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sabato 30 novembre 2013

Appunti di viaggio

Orlando è una città veramente a misura d’uomo, al di la del dolce clima della Florida, non torrido come a Miami, gli spazi sono rilassanti con abbondanza di verde e specchi d’acqua abitati da fauna che non ha il minimo timore per il contatto con l’uomo. La dimensione, più “piccola” rispetto alla consorella del sud, la rende veramente abitabile certamente meno “esasperata”. Non mancano i dettagli “kitch” che risentono, probabilmente, dalla presenza sul territorio di due grandi centri di divertimento per grandi e piccoli come Disney World e gli Universal Studios. Il clima politico è più disteso, anche se ho potuto notare, anno dopo anno, che anche a Miami non c’è più un clima esagitato nei confronti di Cuba e del suo regime. Certo, non lo si ama, ci sono ancora movimenti e manifestazioni estremiste, ma vanno sempre più assottigliandosi e per contro gli atteggiamenti di tolleranza sono sempre più frequenti. Ormai l’emigrante cubano non è più il richiedente asilo per ideologia, per aver passato anni in prigione o per essere stato espropriato di tutti i suoi averi. È certamente un’emigrazione economica, che in parte è anche politica, ma gli animi sono ben diversi da quelli di alcune decadi orsono. Conversando con molte persone comuni, ho sempre sentito una disponibilità e una voglia di “disgelo” fra le parti, pochissimi (personalmente non ho sentito nessuno se non in qualche programma tv) sono quelli favorevoli al mantenimento della linea dura dell’embargo. Le parole di Obama e Kerry lasciano ben sperare, anche se la ventata di ottimismo è stata appannata proprio poche ore fa dal fatto che la banca americana che gestiva i fondi dell’Ufficio d’Interessi cubano a Washington si è detta non più disponibile a gestirli, mettendo così in grave crisi il funzionamento della medesima. Questo in un momento in cui le maglie dello spostamento di visitatori “qualificati” e quindi autorizzati dal Dipartimento del Tesoro statunitense, era in notevole crescita. Lo scorso fine settimana, a Miami Beach è stata presentata la piece “Ana en el Trópico” dalla stessa compagnia mista che l’ha proposta al recentemente concluso Festival del Teatro dell’Avana, con notevole successo di pubblico e critica in ambedue le città. Recentemente si erano riprese le trattative per ristabilire il servizio postale diretto tra i due Paesi. Un rapporto intergovernativo sempre difficile e contraddittorio che sicuramente ha stremato le popolazioni cubane di ambo i lati dello stretto e che si spera possa, almeno, migliorare. Banche e amministrazioni finanziarie permettendo.







Inter...scampus

Nel programma ufficiale della Settimana della Cultura Italiana appare per oggi, 30 novembre alle 9.30: "Festival Inter Campus Cuba, premiazione e torneo di calcio. Luogo: Stadio Pedro Marrero". Vero è che l'Avana e tutta la parte centro occidentale della costa nord dell'Isola sono state colpite, in questi giorni, da violenti nubifragi e anche oggi la giornata è iniziata con piovaschi. Facile prevedere che avrebbero potuto esserci dei cambiamenti, ma...allo Stadio Pedro Marrero, nessuno del personale in luogo o membri della Federazione calcistica sapeva niente.
Ora, per cause di forza maggiore una manifestazione può essere: ANNULLATA, SOSPESA, RIMANDATA, TRASFERITA, mi sembra strano invece che sia SPARITA.
Se l'Inter Campus funziona così...viva il Milan.

Circumnavigazione

CIRCUMNAVIGAZIONE: spostamento circense via mare

venerdì 29 novembre 2013

Circonferenza

CIRCONFERENZA: simposio tenuto sotto un tendone

giovedì 28 novembre 2013

Circolazione

CIRCOLAZIONE: Prendere il caffelatte al circo

Riscaldamento globale

Ricevo e pubblico:

ciao Aldo
forse hai già letto perchè era anche su Cubadebate, comunque:
http://video.gelocal.it/altoadige/sport/sciatore-travolto-da-valanga-e-salvo-non-fate-come-me/20871/20891

la temperatura media anual en Cuba aumentó 0,9 grados celsius durante los
últimos 60 años y se espera que para finales de este siglo se incremente en
otros 2 o 3 grados debido al calentamiento global, informó hoy el diario
oficial Granma.

Estudios realizados por el Centro del Clima del Instituto de Meteorología
de Cuba precisaron que entre 1951 y 2010 la temperatura promedio del país
caribeño subió 0,9 grados celsius, con un aumento de la mínima promedio en
alrededor de 1,9 grados, indicó el periódico.

“Igualmente, se registra un incremento en la frecuencia de eventos de
sequías más intensas y prolongadas, sobre todo a partir de 1961, tendencia
que constituye una de las variaciones climáticas más importantes observadas
en el archipiélago cubano durante las últimas cinco décadas”, añadió.

Los expertos prevén que en los próximos años el clima será más cálido y
seco en la isla, y estiman posibles incrementos en la temperatura media
anual para finales de siglo de dos a tres grados.

*“Más allá de modelar los futuros escenarios, la nación también trabaja
desde ahora en el diseño y aplicación de diversas acciones dirigidas a
enfrentar las consecuencias de tan complejo desafío ambiental”, señaló
Granma.*

Las autoridades cubanas desarrollan el programa “Cambio Climático en Cuba:
impacto, mitigación y adaptación”, que involucra a 27 instituciones con el
objetivo de encontrar soluciones a los problemas del calentamiento global
en áreas como la agricultura, los recursos hídricos, los suelos, los
ecosistemas costeros y los asentamientos.

FUENTE: AGENCIA EFE

Luca Lombroso
www.lombroso.it
ATTENZIONE: scrivere sempre all'indirizzo principale
luca@lombroso.it

mercoledì 27 novembre 2013

Circolare

CIRCOLARE: nota informativa di formato rettangolare

martedì 26 novembre 2013

Cinofilo

CINOFILO: amante della Cina

Cambio climatico, conclusa a Varsavia la 19a conferenza delle Nazioni Unite sul tema

Ricevo dall'amico Luca Lombroso:


Si é conclusa con scarni accordi, generici e prevalentemente di intenti, a Varsavia, la 19° Conferenza Delle Parti sui Cambiamenti Climatici (COP 19) delle Nazioni Unite. Già il numero dice tutto, sono 19 volte in 21 anni, dall’Earth Summit di Rio del Janerio del 1992, che l’ONU prova a far trovare, ai 195 paesi aderenti oggi. un forte accordo sul clima, senza riuscirci.

Gli accordi  presi riguardano principalmente il “loss&damage” una sorta di rimborso; è come se i  paesi ricchi facessero da assicurazione a quelli in via di sviluppo quando danneggiati da eventi estremi climatici, come il tifone nelle Filippine (o, perché no, l’alluvione in Sardegna); si è parlato anche di aspetti organizzativi del green climate found istituito a Cancun nel 2010 e del mantenimento dei controversi meccanismi flessibili (carbon market) previsti dal protocollo di Kyoto su cui vi sono state proteste e distinguo di Venezuela, Ecuador e Bolivia. Per qualcuno sono comunque passi avanti nel processo negoziale multilaterale, per altri c’è stato un fallimento totale. Senza entrare nel merito, molto tecnico e spesso burocratico, dei vari documenti approvati, la sostanza é scarsa e prevale l’arte del rimandare; negli accordi economici non si parla di soldi e di impegni precisi e quelli sul taglio delle emissioni sono rimandati a Parigi 2015 per metterli in pratica dopo il 2020.

Le conferenze delle parti sono una sorta di “assemblea di condominio” del pianeta terra dove si dovrebbe deliberare per adempiere agli obblighi della convenzione sul clima delle nazioni unite, cioè stabilizzare le emissioni serra ad un livello tale che non crei pericolose interferenze col sistema climatico. E come in tutte le assemblee di condominio, si litiga e non ci si mette d’accordo, nemmeno su quello che è di interesse comune, la tutela della “casa” dove abitiamo, la Terra, per noi e per le future generazioni.

Probabilmente dunque non staremo dentro alla “soglia di pericolo” del global warming, stabilita dagli scienziati e recepita dagli accordi in 2 gradi di surriscaldamento rispetto all’era preindustriale. Ciò significherebbe il fallimento degli obiettivi delle Nazioni Unite e della UNFCCC, la convenzione sul clima; il che non sarebbe buona cosa. Ma alla conferenza si è anche detto, fra le altre, una cosa importante: nelle città vive più di metà della popolazione mondiale e sono responsabili di altrettante, circa,  emissioni serra globali. Sono dunque le città, forse ancor più degli stati, la chiave della soluzione e sarà lì che si dovrà agire, sia sul versante della mitigazione, cioè riducendo le emissioni serra (ed anche quelle direttamente inquinanti, ben legate ai gas serra) ma anche sull’adattamento, ovvero la capacità di “sopportare” le calamità meteo climatiche.

