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martedì 31 dicembre 2013

Con ottimismo auguro un 2014 migliore, dei precedenti, a tutti

Le foto di Franco 7





Contatto

CONTATTO: usare delicatezza

lunedì 30 dicembre 2013

Le foto di Franco 6







Il piccolo cieco di Madrid di Ciro Bianchi Ross, pubblicato su Juventud Rebelde del 29/12/13

Aneddoto è sinonimo di racconto, storiella, riporto, eco. Viena dal greco anekdotos che vuol dire inedito ed è la relazione di un evento o fatto curioso e particolare. Ce ne sono che rivelano, come poche altre cose, il carattere del suo protagonista e molti che pongono di manifesto un insegnamento. Altri fanno ridere: a questa categoria sono quelli riprodotti qua sotto. Non ho trovato un modo migliore per alleggerire la pagina in mezzo alle feste di fine anno.
La linea di Claret
Juan Emilio Figuls cominciò molto giovane col giornalismo e si mantenne vincolato ai media molti anni, fino alla fine della sua vita.
In un’occasione, mi raccontò che quando era ancora studente, fu accettato per scrivere la cronaca cattolica nel quotidiano Informaciòn, il suo direttore e proprietario il Dottor Santiago Claret, gli diede dei suggerimenti e raccomandazioni. Fra di esse che non elogiasse mai i lavori di nessun altro giornalista che non appartenesse alla redazione di Informaciòn. Col tempo, Sergio Carbó, direttore e proprietario di Prensa Libre, vinse il premio Justo de Lara, il riconoscimento maggiore del giornalismo cubano dell’epoca, con un articolo sulla notte di Natale cristiana e Figuls si sentì in obbligo di segnalare il fatto nella sua colonna.
Informaciòn era un giornale di 60/70 pagine e Claret se lo leggeva dall’inizio alla fine prima che partisse per la tipografia. Non leggeva solo le notizie e gli articoli di fondo, ma anche gli annunci economici e le necrologie. Redattori e disegnatori non potevano abbandonare la redazione fino a che non avessero ricevuto l’approvazione di Claret per il loro lavoro. Il giorno in questione, Figuls aspettava l’OK dal direttore, quando fu chiamato in direzione. Claret era diventato una furia.
-Mi può spiegare il motivo di questo articolo? Come si permette di elogiare, nel mio giornale, il direttore di un organo della concorrenza?- Domandò e senza dare a Figuls il tempo di rispondere, gli chiese se conosceva il racconto del piccolo cieco di Madrid. Di fronte alla risposta negativa del giovane colonnista raccontò, allora, che nei giorni dell’invasione napoleonica alla Spagna tutte le mattine, alla Puerta del Sol un cieco annunciava le vittorie dell’esercito spagnolo sul nemico.
Diceva: “Oggi che il nostro esercito ha sconfitto l’abominevole esercito francese, una piccola elemosina, per amor di Dio”. Così un giorno dopo l’altro il non vedente chiedeva la sua elemosina dopo aver proclamato la vittoria spagnola sugli invasori. Ma in un’occasione, qualcuno che lo stava sentendo tutti i giorni elencare quei trionfi, detenne il suo passo per domandare se l’esercito francese non vincesse nessuna battaglia.
“Sì, rispose il cieco. Le vince, ma queste vittorie le annuncia il piccolo cieco di Parigi”.
Alla fine il direttore consentì di pubblicare il lavoro di Figuls su Carbó. Claret aveva idee molto particolari di ciò che fosse il giornalismo. Nel suo quotidiano elogiava senza riserve il governo di turno fino a che lasciava il potere. Quando ciò succedeva cominciava a elogiare, con lo stesso impeto, il governo successivo. Diceva che l’informazione aveva una linea, una sola linea ed era una linea governamentale, ma che l’informazione non aveva colpa se si cambiavano i governi.
Appetito di Lezama Lima
Nicolás Guillén ricordava che in una certa occasione, un evento auspicato perl ‘UNEAC, fu chiuso con un pranzo nella medesima casa dei creatori cubani in calle 17 angolo H, nel Vedado. Il poeta José lezama Lima aveva già finito di mangiare quando si accorse che nel vassoio rimaneva una bistecca e questo bastò per risvegliare il suo insaziabile appetito. Disse, l’autore di Paradiso, a qualcuno vicino a lui: “Sarebbe così amabile da trapassare al mio desco qualla povera bistecca che è rimasta orfana e che io posso aiutare con le mie mandibole?”
Il brigadiere Estrada Palma
Si lancia la candidatura presidenziale di Tomás Estrada Palma e per la candidatura a presidente della Repubblica compete anche il Maggior Generale Bartolomé Masó. Una battaglia fra “solitari”. “Il solitario” di Central Valley –Don Tomás- contro “il solitario” de la Jagüita –Masó-. I direttori di campagne politiche, confidando nella efficacia elettorale dell virtù, presentavano i loro candidati come simbolo di purezza, onorabilità  e patriottismo...Li chiamavano “solitari”. Volevano sintetizzare così il raccoglimento in cui vivevano, lontani dal mondo, appartati dalla lotta egoista, scevri di ambizioni, poveri, umili e come dimenticati della loro grandezza e del ruolo illustre che disimpegnavano nella storia. Ancora, negli anni '30 del secolo scorso, il Colonnello Carlos Mendieta era il “solitario” di Cunagua.
Il Maggior Generale Máximo Gómez percorse il territorio di Las Villas in appoggio alla candidatura del “solitario” di Central Valley -titolo che veniva dalla località vicina a New York, dove il candidato risiedeva ed aveva la sua scuola-. Il gran giornalista cubano Manuel Márquez Sterling racconta di aver accompagnato il generalissimo, come una specie di capo ufficio stampa, durante quel viaggio e ogni volta che facevano una sosta nel cammino, la gente si precipitava verso il treno a ondate inneggiando all'eroe de La Sacra e Palo Seco. Márquez Sterling precisa, in un articolo pubblicato il 10 di settembre del 1916 nel quotidiano avanero La Nación, che davanti a questa mostra di affetto e di rispetto, Gómez usciva sulla piattaforma del vagone in cui viaggiava, sollevava la testa con gesto di capo invitto e parlava alla moltitudine con linguaggio paterno, senza fronzoli retorici né intonazioni da tribuno. Diceva: “Cubani, io non vi ho mai ingannato; per questo ho l'autorità per consigliarvi di votare per Tomás Estrada Palma come presidente...”. La moltitudine si eccitava. Evviva, abbbracci, spintoni, discorsi a metà. “Sentite, cubani -aggiungeva il generale- e votate anche per il dottor Luis Estévez per la vicepresidenza”.
Già con direzione a Sagua la Grande, nel nominare Estrada Palma, Gómez gli dette i gradi di brigadiere e non nominó Luis Estévez. Il treno proseguì la sua marcia e il giornalista gli si avvicinò per chiedergli sulla gerarchia militare di don Tomás. Perché dargli trattamento di brigadiere a un uomo che non era nemmeno sergente?
“Ragazzo! - esclamò Gómez conficcando gli occhi fiammeggianti sul suo interlocutore – tu non conosci i cubani? A ciascuno bisogna dare le cose secondo come le capisca. In questo luogo che conosco a memoria, essere brigadiere è la cosa maggiore che si possa essere. Qua brigadiere significa ostentare il comando supremo. Qua non sono maggior generale, sono brigadiere. Il brigadiere non rappresenta solo il potere, ma anche patriottismo e virtù, perché brigadiere in questa terra, viene nominato il più coraggioso, il più saggio, il più buono”.
Gómez fece una pausa. Si voltò verso coloro che conformavano la sua comitiva. “Questi ragazzi conoscono solo l'Avana” -disse e per addolcire la pillola aggiunse con gli occhi posti di nuovo su Márquez Sterling: “E con ciò che tu sei uno dei più informati. Almeno conosci Camagüey, anche se non tanto come me”.
Momento imbarazzante di Prío
Un giorno, gia a Miami, il giornalista Max Lesnik domandò a Carlos Prìo Socarrás quqle fosse stato il momento più imbarazzante della sua vita. L'ex presidente non ci pensò molto. Riferì che nel 1948, durante la sua visita in Messico come presidente eletto, dovette incontrarsi con Miguel Alemán Valdés, presidente di quel Paese. Dopo la conversazione, l'anfitrione volle mostrare al visitatore alcuni dei luoghi più attrattivi della capitale. Alemán, Prìo e sua moglie Mary Tarrero avrebbero fatto il percorso in un automobile scoperta, nonostante le moto della polizia di scorta che aprivano il passo con le sirene avanzano con difficoltà nel tumulto cittadino e si fermavano ad ogni semaforo rosso trovassero sulla strada.
Aprofittando della sosta ad un semaforo un messicano, appiedato, si avvicinò al veicolo presidenziale. Disse al presidente: “ Senta, don Miguel, lasci quella brutta che ha per moglie e se ne cerchi una bella come donna Mary”.
Aleman Valdés, ricordava Prìo, rimase senza parole avvilito, con gli occhi fissi su un punto lontano. Nemmeno il cubano trovava qualcosa da dire e non osava nemmeno guardare il suo anfitrione. Prìo si vergognava di più di Alemàn.
Marquez Sterling e il digestivo Mojarrieta
La buona amicizia che esisteva tra Manuel Márquez Sterling e Gustavo Robreño fu sul punto di spezzarsi per causa di uno scherzo.
Correvano i primi anni del XX secolo e don Manuel faceva conoscere un libro nella cui controcopertina c'era una striscia rossa in diagonale dove si leggeva su grandi lettere bianche: “Bevete il digestivo Mojarrieta”, sicuramente perché l'azienda produttrice di questo farmaco aveva contribuito al pagamento per la pubblicazione dell'opera.
Márquez Sterling invió copie del suo nuovo titolo alla redazione di tutti i giornali avaneri in cerca di un responsabile commento e lo rimise anche a La Politica Cómica che dirigeva Ricardo de la Torríente, il celebre caricaturista di Liborio; un settimanale che contava con solo due redattori: Pedro González Muñoz e Gustavo Robreño.
Torríente, fedele ai doveri del cameratismo, incaricò González Muñoz una nota sul libro e González Muñoz che presumeva di essere comproprietario della rivista, cosa che non constava a nessuno, passò l'incarico a Robreño che resistette a compierlo perché equivaleva a mettere i denti a un'opera di oltre 400 pagine, mentre il tempo mancava e serviva per altre cose meno serie e più in sintonia con la linea editoriale de La Politica Cómica.
Torrìente insistette nella sua determinazione che si desse a conoscere il commento, anche se alla fine convenne che un giudizio critico, specialmente di un'opera come quella, non concordava col profilo della sua pubblicazione. Ciò nonostante vole che si pubblicasse almeno un avviso di ricevuta e affidò a Robreño, come aveva fatto González Muñoz, il compito di redigerlo.
Robreño, messo con le spalle al muro, decise di assumersi il lavoro senza pensarci molto. Intinse la penna nel calamaio e scrisse: “Abbiamo ricevuto l'ultima opera dell'illustre scrittore manuel Màrquez Sterling, la cui lettura rimandiamo per mancanza di tempo...” Sollevò la penna dalla carta, vacillò un istante e aggiunse una pietosa bugia: “...però ce ne occuperemo più avanti”.
Robreño rilesse lo scritto e gli sembrò troppo freddo e impersonale. Tornò a intingere la penna, la passò sui bordi del calamaio al fine di sgocciolarla, gettò un'altra occhiata al volume e aggiunse: “Una domanda. Il digestivo Mojarrieta, bisogna prenderlo prima o dopo di leggere il libro?”.

