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lunedì 16 dicembre 2013

Il cadavere di Boca Ciega di Ciro Bianchi Ross, pubblicato su Juventud Rebelde del 15/12/13

Omicidio o suicidio? Emilio Vicente Driggs che aveva sostituito la personalità dell’esploratore Ibeau I. Monsi, capitano dell’esercito canadese, nato in Senegal, aveva ucciso la giovane Dottoressa Aurora Méndez del Castillo che chiamava Miss Dawn per poi bruciarne il cadavere e seppellirlo nella sabbia? O fu lei che pose fine alla propria vita ed egli si limitò a inumarla per nasconderne i resti, non essere coinvolto nella faccenda e cancellare indizi che potessero portare la polizia a stabilire qualunque vincolo fra di loro?
Il fatto, all’epoca, non poté essere chiarito del tutto e dopo i quasi 90 anni trascorsi da allora, il cadavere di Boca Ciega, all’est dell’Avana, continua ad essere uno degli enigmi più impenetrabili della cronaca rossa (gialla, nd.t.) cubana. Nonostante si sapesse che il presunto Monsi uscì da Cuba col nome di Robert Moore, cittadino nordamericano nato a Pasadena, scapolo di 35 anni e poi riapparì in California come Pantaleón Ramos, nato nella Canarie, le autorità dell’Isola non giunsero mai a mettergli le mani addosso e nemmeno hanno potuto comprovare la veridicità del messaggio con cui il tale Pantaleón chiedeva al capitano Alfonso L. Fors, capo della Polizia Giudiziaria cubana, a carico delle indagini, che smettesse di perseguitarlo, diceva: orbene “anche se sono realmente il capitano Ibeau Monsi, indicato come autore della morte di Aurora, è certo che mi sento morire”. Quando si erano effettuate tutte le pratiche per la sua estradizione, il presunto colpevole moriva per un’infezione laringea che lo aveva privato della voce.
Tutto rimane nel campo delle ipotesi. Si disse, allora, che il falso capitano e noto truffatore si innamorò veramente della bella e intelligente giovane che conobbe nella città orientale di Puerto Padre. Fu a causa di questo amore che decise di non nasconderle per altro tempo la sua vera identità, raccontarle del suo soggiorno in carcere e raccontarle il destino del vero capitano Monsi. Per rivelarle i suoi segreti scelse, per tranquilla e appartata, la spiaggia di Boca Ciega, località che avevano visitato anteriormente. Li si scatenò la tragedia perché, si disse anche che davanti alle rivelazioni, la sfortunata Miss Dawn, lo affrontò con durezza e lo minacciò di rivolgersi alla polizia. Decise quindi di ucciderla, bruciare il cadavere e sparire dal luogo. Non mancarono, però quelli che dissero che davanti alle confessioni del suo amante lei avrebbe visto la sua vita distrutta e svanire i suoi sogni, quindi piena di dolore e paura per il “cosa diranno”, decise di togliersi la vita dandosi fuoco. Il timore che lo accusassero della morte della ragazza lo spinse a disfarsi del cadavere. Lo seppellì nella sabbia a 50 metri dalla costa e ad altri 250 dalla casa più vicina. Fu una sepoltura superficiale e per sfortuna del falso Monsi, i cani randagi scoprirono il corpo e misero in vista le ossa che ne portarono alla scoperta.
Elementi del posto della Guardia Rurale di Guanabacoa assunsero il caso e al principio apportarono dati utili e d’interesse, ma lo sconcertante del fatto e l’allarme che creò nella società, fecero si che le investigazioni si affidassero alla Polizia Giudiziaria. Il capitano Fors ebbe l’aiuto del detective Mariano Torrens.
Già da allora i forensi assicuravano che si trattava del cadavere di una donna sconosciuta di età compresa fra i 25 e 30 anni, della quale non potevano stabilire le cause della morte. Si imponeva identificare la vittima e chiarire se si suicidò o se fu oggetto di un crimine, al fine di trovare chi l’avesse uccisa, bruciata e sepolta oppure se si fosse solo limitato a seppellirla dopo averla trovata morta. L’idea del suicidio avrebbe potuto reggere di fronte al ritrovamento di un corpo bruciato, ma l’inumazione del suo corpo calcificato supponeva l’intenzione di nascondere un delitto. Fors e il suo aiutante conclusero che la ragazza era stata uccisa in maniera brutale, bruciata e alla fine sepolta. Non dubitarono quindi che dovevano cercare un assassino freddo e vile.

