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venerdì 4 ottobre 2013
Le origini "spagnole" del calcio a Cuba, presentate in un libro
Nei locali del Centro Asturiano del'Avana in Prado y Virtudes è stato presentato il libro di Santiago Prado Pérez Peñamil, "El fútbol y los clubes españoles de La Habana 1911-1937" - Asociacionismo y espacios de sociabilidad. Hanno assistito alla presentazione diplomatici della nazione iberica e di altri Paesi, ed il presidente dell'Associazione Culturale Fernando Ortíz, nonché presidente dell'UNEAC (Unione Scrittori e Artisti di Cuba), il famoso scrittore Miguel Barnet. Nella sede asturiana e nella sua "dipendence" giovanile sono conservati numerosi trofei del passato calcistico ibero-cubano. Lo scrittore ha detto di star pensando a un seguito che dal 1938 arrivi a nostri giorni, e che riguarda il calcio cubano, però con particolare riferimento agli anni '50 dove la presenza spagnola ha avuto un ritorno importante con la visita, all'Avana di importanti club peninsulari.
giovedì 3 ottobre 2013
mercoledì 2 ottobre 2013
Ma...il bipolarismo non doveva dare stabilità?
C'era una volta il multipartitismo: due grandi partiti, DC e PCI altri medi e piccoli "guidati" dal PSI. Questo sistema venne, giustamente, definito corrotto con prove alla mano e si disse che non dava garanzie alla stabilità di Governo. Si è cambiato il sistema con il cosiddetto "bipolarismo", scimmiottando inglesi e americani, come se gli italiani avessero la stessa mentalità. La stabilità, aiutata dal "premio di maggioranza", doveva essere garantita. Risultato? La corruzione è aumentata e la stabilità diminuita, il numero dei partiti aumentato a dismisura. Non credo si siano presentate tante liste nel sistema multipartitico come nelle tornate elettorali (teoricamente) a due poli. Liti, scissioni, "vendite", "tradimenti" non si sono mai susseguiti come ultimamente con buona pace dei due poli che perlomeno, dopo le ultime elezioni sono diventati tre...allora? Arridatece i puzzoni: DC, PCI, PSI, PSDI, PRI e magari anche il MSI và...con qualche outsider del momento. Si stava meglio, quando si stava peggio. O no?
martedì 1 ottobre 2013
lunedì 30 settembre 2013
Mosaico della domenica, di Ciro Bianchi Ross, pubblicato su Juventud Rebelde del 29/09/13
Mosaico della domenica
Il cine Fedora si trovava all’angolo di Belascoaín e San Miguel, in Centro Avana. Ma non è proprio la sua programmazione quello che fa interessante e degna di memoria questa sala cinematografica. Se la rievochiamo adesso è perché li ci lavorò, per un certo tempo, il pianista e compositore Ernesto Lecuona.
Si dice che, dopo la morte di suo padre, il musicista si vide obbligato a guadagnarsi la vita suonando in questo cine dove, inoltre, dirigeva l’orchestra e tra una pellicola e l’altra faceva qualche “a solo” di piano. La faccenda più interessante è che questo succedeva quando l’artista aveva solo 12 anni.
Lecuona non suonò solo nel Fedora. Lo fece anche in altre sale cinematografiche come Parisién, Norma, Turín Téstar...tutte all’Avana. Era il periodo in cui cominciava a farsi conoscere con piccole messe in scena che debuttavano nel teatro Martí.
Ebbene, Hubert de Blanck, che fu suo professore, cominciò a preoccuparsi per quelle attività di Lecuona. Pensava, giustamente, che sprecasse il suo talento. Aveva paura che l’adolescente, dotato di doti straordinarie per la musica e che poteva avere una grande carriera pianistica, si sminuisse e svilisse in quei lavoretti. Hubert de Blanck parlò con la madre di Lecuona. Le disse che era necessario distoglierlo da quelle attività triviali. La madre comprese la situazione e, a costo di grandi sacrifici, accettò il suggerimento del famoso compositore e pianista.
Dicono che molti anni dopo, già al vertice della sua fama, Lecuona ricordava emozionato la fede di sua madre e insisteva ad affermare che tutto ciò che lui era, lo doveva a lei.
Rita e il pepe di Guinea
Lo raccontava il compositore Gilberto Valdés.
Si rappresentava un concerto con la sua musica e invitò Rita Montaner perché intrpretasse qualcuno dei suoi pezzi, però lei si rifiutò dato che nel programma, che era già stato fatto, c’era una figura che le dava fastidio. Scrisse una lettera a Valdés esprimendo il suo rifiuto. Il compositore cercò di convincerla, ma lei mantenne il suo no. Pertanto non rimase come alternativa che contrattare un’altra interprete.
Valdés volle che fosse Hortensia Coalla, ma la Coalla si fece pregare perché, nonostante fosse mulatta, le dava fastidio la pronuncia che esigevano certi passaggi della composizione di Valdés. Per esempio dire “los negros están de fieta...” invece che “los negros están de fiesta...”, ecc. La Coalla, ricordava Valdés, voleva essere bianca, più bianca di chiunque, aveva ossessione di ciò, ma alla fine si convinse e decise di partecipare al concerto interpretando Tambor.
Rita fu alla funzione come spettatrice. Giunse e si sedette in una poltroncina vicina al posto che occupavano Antonio Beruff Mendieta, sindaco dell’Avana, e il musicologo spagnolo Adolfo Salazar che lo accompagnava. E qua viene il bello. Venne il momento di Hortensia Coalla. Uscì sulla scena e l’orchestra, con direzione di Gilberto Valdés iniziò le prime battute di Tambor. Rita, dalla sua poltrona, disse. “Adesso vedrete come si canta questo”. Si dette questa situazione: Valdés con l’orchestra da una parte, Rita cantando dalla platea e la Coalla sulla scena senza poter articolare una parola.
