava
la spagnole per numero di imbarcazioni, tonnellaggio e potenza di fuoco, le
navi erano più moderne, possedevano una blindatura più forte e la loro
abilitazione era più completa. Inoltre c’era la questione del combustibile.
L’armata statunitense poteva rifornirsi di tutto il carbone che ci fosse stato
nelle sue basi che si trovavano a poche ore di distanza mentre gli spagnoli,
con seri problemi in questo senso, avevano le loro basi di rifornimento a
migliaia di chilometri dai Caraibi.
L’ammiraglio
Cervera insistette invano. Conosceva la superiorità del suo nemico. Per questo,
alla vigilia della sua partenza per Cuba, informò nuovamente il Ministro della
Marina circa le condizioni delle sue navi che lasciavano molto a desiderare. La
sua artiglieria era incompleta o difettosa, non contava con munizioni adeguate
né sufficienti e non disponeva nemmeno di quantità di carbone di qualità. Nel
suo rapporto, il marinaio diceva che la sua squadra si sarebbe messa in un
vicolo cieco. Una situazione dalla quale non poteva aspettarsi altro che la
distruzione delle sue navi o la demoralizzazione dei suoi uomini.
Alle
porte del terribile inverno del 1898, le alte sfere spagnole sembravano vivere,
senza dubbio, un’euforia trionfalista che raggiungeva anche la popolazione.
Molti avaneri comuni non restavano indietro, nei caffè evocavano le battaglie
di Lepanto o del Callao e incensavano fino allo sfinimento la superiorità
dell’armata spagnola, mentre nel vestibolo del teatro Albisu, l’illustre
comandante della marina spagnola don Pedro Peral, fratello di Isaac,
l’inventore del sommergibile, si impegnava a dimostrare giustamente il
contrario.
In una
pagina deliziosa delle sue Viejas
postales descoloridas, l’osservatore dei costumi Federico Villoch dice che a
Cuba, in quel momento, si parlò di Cabo Verde come mai prima né dopo e che
c’era chi osservava le mappe per vaticinare da che parti le due squadre si
sarebbero distrutte a cannonate. “Gli yankee hanno paura del terribile
abbordaggio spagnolo”, dicevano alcuni. Le immaginazioni surriscaldate
tracciavano quadri raccapriccianti di pirateria, col sollevare le maniche dei
marinai armati di grandi e affilati coltelli, il sangue scorrendo a bordo.
Lo
stesso Ministro della Marina spagnolo, con la testa fra le nuvole, dava a
Cervera prima di partire verso i Caraibi, la seguente missione: Andare negli
Stati Uniti, difendere le isole di Cuba e Portorico, bloccare i porti americani
del Golfo del Messico, distruggere la base navale di Key West, sede della
flotta dell’Atlantico e se possibile bloccare porti nell’est...”
Alcuni
vaporetti riuscirono, dal porto avanero, burlare l’accerchiamento nordamericano
o, entravano e uscivano col permesso degli assedianti. Con autorizzazione lo
fece Lafayette, della Compagnia Transatlantica Francese, traboccante di
passeggeri che abbandonavano la città per paura delle future contingenze, gli
seguì il brigantino messicano Arturo, carico di fuggitivi. Gli speculatori di
sempre fecero i soldi con l’affare improvvisato di convertire golette
scalcagnate in navi per passeggeri che per 50 o 100 pesos a biglietto,
trasportavano dall’Avana a Vera Cruz.
Ma le
corazzate Brooklyn, Texas, Iowa, Luisiana..., dice Villoch, continuavano
imperturbabili all’orizzonte, fermi come se avessero messo le radici nelle
rocce del fondo, forando le notti coi loro potenti fari elettrici. Questa
vigilanza non fu sufficiente perché il vapore spagnolo Monserrat, con tutte le
luci spente burlasse il blocco, arrivando due giorni dopo, a un vicino porto
del Messico per poter, a sua volta, rifornire di viveri l’Avana. Una nave da
guerra spagnbole chiamata Conde de Venadito, un pomeriggio si arrischiò a
uscire dal porto per provocare l’aggressione delle navi nordamericane e
obbligarle ad avvicinarsi alla costa perché fossero cannoneggiate dal Morro,
cosa che risultò vana in quanto quello che fecero gli yankee fu di scaricargli
poderose bordate e rimanere impavidi sulle lo ricevette gli ordini di ro linee. Fra le altre cose si verificò
l’ingresso spettacolare della goletta Santiago che uscì una mattina a tutta
vela da Bahía Honda e penetrò salva nel
nostro porto, sotto le cannonate che si incrociavano tra una delle corazzate
americane e la batteria di Santa Clara, piazzata dove si costruì l’Hotel
Nacional de Cuba.