Chi è la vittima? Chi è il suo assassino?

In breve si seppe che sette giorni prima del ritrovamento dei resti, un tipo dalle strane apparenze aveva proposto a Saturnino Gayón, proprietario della bottega la Viña di Guanabo, di vendergli indumenti femminili. Chiese per loro 20 pesos dicendo di essere necessitato di fare con urgenza la vendita perché era in procinto di fare un viaggio d’esplorazione per le Antille. Nel ricevere i soldi, per ringraziamento, donò al bottegaio due libri –Baldwin Headers Fourth Years- e ¿Quiere usted aprender el inglés sin maestro?- Nella loro pagina iniziale, entrambi i volumi avevano questa dedica: “To Miss Dawn. From Captain Ibeau Monsi. Cuba, Marzo 1924”.
Quello del capitano Ibeau Monsi sembrò, alla polizia, uno pseudonimo più che un nome reale, ma dawn in inglese significa “alba, inizio del giorno, aurora”. E con questa parola il capitano Fors e il detective Torres intuirono che probabilmente era il nome della donna uccisa.
Entrambi lavoravano giorno e notte, senza tregua, senza trascurare il minimo indizio, senza scartare il minimo sospetto. Aquilino López, proprietario di un ristorante vegetariano nella calle Neptuno, mise a disposizione della polizia dettagli interessanti. Mostrò lettere dirette a Monsi e firmate da una misteriosa Miss Dawn. Rivelavano un amore appassionato, senza limiti. Mise le autorità sulla pista giusta quando disse che si trattava di un capitano dell’esercito canadese nato in Senegal e aggiunse che era un tipo che mangiava vegetali e dormiva sui tetti. Disse anche che si era accomiatato perché sarebbe partito per l’America Centrale.
Fors non ci mise molto a constatare che Monsi e il gibarense Emilio Vicente Driggs erano la stessa persona e tracciò la linea che lo portava verso Aurora Méndez del Castillo, data per scomparsa. Ma a questo punto Monsi non poteva essere catturato. Era uscito dall’Isola a bordo del vapore Cuba, dal molo dell’Arsenale, col nome di Robert Moore, nordamericano.
Driggs, alias Monsi, lavorò per la compagnia che operava le centrali zuccheriere Delicias e Chaparra. Divenne macchinista, ma presto lo cacciarono dall’azienda come ladro. Vagò per Banes, Antilla e Mayarí e in questa località rapì una bella minorenne che non tardò ad abbandonare. La famiglia della ragazza lo denunciò. Riuscì a scappare, ma lo giudicarono in contumacia. Si arruolò come marinaio in una nave da carico e durante i cinque anni successivi viaggiò per il mondo, quasi sempre in navi che trasportavano riso che toccavano l’India. Così apprese varie lingue, specialmente l’inglese e anche il cinese. Tornò a Cuba nel 1920. Era un uomo raffinato. Parlava spagnolo con accento e vestiva come un esploratore inglese. Sfoggiava un casco bianco e portava al collo una macchina fotografica e un binocolo. A Gibara, già col nome falso di Ibeu Monsi, tenne conferenze di argomenti storici e geografici. Poco a poco ebbe un gruppo di ammiratori che ascoltavano i suoi lunghi discorsi sulle sue avventure in Cina, Giappone, India e i Paesi più remoti e che non sospettavano fosse gibarense come loro.
Un pomeriggio, sua madre lo riconobbe in un parco e gli si gettò fra le braccia. Driggs la respinse e le chiese in inglese da dove avesse tratto l’idea che fosse suo figlio. La poveretta rimase stupefatta. Lei lo sapeva bene – lo sentiva – che quel giovane era frutto del suo ventre, ma davanti al suo iroso diniego lasciò il parco con gli occhi pieni di lacrime. Il fatto giunse alle orecchie delle autorità. Si aprì una piccola investigazione e si inviò il falso esploratore a Santiago de Cuba. Per il fatto della ragazza ingannata a Mayarí, La corte santiaghera lo condannò a un anno, otto mesi e 21 giorni di prigione che scontò nel carcere della città, oltre a pagare un indennizzazione di 200 pesos alla ragazza.
Il 14 ottobre del 1921, Driggs usciva dal carcere e si trasferiva a Porto Padre. Tornava ad essere l’esploratore Ibeu I. Monsi e una prestigiosa istituzione locale lo contrattò per una conferenza. Un’ovazione scrosciante chiuse le sue parole. Una rappresentanza delle classi in vista si premurò di complimentarsi con lui. Lo invitarono al ballo che quella stessa sera si teneva alla Colonia Spagnola. Monsi accettò l’invito, compiaciuto, ed alla festa si trasformò nella figura centrale della serata. Fra le persone importanti presenti alla Colonia, faceva spicco una giovane dai capelli neri e un sorriso adorabile. Monsi non le toglieva gli occhi di dosso e qualcuno li presentò. Era Aurora, aveva 26 anni ed era Dottoressa in Pedagogia all’Università dell’Avana dove studiava anche Lettere e Filosofia. Parlava inglese e francese alla perfezione. Un vero gioiellino. A partire da quel momento, Monsi si accaparrò Aurora per tutta la festa e nei giorni successivi non perse le sue tracce, nonostante l’occhio vigile di suo fratello, il Dottor Aurelio Méndez del Castillo, medico e poeta, tutta una celebrità locale.
La relazione tra Monsi e Aurora si fece sempre più profonda. Li si vedeva assieme sul molo che guarda verso cayo Juan Claro o lungo la passeggiata che nasce vicino al Fuerte de la Loma. A volte navigavano in barca lungo La Boca o Cascarero. Così, fino al giorno in cui Monsi sparì da Porto Padre senza salutare e qualche ora dopo spariva anche Aurora. Si sarebbero trovati all’Avana. Gli studi universitari lasciavano alla ragazza il tempo sufficiente per trovarsi col suo amato, dapprima in luoghi pubblici, con misura, per lasciarsi andare poi, in luoghi isolati, ad una passione sfrenata.