Beruff Mendieta disse a Rita: “Signora, se non si tranquillizza la faccio cacciare dalla sala”.
Rita rispose: “Guarda, se ci provi, mi tolgo la scarpa e vi prendo a colpi di tacco a te, a questo qua - Salazar - e a Maria Santissima”.
La cosa sembrava finita li, ma no. L’orchestra cominciò a insubordinarsi e Gilberto Valdés dovette irrigidirsi e richiamare all’ordine i musicisti. Si ristabilì l’ordine, ma quando Rita uscì dalla sala, i tamburi si rifiutarono di continuare. Dissero che Rita avesse gettato pepe di Guinea perché litigassero fra loro.
Concludeva il suo racconto Gilberto Valdés: “Ed era vero che lo aveva gettato”.
Modestia di Caignet
Negli anni ’40, quando Orlando Quiroga che all’epoca era un bambino passando, preso per mano da suo padre, di fronte all’edifico della CMQ in Monte e Prado, vide due persone che riconobbe immediatamente. Lei con lo sguardo assente e verde, il neo sulla fronte e un turbante originale con l’adorno di perle. Era Rita Montaner. Lui, Carlos Badías, niente più e nientemeno che Albertico Limonta, l’attor giovane di El derecho de nacér.
Quasi 20 anni dopo, Quiroga, già affermato giornalista, visitò Caignet nella sua casa di Santa Maria del Mar e ricordò quell’incontro. Li, in quell’angolo, disse, conversavano Rita Montaner e Carlos Badías. E Caignet con la sua caratteristica “modestia” commentò: “Di sicuro stavano parlando di me”.
Come nacque il “suspence” alla radio
Lo racconta lo stesso Fèlix B. Caignet, suo creatore.
“Nella mia infanzia a Santiago, non c’era la radio, men che meno la televisione e il cine era una cosa appena inventata.
Allora arrivavano i contafavole come qualcosa di magico, ogni bambino pagava un centesimo e i contafavole cominciavano un racconto. Dopo 20 o 30 minuti, nel più bello del racconto, il contafavole interrompeva la narrazione fino al giorno successivo quando, naturalmente, tutti i bambini tornavano col centesimo per ascoltare il seguito.
Molti anni dopo, nella Catena Radio Orientale, ho applicato questa tecnica per la prima volta nei miei capitoli. Nel momento più emozionante o terribile, usciva l’annunciatore e diceva:
Fui il primo a farlo in radio ed ebbe presa, non ti dico quanto, tanto che cominciai a scrivere cose per i bambini: Le avventure di Chelín, Bebita e il naneto Cavolfiore, e dopo mi misi in pieno con questa tecnica dei finali di tensione”.
Il grido di Dolores
La messicana Dolores del Río era un “animale” cinematografico. Però per niente di televisione, niente, nemmeno in Messico. Un giorno la portarono all’Avana e la CMQ le offrì un capitale per una scena di dieci minuti in un programma musicale prodotto da Carballido Rey.
Dolores accettò. Arrivò il giorno fatidico. La TV, allora, era in diretta e l’attrice, nervosissima, passeggiava per lo studio inseguita dall’obbiettivo implacabile del fotografo Osvaldo Salas. Finì il numero musicale che serviva da prologo alla sua attuazione, venne un intermezzo commerciale e apparse un annunciatore che disse meraviglie dell’attrice invitata. La scena era semplice. Seduta su un sofà di raso, una figlia si lamentava con la madre che non accettava il suo fidanzato. Dolores appariva in piedi, senza minimamente accennare a dare la sua opinione per quanto la “figlia” trattasse di aiutarla porgendole la battuta.
“Si, so quello che vuoi dirmi, che sono una figlia disobbediente, che sono una svergognata, che senti odio verso di lui e verso di me...”
Niente. Carballido camminava dietro le telecamere con le mani tra i capelli e Dolores non se ne dava nemmeno per intesa, come se avesse dimenticato quello che doveva dire, senza nemmeno captare i gesti. Non reagì fino a che emise un forte gemito e guardando di sottecchi il mobile cadde svenuta sul sofà. Il coordinatore, su indicazione del regista, ordinò al balletto di proseguire il programma mentre Dolores rimaneva svenuta.
Il giorno seguente, tuuta Cuba parlava dello svenimento dell’attrice. Carballido Reyu e un rappresentante degli sponsor andarono a trovarla in albergo. Li ricevette il marito, con fare vergognoso. Non c’era bisogno di dirlo, l’attrice non avrebbe ricevuto compenso per un lavoro che non aveva svolto.
“Ma per niente - rispose Carballido, sventolando il congruo assegno -. Accettatelo, lo svenimento ha fatto parlare più che se avesse recitato. È stato un grande successo!”
Il sorriso furbesco di Rodney
Quelli che lo conobbero, lo rievocano come un personaggio affascinante. La lebbra che gli deformò le mani, non frenò le sue ambizioni di diventare famoso. Quando la discapacità fisica, accentuata dal passare degli anni si fece sempre più evidente, cambiò l’attuazione per la coreografia.