Anni più tardi Robreño confessò che questo scherzo digestivo non fu digerito da don Manuel che gli attribuì mancanza di cameratismo e gli mise il muso per oltre un anno. Ma -il tempo sana tutte le ferite- il malestare passò e un bel giorno, incontrandosi per caso in strada, don manuel ebbe il buon gusto di non ricordare l'incidente e riannodarono l'amicizia. Quando Manuel Sterling fondò, nel 1913, il suo quotidiano Heraldo de Cuba, sollecitò la collaborazione di Gustavo Robreño che dette a conoscere nelle sue pagine la colonna umoristica Aquellarres del sabato.


El cieguito de Madrid

Ciro Bianchi Ross •
 digital@juventudrebelde.cu
28 de Diciembre del 2013 19:25:12 CDT

Anécdota es sinónimo de narración, historieta, chascarrillo, eco.
Viene del griego anekdotos, que quiere decir inédito, y es la relación
breve de un rasgo o suceso curioso y particular. Las hay que revelan,
como otras pocas cosas, el carácter de su protagonista, y muchas que
ponen de manifiesto una enseñanza. Otras hacen reír. A esta categoría
pertenecen las que se insertan abajo. No encontré manera mejor de
aligerar la página en medio de las fiestas por el fin de año.
La línea de Claret