Vediamo dunque cosa si fa, cosa non si fa e cosa si potrebbe fare nella nostra Modena.

La nostra città ha aderito al patto dei sindaci: una bella iniziativa che ha per obiettivo la riduzione delle emissioni serra (quindi, mitigazione) del 20% entro il 2020 ma, a nostro avviso, messa in pratica male e in modo contraddittorio. Molto si basa sulle “buone pratiche ambientali”, producendo migliaia di inutili depliants che stressano i cittadini col classico “chiudi il rubinetto mentre ti lavi i denti”, sul piazzare qua e la qualche pannello solare su scuole o edifici pubblici e poco più.

Serve ben altro, a partire dalla più importante buona pratica, quella che dà motivazione ai cittadini: dal buon esempio; occorre coerenza tra le azioni dell’amministrazione locale e ciò che essa chiede ai cittadini (vedi il proliferare di acqua minerale e stoviglie usa e getta nei convegni ed eventi pubblici).

Mitigazione significa attuare piani seri; le proposte già ci sono, basta guardarci in giro.

Mitigazione dei cambiamenti climatici non è fare inutili strade, gradite ai politici nostrani di destra e di sinistra, come il prolungamento autostradale da Campogalliano a Sassuolo. Vuol dire invece, promuovere, ad esempio, la mobilità sostenibile e il trasporto pubblico.

Poi, oltre a mitigare, occorrono azioni di adattamento. La città non è sufficientemente attrezzata ad affrontare i cambiamenti climatici in corso (lo si vede ad ogni temporale estivo) e ancor meno quelli futuri; Modena non ha e non ci risulta stia predisponendo un piano di adattamento ai cambiamenti climatici, mentre Bologna lo sta facendo e la Lombardia lo ha presentato proprio a Varsavia in un “side event” della Fondazione Lombardia per l’Ambiente. Pochi lo sanno, ma esiste anche una strategia  nazionale di adattamento al cambiamento climatico, ed è attualmente in consultazione pubblica nel sito del Ministero dell’Ambiente.

Adattamento non vuol dire prendere a scusa la difesa idraulica per colare cemento e cavare ghiaia con impianti di mini idroelettrico. Significa sì rafforzare le difese idrauliche ma soprattutto fare una buona manutenzione del territorio, dalle strade alla rete fognaria ed anche, coibentare meglio gli edifici, (incominciando da quelli pubblici) per difendersi dal freddo ma soprattutto dal caldo estivo, nonché prepararsi ed educare la popolazione ad eventi anche insoliti, basti ricordare il tornado del maggio scorso. Tutto questo risulta convivente anche economicamente. Ma a Modena, ed anche in Emilia Romagna per non dire in quasi tutt’Italia, siamo ancora lontani, molto lontani da una vera e coerente azione di lotta ai cambiamenti climatici.

Luca Lombroso 
www.lombroso.it
Email: 
luca@lombroso.it

Inviato da iPad

lunedì 25 novembre 2013

Ritorna la spia tedesca di Ciro Bianchi Ross, pubblicato su Juventud Rebelde del 24/11/13

Pubblicazioni cubane dell'epoca lo presentarono come una super spia e lo stesso, fecero, non poche riviste nordamericane. La stampa di entrambi i Paesi insisté nella sua rigorosa formazione come agente segreto e nel suo dominio della lingua spagnola, che gli facilitavano la ricerca di informazioni a Cuba. I giornali affermavano che prima del suo arrivo sull'Isola si era disimpegnato con successo in altre nazioni, come Santo Domingo; che furono sue le informazioni che provocarono le tragedie dei cargo Manzanillo e Santiago de Cuba, silurati in alto mare da sommergibili tedeschi il 12 agosto del 1942 e che furono numerosi i rapporti che inviò ai suoi capi per tenerli al corrente dell'economia e della situazione politica e sociale del Paese, così come quelli in cui comunicava gli indirizzi privati delle figure principali del Governo cubano.
Dopo essere trascorsi 70 anni dalla fucilazione, all'Avana, di Heinz August Luning, alcuni investigatori sono del parere che attorno alla figura di questo nonno di James Bond si formò una leggenda quasi romanzesca creata, in parte, da elementi del Governo di Batista alla quale non furono estranei personaggi del Governo di Washington all'epoca dei fatti. I giapponesi avevano appena attaccato la base americana di Pearl Harbor e sommergibili tedeschi che circolavano nei Caraibi e nel Golfo del Messico, avevano affondato circa 600 navi alleate. Lo sviluppo della guerra si inclinava a favore dell'asse Roma-Tokyo-Berlino e i suoi avversari avevano bisogno di dimostrare che erano nelle condizioni di arrestare un'offensiva che sembrava demolitrice.
Le autorità nordamericane, in particolare Edgar Hoover, capo dell'Ufficio Federale di Investigazioni (FBI), vollero trarre profitto dalla cattura di Luning. Lo stesso volle averne Batista, impegnato a ottenere il miglior prezzo per lo zucchero e altri vantaggi nella sfera dello scambio commerciale. Anche il generale Manuel Benitez, tenebroso capo della Polizia Nazionale cubana ne voleva ottenere vantaggi, desideroso di guadagnare popolarità giacché pretendeva, come si vide nel 1944, succedere a Batista come Capo di Stato.
Il dottor Leonel Antonio Cuesta, professore dell'Università Internazionale della Florida, definisce ”spia da quattro soldi” Heinz August Luning, mentre il professor Thomas D. Schoonover, dell'Università della Louisiana, in Lafayette, dopo una vasta investigazione sul tema che portò a termine per suggerimento del professor Louis  A. Pérez, riferisce che non vi è costanza che l'informazione inviata da Luning ai suoi superiori avesse reale importanza  per gli sviluppi della guerra. Molte volte i suoi rapporti non passavano da essere semplici rumori che raccoglieva nei posti più impensati. Non c'è nemmeno prova che fu colpevole dell'affondamento di nessun bastimento. In ogni modo Heinz August Luning fu l'unica spia tedesca catturata nell'area dell'America Centrale e i Caraibi. Il Tribunale d'Urgenza dll'Avana lo condannò a morte e il Tribunale Supremo confermò la sentenza ratificata dallo stesso generale Fulgencio Batista, presidente della Repubblica, che non volle commutarla.
Quando vide avvicinarsi quelli che lo avrebbero condotto al muro per la fucilazione, nei fossati del Castello del Principe, Heinz August Luning si alzò in piedi e chiese al suo avversario che accettasse di lasciare in pareggio la partita di scacchi che stava giocando e che le circostanze gli impedivano di concludere e, sereno, si incamminò verso il suo destino per mettersi in posizione di attenti davanti al plotone d'esecuzione che avrebbe messo fine alla sua vita. Guardò i soldati e poi il suo sguardo completamente inespressivo, si posò sull'ufficiale che era al comando della truppa e che gli avrebbe dato il colpo di grazia. Non pronunciò una sola parola né modificò atteggiamento all'udire le voci di comando, così, come se negli ultimi due anni della sua esistenza si fosse stato preparando per una simile fine. Erano le otto di mattina del 10 novembre del 1942. Giorni dopo, il capo della Prigione dell'Avana, mentre riferiva i dettagli dell'accaduto, disse al poeta José Lezama Lima, allora segretario del Consiglio Superiore della Difesa Sociale, con sede nel Castello: “Quell'uomo mostrava una marzialità tremenda e a me, che comandavo il plotone d'esecuzione, tremavano le gambe”.