Roderico Neyra, “Rodney”, fu coreografo del teatro Shanghai, nel quartiere cinese, una sala famosa per i suoi spettacoli di nudo e fu l’organizzatore delle mitiche Mulatas de fuego. Lavorò nel cabaret Sans Soucì e dopo, a partire dal 1° giugno del 1952, fece idiventare il Tropicana all’altezza delle migliori sale di spettacolo del mondo. Andò a Caracas all’inizio degli anni ’60. Passò a Porto Rico e si fece applaudire senza riserve nel Waldorf Astoria di New York. Trionfò ad Acapulco e a Città del Messico. La morte lo sorprese in piena effervescenza creatrice quando tentava di conquistare Hollywood. Nel 1957, la rivista Show affermava, in un servizio che dedicò all’artista, che Rodney aveva dato più visibilità a Cuba che tutti i suoi diplomatici messi assieme.
Era un mulatto di bassa statura, pelle chiara e baffi sottili. Aveva un sorriso furbesco. Negli anni ’40 soleva viaggiare per l’Isola con una valigia piena di immaginete di santi que poi spargeva nelle camere d’albergo in cui si ospitava.
Se diminuisci i tuoi prezzi...
Anni fa, ricordava Enrique Nuñez Rodríguez in questa pagina: Rodney mi incaricò del copione per lo spettacolo del Tropicana. Mi affacciai per la prima volta a quel mondo fantastico. Compii il mio dovere. Rodney mi portò all’ufficio del signor Ardura che era l’amministratore del cabaret. Nel tragitto mi chiese quanto avrei fatto pagare per il mio “libretto”. Gli dissi 500 pesos. Giungendo all’ufficio di Ardura, gli spiegò che ero l’autore del copione dello spettacolo che si stava allestendo e che ero li per riscuotere il compenso del lavoro. Ardura domandò a Rodney quanto avrei dovuto avere. Rodney gli rispose impassibile che erano 5000 pesos. Ardura, anch’egli impassibile, compilò l’assegno. All’uscita, nervosamente, dissi a Rodney che si era sbagliato, che io gli avevo detto 500 pesos.
Brontolò: “Quello che si è sbagliato sei stato tu. Se abbassi i tuoi prezzi penserebbero che io gli costo troppo. Tienti il resto”.
Mosaico dominical
Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
28 de Septiembre del 2013 19:30:08 CDT
El cine Fedora se hallaba en la esquina de Belascoaín y San Miguel, en
Centro Habana. No es precisamente su programación lo que hace
interesante y digna de memoria a esta sala cinematográfica. Si ahora
la evocamos es porque allí laboró durante un tiempo el gran pianista y
compositor Ernesto Lecuona.
Se dice que después de la muerte de su padre, el músico se vio
obligado a ganarse la vida tocando en este cine, donde además dirigía
la orquesta y entre película y película acometía algún solo de piano.
Lo más interesante del asunto es que esto ocurría cuando el artista
apenas tenía 12 años de edad.
No solo en el Fedora tocó Lecuona. Lo hizo también en otras salas
cinematográficas como Parisién, Norma, Turín Téstar… todas en La
Habana. Era la época en que comenzaba a darse a conocer con pequeñas
obras escénicas que estrenaba en el teatro Martí.
Pues bien, Hubert de Blanck, que había sido su profesor, empezó a
preocuparse por aquellas ocupaciones de Lecuona. Pensaba, con razón,
que desperdiciaba su talento. Tenía miedo de que el adolescente,
dotado de condiciones extraordinarias para la música y que podía hacer
una verdadera carrera pianística, se abaratara y malgastara en
aquellos trajines. Hubert de Blanck habló con la madre de Lecuona. Le
dijo que era necesario separarlo de aquellas actividades triviales. La
madre comprendió la situación y, a costa de grandes sacrificios,
aceptó la sugerencia del afamado compositor y pianista.
Dicen que muchos años después, ya en el apogeo de su fama, Lecuona
recordaba emocionado aquella fe de su madre e insistía en afirmar que
todo lo que era se lo debía a ella.
Rita y la pimienta de Guinea
Lo contó el compositor Gilberto Valdés. Se presentaría un concierto
con su música, e invitó a Rita Montaner para que interpretara alguna
que otra pieza, pero ella se negó porque en el programa, que ya estaba
hecho, había una figura que le molestaba. Le escribió una carta a
Valdés en la que expresa su negativa. Trató el compositor de
convencerla, pero ella se mantuvo en su no. De manera que no quedó
otra alternativa que contratar a otra intérprete.
Quiso Valdés que fuera Hortensia Coalla, pero la Coalla se hizo de
rogar porque, pese a ser mulata, le molestaba la pronunciación que
exigían ciertos pasajes de la música de Valdés. Decir, por ejemplo:
«Lo negro están de fieta…» en lugar de Los negros, etc. La Coalla,
recordaba Valdés, quería ser blanca, más blanca que nadie, tenía
delirio de eso, pero se convenció y decidió participar en el concierto
e interpretar Tambor.
Rita fue al concierto como espectadora. Llegó y se sentó en una butaca
próxima al lugar que ocupaban Antonio Beruff Mendieta, alcalde de La
Habana, y el musicólogo español Adolfo Salazar, que lo acompañaba. Y
aquí viene lo interesante. Tocó el turno a Hortensia Coalla. Salió a
escena y la orquesta, bajo la conducción de Gilberto Valdés, acometió
los compases iniciales de Tambor. Dijo Rita desde su butaca: «Ahora
verán ustedes cómo se canta eso». Se dio esta situación: Valdés con la
orquesta por allá, Rita cantando desde el público y la Coalla en el
escenario sin poder articular palabra.
Beruff Mendieta dijo a Rita: «Señora, si usted no se comporta, la
mando a sacar de la sala». Rita respondió: «Mira, si te atreves, me
quito el zapato y les entro a taconazos a ti, a ese —a Salazar— y a
María Santísima».