Il 24
di aprile, Cervera ricevette l’ordine di muoversi verso i Caraibi e si dispose
a compierli non senza avvertire i suoi superiori che andava al sacrificio con
la coscienza tranquilla. Il giorno seguente, gli Stati Uniti dichiararono
formalmente la guerra alla Spagna. Una settimana più tardi, nella baia di
Cavite, Filippine, la flotta nordamericana del Pacifico distruggeva, in poche
ore, la squadra spagnola lì concentrata. La notizia provocò la commozione che
c’era da aspettarsi in Spagna. Il 12 maggio, il Ministro della Marina inviò un
telegramma a Fort de France, in Martinica, autorizzando Cervera a tornare in
Spagna. Ma Cervera non vide mai questo messaggio. Il giorno prima, lasciava
indietro Fort de France dirigendo la prora verso Cuba.
Il tragico eroe
Il 14 maggio,
navi nordamericane bombardarono, con totale impunità, San Juan di Portorico.
Cinque giorni dopo, il 19, la flotta di Cervera entrava nella baia di Santiago
de Cuba. All’inizio di giugno, la squadra dell’ammiraglio Sampson bombardava
questa città. Con oggetto di imbottigliare Cervera, i suoi avversari
affondarono il pontone Merrimac nella bocca santiaghera. A partire da lì se le
navi spagnole volevano uscire, dovevano farlo una alla volta, trasformate in
una sorta di tiro al bersaglio per i nordamericani.
Si
intervistarono col maggior generale Calixto García, luogotenente generale dell’
Esercito di Liberazione, l’ammiraglio Sampson, capo della flotta, il generale
Shafter, capo dell’ Esrcito di terra. Le truppe nordamericanesbarcarono
avanzando verso Santiago. Il generale Linares, capo di quella piazza militare,
non si fece illusioni sulla vittoria spagnola e sapeva che la sconfitta avrebbe
messo in grave rischio la flotta ancorata nella baia. Il capitano generale
Ramón Blanco che ricevette da madrid la potestà di decidere su tutte le forze
militari staccate sull’Isola, inclusa la squadra e che sapeva come pensava
Cervera, telegrafò all’ammiraglio: “Lei dice che la caduta di Santiago è certa,
in quel caso lei dovrà distruggere le sue navi e questa è una ragione di più
per tentare una sortita, già che è preferibile, per l’onore delle armi,
soccombere combattendo...”. Allora Cervera scrisse a Linares: “...affermo con
la magior enfasi che non sarò mai chi decida l’orribile e inutile
ecatombe...Compete a Blanco decidere se devo andare al suicidio trascinando con
me questi 2.000 spagnoli”.
Prima
dell’attacco imminente, i marinai di Cervera si aggiunsero alla difesa
terrestre di Santiago. Il 1° di luglio occorsero le battaglie di El Caney e di
San Juan dove, in un tentativo disperato di recuperare le posizioni, il
generale Linares risultò gravemente ferito. Il giorno 2, dall’Avana, il
Capitano Generale ordinò a Cervera di uscire dalla baia santiaghera con le sue
navi. Il giorno dopo, alle 9.45 del mattino, sparando all’impazzata da entrambi
i lati, la squadra spagnola cominciò a uscire in direzione est. Un’ora più
tardi, la flotta dell’Atlantico soccombeva davanti alla potenza nordamericana e
lo stesso ammiraglio Pascual Cervera, il tragico eroe, raggiungeva a nuoto la
costa dove venne fatto prigioniero. In Spagna dovette affrontare un consiglio
di guerra accusato per la perdita della squadra. Fu assolto e rimase in
servizio attivo ancora diversi anni. Morì il 3 aprile del1909.