Quello che si disse prima

Cuba entrò nella Seconda Guerra Mondiale  il 9 dicembre del 1941 quando, dopo il bombardamento giapponese a Pearl Harbour, avvenuto il giorno 7, dichiarò guerra al Giappone e, due giorni dopo, alla Germania e Italia. Ma, in queste date, Luning era già all'Avana svolgendo i suoi compiti. Sotto la copertura di commerciante hondureño e un passaporto che lo accreditava come Enrique Augusto Luning, giunse in questa capitale nel settembre di quell'anno. Arivava dalla Spagna con il fine di stabilirsi nell'Isola e avviare qua una propria attività. Aveva, allora, 30 anni d'età. Foto sue, che si conservano, lo mostrano come un uomo di corporatura robusta, dal profilo affilato con capigliatura abbondante, di quelle che sembrano spuntare dalla stessa fronte. Quelli che lo conobbero lo ricordano come una persona fredda e di poche parole, ma cortese, ben vestito e di buone maniere.  Dominava l'inglese e lo spagnolo ed era stato accuratamente preparato per il suo compito,  che aveva già svolto in altri Paesi. Per il suo lavoro d'intelligence aveva a disposizione un potente apparecchio radio che gli permetteva ricevere e inviare messaggi, un'antenna con doppia frequenza e due tastiere telegrafiche così come, per comunicazioni epistolari, si sarebbe valso di inchiostro simpatico.
Dapprima cercò alloggio in un hotel e poi si installò in una pensione ubicata nel secondo piano dell'edificio segnato dal 336 della calle Teniente Rey, tra Villegas y Aguacate, nell'Avana Vecchia e installò la sua attività nella calle Industria al 314, una casa di moda che chiamò La Estampa.
Già in questa data, la rete spionistica tedesca si estendeva in tutta l'America, incluso gli Stati Uniti ed è possibile che Luning avesse contatto con qualche agente staccato presso l'Ambasciata di Germania sita, allora, al numero 408 della calle H angolo con19 nel Vedado. Sembra, però, che fu lui il capo o almeno il centro, della rete spionistica nazi nell'Isola. Molte delle informazioni che trasmise gli caddero nelle mani con una faciltà stupefacente. Glie la fornivano prostitute, marinai e operai del porto ai quali, fra un bicchierino e l'altro, si ingegnava per sciogliergli la lingua.

Quello che si dice adesso

Una nuova versione, circa il personaggio, la offre il professor Thomas D. Schoonover nel suo libro Hitler's Man in Havana. Heinz Luning and Nazi Espionage in Latin America, pubblicato dall'editrice dell'Università del Kentucky nel 2008. Quello che dice distrugge tutto ciò che si affermava fino a quel momento. L'autore si appoggiò in un ampia bibliografia e la sua investigazione lo condusse agli archivi di Germania, Inghilterra e Stati Uniti, paradossalmente non venne a Cuba. Dichiara che qualcuno gli disse che il fascicolo della Causa 1366 del 1942, riguardante la spia, non era rintracciabile negli archivi giudiziari cubani. Lo scriba non sa niente al merito.
Schoonover descrive Luning come un uomo poco intelligente ed educato. Scarsa la sua cultura generale e mediocre la sua conoscenza delle lingue. Non simpatizzava con i nazisti ed aveva, invece, amici ebrei. Volle far uscire sua moglie e suo figlio dalla Germania di Hitler e non lo conseguì per mancanza di soldi. Entrò nella Abwehr, uno dei 20 servizi di intelligenza che esistevano nel suo Paeses per evadere il servizio militare. Dopo sei settimane di addestramento in una scuola di spionaggio di Amburgo, lo assegnarono a Cuba, un Paese di cui non sapeva assolutamente niente. Nel suo bagaglio portava un'attrezzatura di radiotelegrafia che non riuscì mai a far funzionare e pertanto non poté mai comunicarsi con nessun sommergibile tedesco. Le comunicazioni coi suoi superiori le effettuò per posta, nonostante non avesse mai imparato a usare bene gli inchiostri invisibili. Inviò anche telegrammi in codice a intermediari in Cile e Argentina. Nel suo libro, il professor Schoonover non precisa come Luning ottenne il permesso di residenza a Cuba, cosa molto didelle Attività Nemichefficile in quel momento.

Catturato

Col suo arresto e successiva esecuzione, si pose fina a una vasta azione di una rete di spionaggio che si estendeva per tutto il continente americano e che aveva provocato l’affondamento di circa 600 navi alleate e fra loro alcune cubane. La maggior stranezza di questa storia è che Luning fu l’unica spia tedesca imprigionata durante la Seconda Guerra Mondiale nell’America latina e i Caraibi, come dice il professor De la Cuesta nelle sue postille al libro di Schoonover. Efficente o no, la spia non avrebbe operato impunemente per molto tempo. I servizi di controintelligenza americani e britannici stabilirono nelle Bermude un ufficio che filtrava la corrispondenza che usciva dall’America verso gli altri continenti. Una lettera spedita dall’Avana e diretta a un conosciuto falangista spagnolo attirò l’attenzione degli agenti di questa entità. Fu allora che al Servizio di Investigazioni delle Attività Nemiche (SIAE), sito nella calle Sarabia, nel Cerro, e sotto la direzione del capitano Mariano Faget, giunsero ufficiali nordamericani e britannici che verificarono la corrispondenza in cerca di messaggi per il nemico. La controintelligenza cubana cercò di identificare tutti coloro che ricevevano denaro dall’estero. Una firma come costanza di ricevuta attirò l’attenzione degli investigatori e un postino ricordò che apparteneva all’inquilino di una pensione della calle Teniente Rey. Si tese una trappola e Luning abboccò. Già detenuto riconobbe la sua colpevolezza. Fu sepolto nella necròpoli di Colón sotto un nome fittizio e i suoi resti, a richiesta della famiglia vennero rimpatriati, in Germania, nel 1953.
Rimane da dire che gli investigatori nordamericani e britannici che seguirono il caso all’Avana non furono partitari dell’arresto immediato della spia. Però il generale Benitez decise di procedere appena ebbe la notizia dell’esistenza di Luning e lo fece con grande pubblicità. L’FBI e il M-16 britannico avrebbero preferito dar corda al soggetto con il fine di scoprire, probabilmente, la rete completa di spie e collaboratori.
Heinz August Luning non fu l’unica spia tedesca che operò a Cuba, anche se fu l’unico a pagare per la sua colpa. Si dice che fu una cortina di fumo che permise di nascondere Frederick Degan, il vero agente, e garantì alle autorità locali un caso chiuso da offrire a Stati Uniti e Gran Bretagna, disgustati per l’inoperosità dei loro alleati della zona. Lo scriba sa che molti lettori si sorprenderanno quando gli dica che nell’Avana del 1938 - calle 10 numero 406, tra la 17 e la 19, nel Vedado - si costituì il Partito Nazi Cubano e che esistì qua, nello stesso periodo, il Partito Fascista Nazionale, i quali furono autorizzati dal registro Speciale delle Associazioni del Governo provinciale. I nazi cubani dicevano di vedere nel comunismo il nemico frontale e, secondo il loro regolamento, si preparavano a cooperare coi poteri pubblici “in quello che concerne gli immigrati antillani” e “altre immigrazioni indesiderabili”  per cui si proponevano espellere dal Paese, non solo haitiani e giamaicani che lavoravano come braccianti nella raccolta di canna da zucchero, ma anche gli ebrei, dedicati fondamentalmente agli affari, verso i quali spingevano, inoltre, per una “legislazione sulla restrizione di licenze commerciali e industriali”.


Retorna el espía alemán

Ciro Bianchi Ross • 
digital@juventudrebelde.cu
23 de Noviembre del 2013 17:46:00 CDT