La cosa parecía que quedaría ahí, pero no. La orquesta empezó a
insubordinarse y Gilberto Valdés tuvo que ponerse duro y llamar a
capítulo a los músicos. Se restableció el orden, pero cuando Rita
salió de la sala, los tamboreros se negaron a seguir. Dijeron que Rita
les había echado pimienta de Guinea para que se fajaran entre ellos.
Concluía Gilberto Valdés su relato: «Y era verdad que se las había echado».
Modestia de Caignet
En los años 40, Orlando Quiroga, que entonces era un niño, pasaba, de
la mano de su padre, frente al edificio de la CMQ, en Monte y Prado,
cuando vio a dos personas a las que reconoció de inmediato. Ella, con
la mirada ausente y verde, el lunar en la frente y un turbante
legítimo sujeto con un pasador de perlas. Era Rita Montaner. Él,
Carlos Badías, nada más y nada menos que Albertico Limonta, el galán
de El derecho de nacer.
Casi 20 años después, Quiroga, ya un periodista reconocido, visitó a
Caignet en su casa de Santa María del Mar y recordó aquel encuentro.
Allí, en la esquina, dijo, conversaban Rita Montaner y Carlos Badías.
Y Caignet, con su «modestia» característica, comentó:
—Seguramente estaban hablando de mí.
Cómo surgió el suspenso en la radio
Lo cuenta el mismo Félix B. Caignet, su creador.
«En mi infancia santiaguera no había radio, mucho menos televisión y
el cine era un invento acabado de inventar.
«Entonces llegaban los cuenteros, como algo mágico, cada niño pagaba
un centavo y empezaba el cuentero a hacer un cuento. Cuando habían
pasado 20, 30 minutos, en lo mejor de la narración, el cuentero
interrumpía su relato hasta el día siguiente, cuando, por supuesto,
todos los niños volvían con su centavo para escuchar el desenlace.
«Muchos años después, en la Cadena Oriental de Radio, apliqué esa
técnica por primera vez en mis capítulos. En lo más emocionante, en lo
más horrible, salía el locutor y decía: “¿Se enterará fulana del
engaño de mengano? ¿Qué pasará con la pobre tía inválida? ¿Cuál será
la reacción de Alfredo cuando sepa la terrible verdad?”.
«Fui el primero en hacerlo en la radio y pegó, no digo yo si pegó,
aunque empecé escribiendo cosas para niños: Las aventuras de Chelín,
Bebita y el enanito Coliflor, y después me fui metiendo con esa
técnica de los finales de tensión».
El grito de Dolores
La mexicana Dolores del Río era un «animal» del cine. Pero de
televisión, nada, ni siquiera en México. Un día la trajeron a La
Habana y CMQ le ofreció un dineral por una escena de diez minutos en
un programa musical que producía Carballido Rey.
Dolores aceptó. Llegó el día en cuestión. La TV era entonces en vivo y
la actriz, muy nerviosa, se paseaba por el estudio perseguida por el
lente implacable del fotógrafo Osvaldo Salas. Terminó el número
musical que servía de preámbulo a su actuación, vino un comercial y
apareció un locutor que dijo maravillas de la artista invitada.
La escena era sencilla. Junto a su sofá forrado de raso, una hija
reprochaba a su madre que no aceptara a su novio. Dolores aparecía de
pie, sin atinar a decir su parlamento por más que la «hija» trataba de
ayudarla dándole el pie.
—Sí, ya sé lo que me vas a decir, que soy una hija desobediente, que
soy una sinvergüenza, que sientes odio hacia él y hacia mí…
Nada. Carballido se paseaba tras las cámaras con las manos en la
cabeza y Dolores ni por aludida se daba, como si hubiese olvidado lo
que debía decir, sin captar la seña siquiera. No reaccionaba hasta que
por fin metió un gritico distinguido y mirando de reojo el mueble cayó
desmayada en el sofá. El coordinador, por indicación del director,
ordenó al ballet que continuara el programa mientras Dolores
permanecía desmayada.
Al día siguiente, toda Cuba hablaba del desvanecimiento de la actriz.
Carballido Rey y un representante de los patrocinadores fueron a verla
al hotel. Los recibió el marido, muy apenado. No faltaba más, la
actriz no cobraría por un trabajo que no había hecho.
—Nada de eso —respondió Carballido enarbolando el jugoso cheque—.
Acéptelo. El desmayo ha dado que hablar más que si hubiese actuado.
¡Ha sido todo un éxito!
La sonrisa pícara de Rodney
Los que lo conocieron, lo evocan como un personaje fascinante. La
lepra, que le deformó las manos, no frenó su ambición de hacerse
famoso. Cuando la discapacidad física, acentuada por el paso de los
años, se fue haciendo cada vez más evidente, cambió la actuación por
la coreografía.
Roderico Neyra, «Rodney», fue coreógrafo del teatro Shanghai, en el
barrio chino habanero, una sala famosa por sus espectáculos de
desnudos, y organizó las míticas Mulatas de fuego. Trabajó en el
cabaré Sans Souci y luego, a partir del 1ro. de junio de 1952, puso a
Tropicana a la altura de las mejores salas de fiesta del mundo. Se va
a Caracas a comienzos de los años 60. Pasa a Puerto Rico y se hace
aplaudir sin reservas en el Waldorf Astoria, de Nueva York. Triunfa en
Acapulco y en la Ciudad de México. La muerte lo sorprende, en plena
efervescencia creadora, cuando intentaba conquistar Hollywood. En
1957, la revista Show afirmaba en un reportaje que dedicó al artista
que Rodney había dado más lustre a Cuba que todos sus diplomáticos
juntos.
Era un mulato de baja estatura, piel clara y bigote fino. Tenía una
sonrisa pícara. En los años 40 solía viajar por la Isla con una maleta
llena de imágenes de santos que desplegaba luego en la habitación del
hotel donde se alojaba.