Il vero Ibeau I. Monsi

Tutto sembra indicare che esistette un genuino capitano, esploratore dell’esercito canadese con questo nome che giunse a conoscere Emilio Vicente Driggs quando, in viaggio di studi, era diretto a Cuba su una nave inglese. Durante la traversata Driggs, con la consueta abilità, riuscì a diventare intimo del capitano. Narra questa versione che il vero capitano Monsi spiegó a Driggs i dettagli del suo viaggio: il proposito che lo animava, i risultati che avrebbe ottenuto, senza dimenticare la succulenta borsa in denaro con cui sarebbe stato ricompensato. Si dice che ad un certo momento, approfittando delle ore piccole, Driggs strangolò il vero capitano Monsi, smembrò il suo corpo e lo gettò dall’oblò della cabina. Prese la sua uniforme e i suoi documenti, sbarcando a Cuba sostituendosi alla persona dell’esploratore canadese.
È la versione di una leggenda difficile da comprovare, ma chi può negare che Emilio Vicente Driggs fosse sufficientemente malvagio per compiere un simile atto?
Se il presunto Monsi morì sicuramente in California o si perse nel mondo della delinquenza internazionale, è indubbio che si portò nella tomba la verità attorno al motivo e ai dettagli della morte di Miss Dawn, fatto che cominciò a inquietare Cuba il 1° di agosto del 1924. La uccise il falso Ibeu monsi o lei si suicidò dandosi fuoco ed egli optò per seppellirla nelle allora isolate sabbie dI Boca Ciega?
C’è chi assicura di aver visto il fantasma di una donna che, alcune notti, percorre le sabbie della spiaggia. Se voi la vedete, chiedetele se è Aurora e ditele di raccontare i dettagli della sua morte. Chissà che si degni di rispondere e ci tolga da ogni dubbio.