Publicaciones cubanas de la época lo presentaron como un superespía, y
lo mismo hicieron no pocas revistas norteamericanas. La prensa de
ambos países insistió en su rigurosa formación como agente secreto y
en su dominio del idioma español, que le facilitaba la búsqueda de
información en Cuba. Afirmaron los periódicos que antes de su llegada
a la Isla se había desempeñado con éxito en otras naciones, como Santo
Domingo; que fueron sus informes los que provocaron la tragedia de los
cargueros Manzanillo y Santiago de Cuba, torpedeados en alta mar por
submarinos alemanes el 12 de agosto de 1942, y que menudearon los
reportes que dirigió a sus jefes a fin de ponerlos al tanto de la
economía y la situación política y social del país, así como aquellos
en los que comunicaba las direcciones particulares de las figuras
principales del Gobierno cubano.
Al cabo de los 70 años transcurridos desde el fusilamiento en La
Habana de Heinz August Luning, algunos investigadores opinan que en
torno a la figura de este abuelo de James Bond se tejió una leyenda,
casi una novela creada, en parte, por elementos del Gobierno de
Batista y a la que no fueron ajenos personeros del Gobierno de
Washington en la fecha de los sucesos. Los japoneses acababan de
atacar la base norteamericana de Pearl Harbor y submarinos alemanes,
que merodeaban por el Caribe y el Golfo de México, habían hundido unos
600 buques aliados. El desarrollo de la guerra se inclinaba a favor de
los países del eje Roma-Berlín-Tokio, y sus contrarios necesitaban
demostrar que estaban en condiciones de parar una ofensiva que parecía
demoledora.
Las autoridades norteamericanas, y en especial Edgar Hoover, jefe del
Buró Federal de Investigaciones (FBI), quisieron sacar provecho de la
captura de Luning. Quiso igualmente sacarlo Batista, empeñado en
conseguir un precio mejor para el azúcar y ventajas en otros rubros
del intercambio comercial. También pretendía obtenerlo el general
Manuel Benítez, tenebroso jefe de la Policía Nacional cubana, deseoso
de ganar en popularidad, ya que pretendía, como se vio en 1944,
suceder a Batista en la jefatura del Estado.
El doctor Leonel Antonio Cuesta, profesor de la Universidad
Internacional de la Florida, llama «espía de pacotilla» a Heinz August
Luning, en tanto que el profesor Thomas D. Schoonover, de la
Universidad de Luisiana, en Lafayette, luego de la vasta investigación
sobre el tema que llevó a cabo por sugerencia del profesor Louis A.
Pérez, advierte que no hay constancia de que la información enviada
por Luning a sus superiores tuviera real importancia para el
desarrollo de la guerra. Muchas veces sus informes no pasaban de ser
meros rumores que recogía en los lugares más inimaginables. Tampoco
hay pruebas de que fuera culpable del hundimiento de buque alguno.
De cualquier manera Heinz August Luning fue el único espía alemán
capturado y juzgado en el área de Centroamérica y el Caribe. El
Tribunal de Urgencia de La Habana lo condenó a muerte y el Tribunal
Supremo confirmó la sentencia, ratificada asimismo por el general
Fulgencio Batista, presidente de la República, que no quiso
conmutársela.
Cuando vio acercarse a los que lo conducirían al paredón de
fusilamiento, en los fosos del Castillo del Príncipe, Heinz August
Luning se puso de pie y pidió a su oponente que accediera a dejar
tablas aquella partida de ajedrez, que la fuerza de las circunstancias
le impediría concluir y, sereno, caminó hacia su destino para situarse
en posición de firme ante la escuadra de fusileros que acabaría con su
vida. Miró a los soldados y luego su mirada, totalmente inexpresiva,
se posó en el oficial que estaba al frente de la tropa y que le daría
el tiro de gracia. No pronunció una sola palabra ni pareció inmutarse
al escuchar las voces de mando, como si durante los últimos años de su
existencia hubiera estado preparándose para un final así. Eran las
ocho de la mañana del 10 de noviembre de 1942. Días después, el jefe
de la Prisión de La Habana, mientras refería los detalles del suceso,
dijo al poeta José Lezama Lima, entonces secretario del Consejo
Superior de la Defensa Social, con sede en el castillo: «Aquel hombre
daba muestra de una marcialidad tremenda y a mí, que mandaba el
pelotón, me temblaban las piernas».

Lo que se dijo antes

Cuba entró en la Segunda Guerra Mundial el 9 de diciembre de 1941,
cuando tras el bombardeo japonés a Pearl Harbor, ocurrido el día 7,
declaró la guerra a Japón, y dos días después, el 11, a Alemania y a
Italia. Pero ya para esa fecha Luning estaba en La Habana haciendo de
las suyas. Bajo la cobertura de un comerciante hondureño y un
pasaporte que lo acreditaba como Enrique Augusto Luning llegó a esta
capital en septiembre de ese año. Venía de España a fin de
establecerse en la Isla y montar aquí un negocio propio.
Tenía entonces unos 30 años de edad. Fotos suyas que se conservan lo
muestran como un hombre ligeramente grueso, de perfil afilado y una
cabellera abundante, de esas que parecen brotar desde la frente misma.
Los que lo conocieron lo recuerdan como una persona fría y de pocas
palabras, pero amable, bien vestido y de buenos modales. Dominaba el
inglés y el español y había sido entrenado cuidadosamente para su
tarea, que antes cumplió con éxito en otros países. Disponía para su
labor de inteligencia de un potente aparato de radio que le permitía
recibir y transmitir mensajes, una antena de doble línea y dos
manipuladores telegráficos, y como también pasaría información por la
vía epistolar, se valdría de tinta simpática invisible.
Buscó primero alojamiento en un hotel y se instaló después en una casa
de huéspedes ubicada en el segundo piso del edificio marcado con el
número 366 de la calle Teniente Rey, entre Villegas y Aguacate, en La
Habana Vieja, y estableció su negocio en la calle Industria 314, una
casa de modas a la que puso el nombre de La Estampa.
Ya para esa fecha la red de espionaje alemán se extendía por toda la
América, incluido EE.UU., y es posible que Luning hiciera contacto con
algún agente destacado en la Embajada de Alemania, ubicada entonces en
la calle H, 408, esquina a 19, en el Vedado. Pero parece que él fue el
jefe, o al menos el centro, de la red de espías nazis en la Isla.
Muchas de las informaciones que allegó y transmitió le cayeron en las
manos con una facilidad pasmosa. Se las suministraban prostitutas,
marineros y obreros portuarios a los que, entre trago y trago, se las
arreglaba para tirarles de la lengua.

Lo que se dice ahora

Una nueva versión acerca del personaje ofrece el profesor Thomas D.
Schoonover en su libro Hitler’s Man in Havana. Heinz Luning and Nazi
Espionage en Latin America, publicado por la editorial de la
Universidad de Kentucky, en 2008. Lo que dice hace trizas lo que hasta
ese momento se afirmaba. El autor se apoyó en una amplia bibliografía
y su investigación lo llevó a archivos de Alemania, Inglaterra y
Estados Unidos. Paradójicamente, no estuvo en Cuba. Expresa que
alguien le dijo que el expediente de la Causa 1366 de 1942, que se
siguió al espía, no podía localizarse ya en los archivos judiciales
cubanos. Nada sabe el escribidor al respecto.
Schoonover describe a Luning como un hombre falto de inteligencia y
educación. Pobre era su cultura general y mediocres sus conocimientos
de idiomas. No simpatizaba con los nazis y tenía, en cambio, amistades
judías. Quiso sacar a su mujer y a su hijo de la Alemania de Hitler y
no lo consiguió por falta de dinero. Ingresó en la Abwehr, uno de los
20 servicios de inteligencia que existían en su país, para evadir el
servicio militar. Tras seis semanas de entrenamiento en una escuela de
espionaje en Hamburgo, lo destinaron a Cuba, país del que no sabía ni
jota. Traía en su equipaje un aparato de radiotelegrafía que nunca
pudo hacer funcionar, y por lo tanto no logró comunicarse con ningún
submarino alemán. Las comunicaciones con sus superiores las efectuó
por correo, aunque no aprendió a usar bien las tintas invisibles.
También envió cablegramas en clave a intermediarios en Argentina y
Chile. No precisa en su libro el profesor Schoonover cómo Luning logró
el permiso de residencia en Cuba, algo muy difícil en aquellos
momentos.

Capturado

Con su arresto y posterior ejecución se puso fin a la acción de una
vasta red de espionaje que se extendía por todo el continente
americano y que había provocado el hundimiento de unos 600 buques
aliados, entre estos varios cubanos. Lo más raro de esta historia es
que Luning, como se dijo, fue el único espía alemán apresado durante
la Segunda Guerra Mundial en Latinoamérica y el Caribe, dice el
profesor De la Cuesta en sus apostillas al libro de Schoonover.
Eficiente o no, el espía no operaría impunemente por mucho tiempo. Los
servicios de contrainteligencia norteamericano y británico
establecieron en las Bermudas una oficina que filtraba la
correspondencia que salía desde América hacia otros continentes. Una
carta remitida en La Habana y dirigida a un connotado falangista
español llamó la atención de agentes de esa entidad. Abrieron el sobre
y el análisis del papel reveló un mensaje en clave escrito con tinta
invisible. Fue entonces que a la sede del Servicio de Investigaciones
de Actividades Enemigas (SIAE), sito en la calle Sarabia, en el Cerro,
y bajo la dirección del capitán Mariano Faget, llegaron oficiales
norteamericanos y británicos que revisaron la correspondencia en busca
de mensajes para el enemigo. La contrainteligencia cubana trató de
identificar a todos los que recibían dinero del exterior. Una firma,
como constancia de recibo de una remesa, llamó la atención de los
investigadores, y un cartero recordó que correspondía al inquilino de
una casa de huéspedes en la calle Teniente Rey. Se le tendió una
trampa y Luning mordió el anzuelo. Ya detenido, reconoció su
culpabilidad. Fue inhumado en la necrópolis de Colón bajo un nombre
supuesto y sus restos, a pedido de su familia, se repatriaron a
Alemania en 1953.
Vale anotar que los investigadores norteamericanos y británicos que
seguían el caso en La Habana no fueron partidarios de la inmediata
detención del espía. Pero el general Benítez decidió proceder en
cuanto recibió la noticia de la existencia de Luning y lo hizo con
gran despliegue publicitario. El FBI y el M-16 británico preferían que
se diera cordel al sujeto a fin de descubrir tal vez toda una red de
espías y colaboradores.
Heinz August Luning no fue el único espía alemán que operó en Cuba,
aunque sí el único que pagó su culpa. Se dice que fue una cortina de
humo que permitió ocultar a Frederick Degan, el verdadero agente, y
garantizó a las autoridades locales un caso cerrado que ofrecer a
Estados Unidos y Gran Bretaña, disgustados por la inoperancia de sus
aliados del patio. Sabe el escribidor que muchos lectores se
sorprenderán cuando les diga que en La Habana de 1938 —calle 10 número
406, entre 17 y 19, en el Vedado— se constituyó el Partido Nazi Cubano
y que existió aquí, en la misma época, el Partido Fascista Nacional,
los cuales fueron autorizados por el Registro Especial de Asociaciones
del Gobierno provincial. Los nazis cubanos decían ver en el comunismo
su enemigo frontal y, según su reglamento, se aprestaban a cooperar
con los poderes públicos «en lo que respecta al reembarque de
emigrados antillanos» y otras «emigraciones indeseables», con lo que
se proponían sacar del país no solo a haitianos y jamaicanos, que
trabajaban mayormente como braceros en la zafra azucarera, sino a los
hebreos, dedicados en lo fundamental a los negocios, por lo que
abogaban además por «una legislación sobre restricciones de licencias
comerciales e industriales».
        