Juan Emilio Friguls empezó muy joven el periodismo y se mantuvo
vinculado a los medios durante muchos años, hasta el final de su vida.
En una ocasión me contó que cuando, siendo aún estudiante, fue
aceptado para escribir la crónica católica en el periódico
Información, su director y propietario, el doctor Santiago Claret, le
hizo sugerencias y recomendaciones. Entre ellas, que jamás elogiara ni
resaltara el quehacer de ningún periodista que no perteneciera a la
redacción de Información. Andando el tiempo, Sergio Carbó, director y
propietario de Prensa Libre, ganó el premio Justo de Lara, el galardón
más relevante en el periodismo cubano de la época, con un artículo
sobre la Nochebuena cristiana, y Friguls se sintió obligado a reseñar
el hecho en su columna.
Información era un periódico de 60 o 70 páginas, y Claret se lo leía
de punta a cabo antes de que saliera para la imprenta. Leía no solo
las noticias y los artículos de fondo, sino también los anuncios, los
clasificados y las notas necrológicas. Redactores y dibujantes no
podían abandonar la redacción hasta que no hubieran recibido la
aprobación de Claret por su trabajo. El día en cuestión, Friguls
esperaba el OK del director cuando fue llamado a la dirección. Claret
estaba hecho una furia.
—¿Me puede explicar el porqué de este artículo? ¿Cómo es posible que
usted se atreva a elogiar en mi periódico al director de un órgano de
la competencia? —preguntó y, sin dar a Friguls tiempo para responder,
inquirió si conocía el cuento del cieguito de Madrid. Ante la
respuesta negativa del joven columnista, contó entonces que en los
días de la invasión napoleónica a España, todas las mañanas, en la
Puerta del Sol, un ciego anunciaba las victorias del ejército español
sobre el enemigo.
Decía: «Hoy que nuestro ejército derrotó al abominable ejército
francés, una limosnita por el amor de Dios». Y así un día tras otro el
invidente pedía su limosna luego de proclamar la victoria española
sobre los invasores. Pero en una ocasión, alguien que le escuchaba a
diario pregonar aquellos triunfos detuvo su camino para preguntarle si
el ejército francés no ganaba ninguna batalla.
—Sí, respondió el ciego. Las gana, pero esas victorias las anuncia el
cieguito de París.
Al fin accedió el director de Información a publicar el trabajo de
Friguls sobre Carbó. Claret tenía ideas muy particulares de lo que era
el periodismo. En su diario elogiaba sin reservas al gobierno de turno
hasta que cesaba en el poder. Cuando eso sucedía, comenzaba a elogiar,
con el mismo ímpetu, al gobierno siguiente. Decía que Información
tenía una línea, una sola línea, y era una línea gubernamental, pero
que Información no tenía la culpa de que cambiaran los gobiernos.
Apetito de Lezama Lima

Recordaba Nicolás Guillén que en cierta ocasión un evento auspiciado
por la Uneac fue clausurado con un almuerzo en la propia casa de los
creadores cubanos, en 17 esquina a H, en el Vedado. El poeta José
Lezama Lima había terminado ya de comer cuando advirtió que en la
bandeja quedaba un bistec y eso bastó para tentar su apetito
insaciable. Dijo el autor de Paradiso a alguien cercano a él: «¿Sería
usted tan amable de traspasar a mis predios ese pobre bistec que se ha
quedado huérfano y que yo puedo ayudar con mis mandíbulas?».
El brigadier Estrada Palma

Se lanza la candidatura presidencial de Tomás Estrada Palma y
contiende también por la presidencia de la República el Mayor General
Bartolomé Masó. Una batalla entre «solitarios». El «solitario» de
Central Valley —don Tomás— contra el «solitario» de La Jagüita —Masó—.
Los directores de campañas políticas, confiados de la eficacia
electoral de las virtudes, presentaban a sus candidatos como símbolos
de pureza, honradez, patriotismo… Les llamaban «solitarios». Querían
sintetizar así el recogimiento en que vivían, lejos del mundo,
apartados de la pugna egoísta, limpios de ambición, pobres y humildes,
y como olvidados de su grandeza y del papel ilustre que desempeñaban
en la historia. Todavía en los años 30 del siglo pasado, el Coronel
Carlos Mendieta era el «solitario» de Cunagua.
El Mayor General Máximo Gómez recorrió el territorio de Las Villas en
apoyo a la candidatura del «solitario» de Central Valley —título este
que tomaba de la localidad cercana a Nueva York donde el candidato
residía y tenía su escuela. Cuenta el gran periodista cubano Manuel
Márquez Sterling, quien como una especie de jefe de prensa acompañó al
Generalísimo en ese viaje, que cada vez que hacían un alto en el
camino, la gente, en oleadas, se precipitaba hacia el tren y daba
vivas al héroe de La Sacra y Palo Seco. Precisa Márquez Sterling en un
artículo publicado el 10 de septiembre de 1916, en el periódico
habanero La Nación, que ante esa muestra de cariño y respeto, Gómez
salía a la plataforma del vagón donde viajaba, levantaba la cabeza en
gesto de caudillo invicto y hablaba a la multitud con lenguaje
paternal, sin adornos retóricos ni entonación tribunicia. Decía:
«Cubanos, yo nunca los he engañado; tengo por eso autoridad para
aconsejarles que voten por Tomás Estrada Palma para presidente…». La
multitud alborotaba. Vivas, abrazos, empujones, discursos a medias.
«Oigan, cubanos, añadía el General, y voten también por el doctor Luis
Estévez para la vicepresidencia».
Ya rumbo a Sagua la Grande, al nombrar a Estrada Palma, Gómez le dio
grados de brigadier y no mencionó a Luis Estévez. Prosiguió el tren su
marcha y el periodista se le acercó para interrogarle acerca de la
jerarquía militar de don Tomás. ¿Por qué darle trato de brigadier a un
hombre que ni siquiera era sargento?
—¡Muchacho!, —exclamó Gómez y clavó en su interlocutor sus ojos
fulgurantes—. ¿Tú no conoces a los cubanos? A cada uno es preciso
decirle las cosas como mejor las entienda. En este lugar, que yo me sé
de memoria, ser brigadier es lo más grande que se puede ser. Aquí
brigadier significa ostentar el mando supremo. Aquí yo no soy mayor
general, soy brigadier. Brigadier no solo representa poder, sino
patriotismo y virtud, porque brigadier nombran únicamente en esta
comarca al más valiente, al más sabio, al más bueno.
Hizo Gómez un alto. Se volvió hacia los que conformaban su comitiva.
«Estos muchachos solo conocen La Habana» —dijo— y, como para endulzar
la censura, añadió con los ojos puestos de nuevo en Márquez Sterling:
«Y eso que tú eres de los más enterados. Al menos conoces Camagüey,
aunque no tanto como yo».
Momento embarazoso de Prío

Un día, ya en Miami, el periodista Max Lesnik preguntó a Carlos Prío
Socarrás cuál era el momento más embarazoso de su vida. El ex
mandatario no lo pensó mucho. Refirió que en 1948, durante su visita a
México como presidente electo, debió encontrarse con Miguel Alemán
Valdés, presidente de ese país. Tras la charla, quiso el anfitrión
mostrar al visitante algunos de los lugares más atractivos de la
ciudad capital. Alemán, Prío y su esposa, Mary Tarrero, harían el
recorrido en un automóvil descapotable que pese a las motocicletas de
la Policía, que le abrían paso con sus sirenas, avanzaba con
dificultad en medio del tumulto citadino, deteniéndose en cuanta luz
roja encontraba a su paso.
Aprovechando la parada ante un semáforo, un mexicano de a pie se
acercó al vehículo presidencial. Dijo al Presidente: «Óigame, don
Miguel, suelte a esa fea que tiene por mujer y búsquese otra tan linda
como doña Mary».
Alemán Valdés, recordaba Prío, quedó sin palabras, apenado, con los
ojos clavados en un punto lejano. El cubano tampoco hallaba nada que
decir, ni a mirar a su anfitrión se atrevía. Prío estaba más apenado
que Alemán.
Márquez Sterling y el digestivo Mojarrieta