Si abaratas tu trabajo...
Recordaba hace años Enrique Núñez Rodríguez en esta misma página:
Rodney me encargó el guión para un espectáculo de Tropicana. Me asomé
por primera vez a aquel mundo fantástico. Cumplí con mi trabajo.
Rodney me llevó a la oficina del señor Ardura, que era el
administrador del cabaré. En el trayecto me preguntó cuánto iba a
cobrar por mi libreto. Le dije que 500 pesos. Al llegar al despacho de
Ardura, le explicó que yo era el guionista del show que se estaba
ensayando y que venía a cobrar mi trabajo. Ardura preguntó a Rodney
cuánto iba a cobrar. Rodney le respondió, sin inmutarse, que 5 000
pesos. Ardura hizo el cheque también sin inmutarse. A la salida, todo
nervioso, dije a Rodney que se había equivocado, que yo le había dicho
500. Rezongó:
—El que te equivocaste fuiste tú. Si abaratas tu trabajo van a pensar
que yo les cobro demasiado. Guárdate el resto.
--
Ciro Bianchi Ross
ciro@jrebelde.cip.cu
http://wwwcirobianchi.blogia.com/
http://cbianchiross.blogia.com/
Il cine Fedora si trovava all’angolo di Belascoaín e San Miguel, in Centro Avana. Ma non è proprio la sua programmazione quello che fa interessante e degna di memoria questa sala cinematografica. Se la rievochiamo adesso è perché li ci lavorò, per un certo tempo, il pianista e compositore Ernesto Lecuona.
Si dice che, dopo la morte di suo padre, il musicista si vide obbligato a guadagnarsi la vita suonando in questo cine dove, inoltre, dirigeva l’orchestra e tra una pellicola e l’altra faceva qualche “a solo” di piano. La faccenda più interessante è che questo succedeva quando l’artista aveva solo 12 anni.
Lecuona non suonò solo nel Fedora. Lo fece anche in altre sale cinematografiche come Parisién, Norma, Turín Téstar...tutte all’Avana. Era il periodo in cui cominciava a farsi conoscere con piccole messe in scena che debuttavano nel teatro Martí.
Ebbene, Hubert de Blanck, che fu suo professore, cominciò a preoccuparsi per quelle attività di Lecuona. Pensava, giustamente, che sprecasse il suo talento. Aveva paura che l’adolescente, dotato di doti straordinarie per la musica e che poteva avere una grande carriera pianistica, si sminuisse e svilisse in quei lavoretti. Hubert de Blanck parlò con la madre di Lecuona. Le disse che era necessario distoglierlo da quelle attività triviali. La madre comprese la situazione e, a costo di grandi sacrifici, accettò il suggerimento del famoso compositore e pianista.
Dicono che molti anni dopo, già al vertice della sua fama, Lecuona ricordava emozionato la fede di sua madre e insisteva ad affermare che tutto ciò che lui era, lo doveva a lei.
Rita e il pepe di Guinea
Lo raccontava il compositore Gilberto Valdés.
Si rappresentava un concerto con la sua musica e invitò Rita Montaner perché intrpretasse qualcuno dei suoi pezzi, però lei si rifiutò dato che nel programma, che era già stato fatto, c’era una figura che le dava fastidio. Scrisse una lettera a Valdés esprimendo il suo rifiuto. Il compositore cercò di convincerla, ma lei mantenne il suo no. Pertanto non rimase come alternativa che contrattare un’altra interprete.
Valdés volle che fosse Hortensia Coalla, ma la Coalla si fece pregare perché, nonostante fosse mulatta, le dava fastidio la pronuncia che esigevano certi passaggi della composizione di Valdés. Per esempio dire “los negros están de fieta...” invece che “los negros están de fiesta...”, ecc. La Coalla, ricordava Valdés, voleva essere bianca, più bianca di chiunque, aveva ossessione di ciò, ma alla fine si convinse e decise di partecipare al concerto interpretando Tambor.
Rita fu alla funzione come spettatrice. Giunse e si sedette in una poltroncina vicina al posto che occupavano Antonio Beruff Mendieta, sindaco dell’Avana, e il musicologo spagnolo Adolfo Salazar che lo accompagnava. E qua viene il bello. Venne il momento di Hortensia Coalla. Uscì sulla scena e l’orchestra, con direzione di Gilberto Valdés iniziò le prime battute di Tambor. Rita, dalla sua poltrona, disse. “Adesso vedrete come si canta questo”. Si dette questa situazione: Valdés con l’orchestra da una parte, Rita cantando dalla platea e la Coalla sulla scena senza poter articolare una parola.
Beruff Mendieta disse a Rita: “Signora, se non si tranquillizza la faccio cacciare dalla sala”.
Rita rispose: “Guarda, se ci provi, mi tolgo la scarpa e vi prendo a colpi di tacco a te, a questo qua - Salazar - e a Maria Santissima”.
La cosa sembrava finita li, ma no. L’orchestra cominciò a insubordinarsi e Gilberto Valdés dovette irrigidirsi e richiamare all’ordine i musicisti. Si ristabilì l’ordine, ma quando Rita uscì dalla sala, i tamburi si rifiutarono di continuare. Dissero che Rita avesse gettato pepe di Guinea perché litigassero fra loro.
Concludeva il suo racconto Gilberto Valdés: “Ed era vero che lo aveva gettato”.