Ciro Bianchi Ross
ciro@jrebelde.cip.cu
http://wwwcirobianchi.blogia.com/
http://cbianchiross.blogia.com/


Cinodromo

CINODROMO: pista per corse cinese

domenica 24 novembre 2013

Cineteca

CINETECA: raccolta di oggetti cinesi

sabato 23 novembre 2013

Cinefilo

CINEFILO: amante dei cinesi

venerdì 22 novembre 2013

Settimana della Cultura Italiana e Mostra "In viaggio con Calvino"

Lunes 25

16.00 – Inauguración de la XVI Semana de la Cultura Italiana en Cuba a cargo del Ministerio de Cultura, la Oficina del Historiador y la Embajada de Italia
Patio del Convento de San Francisco de Asís

A continuación – Apertura de la exposición de carteles y partituras verdianas
Patio del Convento de San Francisco de Asís

17.30 – Concierto inaugural de Antonio Ballista con la Orquesta Sinfónica de Holguin
Basílica Menor de San Francisco de Asís

Martes 26

10.00 – En colaboración con ARCI convocatoria del premio literario Italo Calvino
Sala Villena - UNEAC

12.00 – En colaboración con ARCI acto de entrega de ejemplares de “Las ciudades invisibles” de Italo Calvino
Biblioteca Nacional

16.00 – Apertura de la exposición “L’arte fuori di sé” homenaje a Paolo Rosa
Centro Provincial de Artes Plásticas y Diseño – Luz y Oficios

17.00 – Presentación del catálogo de la Editora Maretti del Pabellón de Cuba en la Bienal de Venecia
Centro de Arte Contemporáneo Wifredo Lam

20.00 – Espectáculo de marionetas “El secreto de Polichinela” de Bruno Leone
Teatro Guiñol

Miércoles 27

10.00 – Conferencia “El Jardín Encantado de los Calvino” de Marta Blaquier Ascaño
Sala Latinoamericana, Facultad de Artes y Letras UH ?

11.30 – Conferencia “Si una noche de inverno un viajero” de Francesca Bernardini
Universidad de La Habana – Sala Latinoamericana

16.00 – En  colaboración con CENESEX y FMC mesa redonda “La no discriminación de la orientación sexual” con Mariela Castro, Isabel Moya, Vivian Martinez, Alina Narciso, Gianni Torres, ..., moderada por Emanuela Fusaro
Teatro del Museo de Bellas Artes

21.00 – Concierto “...” de Laritza Bacallao, Emilia Morales y Valerio Liboni
Teatro del Museo de Bellas Artes
 Jueves 28

10.00 – Presentación de arte clásico y contemporáneo de Silvio Mignano”   ”
Universidad de La Habana – Sala Latinoamericana.

11.00 – Conferencia “Eva Mameli Calvino: de Cerdeña a América con microscopio y familia” de Maria Cristina Secci
Centro cultural Dulce María Loynaz – Sala Federico García Lorca

15.00 – Presentación de la novela “Ella no responde” de Matilde Serao
Centro cultural Dulce María Loynaz – Patio

16.00 – En colaboración con ARCI presentación de las iniciativas editoriales para el 90 aniversario del nacimiento di Italo Calvino
Pabellón Cuba

A continuación – Apertura de la exposición de Sandor Gonzalez y M.Arte inspirada en la obra de Italo Calvino
Pabellón Cuba

19.00 – En colaboración con COSPE “Giovanni Boccaccio, Decamerone, novella settima giornata seconda: Alatiel in italiano e decime cubane” en ocasión del VII centenario de su nacimiento a cargo de Alexis Diaz Pimienta y David Riondino
Teatro del Museo de Bellas Artes

21.00 – Estreno del espectáculo inspirado en Las ciudades invisibles de Italo Calvino “Inferni” de Venti Lucenti en colaboración con Casa Gaia
Teatro Casa Gaia
Viernes 29

10.00 – Lectura comparada de “I promessi sposi” y “Cecilia Valdés” de Silvio Mignano “   ”
Universidad de La Habana – Sala Latinoamericana

12.00 – Presentación del libro “The Economy of Cuba after the VI Party Congress: Between State Socialism and Market Socialism” de Alberto Gabriele
Centro Juan Marinello

15.00 – Estreno del espectáculo de marionetas “Historias de Polichinela” de Bruno Leone
Teatro Guiñol

15.00 – En colaboración con ARCI visita al Centro Experimental del INIFAT
Santiago de las Vegas

A continuación – Presentación de “El archivo Calvino en el INIFAT” de Marta Acosta
Santiago de las Vegas

17.00 – En colaboración con IXCO clausura de la exposición “En viaje con Calvino”
Centro Hispanoamericano de Cultura

A continuación - En colaboración con COSPE presentación de “Il trombettiere” con David Riondino y Alexis Diaz Pimienta
Centro Hispanoamericano de Cultura

 Sábado 30

9.30 – Festival “InterCampus” Cuba: premiación y torneo de fútbol
Estadio Pedro Marrero

18.00 – En colaboración con ARCI inauguración de la sala de cine
Santa Fe

21.00 – Velada musical “Viva Verdi”
Teatro Mella

Domingo 1º

10.00 – Monólogo teatral
Franco Cardellino interpreta “Tutto in un punto”, una de Las Cosmicómicas de Italo Calvino Casa Garibaldi

A continuación – XIII Mesa redonda “Emigración y Presencia Italiana en Cuba”, moderada por Domenico Capolongo...
Casa Garibaldi

A continuación – Presentación del libro de la Editora Maretti “De Lavanga a La Habana” de Raffaele Ciccarelli e inauguración de la VI Exposición de Emigrantes y Familias de Origen Italiano en Cuba
Casa Garibaldi

15.00 – Espectáculo teatral Comedy Show de y con Giorgio Donati y Jacob Olesen y con la participación de chicas y chicos de la “Colmenita”
Teatro de la Orden Tercera


18.00 – En colaboración con COSPE espectáculo de niños repestistas de la provincia de Mayabeque... Güines









XVI SEMANA DE LA CULTURA ITALIANA EN CUBA
PROGRAMA 29 noviembre 2013
05.00 pm. Proyeccion del video “HOMENAJE A LAS CIUDADES
INVISIBILES: RETRATOS DE ARQUITECTURAS” de Moreno Maggi e
Diana Alessandrini
05.20 pm. Debate sobre “LAS LECCIONES AMERICANAS: SEIS
CONCEPTOS POR EL NUEVO MILENIO” con Reynaldo Gonzalez,
Jorge Fernandez Torres, Nelson Ramirez De Arellano Conde,
Nelson Herrera Ysla, Gustavo Arcos, Alexis Diaz Pimienta,
David Riondino, Piero Meogrossi y otros invitados
a continuacion: en colaboracion con el Proyecto Punto
Cubano, financiado por la UE, COSPE y GIANO, presentacion del
espectaculo “IL TROMBETTIERE” con Alexis Diaz Pimienta y
David Riondino