(Con informazioni del Dottor Ismael Pérez Gutiérrez)


El cadáver de Boca Ciega

Ciro Bianchi Ross • 
digital@juventudrebelde.cu
14 de Diciembre del 2013 18:51:21 CDT

¿Asesinato o suicidio? ¿Mató Emilio Vicente Driggs, que había
suplantado la personalidad del explorador Ibeau I. Monsi, capitán del
ejército canadiense, nacido en Senegal, a la joven Doctora Aurora
Méndez del Castillo, a la que llamaba Miss Dawn, e incineró luego el
cadáver y lo enterró en la arena, o fue ella la que puso fin a su vida
y él se limitó a inhumarla para ocultar los restos, desmarcarse del
incidente y borrar indicios que pudieran llevar a la Policía a
establecer cualquier vínculo entre ellos?
El suceso, en su momento, no pudo ser esclarecido del todo, y a la
vuelta de los casi 90 años transcurridos desde entonces el cadáver de
la playa de Boca Ciega, al este de La Habana, sigue siendo uno de los
enigmas más impenetrables de la crónica roja cubana. Pese a que se
supo que el presunto Monsi salió de Cuba bajo el nombre de Robert
Moore, ciudadano norteamericano nacido en Pasadena, soltero y de 35
años de edad, y luego apareció en California como Pantaleón Ramos,
natural de Canarias, las autoridades de la Isla no alcanzaron nunca a
echarle el guante ni tampoco comprobaron la veracidad del mensaje en
que el tal Pantaleón pedía al capitán Alfonso L. Fors, jefe de la
Policía Judicial cubana, a cargo de las investigaciones, que dejara de
perseguirlo pues, decía, «aunque soy en verdad el capitán Ibeu Monsi,
señalado como autor de la muerte de Aurora, lo cierto es que me siento
morir». Cuando se habían corrido ya todos los trámites para su
extradición, el supuesto culpable fallecía de una afección laríngea
que lo había privado de la voz.
Todo queda en el campo de las suposiciones. Se dijo entonces que el
falso capitán y reconocido timador se enamoró verdaderamente de la
bella e inteligente joven a la que conoció en la ciudad oriental de
Puerto Padre. Fue en aras de ese amor que decidió no ocultarle por más
tiempo su verdadera identidad, relatarle sus estancias en la cárcel y
contarle del destino del verdadero capitán Monsi. Para revelarle sus
secretos escogió, por lo tranquilo y apartado del lugar, la playa de
Boca Ciega, paraje que habían visitado antes. Allí se desencadenaría
la tragedia porque, se dijo también, ante las revelaciones, la
infortunada Miss Dawn lo increpó con crudeza y lo amenazó con la
Policía. Optó entonces él por matarla, quemar el cadáver y esfumarse
del lugar. No faltaron, sin embargo, los que afirmaban que ella, fuera
de sí por las confesiones de su amante, viendo su vida deshecha y roto
su sueño y llena de pesar y miedo por el «qué dirán», decidió privarse
de la vida, incinerándose. El temor de que lo acusaran de la muerte de
la muchacha lo empujó a deshacerse del cadáver. Lo enterró en la
arena, a 50 metros de la costa y a otros 250 de la casa más próxima.
Fue un enterramiento superficial y, para la mala suerte del falso
Monsi, los perros jíbaros lo descubrieron y sacaron a la luz huesos
que condujeron al hallazgo del cadáver.
Elementos del puesto de la Guardia Rural de Guanabacoa asumieron el
caso en un inicio y aportaron indicios de interés y utilidad. Pero lo
desconcertante del suceso y la alarma que generó en la sociedad
hicieron que las investigaciones se confiaran a la Policía Judicial.
El capitán Fors se auxilió del detective Mariano Torrens.
Ya para entonces los forenses aseveraban que se trataba de los restos
de una mujer desconocida de entre 25 y 30 años de edad, de la que no
podían precisar cómo había muerto. Se imponía establecer la identidad
de la víctima y precisar si se suicidó o fue objeto de un crimen a fin
de encontrar al que mató a la muchacha, la incineró y la enterró, o al
que se limitó a inhumarla luego de encontrarla muerta. La idea del
suicidio hubiera podido justificarse frente al hallazgo de un cuerpo
quemado, pero la inhumación de su cuerpo calcinado pretendía de seguro
ocultar un delito. Fors y su ayudante concluyeron que la muchacha
había sido asesinada de manera brutal, quemada después y, por último,
enterrada. Entonces no dudaron que buscaban a un asesino frío y
cobarde.