Modestia di Caignet
Negli anni ’40, quando Orlando Quiroga che all’epoca era un bambino passando, preso per mano da suo padre, di fronte all’edifico della CMQ in Monte e Prado, vide due persone che riconobbe immediatamente. Lei con lo sguardo assente e verde, il neo sulla fronte e un turbante originale con l’adorno di perle. Era Rita Montaner. Lui, Carlos Badías, niente più e nientemeno che Albertico Limonta, l’attor giovane di El derecho de nacér.
Quasi 20 anni dopo, Quiroga, già affermato giornalista, visitò Caignet nella sua casa di Santa Maria del Mar e ricordò quell’incontro. Li, in quell’angolo, disse, conversavano Rita Montaner e Carlos Badías. E Caignet con la sua caratteristica “modestia” commentò: “Di sicuro stavano parlando di me”.
Come nacque il “suspence” alla radio
Lo racconta lo stesso Fèlix B. Caignet, suo creatore.
“Nella mia infanzia a Santiago, non c’era la radio, men che meno la televisione e il cine era una cosa appena inventata.
Allora arrivavano i contafavole come qualcosa di magico, ogni bambino pagava un centesimo e i contafavole cominciavano un racconto. Dopo 20 o 30 minuti, nel più bello del racconto, il contafavole interrompeva la narrazione fino al giorno successivo quando, naturalmente, tutti i bambini tornavano col centesimo per ascoltare il seguito.
Molti anni dopo, nella Catena Radio Orientale, ho applicato questa tecnica per la prima volta nei miei capitoli. Nel momento più emozionante o terribile, usciva l’annunciatore e diceva:
Fui il primo a farlo in radio ed ebbe presa, non ti dico quanto, tanto che cominciai a scrivere cose per i bambini: Le avventure di Chelín, Bebita e il naneto Cavolfiore, e dopo mi misi in pieno con questa tecnica dei finali di tensione”.
Il grido di Dolores
La messicana Dolores del Río era un “animale” cinematografico. Però per niente di televisione, niente, nemmeno in Messico. Un giorno la portarono all’Avana e la CMQ le offrì un capitale per una scena di dieci minuti in un programma musicale prodotto da Carballido Rey.
Dolores accettò. Arrivò il giorno fatidico. La TV, allora, era in diretta e l’attrice, nervosissima, passeggiava per lo studio inseguita dall’obbiettivo implacabile del fotografo Osvaldo Salas. Finì il numero musicale che serviva da prologo alla sua attuazione, venne un intermezzo commerciale e apparse un annunciatore che disse meraviglie dell’attrice invitata. La scena era semplice. Seduta su un sofà di raso, una figlia si lamentava con la madre che non accettava il suo fidanzato. Dolores appariva in piedi, senza minimamente accennare a dare la sua opinione per quanto la “figlia” trattasse di aiutarla porgendole la battuta.
“Si, so quello che vuoi dirmi, che sono una figlia disobbediente, che sono una svergognata, che senti odio verso di lui e verso di me...”
Niente. Carballido camminava dietro le telecamere con le mani tra i capelli e Dolores non se ne dava nemmeno per intesa, come se avesse dimenticato quello che doveva dire, senza nemmeno captare i gesti. Non reagì fino a che emise un forte gemito e guardando di sottecchi il mobile cadde svenuta sul sofà. Il coordinatore, su indicazione del regista, ordinò al balletto di proseguire il programma mentre Dolores rimaneva svenuta.
Il giorno seguente, tuuta Cuba parlava dello svenimento dell’attrice. Carballido Reyu e un rappresentante degli sponsor andarono a trovarla in albergo. Li ricevette il marito, con fare vergognoso. Non c’era bisogno di dirlo, l’attrice non avrebbe ricevuto compenso per un lavoro che non aveva svolto.
“Ma per niente - rispose Carballido, sventolando il congruo assegno -. Accettatelo, lo svenimento ha fatto parlare più che se avesse recitato. È stato un grande successo!”
Il sorriso furbesco di Rodney
Quelli che lo conobbero, lo rievocano come un personaggio affascinante. La lebbra che gli deformò le mani, non frenò le sue ambizioni di diventare famoso. Quando la discapacità fisica, accentuata dal passare degli anni si fece sempre più evidente, cambiò l’attuazione per la coreografia.
Roderico Neyra, “Rodney”, fu coreografo del teatro Shanghai, nel quartiere cinese, una sala famosa per i suoi spettacoli di nudo e fu l’organizzatore delle mitiche Mulatas de fuego. Lavorò nel cabaret Sans Soucì e dopo, a partire dal 1° giugno del 1952, fece idiventare il Tropicana all’altezza delle migliori sale di spettacolo del mondo. Andò a Caracas all’inizio degli anni ’60. Passò a Porto Rico e si fece applaudire senza riserve nel Waldorf Astoria di New York. Trionfò ad Acapulco e a Città del Messico. La morte lo sorprese in piena effervescenza creatrice quando tentava di conquistare Hollywood. Nel 1957, la rivista Show affermava, in un servizio che dedicò all’artista, che Rodney aveva dato più visibilità a Cuba che tutti i suoi diplomatici messi assieme.
Era un mulatto di bassa statura, pelle chiara e baffi sottili. Aveva un sorriso furbesco. Negli anni ’40 soleva viaggiare per l’Isola con una valigia piena di immaginete di santi que poi spargeva nelle camere d’albergo in cui si ospitava.
Se diminuisci i tuoi prezzi...