Cinemascope

CINEMASCOPE: ramazze per sale cinematografiche

giovedì 21 novembre 2013

Tecnologia e impotenza

Dopo circa una settimana, ho potuto accedere al mio spazio come amministratore. Arrivato a Miami non ho avuto difficoltà con la connessione wireless della casa in cui sono ospite, poi sono partito per Orlando ed ho trovato la sorpresa che il mio pc non "riconosceva"  la rete dell'altra casa. Ho trovato la cosa alquanto strana dato che l'anno scorso non ho avuto di questi problemi nelle stesse condizioni. Per  per una rapida poter entrare e gestire il blog da una "macchina" diversa, su cui non sono memorizzati i dati dell'amministratore, bisogna richiedere l'autorizzazione a Google che manda un codice al cellulare che nel mio caso è...col numero cubano, pertanto non accessibile. Al di la del fatto che dovevo usare, per poter almeno leggere la posta, uno scomodissimo tablet oppure il pc aziendale di mio genero con tastiera...scandinava. Dopo qualche tentativo ho deciso di limitarmi solo alla lettura della corrispondenza.
Ieri siamo tornati a Miami facendo una deviazione a Cape Canaveral visita esterna al centro spaziale dal quale, proprio il giorno prima era partito un altro vettore per Marte, ed io l'ho saputo casualmente soltanto dopo, dal momento che non seguivo molto la tv e men che meno i notiziari in inglese.
Il tempo, per quasi tutto il soggiorno a Orlando è stato bruttino con pioggia e vento anche se la temperatura era sempre sopra i 25 gradi. Come itinerario per il ritorno a Miami, da Cape Canaveral, ho scelto di percorrere la US 1 che in Florida ha il nome di South Dixie Higway e corre lungo la costa. Sicuramente meno monotona delle parallele I-95 o Florida Turnpike (questa a pagamento). Durante il percorso è cominciato a piovere ed a un certo punto la tormenta era di tale violenza che si doveva procedere a passo d'uomo: non si vedeva a più di 5 metri di distanza. I grandi spazi disponibili e la natura del territorio, hanno impedito la formazione di torrenti e l'abbondante precipitazione è stata assorbita in modo eccellente.
Una schiarita, preludio al tempo migliore di Miami, ci ha permesso di notare la bellezza di Palm Beach, una località abbastanza esclusiva, come si nota dalle imponenti ville circondate da parchi e giardini.
Poco più a sud, a West Palm Beach, sopraggiungendo la sera, abbiamo lasciato la mitica "1" che attraversa paesi è città con relativi semafori, per prendere la più scorrevole I-95 che in ogni caso era soffocata dal traffico. Alle 19.30 circa siamo finalmente arrivati a casa, avendo iniziato il viaggio alle 10.00.
Al momento della connessione...stesso problema riscontrato a Orlando, ma presentatosi dopo una breve connessione attiva: caduta del segnale e impossibilità di riconoscere la rete, in questo caso abbiamo scoperto la ragione...il router wireless assegna un IP alla macchina e se c'è già in memoria un'altra rete...va in tilt. Spento e riacceso il router...tutto nella norma. Speriamo...




mercoledì 20 novembre 2013

Racconti di strada di Ciro Bianchi Ross, pubblicato su Juventud Rebelde del 17/11/13

L’Avana possiede il parco urbano più grande del mondo. Si estende per otto km. di lunghezza. È il Malecón. Il suo muro si converte in un sedile di pietra quasi infinito. La città possiede, inoltre, viali le cui passeggiate centrali, alberate e con panchine, sono parchi veri e propri. Fra gli altri ci sono quelli delle calles G e Paseo, nel Vedado, strade che con i loro 50 metri di larghezza portano, in qualche modo, il mare alla città; quello della Quinta Avenida di Miramar e il mitico Paseo del Prado con le coppe, mensole e leoni di bronzo, lampioni, lauri frondosi e panchine di marmo. E ci sono, naturalmente, i parchi di quartiere presidiati, quasi sempre, dalla statua di qualcuno che merita essere ricordato. In ogno rione avanero c’è un parco chiamato delle capre (nome probabilmente “ereditato” da spazi verdi in cui anticamente si portavano a brucare le capre, n.d.t.) che viene scelto dagli studenti che marinano le lezioni e da giovani innamorati che vogliono sottrarsi alla curiosità del pubblico della strada e trovano in essi lo spazio per il proprio amoreggiare.
Esistono questi parchi ”delle capre” in altre città del Paese?

Una costruzione durevole

La testimonianza più antica sulla costruzione di una strada all’Avana risale al 14 di febbraio del 1575, quando un atto del Municipio della città annota l’esistenza di questi sentieri o viottoli e avvisa della convenienza che ne sarebbe stata, per il bene della Corona, quello della località e la comodità di abitanti o transeunti di zona “perché si possa circolare e camminare”. Il documento raccoglie la lamentela dei reggenti per i cammini reali che si “fecero aprire e non si aprirono” e dispone che “12 indios e lo stesso numero di negri lavoranti, con le loro asce e machete, aprano un cammino a Guanabacoa e che si determini il valore per pagare loro il lavoro”.
Molti anni dopo, nel 1796, la Junta del Fomento decise di pavimentare il vecchio cammino di Jesús del Monte e cominciò a farlo dal tratto compreso tra il ponte di Chávez la Esquina de Tejas. Si pavimentarono 13.500 “varas” quadrate in cinque mesi, con un costo di 30.734 pesos forti, una cifra esorbitante, secondo la relazione della Giunta, perchè si dovette effettuare un’escavazione di 400 “varas” di lunghezza, 17 di larghezza e 1,5 di profondità nella quale durante 45 giorni hanno lavorato 100 uomini. Una “vara” spagnola equivale a poco più di 80 cm.
L’opera richiese la costruzione di due piccoli ponti, una rifinutra di pietra su muri di mattoni e divorò 10.156 carrettate di pietre. Una carrettata corrisponde più o meno a 1.500 kg.
Senza dubbio non è, fino al 1823, che si fece un primo tentativo di normare la costruzione di cammini. La Giunta Económica del real Consulado dedicava fondi all’apertura di sentieri ed esigeva che quelli della via centrale si aprissero con 50 “varas” di larghezza, quelli provinciali di 24 e quelli comunali di 12 con una di 6 per le vie cittadine non principali.
Un altro documento. Memorias de obras públicas, pubblicato nel 1860 e che copre il periodo compreso fra  il 1795 e 1858, rileva la preoccupazione del Governo coloniale per quello che viene chiamato Cammino Centrale dell’Isola.
Il cammino verso Ovest partiva dall’Avana e terminava a Pinar del Río, dopo aver attraversato Marianao, Guanajay, Artemisa, Las Mangas e Paso Real de San Diego ed era - si afferma - “un cammino naturale senza preparazione di nessun tipo, con solo poche opere per attraversare i fiumi, ruscelli e canali”. Un primo tratto, fino a Güines comprendeva il Camino Central del Este- Proseguiva per Unión de Reyes, Jovellanos - che aveva allora il nome di Bemba - e Macagua. Proseguiva per Santo Domingo, La Esperanza, Santa Clara, Sancti Espiritus e Ciego de Ávila.
Continuava poi da li per Puerto Príncipe, Guáimaro e Las Tunas fino a Cauto Embarcadero. Da Macagua, questa via aveva un’estensione di 181,5 leghe, che sono all’incirca 770 km.
Il Camino Central di cui si allude nelle Memorie del 1860 si descriverva in pietra, aveva una larghezza di 5 metri e con questa larghezza proseguì ad estendersi. Il presidente Menocal fece avanzare i lavori grazie alla legge del 25 agosto del 1919 che lo autorizzava a investire 1.200.000 pesos annuali.
In questo modo si aprirono nuovi tratti del Camino e si prolungarono gli esistenti. Con l’ascesa al potere di Gerardo Machado, il 20 maggio del 1925, i tratti di questa strada raggiungevano i 650 km, ripartiti, in maniera discontinua, tra le sei province di allora.
Era, in gran parte, una strada in cattivo stato con curve strette e larghezza insufficiente, eccetto il tratto di 10 km. tra l’Avana e San Francisco de Paula e quello tra l’Avana e Arroyo Arenas (15 km.), entrambi allargati e lastricati con mattonelle di granito tra il 1913 e il 1914.
I lavori della Carretera Central, propriamente detta, cominciarono a San Francisco de Paula il 1° marzo del 1927. Ha una lunghezza di 1139 km. Di questi, 690, passarono in zone dove non c’erano altre vie di comunicazione che gli antichi cammini reali e 450 utilizarono parzialmente o totalmente le escavazioni delle strade che la precedettero. Ha comunicato zone estese e fertili e ha attraversato 60 paesi e città. È una delle sette meraviglie dell’ingegneria civile cubana e gli specialisti la classificano come l’opera del XX secolo a Cuba. È una delle migliori strade dell’America Latina ed esempio di costruzione duratura. Ha resistito per decenni a carichi superiori a quelli che si pensava dovesse sopportare. Ha accorciato distanze e ha connesso angoli della geografia insulare, cosa che si è ripercossa in ogni ordine della vita cubana: umano, sociale, culturale, scientifico, politico ed economico.
Valga un chiarimento. Si è ripetuto molto che la Carretera Central doveva avere una larghezza di otto metri e che Machado e la sua cosca la lasciarono in sei per trattenersi la differenza del costo.
Non è così. La Carretera ha sempre avuto i sei metri che prevedeva la costruzione. Così si rileva nei piani originali. (Documentazione di Juan de las Cuevas)

Pepe Jerez, ma tu chi sei?  