La buena amistad que existía entre Manuel Márquez Sterling y Gustavo
Robreño estuvo a punto de romperse a causa de una broma.
Corrían los años iniciales del siglo XX y don Manuel daba a conocer un
libro cuya contraportada mostraba una franja roja en diagonal en la
que se leía, en grandes letras blancas: «Tome el digestivo
Mojarrieta», de seguro porque la empresa productora de ese fármaco
había contribuido al pago de la publicación de la obra.
Márquez Sterling envió ejemplares de su nuevo título a la redacción de
todos los periódicos habaneros, en busca del consabido comentario, y
lo remitió también a La Política Cómica, que dirigía Ricardo de la
Torriente, el célebre caricaturista de Liborio; un semanario que
contaba solo con dos redactores: Pedro González Muñoz y Gustavo
Robreño.
Torriente, fiel a los deberes del compañerismo, encargó a González
Muñoz una nota sobre el libro, y González Muñoz, que presumía de ser
copropietario del periódico, lo que no le constaba a nadie, pasó el
encargo a Robreño, que se resistió a cumplirlo porque hacerlo
equivalía a meterle el diente a una obra de más de 400 páginas cuando
el tiempo apremiaba y hacía falta para otras cosas menos serias y más
en consonancia con la línea editorial de La Política Cómica.
Insistió Torriente en su determinación de que se diera a conocer el
comentario, aunque convino al fin en que un juicio crítico, y más de
una obra como esa, no encajaba en el perfil de su publicación. Aun
así, quiso que se publicara el acuse de recibo y confió a Robreño,
como lo había hecho González Muñoz, la tarea de redactarlo.
Robreño, puesto en tres y dos, decidió asumir su trabajo sin pensarlo
mucho. Mojó la pluma en el tintero y escribió: «Hemos recibido la
última obra del ilustre escritor Manuel Márquez Sterling, cuya lectura
aplazamos por falta de tiempo…». Levantó la pluma del papel, vaciló un
instante y añadió una mentira piadosa: «… pero de la que nos
ocuparemos más adelante».
Releyó Robreño lo escrito y le pareció demasiado frío e impersonal.
Volvió a mojar la pluma, la pasó lentamente por los bordes del tintero
a fin de escurrirla de tinta, echó otra mirada al volumen y añadió:
«Una pregunta. El digestivo Mojarrieta que se anuncia en la
contraportada, ¿hay que tomarlo antes o después de leer el libro?».
Años después Gustavo Robreño confesaría que esa broma digestiva
indigestó a don Manuel, que la atribuyó a falta de compañerismo y
llegó a enfurruñarse con él durante más de un año. Pero —manos dadas y
pelillos a la mar— el disgusto pasó y un buen día, al encontrarse de
manera casual en la calle, don Manuel tuvo el buen gusto de no
recordar el incidente y reanudaron la amistad. Cuando Márquez Sterling
fundó en 1913 su periódico Heraldo de Cuba, solicitó la colaboración
de Gustavo Robreño, que dio a conocer en sus páginas la columna
humorística Aquelarres del sábado.

Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
http://wwwcirobianchi.blogia.com/
http://cbianchiross.blogia.com/



Contata

CONTATA: avere la bambinaia

domenica 29 dicembre 2013

Le foto di Franco 5






Contare

CONTARE: avere difetti genetici

sabato 28 dicembre 2013

Esposizione dei disegni di Juan Padrón


Incontro (molto) semi e (poco) serio con Juan Padrón
Juan Padrón (Matanzas 29/1/1947 – Non si sa ancora dove e quando),
non ha bisogno di presentazioni. I suoi animati sono stati esibiti in tutto il mondo ed è considerato uno dei più grandi cartoonist viventi.
Dal 12 dicembre al 12 gennaio 2014 si tiene una mostra retrospettiva presso l’Istituto Culturale Spagnolo in Malecón, 17.
A Cuba è l’idolo dei piccini, ma non solo. Dopo aver ottenuto successi e riconoscimenti con la sua lunga serie di corti e lungometraggi dell’eroe della Guerra d’Indipendenza, Elpidio Valdés, la collaborazione con Juaquin Lavado (Quino) nella creazione degli esilaranti flash di “Quinoscopio” e l’animazione delle strisce di “Mafalda”, l’altra serie di flash “Filminuto” e innumerevoli altri corti come l’indimenticabile “Kolia”, ha proseguito nel lungometraggio d’animazione con la serie dei “Vampiros en La Habana”, già sperimentata anch’essa in una serie di corti.
La lunga lista di premi e riconoscimenti ottenuti non hanno cambiato la vita semplice di Juan, sempre disponibile con tutti. Durante l’appena concluso XXXV Festival del Nuovo Cine Latinoamericano gli è stato consegnato un Premio Coral alla carriera che, si spera non chiuda ancora il cerchio degli allori.
Se la genetica funziona, o come si diceva una volta: “buon sangue non mente” suo figlio, Ian, ha intrapreso con successo la carriera di regista cinematografico e da ottimo documentarista e autore di video clips è entrato alla grande nel lungometraggio di fiction con Habanastation che ha ricevuto premi e riconoscimenti in più Paesi. L’unione artistica, oltre che il legame famigliare, ha in progetto di trasferire il mitico Elpidio in un film con attori in carne e ossa, un progetto ambizioso che però richiede uno sforzo finanziario...troveranno un produttore interessato?
Juan, dopo i 60 anni, ha raggiunto la maturità sessuale e questo gli ha dato lo spunto per una nuova serie di animati strettamente vietata ai minori, dove emergono, in chiave ironica e divertente, molte situazioni delle possibili “deviazioni” date dalla fantasia erotica. Un tema, forse, tabù per molti, ma che esiste ed è radicato nella società. Un “divertissment” per Juan che però fa riflettere divertendo sui problemi della sessualità.









Le foto di Franco 4






Contante

CONTANTE: possederne molte

venerdì 27 dicembre 2013

Intervista ad Alexis Valdés

Nello spirito del “disgelo culturale” fra le due sponde dello Stretto della Florida, mi sembra interessante pubblicare questa intervista della giornalista Susana Méndez Muñoz, apparsa sulla rivista OnCuba, con Alexis Valdés popolarissimo attore comico cubano, attualmente residente a Miami.



Alexis Valdés: Il pubblico, a Cuba, mi ha coccolato

OnCuba – di Susana Méndez Muñoz, pubblicato il 15 dicembre 2013

L'attore e umorista cubano Alexis Valdés, non ha mai smesso di essere notizia, ma in questi giorni i motivi per intervistarlo si risvegliano: ha in cartellone, dal mese di settembre, con grande successo il monologo El Cavernicola al Teatro Trail di Miami e ha appena presentato alla Fiera del Libro di quella città il suo primo libro intitolato Con todo mi umor.