Anni fa, ricordava Enrique Nuñez Rodríguez in questa pagina: Rodney mi incaricò del copione per lo spettacolo del Tropicana. Mi affacciai per la prima volta a quel mondo fantastico. Compii il mio dovere. Rodney mi portò all’ufficio del signor Ardura che era l’amministratore del cabaret. Nel tragitto mi chiese quanto avrei fatto pagare per il mio “libretto”. Gli dissi 500 pesos. Giungendo all’ufficio di Ardura, gli spiegò che ero l’autore del copione dello spettacolo che si stava allestendo e che ero li per riscuotere il compenso del lavoro. Ardura domandò a Rodney quanto avrei dovuto avere. Rodney gli rispose impassibile che erano 5000 pesos. Ardura, anch’egli impassibile, compilò l’assegno. All’uscita, nervosamente, dissi a Rodney che si era sbagliato, che io gli avevo detto 500 pesos.
Brontolò: “Quello che si è sbagliato sei stato tu. Se abbassi i tuoi prezzi penserebbero che io gli costo troppo. Tienti il resto”.
Mosaico dominical
Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
28 de Septiembre del 2013 19:30:08 CDT
El cine Fedora se hallaba en la esquina de Belascoaín y San Miguel, en
Centro Habana. No es precisamente su programación lo que hace
interesante y digna de memoria a esta sala cinematográfica. Si ahora
la evocamos es porque allí laboró durante un tiempo el gran pianista y
compositor Ernesto Lecuona.
Se dice que después de la muerte de su padre, el músico se vio
obligado a ganarse la vida tocando en este cine, donde además dirigía
la orquesta y entre película y película acometía algún solo de piano.
Lo más interesante del asunto es que esto ocurría cuando el artista
apenas tenía 12 años de edad.
No solo en el Fedora tocó Lecuona. Lo hizo también en otras salas
cinematográficas como Parisién, Norma, Turín Téstar… todas en La
Habana. Era la época en que comenzaba a darse a conocer con pequeñas
obras escénicas que estrenaba en el teatro Martí.
Pues bien, Hubert de Blanck, que había sido su profesor, empezó a
preocuparse por aquellas ocupaciones de Lecuona. Pensaba, con razón,
que desperdiciaba su talento. Tenía miedo de que el adolescente,
dotado de condiciones extraordinarias para la música y que podía hacer
una verdadera carrera pianística, se abaratara y malgastara en
aquellos trajines. Hubert de Blanck habló con la madre de Lecuona. Le
dijo que era necesario separarlo de aquellas actividades triviales. La
madre comprendió la situación y, a costa de grandes sacrificios,
aceptó la sugerencia del afamado compositor y pianista.
Dicen que muchos años después, ya en el apogeo de su fama, Lecuona
recordaba emocionado aquella fe de su madre e insistía en afirmar que
todo lo que era se lo debía a ella.
Rita y la pimienta de Guinea
Lo contó el compositor Gilberto Valdés. Se presentaría un concierto
con su música, e invitó a Rita Montaner para que interpretara alguna
que otra pieza, pero ella se negó porque en el programa, que ya estaba
hecho, había una figura que le molestaba. Le escribió una carta a
Valdés en la que expresa su negativa. Trató el compositor de
convencerla, pero ella se mantuvo en su no. De manera que no quedó
otra alternativa que contratar a otra intérprete.
Quiso Valdés que fuera Hortensia Coalla, pero la Coalla se hizo de
rogar porque, pese a ser mulata, le molestaba la pronunciación que
exigían ciertos pasajes de la música de Valdés. Decir, por ejemplo:
«Lo negro están de fieta…» en lugar de Los negros, etc. La Coalla,
recordaba Valdés, quería ser blanca, más blanca que nadie, tenía
delirio de eso, pero se convenció y decidió participar en el concierto
e interpretar Tambor.
Rita fue al concierto como espectadora. Llegó y se sentó en una butaca
próxima al lugar que ocupaban Antonio Beruff Mendieta, alcalde de La
Habana, y el musicólogo español Adolfo Salazar, que lo acompañaba. Y
aquí viene lo interesante. Tocó el turno a Hortensia Coalla. Salió a
escena y la orquesta, bajo la conducción de Gilberto Valdés, acometió
los compases iniciales de Tambor. Dijo Rita desde su butaca: «Ahora
verán ustedes cómo se canta eso». Se dio esta situación: Valdés con la
orquesta por allá, Rita cantando desde el público y la Coalla en el
escenario sin poder articular palabra.
Beruff Mendieta dijo a Rita: «Señora, si usted no se comporta, la
mando a sacar de la sala». Rita respondió: «Mira, si te atreves, me
quito el zapato y les entro a taconazos a ti, a ese —a Salazar— y a
María Santísima».
La cosa parecía que quedaría ahí, pero no. La orquesta empezó a
insubordinarse y Gilberto Valdés tuvo que ponerse duro y llamar a
capítulo a los músicos. Se restableció el orden, pero cuando Rita
salió de la sala, los tamboreros se negaron a seguir. Dijeron que Rita
les había echado pimienta de Guinea para que se fajaran entre ellos.
Concluía Gilberto Valdés su relato: «Y era verdad que se las había echado».
Modestia de Caignet
En los años 40, Orlando Quiroga, que entonces era un niño, pasaba, de
la mano de su padre, frente al edificio de la CMQ, en Monte y Prado,
cuando vio a dos personas a las que reconoció de inmediato. Ella, con
la mirada ausente y verde, el lunar en la frente y un turbante
legítimo sujeto con un pasador de perlas. Era Rita Montaner. Él,
Carlos Badías, nada más y nada menos que Albertico Limonta, el galán
de El derecho de nacer.
Casi 20 años después, Quiroga, ya un periodista reconocido, visitó a
Caignet en su casa de Santa María del Mar y recordó aquel encuentro.
Allí, en la esquina, dijo, conversaban Rita Montaner y Carlos Badías.
Y Caignet, con su «modestia» característica, comentó:
—Seguramente estaban hablando de mí.