¿Quién es la víctima? ¿Quién su asesino?

Pronto se supo que siete días antes del hallazgo de los restos, un
sujeto de rara presencia había propuesto a Saturnino Gayón,
propietario de la bodega La Viña, de Guanabo, varias piezas de vestir
de mujer. Pidió por ellas 20 pesos y manifestó que se veía urgido de
hacer aquella venta porque no demoraría en emprender un viaje de
exploración por las Antillas. Al recibir el dinero, en agradecimiento,
obsequió al bodeguero dos libros —Baldwins Headers Fourth Years y
¿Quiere usted aprender inglés sin maestro?—. En su página inicial,
ambos volúmenes llevaban esta dedicatoria: «To Miss Dawn. From Captain
Ibeu Monsi. Cuba, Marzo, 1924».
Lo de captain Ibeu Monsi pareció a la Policía un seudónimo más que un
nombre real, pero dawn, en inglés, significa «amanecer, comienzo del
día, aurora». Y en esa palabra sí repararon el capitán Fors y el
detective Torrens. Quizá Aurora fuese el nombre de la mujer asesinada.
Ambos detectives trabajaban sin descanso, día y noche, sin desdeñar
ningún posible indicio, sin descartar la más ligera sospecha. Aquilino
López, propietario de un restaurante vegetariano de la calle Neptuno,
puso detalles de interés en conocimiento de la Policía. Mostró cartas
y tarjetas dirigidas a Monsi y firmadas por la misteriosa Miss Dawn.
Revelaban un amor apasionado, sin fronteras. Puso a las autoridades en
la pista correcta cuando les dijo que se trataba de un capitán del
ejército canadiense nacido en Senegal. Y añadió que era un tipo que
comía vegetales y dormía en las azoteas. Dijo también que se había
despedido porque viajaría a Centroamérica.
Fors no demoró en constatar que Monsi y el gibareño Emilio Vicente
Driggs eran una sola persona y trazó la línea que lo llevaba hasta
Aurora Méndez del Castillo, reportada como desaparecida. Pero a esa
altura Monsi no podía ser capturado. A bordo del vapor Cuba había
salido de la Isla por el muelle del Arsenal, con el nombre de Robert
Moore, norteamericano.
Driggs, alias Monsi, trabajó para la compañía que operaba los
centrales Delicias y Chaparra. Se hizo maquinista, pero pronto lo
expulsaron de la empresa por ladrón. Vagó por Banes, Antilla y Mayarí
y en esta localidad raptó a una linda menor a la que no tardó en
abandonar. La familia de la muchacha lo denunció. Pudo escapar, pero
lo encausaron en rebeldía. Se enroló como tripulante en un barco de
carga y durante los cinco años siguientes viajó por el mundo, casi
siempre en buques dedicados al transporte de arroz que tocaban la
India. Así aprendió varios idiomas, especialmente el inglés y también
el chino. Regresó a Cuba en 1920. Era un hombre refinado. Hablaba el
español con acento y vestía como un explorador inglés. Se tocaba con
un casco blanco y llevaba al cuello una cámara fotográfica y unos
prismáticos. En Gibara, ya con el nombre falso de Ibeu Monsi,
pronunció conferencias sobre cuestiones históricas y geográficas.
Lentamente fue haciéndose de un grupo de admiradores que escuchaban
las largas peroratas sobre sus aventuras en China, Japón, la India y
los países más remotos sin sospechar que era tan gibareño como ellos.
Una tarde, la madre lo reconoció en el parque y corrió a echarse en
sus brazos. Driggs la rechazó y le preguntó en inglés que de dónde
sacaba ella que él era su hijo. La infeliz quedó estupefacta. Bien
sabía ella —lo sentía— que aquel joven era fruto de su vientre, pero
ante su airada negativa abandonó el parque con los ojos llenos de
lágrimas. El incidente llegó a oídos de las autoridades. Se abrió una
pequeña investigación y se remitió al falso explorador a Santiago de
Cuba. Por el asunto de la menor burlada en Mayarí, la audiencia
santiaguera lo condenó a un año, ocho meses y 21 días de prisión, que
cumpliría en la cárcel de la ciudad, y a indemnizar con 200 pesos a la
muchacha.
El 14 de octubre de 1921, Driggs salía de la cárcel y se trasladaba a
Puerto Padre. Volvía a ser el explorador Ibeu I. Monsi y una
prestigiosa institución cultural de la localidad lo contrataba para
una conferencia. Una cerrada ovación cerró sus palabras. Una
representación de las clases vivas se apresuró a felicitarlo. Lo
invitaron al baile que esa misma noche se ofrecía en la Colonia
Española. Aceptó Monsi la invitación, complacido y, ya en la fiesta,
se convirtió en la figura central de la noche. Entre las personas
relevantes que alternaban en la Colonia sobresalía una joven de pelo
negro y sonrisa adorable. Monsi no le quitaba el ojo y alguien los
presentó. Era Aurora. Tenía 26 años de edad, era Doctora en Pedagogía
por la Universidad de La Habana y estudiaba Filosofía y Letras en el
mismo centro docente. Hablaba inglés y francés a la perfección. Una
verdadera joyita. A partir de ahí, Monsi acaparó a Aurora durante toda
la fiesta, y, en los días sucesivos, no le perdió pie ni pisada, aun
bajo el ojo celoso de su hermano, el doctor Aurelio Méndez del
Castillo, médico y poeta, toda una celebridad local.
La relación entre Monsi y Aurora se hizo cada vez más profunda. Juntos
se les veía en el muelle que mira hacia el cayo Juan Claro o en el
paseo que nace cerca del Fuerte de la Loma. A veces navegaban en
lancha por La Boca o Cascarero. Así hasta que un día Monsi desapareció
de Puerto Padre sin despedirse y horas después desaparecía también
Aurora. Se encontrarían en La Habana. Sus estudios universitarios
dejaban a la muchacha tiempo suficiente para reunirse con su amado,
primero en lugares públicos, con mesura, para entregarse luego, en
parajes aislados, a una pasión desenfrenada.