Il triangolo sito in Monserrate, di fronte all’inizio della calle Nettuno e al termine del vicolo di San Juan de Dios, lo occupa il parco - o meglio il giardinetto - di Pepe Jerez, famoso e popolarissimo capo della Polizia Segreta dell’Avana durante i primi anni della Repubblica e valoroso ufficiale dell’Esercito di Liberazione.
Nel 1951 vi si collocò il busto di Manuel Fernández Supervielle, sindaco avanero che si suicidò nel 1947 quando si rese conto che non poteva mantenere al promessa fatta agli avaneri di un  nuovo acquedotto per il quale, il presidente Grau, gli aveva promesso gli aiuti necessari. La curiosità è che tutti identificano questo giardino come quello di Supervielle, mentre il suo nome ufficiale dorme nel dimenticatoio.
Un caso simile avviene col cosiddetto Giardino di San Juan de Dios, spazio compreso tra le calles Aguiar, Habana, Empedrado e San Juan de Dios o Progreso, sito occupato dal primo ospedale che seppur  non perfetto, meritò questo nome nella capitale. Si eresse li una statua di Don Miguel de Cervantes y Saavedra e si pretese che il nome del giardino fosse quello del famoso autore del Don Chisciotte anche se, anteriormente e in modo ufficiale, lo spazio era stato battezzato col nome  del maggior generale Emilio Nuñez, dell’Esercito di Liberazione.
Né Cervantes né Emilio Nuñez...il cubano della strada lo ha sempre chiamato giardino San Juan de Dios.

Queste vie

La calle Galiano, deve il suo nome a Don Martin Galiano, ministro che intervenne nelle opere di fortificazione della città e costruì un ponte che portò il suo cognome sopra la Fossa Reale che percorreva l’attuale calle di questo nome (Zanja, nd.t.) e forniva l’acqua alla città. Poi, nel 1839, si costruì un altro ponte che permetteva il passaggio del treno che partiva dalla stazione di Villanueva, situata in un enclave nel terreno oggi occupato dal Capitolio. Fino al 1842, Galiano non era Galiano, ma Montesinos, probabilmente un abitante o commerciante della zona.
Come dati curiosi, aggiunge lo scriba, all’angolo di Zanja esisteva un bagno pubblico; il terreno dove si trova la chiesa di Monserrate si conobbe col nome Della Marchesa, per appartenere alla marchesa vedova di Arcos e che all’incrocio di Galiano con San Lazaro si trovavano le cave da cui si estraevano le pietre per le prime case che si costruirono con questo materiale nella città.
Nel 1917 si dette a Galiano il nome ufficiale, che non è mai stato modificato, di Avenida de Italia. 

Lino e seta; granchi e zanzare

Verso il 1771, la migliore tra tutte le calles avanere - si dice - era quella di Mercaderes, che si estendeva solo per circa quattro isolati e aveva, suddivisi per marciapiedi, diversi negozi dove si poteva trovare il meglio in tessuti di lana, lino e seta.
Questi negozi attraevano le dame eleganti e Mercaderes era, allora, quello che più tardi furono Obispo, e poi San Rafaél e Galiano, con la differenza che in quell’epoca le dame non abbandonavano le loro carrozze per fare acquisti, perché era di cattivo gusto entrare nei negozi.
Detta strada partiva dalla Plaza de Armas, allo stesso modo della parallela Oficios per incontrarsi in quella che si chiamò Plaza Vieja. A questo punto, in direzione ovest, si tracciò la calle Real (Muralla) che portava in campagna lungo la Calzada di San Luis Gonzaga (Reina) e conduceva a una fattoria nominata San Antonio Piccolo, dove si sviluppò un complesso zuccheriero che essisteva già nel 1762 quando l’Avana fu presa dagli inglesi.
Al proseguimento di quella di Mercaderes, si tracciò la calle de las Redes (Inquisidor). Parallela alla calle Real si trovava quella dell’immondezzaio (Teniente Rey), perché conduceva alla discarica della città.
Nella stessa direzione, partendo dalla Plaza de Armas, andava la calle del Sumidero (O’Reilly), nome che prese dal Secondo Capo che venne col Conte de Ricla con la restaurazione spagnola, dopo l’effimera dominazione inglese. Partivano da O’Reilly, in direzione della imboccatura del porto, le calles che vennero chiamate Habana e Cuba che attraverso i secoli hanno conservato i loro nomi.
Nelle calles che abbiamo citato, le case obbedivano a un allineamento e all’equidistanza. Il resto della città si costruiva a casaccio, vale a dire, ognuno costruiva la sua casa dove lo stimava conveniente. Tutte la case erano di guano o di legno ed erano recintate e difese sui quattro lati con spuntoni. Quando pioveva, la città era intransitabile.
Le zanzare erano insopportabili, specialmente per gli equipaggi della flotta. C’era una tal quantità di granchi in tutto il litorale, particolarmente nella Punta Caleta di San Lázaro che di notte, quando si avvicinavano in cerca dei rifiuti della spazzatura domestica, facevano tanto rumore che spesso si scambiavano per invasori inglesi.

Cuentos de camino

Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
16 de Noviembre del 2013 17:05:45 CDT

La Habana cuenta con el parque urbano más grande del mundo. Se extiende a lo largo de unos ocho kilómetros. Es el Malecón. Su muro se convierte en un asiento de piedra casi sin fin. La ciudad dispone además de avenidas cuyos paseos centrales, arbolados y con bancos, son parques verdaderos. Ahí están, entre otros, los de las calles G y Paseo, en el Vedado, vías que con sus 50 metros de ancho llevan de alguna manera el mar a la ciudad; el de la Quinta Avenida, de Miramar, y el mítico Paseo del Prado, con copas, ménsulas y leones de bronce, farolas, laureles frondosos y bancos de mármol. Y están, por supuesto, los parques de barrio, presididos casi siempre por la estatua de alguien que merece ser recordado. En cada barriada habanera hay un parque llamado de los chivos, que buscan para pasar las horas estudiantes fugados de clase y jóvenes enamorados que quieren librarse de la curiosidad callejera y encuentran en ellos espacio discreto para el amorío. ¿Existen esos parques de los chivos en otras ciudades del país?