Se fosse poco, corre di bocca in bocca e da messaggio a messaggio, un sentimento di incertezza sul suo ritorno, o meno, alla televisione, dopo la sospensione della messa in onda del suo programma Esta Noche Tu Night, del canale Mega TV.

Le interviste via posta elettronica, generalmente, sono molto fredde, ma con Alexis Valdés non c'è niente di freddo; con la compagnia immutabile della risata intelligente ha conversato con OnCuba -  con circa 10 risposte – di queste notizie e di altre cose ineludibili fra cubani.

A cosa attribuisce che Esa noche Tu Night sia giunto ad essere il programma umoristico con maggior audience nella televisione hispana?

Esta Noche Tu Night – che fu un seguito, migliorato, di Seguro que yes, fu un programma che portò ai cittadini di Miami una proposta fresca di umore, un miscuglio di quello che avevo imparato in Spagna, a Cuba e nel mondo. Fu una proposta audace e rinnovatrice nel contesto di Miami.
Sopratutto fummo onesti e non semplicisti. Cosa ha sempre fatto successo? Far umore con la politica cubana? Bene, non facciamolo. All'inizio I dirigenti non credevano fosse possibile. Io si ci credevo, perché penso che l'essere umano ha sempre l'istinto di migliorare e noi stavamo dicendo alla gente: “vi meritate qualcosa di meglio, di più elaborato”. Questo è piaciuto al pubblico.
Direi che il successo di entrambi I programmi, il momento di fulgore, si è estesa dal 2005 al 2010, più o meno. Dopo, noi stessi, abbiamo cominciato a ripeterci. La televisione quotidiana stanca molto, se vuoi farla con creatività.

Nelle sue attuazioni in Esta Noche Tu Night, frequentemente lei usava una specie di “imparzialità umoristica”; vorrebbe concettualizzare dal punto di vista dell’umorismo questa, diciamo, tendenza?

Non so cosa vuol dire con imparzialità umoristica, suppongo a che si riferisca a che si andava “contro tutte le bandiere”. Credo che un commediante – che è un questionante della società –  non debba tenere compromessi con tendenze politiche. Tutti abbiamo un’idea politica e sempre si fa qualcosa in cui appare, ma non sarebbe onesto usare l’umorismo per fare opportunismo politico, sì per questionare i politici, perché se non lo fanno i commedianti, chi lo fa? Diceva Martí: “L’umore è una frusta con campanelli sulla punta”.

Lei sa che questo programma è stato seguito a Cuba e nonostante non sia andato in onda si continua a vedere? Cosa le provoca questo?

Mi rende felice. È il mio Paese, è la mia gente e fu regalato. Non lo facemmo con questo proposito. Successe. Io lavoravo per il mercato in cui mi trovavo, Miami. Un giorno ci dissero: “Lo spettacolo è un successone a Cuba” e dicemmo, ebbene teniamo presente che stiamo lavorando anche per il pubblico a Cuba, così cominciammo a fare cose pensando anche alla gente dell’Isola.
Arrivò il momento in cui io sentivo una certa responsabilità con ciò. La gente di Cuba si spoglia della sua lotta quotidiana con noi, dobbiamo prosegure per loro, pensai anche a questo. Ogni volta che analizzo di tornare in televisione, penso anche al pubblico che a Cuba ha bisogno di ridere.

Ci sono, su entrambe le sponde, rumori sul suo ritorno, o meno, alla televisione. Potrebbe dire qualcosa in merito?

Cis stiamo pensando da molto, ah ah. È un anno che sto lottando per condizioni di lavoro che mi rendano un po’ più felice. La gente crede che è solo per soldi. Se fosse solo per soldi farei il banchiere, non il comico. Anche se conosco comici che dovrebbero essere banchieri e banchieri che dovrebbero essere comici. Siamo quasi al termine delle trattative. Forse in gennaio potrei essere in onda.

Nello scorso mese di settembre lei ha esordito al Teatro Trail di Miami il monologo El cavernicola, commedia scritta dall’attore nordamericano Rob Becker, nel 1991, premio Laurence Olivier alla miglior opera d’intrattenimento dell’anno. Per la prima volta lei sale al palco con un’opera non sua. Che elementi concettuali o formali le interessarono di questa piéce per volerla interpretare?

Mi è piaciuta l’argomentazione del testo, la sua intenzione di unire e non dividere, qualcosa che si muove sempre e il suo successo mondiale; ho pensato, “ se ha funzionato ovunque, chi sono io per non farla?”, pensandola così ho indovinato.
È un testo magico che tratta di spiegare in modo divertente le differenze e le inconformità di uomini e donne. Magari un giorno avessi la luce per scrivere qualcosa di simile, che unisca otto milioni di spettatori nel mondo.
Sta avendo un grande successo, probabilmente il successo più brillante del teatro a Miami e sono grato per questo. Sono tornato a sentirmi artista e attore facendo El Cavernicola.
Raccomando a chiunque legga questa intervista, se può, che veda l’opera. È qualcosa di umico, un treno di risate. Ringrazio il Teatro Trail, Nancio Novo, amico e attore spagnolo che la diresse, Claudia Valdés che mi ha aiutato e tutti coloro che hanno messo il loro sassolino. Se volete www.teatrotrail.com o 3054431009, non se ne pentiranno.

È un monologo molto utilizzato, si dice che lo hanno visto oltre otto milioni di persone in diversi Paesi, è stato tradotto in circa 30 lingue. Cosa ha apportato, lei, a questo libretto?

Io ho fatto il mio adattamento cubano-miamense; gli ho inserito le mie barzellette, le mie  battute, il mio modo di vivere. Ho lavorato sul testo per un paio di mesi. Il presidente della compagnia islandese padrona dei diritti mi disse: “durante i primi 10 minuti la gente non ride, ma non preoccuparti, l’opera è così”. Ma io non posso stare 10 minuti senza che la gente rida, mi deprimo. Così che i primi 10 minuti l’ho adattata “per scompisciarsi”, ah ah.

Com’è stata la reazione della critica e del pubblico?
Da qualche parte è uscita una critica che sembrava l’avessi pagata, ah ah...; dice che Rob Becker, senza saperlo, la scrisse per me. È un gran complimento e ringrazio il giornalista, mi ha fatto alzare l’autostima per tutta una settimana. Ma è il pubblico che ha fatto tutto, con le sue risate i suoi applausi e con questo passaparola che riempie il teatro ogni settimana. Non avevo mai fatto uno spettacolo nel cui finale, tutte le sere, si alzassero tutti in piedi, wow!

Quali sono le sue esperienze nello spagnolo Club de la Comedia? Di cosa si è impadronito lì?

El Club de la Comedia ha cambiato l’umorismo in Spagna, e io mi sento onorato di aver fatto parte di quel primo gruppo di comici che lo fece. Ho scritto molto per il Club e questo mi ha avvicinato al mestiere di scrittore umorista, grazie al Club esiste il libro Con todo mi humor.