La
battaglia navale di Santiago ebbe, per la Spagna, il saldo di 326 morti, 215
feriti e 1.720 prigionieri. I nordamericani ebbero un morto e un ferito. “Non
sempre al valore si accompagna la fortuna” diceva il Capitano Generale nel suo
messaggio agli abitanti dell’Isola e “fermi e risoluti davanti al pericolo” li
chiamava a confidare in Dio “e nel nostro diritto a lasciare incolumi l’onore e
l’integrità della patria”. Il generale Shafter, da parte sua, presentava un
ultimatum: Se Santiago de Cuba non si fosse arresa, sarebbe stata bombardata. Ma
questo lo vedremo domenica prossima.
Washington vs. Madrid: páginas de la guerra (II) Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
25 de Junio del 2016 19:51:56 CDT
Desde antes de romperse las
hostilidades, Washington había ordenado el bloqueo naval de la Isla, lo que
impedía a España, por una parte, traer tropas frescas, pertrechos y municiones,
y por otra, mover recursos entre diferentes puertos del territorio. Barcos de
guerra estadounidenses surtos frente a los puertos de Mariel, Cabañas,
Matanzas, Cárdenas, Cienfuegos y La Habana se hacían visibles desde la costa e
impedían la entrada y la salida de embarcaciones de cualquier bandera. No menos
de diez mercantes españoles fueron apresados y conducidos a Cayo Hueso. La
medida tenía otros objetivos estratégicos:
esperar a que las tropas regulares
norteamericanas destinadas a desembarcar completaran durante el verano su
entrenamiento en Nueva Orleans, Mobile y Tampa, y dejar que las fuerzas cubanas
continuaran desangrado a las españolas.
Fue así que el capitán general Ramón
Blanco y Erenas, Marqués de Peña Plata, solicitó a Madrid el envío a Cuba de la
flota española del Atlántico, que en esos momentos esperaba órdenes frente a
las islas de Cabo Verde, en África occidental.
Esta era mandada por el almirante
Pascual Cervera, un marino de casi
60 años de edad —nacido en Jerez de
la Frontera, el 18 de febrero de 1839— y que luego de egresar de la escuela
naval de San Fernando ascendió grado a grado, gracias a su participación en los
más importantes sucesos de la historia de su país durante la segunda mitad del
siglo XIX, una época cuyo trágico final sería simbolizado justamente con el
hundimiento de la escuadra que le tocó comandar.
Tomó parte Cervera en la campaña de
Marruecos (1853), en la expedición española contra la Conchinchina (1862) y ya
como capitán de navío asumió en 1866 el patrullaje de las costas de Perú.
Durante la Guerra de los Diez Años estuvo en la vigilancia de las costas
cubanas.
Participó además en la guerra
carlista, distinguiéndose en la defensa del arsenal de La Carraca. Presidió en
1891 la delegación de su país a la Conferencia Naval de Londres y, al año
siguiente, lo nombraron ministro de Marina en el gabinete del presidente
Sagasta, cargo al que renunció en protesta por la escasa dotación económica
destinada a su ministerio, como si previera desde entonces, dicen
historiadores, la tragedia que sufriría la flota española cuando le tocara
enfrentarse a fuerzas superiores, más modernas y mejor dotadas.
Conformaban la flota del Atlántico
cuatro cruceros acorazados y tres destructores, que desplazaban en conjunto 28
600 toneladas, y disponían, en teoría al menos, de 120 cañones, ocho
ametralladoras pesadas y 24 tubos lanzatorpedos, además de unos pocos cañones
de tiro rápido y algunos tubos lanzatorpedos instalados en los pequeños
destructores.
Hizo Cervera cuanto estuvo a su
alcance a fin de convencer al Ministro de Marina y al Gobierno de Madrid de que
no mandaran la flota a Cuba o a Puerto Rico. Sugería que la basaran en Canarias,
para proteger desde esa posición las islas y el territorio de la Península. El
asunto, a su juicio, era evitar un encuentro frontal con los norteamericanos en
el Caribe.
«Voy al sacrificio»
La flota norteamericana del
Atlántico, al mando del almirante William T. Sampson, era muy superior a la
española. Disponía de nueve cruceros acorazados, que desplazaban más de 65 000
toneladas y tenía instalados casi 300 cañones, 22 ametralladoras pesadas y 37
tubos lanzatorpedos.