Cómo surgió el suspenso en la radio
Lo cuenta el mismo Félix B. Caignet, su creador.
«En mi infancia santiaguera no había radio, mucho menos televisión y
el cine era un invento acabado de inventar.
«Entonces llegaban los cuenteros, como algo mágico, cada niño pagaba
un centavo y empezaba el cuentero a hacer un cuento. Cuando habían
pasado 20, 30 minutos, en lo mejor de la narración, el cuentero
interrumpía su relato hasta el día siguiente, cuando, por supuesto,
todos los niños volvían con su centavo para escuchar el desenlace.
«Muchos años después, en la Cadena Oriental de Radio, apliqué esa
técnica por primera vez en mis capítulos. En lo más emocionante, en lo
más horrible, salía el locutor y decía: “¿Se enterará fulana del
engaño de mengano? ¿Qué pasará con la pobre tía inválida? ¿Cuál será
la reacción de Alfredo cuando sepa la terrible verdad?”.
«Fui el primero en hacerlo en la radio y pegó, no digo yo si pegó,
aunque empecé escribiendo cosas para niños: Las aventuras de Chelín,
Bebita y el enanito Coliflor, y después me fui metiendo con esa
técnica de los finales de tensión».
El grito de Dolores
La mexicana Dolores del Río era un «animal» del cine. Pero de
televisión, nada, ni siquiera en México. Un día la trajeron a La
Habana y CMQ le ofreció un dineral por una escena de diez minutos en
un programa musical que producía Carballido Rey.
Dolores aceptó. Llegó el día en cuestión. La TV era entonces en vivo y
la actriz, muy nerviosa, se paseaba por el estudio perseguida por el
lente implacable del fotógrafo Osvaldo Salas. Terminó el número
musical que servía de preámbulo a su actuación, vino un comercial y
apareció un locutor que dijo maravillas de la artista invitada.
La escena era sencilla. Junto a su sofá forrado de raso, una hija
reprochaba a su madre que no aceptara a su novio. Dolores aparecía de
pie, sin atinar a decir su parlamento por más que la «hija» trataba de
ayudarla dándole el pie.
—Sí, ya sé lo que me vas a decir, que soy una hija desobediente, que
soy una sinvergüenza, que sientes odio hacia él y hacia mí…
Nada. Carballido se paseaba tras las cámaras con las manos en la
cabeza y Dolores ni por aludida se daba, como si hubiese olvidado lo
que debía decir, sin captar la seña siquiera. No reaccionaba hasta que
por fin metió un gritico distinguido y mirando de reojo el mueble cayó
desmayada en el sofá. El coordinador, por indicación del director,
ordenó al ballet que continuara el programa mientras Dolores
permanecía desmayada.
Al día siguiente, toda Cuba hablaba del desvanecimiento de la actriz.
Carballido Rey y un representante de los patrocinadores fueron a verla
al hotel. Los recibió el marido, muy apenado. No faltaba más, la
actriz no cobraría por un trabajo que no había hecho.
—Nada de eso —respondió Carballido enarbolando el jugoso cheque—.
Acéptelo. El desmayo ha dado que hablar más que si hubiese actuado.
¡Ha sido todo un éxito!
La sonrisa pícara de Rodney
Los que lo conocieron, lo evocan como un personaje fascinante. La
lepra, que le deformó las manos, no frenó su ambición de hacerse
famoso. Cuando la discapacidad física, acentuada por el paso de los
años, se fue haciendo cada vez más evidente, cambió la actuación por
la coreografía.
Roderico Neyra, «Rodney», fue coreógrafo del teatro Shanghai, en el
barrio chino habanero, una sala famosa por sus espectáculos de
desnudos, y organizó las míticas Mulatas de fuego. Trabajó en el
cabaré Sans Souci y luego, a partir del 1ro. de junio de 1952, puso a
Tropicana a la altura de las mejores salas de fiesta del mundo. Se va
a Caracas a comienzos de los años 60. Pasa a Puerto Rico y se hace
aplaudir sin reservas en el Waldorf Astoria, de Nueva York. Triunfa en
Acapulco y en la Ciudad de México. La muerte lo sorprende, en plena
efervescencia creadora, cuando intentaba conquistar Hollywood. En
1957, la revista Show afirmaba en un reportaje que dedicó al artista
que Rodney había dado más lustre a Cuba que todos sus diplomáticos
juntos.
Era un mulato de baja estatura, piel clara y bigote fino. Tenía una
sonrisa pícara. En los años 40 solía viajar por la Isla con una maleta
llena de imágenes de santos que desplegaba luego en la habitación del
hotel donde se alojaba.
Si abaratas tu trabajo...
Recordaba hace años Enrique Núñez Rodríguez en esta misma página:
Rodney me encargó el guión para un espectáculo de Tropicana. Me asomé
por primera vez a aquel mundo fantástico. Cumplí con mi trabajo.
Rodney me llevó a la oficina del señor Ardura, que era el
administrador del cabaré. En el trayecto me preguntó cuánto iba a
cobrar por mi libreto. Le dije que 500 pesos. Al llegar al despacho de
Ardura, le explicó que yo era el guionista del show que se estaba
ensayando y que venía a cobrar mi trabajo. Ardura preguntó a Rodney
cuánto iba a cobrar. Rodney le respondió, sin inmutarse, que 5 000
pesos. Ardura hizo el cheque también sin inmutarse. A la salida, todo
nervioso, dije a Rodney que se había equivocado, que yo le había dicho
500. Rezongó:
—El que te equivocaste fuiste tú. Si abaratas tu trabajo van a pensar
que yo les cobro demasiado. Guárdate el resto.
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Ciro Bianchi Ross
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domenica 29 settembre 2013
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