Una construcción duradera

La referencia más antigua sobre la construcción de un camino en La Habana data del 14 de febrero de 1575, cuando un acta del Ayuntamiento de la villa anota la inexistencia de esos senderos o veredas y advierte lo conveniente que resultarían para el servicio de la Corona, el bien de la localidad y la comodidad de vecinos y moradores «para que se pueda andar e caminar». Recoge el documento la queja de los regidores por los caminos reales que «se mandaron abrir y no se abrieron», y dispone que 12 indios e igual número de negros horros, con sus hachas y machetes, abran un camino en Guanabacoa y que se valore y se les pague su trabajo.
Muchos años después, en 1796, la Junta de Fomento decidía empedrar el viejo camino de Jesús del Monte y comenzaba a hacerlo por el tramo comprendido entre el puente de Chávez y la Esquina de Tejas. Se empedraron 13 500 varas cuadradas en cinco meses, con un costo de 30
734 pesos fuertes, cifra esta excesiva, expresa la relación de la Junta, porque tuvo que acometerse una excavación de 400 varas de largo, 17 de ancho y 1,5 de profundidad, en la que, durante 45 días, trabajaron cien hombres. Una vara española equivale a poco más de 0,8 metros.
La obra exigió la construcción de dos puentes pequeños y de un petril de sillería sobre muros de mampostería ordinaria y se tragó 10 156 carretadas de piedra. Una carretada equivale, más o menos, a 1 500 kilogramos.
No es sin embargo hasta 1823 cuando se hizo un primer intento de normar la construcción de caminos. La Junta Económica del Real Consulado dedicaba fondos a la apertura de senderos y exigía que los de la ruta central se abriesen con 50 varas de ancho, los provinciales, con 24, con 12 los vecinales y con una anchura de seis varas los caminos domésticos.
Otro documento, Memorias de obras públicas, publicado en 1860 y que cubre los años comprendidos entre 1795 y 1858, consigna la preocupación del Gobierno colonial por lo que allí se llama Camino Central de la Isla.
El camino hacia el Oeste arrancaba en La Habana y terminaba en Pinar del Río, luego de atravesar Marianao, Guanajay, Artemisa, Las Mangas y Paso Real de San Diego, y era —se afirma— «un camino natural sin preparación de ninguna clase, con algunas pocas obras para atravesar ríos, arroyos y cañadas». Un primer tramo hasta Güines comprendía el Camino Central del Este. Proseguía por Unión de Reyes, Jovellanos —que recibía entonces el nombre de Bemba— y Macagua. Continuaba por Santo Domingo, La Esperanza, Santa Clara, Sancti Spíritus y Ciego de Ávila.
Y seguía desde allí por Puerto Príncipe, Guáimaro y Las Tunas hasta Cauto Embarcadero. Desde Macagua, esta ruta tenía una extensión de
181,5 leguas, esto es, 770 kilómetros aproximadamente.
El Camino Central al que se alude en las Memorias de 1860 se afirmaba en piedra y tenía un ancho de cinco metros y con esa anchura continuó extendiéndose. El presidente Menocal adelantó en la vía gracias a la ley del 25 de agosto de 1919, que le autorizó a invertir en esta 1 200
000 pesos anuales.
De esa forma se tiraron nuevos tramos del camino y se prolongaron los existentes. Al ascender Gerardo Machado al poder, el 20 de mayo de 1925, los trechos de esa carretera sumaban unos 650 kilómetros, repartidos, de manera discontinua, por las seis provincias de entonces.
Era, en gran parte, una carretera en mal estado, con curvas cerradas y anchura insuficiente, salvo en el tramo de diez kilómetros entre La Habana y San Francisco de Paula, y el de La Habana a Arroyo Arenas (15
km) ambos ensanchados y adoquinados con granito entre 1913 y 1914.
Los trabajos de la Carretera Central propiamente dicha comenzaron en San Francisco de Paula, el 1ro. de marzo de 1927. Tiene una extensión de 1 139 kilómetros. De estos, 690 cruzaron por zonas donde no existían más vías de comunicación que los antiguos caminos reales, y
450 utilizaron total o parcialmente las explanadas de las carreteras que le antecedieron. Comunicó zonas extensas y fértiles y atravesó 60 pueblos y ciudades. Es una de las siete maravillas de la ingeniería civil cubana y los especialistas la catalogan como la obra del siglo XX en Cuba. Es una de las mejores carreteras de América Latina y ejemplo de construcción duradera. Ha resistido, durante decenas de años, cargas muy superiores a las que se suponía que soportara. Acortó distancias y conectó rincones de la geografía insular, lo que redundó en todos los órdenes de la vida cubana: humano, social, cultural, científico, político y económico.
Valga una aclaración. Se ha repetido mucho que la Carretera Central debió tener una anchura de ocho metros, y que Machado y su camarilla la dejaron en seis para apropiarse del dinero que eso hubiera costado.
No hay tal. La carretera tuvo siempre los seis metros de ancho con que se construyó. Así se advierte en los planos originales. (Con documentación de Juan de las Cuevas)

Pepe Jerez, ¿quién eres tú?

El triángulo situado en Monserrate, frente al comienzo de la calle Neptuno y al final del callejón de San Juan de Dios, lo ocupa el parque —más bien parquecito— de Pepe Jerez, famoso y popularísimo jefe de la Policía Secreta de La Habana durante los años iniciales de la República y valeroso oficial del Ejército Libertador.
En 1951 se colocó allí el busto de Manuel Fernández Supervielle, alcalde habanero que se suicidó en 1947 cuando se percató de que no podría cumplirles a los habitantes de la ciudad la promesa de un nuevo acueducto, para el que el presidente Grau le había prometido la ayuda necesaria. Lo curioso es que todos identifican a este parque como de Supervielle, mientras que su nombre oficial duerme en el olvido.
Caso similar sucede con el llamado Parque de San Juan de Dios, espacio enmarcado por las calles Aguiar, Habana, Empedrado y San Juan de Dios o Progreso, sitio ocupado por el primer hospital que, aunque imperfecto, mereció ese nombre en la capital. Se erigió allí una estatua de don Miguel de Cervantes Saavedra, y se pretendió que el nombre del parque fuese el del famoso autor del Quijote, aunque ya anteriormente y de manera oficial el espacio había sido bautizado con el nombre del mayor general Emilio Núñez, del Ejército Libertador.
Ni Cervantes ni Emilio Núñez… El cubano de a pie lo ha llamado siempre Parque de San Juan de Dios.

Esas calles

La calle Galiano debe su nombre a don Martín Galiano, ministro interventor en las obras de fortificación de la ciudad, quien construyó un puente, el cual llevó su apellido, sobre la Zanja Real que recorría la actual calle de este nombre y surtía de agua a la ciudad. Luego, en 1839, se construyó otro puente que permitía el paso del ferrocarril que salía de la Estación de Villanueva, enclavada en parte de los terrenos donde hoy se ubica el Capitolio. Hasta 1842, Galiano estuvo cerrada en la calle San Miguel por una manzana de casas. Desde ahí hasta San Lázaro, Galiano no era Galiano, sino Montesinos, posiblemente un vecino o comerciante del lugar.
Como datos curiosos, añade el escribidor, en la esquina de Zanja existió un baño público, que el terreno donde se encuentra la iglesia de Monserrate se conoció por el nombre De la Marquesa, por pertenecer a la marquesa viuda de Arcos, y que en el entronque de Galiano con San Lázaro se encontraban las canteras de donde se extrajeron piedras para las primeras casas que con ese material se construyeron en la villa.
En 1917 se dio a Galiano el nombre oficial, que no ha sido modificado nunca, de Avenida de Italia.

Lino y seda; cangrejos y mosquitos

Hacia 1771 la mejor entre todas las calles habaneras —se dice— era la de Mercaderes, que solo se extendía a lo largo de unas cuatro cuadras, y tenía repartidos por una y otra aceras distintos establecimientos donde podía encontrarse lo mejor en tejidos de lana, lino y seda.
Estas tiendas atraían a las damas elegantes, y Mercaderes era entonces lo que fueron más tarde Obispo y luego San Rafael y Galiano, con la diferencia de que en aquella época las damas no abandonaban sus volantas para hacer las compras, porque era de mal gusto penetrar en las tiendas.
Arrancaba dicha calle desde la Plaza de Armas y, al igual que otra calle bien alineada, Oficios, iba a encontrarse en lo que se llamó Plaza Vieja. En este punto, en dirección Oeste, se trazó la calle Real
(Muralla) que daba salida al campo por la Calzada de San Luis Gonzaga
(Reina) y conducía a una hacienda nombrada San Antonio el Chiquito, donde se fomentó un ingenio de azúcar, que existía en 1762 cuando la toma de La Habana por los ingleses.
A continuación de la de los Mercaderes, se trazó la calle de las Redes (Inquisidor). Paralela a la calle Real se hallaba la del Basurero (Teniente Rey), porque conducía al vertedero de la ciudad.
En la misma dirección, partiendo de la Plaza de Armas, iba la calle de Sumidero (0’Reilly), nombre este que tomó por el Segundo Cabo que vino con el Conde de Ricla a la restauración española, después de la efímera dominación inglesa. Salían desde 0’Reilly, rumbo a la boca del puerto, las calles que se llamaron Habana y Cuba y que a través de los siglos han conservado sus nombres.
En las calles que hemos citado, las casas obedecían a una alineación y equidistancia. En el resto de la ciudad se construía a la diabla, es decir, cada cual establecía su casa donde lo creía conveniente. Todas las casas eran de guano o de madera y estaban cercadas o defendidas por sus cuatro costados con tunas bravas. Cuando llovía la ciudad era intransitable.
Los mosquitos eran insoportables, especialmente para los tripulantes de las flotas. Y había tal cantidad de cangrejos en todo el litoral, particularmente en las cercanías de la Punta y Caleta de San Lázaro, que por las noches, cuando se acercaban en busca de los desperdicios de las basuras domésticas, metían tanto ruido que muchas veces se les tomaba por invasores ingleses

Ciro Bianchi Ross