No solo superaba a la española en
número de embarcaciones, tonelaje y potencia de fuego, sino que los buques eran
más modernos, poseían un blindaje más fuerte y su habilitación era más
completa. Estaba además la cuestión del combustible. La armada estadounidense
podía contar con cuanto carbón quisiera estando sus bases como estaban a pocas
horas de distancia, mientras que los españoles, con serios problemas en este
campo, tenían sus fuentes de abasto a miles de kilómetros del Caribe.
En vano insistió el almirante
Pascual Cervera. Conocía la superioridad de su enemigo. Por eso, en la víspera
de su partida hacia Cuba, informó nuevamente al Ministro de Marina acerca de
las condiciones de sus barcos, que dejaban mucho que desear. Su artillería
estaba incompleta o defectuosa, no contaba con municiones adecuadas ni
suficientes y tampoco disponía de carbón de calidad. En su informe, el marino
decía que su escuadra se colocaría en un callejón sin salida; una situación de
la que no podía esperarse más que la destrucción de sus barcos o la desmoralización
de sus hombres.
A las puertas del terrible verano de
1898, las altas autoridades españolas parecían vivir, sin embargo, en una
borrachera triunfalista que alcanzaba también a la población. No se quedaban
atrás muchos habaneros de a pie que en los cafés evocaban las batallas de
Lepanto y El Callao y pregonaban hasta el cansancio la superioridad de la
armada española, mientras que en el vestíbulo del teatro Albisu, el ilustrado
comandante de la marina española don Pedro Peral, hermano de Isaac, el inventor
del submarino, se empeñaba en demostrar justamente lo contrario.
En una página deliciosa de sus Viejas postales descoloridas, el
costumbrista Federico Villoch dice que en Cuba por aquel entonces se habló de
Cabo Verde como nunca antes ni después y que había quien escrutaba los mapas
para vaticinar en qué paraje ambas escuadras se desbaratarían a cañonazos. «Los
yanquis le tienen un miedo terrible al abordaje español», decían algunos. Y las
imaginaciones calenturientas trazaban cuadros espeluznantes de piratería,
remangados los puños de los marineros armados de grandes y afilados cuchillos,
y la sangre corriendo a bordo.
El propio Ministro de Marina
español, con la cabeza en las nubes, daba a Cervera, antes de su partida hacia
el Caribe, la misión siguiente:
«Ir a EE. UU., defender las islas de
Cuba y Puerto Rico, bloquear los puertos norteamericanos del golfo de México,
destruir la base naval de Cayo Hueso, sede de la flota del Atlántico, y de ser
posible bloquear puertos del este…».
Algunos vapores lograron burlar,
desde el puerto habanero, el cerco norteamericano, o salían y entraban con
permiso de los sitiadores. Con autorización lo hizo el Lafayette, de la
Compañía Trasatlántica Francesa, atestado de viajeros que abandonaban la ciudad
por miedo a las futuras contingencias, y le siguió el bergantín mexicano
Arturo, cargado de fugitivos. Los especuladores de siempre hicieron dinero con
el improvisado negocio de convertir goletas desvencijadas en barcos de
pasajeros que, por 50 o 100 pesos el boleto, transportaban pasaje desde La
Habana a Veracruz.
Pero los acorazados Brooklyn, Texas,
Iowa, Louisana…, dice Villoch, continuaban imperturbables en el horizonte,
firmes como si hubiesen echado raíces en las rocas del fondo, bañando las
noches con sus potentes focos eléctricos. Esa vigilancia no fue obstáculo para
que el vapor español Monserrat, con todas sus luces apagadas, burlase una noche
el bloqueo y arribase sin novedad, dos días después, a un cercano puerto de
México para, a su vuelta, abastecer de víveres a La Habana. Un barco de guerra
español llamado Conde de Venadito se arriesgó una tarde a salir del puerto para
provocar la agresión de los acorazados americanos y obligarlos a acercarse a la
costa para que fueran cañoneados desde el Morro, lo que resultó en vano, pues
el yanqui lo que hizo fue largarle una andanada de tiros y permanecer impávido
en su línea. Se dio también, entre otros casos, la entrada espectacular de la
goleta Santiago, que a todo trapo salió una mañana de buen viento de Bahía
Honda y penetró sana y salva en nuestro puerto, bajo los cañonazos que se
cruzaban uno de los acorazados norteamericanos y la batería de Santa Clara,
emplazada donde se edificó el Hotel Nacional de Cuba.