È stato, precisamente, presentato solo da pochi giorni alla Fiera Internazionale del Libro di Miami questo volume, Con todo mi humor sul quale lei ha dichiarato: “Sicuramente, quando torneranno a vedermi in televisione, al cine o a teatro, sorrideranno in maniera più complice e diranno, “Questo tipo io lo conosco abbastanza bene”; è la sua autobiografia?

Ah ah. No, non è la mia autobiografia. Forse quella non autorizzata? Ah ah, è una barzelletta. Sono monologhi e spezzoni della mia vita che hanno a che vedere con questi monologhi; è come il retroscena dei monologhi. Mi è piaciuto molto il processo di scrittura, tante cose le ho raccontate fra amici che si sbellicavano dalle risate e le ho portate sulla carta. Alla gente sta piacendo molto. Anch’io rido, rileggendolo. Ha anche momenti d’emozione, dedicati a mio padre, mia nonna  América, a mia madre. Credo che ti piacerebbe molto leggerlo...mi conosceresti meglio, quasi non avresti bisogno di intervistarmi.

Che umorista predilige e da chi ha imparato di più?

I miei prediletti sono sempre stati Chaplin, forse il più grande del mondo; Cantinflas, certamente il più grande in lingua spagnola; Leopoldo Fernández*, a suo tempo il comico cubano di maggior successo e con una gran trascendenza in America Latina.
Poi ho conosciuto Gila** in Spagna e ho imparato molto vedendolo, l’ho anche frequentato, gli altri no, naturalmente ammiro molto anche Peter Sellers, l’attore de La Pantera Rosa, The Party, Dal giardino e altre genialità.
Guillermo Alvarez Guedes ha influito con quel suo modo unico di raccontare una barzelletta e di dire una parola, presumibilmente volgare, continuando ad essere elegante. Anche questa è maestria.
Inoltre, nella mia giovinezza, in certa maniera hanno avuto influenza i miei conterranei Alejandro García “Virulo”, nel fare canzioni umoristiche, carlos Ruíz de la Tejera nell’essere artista oltre che umorista e naturalmente, mio padre Leonel Valdés, mio maestro involontario: da lui ho imparato che il comico, prima di tutto è un attore, con vis comica.

Nella breve rassegna del libro che appare nel sito www.prisaediciones.com  si può leggere: “il penetrante commediante cubano ci invita a una riunione dove parla senza censura, raccontandoci tutto ciò che in televisione non ha potuto dire. È così?

In televisione c’è sempre censura, cominciando da quel fischio che mettono quando, presuntamente dici una parolaccia. Ma che ipocrisia. Parolaccia  è“guerra” e si dice quotidianamente, o “corruzione”; il nome di alcuni politici è già una parolaccia, di più, è un’offesa. Però la televisione è così. Troppa ipocrisia e interessi. Fa parte del gioco e giochiamo. Il libro è...libero, fino a che lo prende il correttore di stile, ah però è vero dico cose che non dirò mai in televisione, non sarebbe nel contesto.


Com’è stato accolto dal pubblico della Fiera? Come sono le vendite?

In Fiera, molto bene ho firmato molte copie, abbiamo fatto molte foto e si sta vendendo in tutti i negozi di Miami e anche al teatro. Non ho bisogno che sia un best-seller per essere felice...però non mi dispiacerebbe per niente, eh? Incrociamo le dita.

Quali considera, in coscienza, le chiavi del suo successo?

In primo luogo la costanza. Sono sempre stato ostinato. Ho un amico in Spagna, che me lo dice sempre “caspita Alex, sei un lottatore instancabile”, me lo dice quasi arrabbiato, ah ah.
Sono sempre stato dedicato al lavoro. Una volta dovevo fare riposo per la voce e sono stato un mese con un cartello appeso al collo che diceva: “non posso parlare, posso scrivere”. Mio fratello Nelson lo ricorda sempre e mi dice; “questo lo puoi fare solo tu”.
Ho la capacità di sopportare gli sforzi, come i ciclisti scalatori, però oggi lo faccio solo se vale la pena. Forse un’altra cosa è l’onestà, il massimo che posso; anche questo ti porta inimicizie, ma almeno non sei nemico di te stesso. Se qualcosa non mi piace, non mi piace. Cerco di dirlo nel migliore dei modi, ma per chi non accetta la critica non c’è modo migliore, allora mi arrabbio e lo dico come mi viene. Devo superare questo...o no?

Cosa ricorda di più della sua relazione col pubblico di Cuba?

Molte cose. Pensa che fu il mio primo pubblico e mi dette tante gioie. Grandi no, immense. Tutto è cominciato col personaggio di Bandurria e la gente cominciò ad amarmi e a ridere con me. Fu una storia d’amore: essi mi davano le risate e io mi sforzavo di farlo meglio, nell’imparare, nel sorprendere. Il pubblico di Cuba mi ha coccolato. Quando le istituzioni culturali non mi tenevano ancora in conto, perché per loro ero ancora un principiante, un avventizio, il pubblico mi aveva già elevato di categoria e molto.
A partire da lì, con questa collaborazione, puoi essere libero di creare, di rischiare, perfino di sbagliarti. Perché quando ti amano, ti perdonano, ti giustificano, ti danno un’altra opportunità e un’altra ancora. Ricordo anche gente semplice, in strada, darmi un consiglio saggio per la mia carriera. Alcune rappresentazioni che feci come Bandurria in teatri e cabarets, furono tanto apoteosiche nelle risate che sento – pur sapendo che il ricordo idealizza – che c’era una magia, uno stato di grazia che non ho rivissuto mai più; o forse sì, ma già in modo diverso, senza quell’incoscenza felice.

Vorrebbe tornare a presentarsi sull’Isola?

Cuba è la mia terra. Li vive un sacco di gente che ha le mie stesse radici, la stessa infanzia, che è fondamentale. Quando i comici raccontano al pubblico la propria infanzia al pubblico della loro terra, questa stessa infanzia è condivisa con le sue tenerezze, le sue miserie, questo a volte è insuperabile.
Io, molti anni fa ho imparato a recitare per quelli che non erano della mia terra, a tradurre, a cercare quello che è così difficile come essere un comico generico, che può essere allo stesso modo a Madrid, New York o Santo Domingo. Questo fu qualcosa che ho cercato e ho percorso un buon pezzo di strada, credo.
Esci lì sulla scena come un torero e ti conquisti il pubblico affrontandolo e a volte tagli due orecchie. Ma col pubblico della tua terra entri già con un’orecchia in mano. Grazie a dio per avermi lasciato iniziare con un toro così buono.




*Leopoldo Augusto Fernández Salgado (Jagüey Grande, 26/12/1904 – Miami, 11/11/1985); umorista cubano, creatore e interprete del personaggio José Candelario Tres Patines, del programma di radio e telvisione La tremenda Corte.