El 24 de abril recibía Cervera la
orden de moverse hacia el Caribe y se dispuso a cumplirla no sin antes advertir
a sus superiores que iba al sacrificio con la conciencia tranquila. Al día
siguiente, Estados Unidos declaró formalmente la guerra a España. Una semana
más tarde, en la bahía de Cavite, Filipinas, la flota norteamericana del
Pacífico destruía, en cuestión de horas, la escuadra española concentrada allí.
La noticia provocó en España la
conmoción que era de esperar. El 12 de mayo, el Ministro de Marina dirigió un
telegrama a Fort de France, en Martinica, autorizando a Cervera a regresar a
España. Pero Cervera jamás vio ese mensaje. El día anterior dejaba atrás Fort
de France y ponía proa a Cuba.
El héroe trágico
El 14 de mayo barcos norteamericanos
bombardearon con total impunidad San Juan de Puerto Rico. Cinco días después,
el 19, la flota de Cervera entraba en la bahía de Santiago de Cuba. A comienzos
de junio la escuadra del almirante Sampson bombardeaba esa ciudad. Con objeto
de embotellar a Cervera, sus adversarios hundieron el pontón Merrimac en la
boca de la rada santiaguera. A partir de ahí, si los barcos españoles querían
salir, debían hacerlo de uno en uno, convertidos en una suerte de tiro al
blanco para los norteamericanos.
Se entrevistan con el mayor general
Calixto García, lugarteniente general del Ejército Libertador, el almirante
Sampson, jefe de la flota, y el general Shafter, jefe del Ejército de tierra.
Desembarcan las tropas norteamericanas y avanzan hacia Santiago. El general
Linares, jefe de esa plaza militar, no se hace ilusiones respecto a la victoria
española y sabe que la derrota pondría en grave riesgo a la flota anclada en la
bahía. El capitán general Ramón Blanco, que recibió de Madrid la potestad de
decidir sobre todas las fuerzas militares destacadas en la Isla, incluso la
escuadra, y que sabe cómo piensa Cervera, telegrafía al Almirante: «Dice usted
que la caída de Santiago es segura, en cuyo caso tendrá usted que destruir sus
barcos, y esta es una razón más para intentar una salida, ya que es preferible
para el honor de las armas sucumbir combatiendo…».
Cervera escribe entonces a Linares:
«… afirmo con el mayor énfasis que nunca seré quien decida la horrible e inútil
hecatombe… A Blanco incumbe decidir si debo ir al suicidio, arrastrando conmigo
a estos 2
000 españoles».
Ante el ataque inminente, los
marinos de Cervera se suman a la defensa terrestre de Santiago. Ocurren el 1ro.
de julio de 1898 las batallas de El Caney y de San Juan, donde, en un intento
desesperado por recuperar la posición, resulta gravemente herido el general
Linares.
El día 2, desde La Habana, el
Capitán General ordena a Cervera que salga con sus barcos de la bahía
santiaguera. Al día siguiente, a las
9:45 de la mañana, disparando sin
cesar por ambas bandas, empezó a salir, con rumbo este, la escuadra española.
Una hora más tarde la flota del Atlántico sucumbía ante el poderío
norteamericano, y el propio almirante Pascual Cervera, el héroe trágico,
alcanzaba la costa a nado y era hecho prisionero. Debió enfrentar en España un
consejo de guerra acusado de la pérdida de la escuadra. Fue absuelto y
permaneció durante unos cuantos años más en servicio activo. Murió el 3 de
abril de 1909.
La batalla naval de Santiago tuvo para
España el saldo de 326 muertos,
215 heridos y 1 720 prisioneros. Los
norteamericanos tuvieron un muerto y un herido. «No siempre al valor acompaña
la fortuna», decía el Capitán General en su mensaje a los habitantes de la
Isla, y «firmes y resueltos ante el peligro», los llamaba a confiar en Dios «y
en nuestro derecho a dejar incólumes el honor y la integridad de la patria». El
general Shafter, por su parte, presentaba un ultimátum:
Si Santiago de Cuba no se rendía,
sería bombardeada. Pero eso lo veremos el próximo domingo.
Ciro Bianchi
Ross
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