**Miguel Gila Cuesta (Madrid, 12/3/12919 – Barcelona 13/7/2001) importante umorista spagnolo.


Alexis Valdés: El público en Cuba me mimó
OnCuba--Susana Méndez Muñoz 15 diciembre, 2013 Cultura
voEl actor y humorista  cubano Alexis Valdés, nunca  ha dejado de ser noticia, pero por estos días las razones para entrevistarlo se reaniman: tiene en cartelera desde el mes de septiembre con éxito rotundo, el monólogo El Cavernícola, en el Teatro Trail de Miami, y acaba de presentar en la recién finalizada Feria  Internacional del Libro de esa ciudad, su primer libro titulado Con todo mi humor.
Por si fuera poco corre de boca en boca, y de correo en correo, un sentimiento de incertidumbre ante su regreso o no a la televisión, luego de la suspensión de la salida al aire de su popular programa Esta Noche Tu Night, del canal Mega TV.
Las entrevistas vía correo electrónico, generalmente son muy frías, pero con Alexis Valdés, nada es frío; con la compañía invariable de la risa inteligente, conversó con OnCuba,-en aproximadamente diez mensajes-, de estas noticias y de otras cosas ineludibles entre cubanos. 
 ¿A qué atribuye que Esta Noche Tu Night, haya llegado a ser el programa de humor con mayor audiencia de la televisión hispana? 
Esta Noche Tu Night,- que fue una continuación mejorada de Seguro que Yes-, fue un programa que le llevó a la gente de Miami una propuesta fresca de humor, una mezcla de lo que yo había aprendido en España, en Cuba y en el mundo. Fue una proposición atrevida y renovadora en el contexto de Miami.
Sobre todo fuimos honestos y no facilistas. ¿Qué es lo que ha triunfado siempre?,  ¿Hacer humor con la política cubana? Pues no hagamos eso. Al principio los ejecutivos no creían que fuera posible. Yo sí creía, porque pienso que el ser humano siempre tiene el afán de mejorar, y le estábamos diciendo a la gente, “usted se merece ver algo mejor, más elaborado”. Eso le gustó a la gente.
Diría que el éxito de ambos programas, la época luminosa,  se extendió desde el 2005 hasta el 2010, más o menos. Después nosotros mismos comenzamos a autocopiarnos. Cansa mucho la televisión diaria si quieres hacerla con creatividad.
En sus actuaciones en Esta Noche Tu Night, frecuentemente usted utilizaba una especie de “imparcialidad humorística”; ¿quisiera conceptualizar desde el punto de vista del humor esta, digamos, tendencia?
No sé qué quiere decir imparcialidad humorística, supongo que se refiere a que íbamos “contra todas las banderas”. Creo que un comediante, -que es un cuestionador de la sociedad-, no debe tener compromisos con tendencias políticas. Todos tenemos un pensamiento político, y siempre sale algo en lo que haces, pero no sería honesto usar el humor para hacer oportunismo político, sí para cuestionar a los políticos, porque si no lo hacen los comediantes ¿quién lo va  hacer? Decía Martí, “El humor es un látigo con cascabeles en la punta”.
¿Usted conoce que este programa ha sido seguido en Cuba y a  pesar de no estar en el aire se sigue viendo? ¿Qué le hace sentir esto?
Me hace feliz. Es mi país, es mi gente y fue regalado. No lo hicimos con ese propósito. Sucedió. Yo actuaba para el mercado en que estaba, Miami. Un día nos dijeron “el show es un súper éxito en Cuba” y dijimos, pues tengamos en cuenta que además estamos trabajando para la gente de Cuba, y así empezamos a hacer cosas pensando también en la gente de la isla.
Llegó un momento en que yo sentía una cierta responsabilidad  con ello. La gente de Cuba se despeja de su lucha diaria con nosotros, tenemos que seguir por ellos, hasta eso pensé. Cada vez que analizo regresar a la televisión, pienso también en el público que necesita reír en Cuba.
¿Existen muchos rumores en ambas orillas sobre su regreso o no a la televisión. ¿Quisiera anunciar algo al respecto? 
Estamos en ello hace mucho, ja ja. Llevo un año peleando unas condiciones de trabajo y de contrato que me hagan un poco más feliz. La gente cree que es solo por dinero. Si solo me interesara el dinero sería banquero, no cómico. Aunque conozco cómicos que deberían ser banqueros y banqueros que deberían ser cómicos. Casi estamos a punto con las negociaciones .Tal vez en enero esté al aire.
En el pasado mes de septiembre usted estrenó en el Teatro Trail de Miami el monólogo El Cavernícola, comedia escrita por el actor norteamericano Rob Becker en 1991, premio Laurence Olivier a la mejor obra de entretenimiento, ese año. Por primera vez usted sube a las tablas con un texto ajeno. ¿Qué elementos conceptuales o formales le interesaron de esta pieza para querer interpretarla?
Me gustó el planteamiento del texto, su intención de unir y no dividir, algo que siempre me mueve, y su éxito mundial; pensé, “si ha funcionado en todas partes, ¿quién soy para negarme a hacerlo?”, y acerté pensando así.
Es un texto mágico que trata de explicar de manera divertida e inteligente las diferencias y desavenencias de hombres y mujeres. Ojala algún día tenga la luz para escribir algo parecido, que conecte con ocho millones de espectadores en el mundo.
Está siendo un gran éxito, tal vez el éxito reciente más sonado del teatro en Miami, y agradezco por ello. Me he vuelto a sentir artista y actor haciendo El Cavernícola.
Recomiendo a todo el que lea esta entrevista que, si puede, vea  la obra. Es algo único, un tren de risas. Agradezco al Teatro Trail, a Nancho Novo, amigo y actor español que la dirigió, a Claudia Valdés que tanto me ayudó,  y a todos los que han puesto su granito de arena. Si quieren www.teatrotrail.com o 3054431009, no se arrepentirán.
Este es un monólogo muy versionado, se dice que lo han visto  más de ocho millones de personas en diversos países, y ha sido llevado a cerca de 30 idiomas. ¿Qué aportó usted a este libreto?
Yo hice mi adaptación cubano-miamera; le puse mis chistes, mis ocurrencias, mis vivencias. Trabajé en el texto un par de meses. El presidente de la compañía islandesa dueña de los derechos me dijo, “durante los diez primeros minutos la gente no ríe, pero no te preocupes que la obra es así”. Pero yo no puedo estar diez minutos sin que la gente ría, me deprimo. Así que los primeros diez minutos los adapté: “pa mearse “, ja ja.
¿Cuál ha sido la reacción de la crítica y del público?
Por ahí salió una crítica que parece que yo la hubiera pagado ja ja…; dice que Rob Becker, sin saberlo, la escribió para mí. Es un gran piropo, y se lo agradezco al periodista, me subió la autoestima una semana entera. Pero el público lo ha hecho todo, con sus risas, sus aplausos, y con ese boca a boca que nos llena el teatro cada semana. Jamás hice un espectáculo en el que cada noche al terminar todos se pusieran de pie, cada noche, wow!

¿Cuáles son sus experiencias en el español  Club de la Comedia?, ¿de qué se apropió allí?
El Club de la Comedia cambió el humor en España, y yo me siento honrado de haber formado parte de aquel primer grupo de cómicos que lo hizo. Escribí mucho para el Club eso me acercó al oficio de escritor de humor, gracias al Club existe el libro Con todo mi humor.
Precisamente hace solo unos días se presentó en la Feria Internacional del Libro de Miami, este volumen, Con todo mi humor, del cual usted ha expresado: “Seguramente, cuando me vuelvan a ver en televisión, en el cine, en el teatro, sonreirán de otra manera, más cómplice, y dirán: «A este tipo yo lo conozco bastante bien»; ¿es su autobiografía?
Ja ja. No, no es mi autobiografía, tal vez mi autobiografía no autorizada? ja ja. Es un chiste. Son monólogos y pedazos de mi vida que tienen que ver con esos monólogos; es como el making of de los monólogos. Me gustó mucho el proceso de escribirlo,  tantas cosas que he contado entre amigos que se rompían de risa, las pude llevar al papel. A la gente le está gustando mucho. Hasta yo me rio releyéndolo. Tiene momentos de emoción también, dedicados a mi padre, a mi abuela América, a mi madre. Creo que te gustaría mucho leerlo…y me conocerías mejor,  casi ni tendrías que entrevistarme.
¿A qué humoristas reverencia, y de cuáles aprendió más?
Mis referentes siempre fueron Chaplin, quizás el más grande del mundo; Cantinflas, seguramente el más grande en español; Leopoldo Fernández*, en su época el más exitoso cómico cubano, y con una gran trascendencia en la radio latinoamericana.
Después conocí a Gila**,  en España, y aprendí mucho viéndole, incluso le traté, a los demás no, claro, y también admiro mucho a Peter Sellers, el actor de La Pantera Rosa, The Party, Desde el jardín, y de otras genialidades.
Guillermo Alvarez Guedes me influyó con esa  manera única de contar un chiste y de decir una palabra, que es supuestamente grosera, y seguir siendo elegante. Eso también es maestría.
En mi juventud además, de cierto modo me influyeron mis coterráneos Alejandro García, Virulo, en eso de hacer canciones de humor; Carlos Ruíz de la Tejera, en eso de ser artista además de humorista, y por supuesto mi padre, Leonel Valdés, mi maestro involuntario; de él aprendí que el cómico ante todo era actor, un actor con vis cómica.
En la breve reseña del libro que aparece en el sitio www.prisaediciones.com  se  puede leer: “el entrañable comediante cubano nos invita a una tertulia en la que habla sin censura, contándonos todo lo que en televisión no ha podido decir”. ¿Es así?
En la televisión siempre hay censuras, empezando por ese pito que te ponen cuando dices una supuesta mala palabra. Vaya hipocresía. Mala palabra “guerra”, y se dice a diario, o “corrupción”; el nombre de algunos políticos es ya un mala palabra, es más, una ofensa. Pero la televisión es así. Demasiada hipocresía e intereses. Es el juego y lo jugamos. El libro es libre…, hasta que lo coge el corrector de estilo ja, pero es verdad, digo cosas que jamás diré en la televisión, no sería el contexto.
¿Cómo fue la acogida por parte del público en la feria? ¿Qué tal las ventas?
En la feria, muy bien, firmé muchos ejemplares, nos hicimos fotos y se está vendiendo en todas las tiendas de Miami, y también en el teatro. No necesito que sea un bestseller para ser feliz…, pero tampoco me disgustaría nada ¿eh? Es más, crucemos los dedos.
¿Cuáles considera, concientemente, que son las claves de sus éxitos? 
La constancia el primero. Siempre fui un testarudo. Tengo un amigo en España que siempre me dice “joder Alex, eres un luchador incansable”, casi me lo dice cabreado, ja ja.
Siempre fui dedicado. Una vez tenía que hacer reposo de voz y estuve un mes sin hablar con un cartel colgado al cuello que decía ” no puedo hablar, puedo escribir”. Mi hermano Nelson siempre lo recuerda, y me dice, “eso solo lo haces tú”.
Tengo  la capacidad  de soportar esfuerzo, como los ciclistas de alta montaña, pero hoy en día solo lo hago si vale la pena. Tal vez la otra cosa es la honestidad, la máxima que puedo; esto también te trae enemigos, pero al menos no eres enemigo de ti mismo. Si algo no me gusta, no me gusta. Trato de decirlo de la mejor manera, pero para los que no aceptan las críticas no hay mejor manera, entonces me encabrono y lo digo de cualquier manera. He de superar eso…, o no.
¿Qué es lo que más recuerda de su relación con el público  en Cuba? 
Muchas cosas. Piensa que fue mi primer público y me dio grandes alegrías. Grandes no, inmensas. Todo empezó con el personaje de Bandurria y la gente empezó a quererme,  a reír conmigo. Fue una historia de amor: ellos me daban risas y yo me esforzaba en hacerlo mejor, en aprender, en sorprender. El público en Cuba me mimó. Cuando todavía las instituciones culturales no me tenían en cuenta, porque aún yo era para ellos un novato, un advenedizo, ya el público me había subido de categoría y mucho.
A partir de ahí, con esa colaboración, puedes ser libre para crear, para arriesgarte, hasta para equivocarte. Porque cuando te quieren, te perdonan, te justifican, te dan otra oportunidad y otra. Recuerdo hasta a gente simple en la calle, darme un consejo sabio para mi carrera. Algunas presentaciones que hice como Bandurria en teatros y cabarets, fueron tan apoteósicas en risas que siento, -aun sabiendo que el recuerdo idealiza-, que había una magia, un estado de gracia, que no volví a vivir jamás; o tal vez sí, pero ya de otra manera, sin aquella inocencia o inconciencia feliz.
 ¿Quisiera volver a presentarse en la Isla? 
Cuba es mi tierra. Ahí vive un montón de gente que tiene las mismas raíces que yo,  la misma infancia, que es fundamental. Cuando los cómicos cuentan su infancia al público de su tierra, esa infancia compartida con sus ternuras y sus miserias, eso a veces es insuperable.
Yo hace muchos años aprendí a actuar para los que no eran de mi tierra, a traducir, a intentar eso tan difícil que es ser un cómico genérico, que lo mismo se puede parar en Madrid, Nueva York o en Santo Domingo. Eso sí fue algo que busqué, y trabajé y he logrado un buen trecho del camino, creo.
Y sales ahí al ruedo como un torero, y te ganas al público, jugando el tipo y a veces hasta cortas dos orejas. Pero con el público de tu tierra ya entras con una oreja en la mano. Gracias Dios por haberme dejado empezar con un toro tan bueno.

* Leopoldo Augusto Fernández Salgado (Jagüey Grande, 26 de diciembre de 1904 – Miami, 11 de noviembre de 1985); humorista cubano, creador e intérprete del personaje José Candelario Tres Patines, del programa radial y televisivo La tremenda corte.
** Miguel Gila Cuesta (Madrid, 12 de marzo de 1919 – Barcelona, 13 de julio de 2001); importante humorista español.