El verdadero IBEU I. MONSI

Todo parece indicar que existió un genuino capitán explorador del
ejército canadiense con ese nombre. Y que llegó a conocer a Emilio
Vicente Driggs cuando, en viaje de estudios, se dirigía a Cuba en un
barco inglés. Durante la travesía Driggs, con su habilidad
característica, logró intimar con el capitán. Destaca esta versión que
el genuino capitán Monsi dio a Driggs los pormenores de su viaje: el
propósito que lo animaba, los resultados que obtendría, sin olvidar la
jugosa bolsa en metálico con que se le recompensaría. Se afirma que,
en cierto momento, aprovechándose de la madrugada, Driggs estranguló
al auténtico capitán Monsi, trucidó su cuerpo, lo echó por la
ventanilla del camarote, tomó su uniforme y su documentación y
desembarcó en Cuba, suplantando la personalidad del explorador
canadiense.
Es la versión de una leyenda difícil de comprobar. Pero, ¿quién niega
que Emilio Vicente Driggs tuviera suficiente maldad para realizar tal
hecho?
Si el supuesto Monsi falleció ciertamente en California o se perdió en
el mundo de la delincuencia internacional, es indudable que se llevó a
la tumba la verdad acerca del porqué y los pormenores de la muerte de
Miss Dawn, suceso que comenzó a inquietar a Cuba el 1ro. de agosto de
1924. ¿La mató el falso Ibeu Monsi o ella se suicidó, quemándose, y él
optó por enterrarla en las entonces solitarias arenas de Boca Ciega?
Hay quienes aseguran haber visto una fantasmagórica figura de mujer
que algunas noches recorre las arenas de la playa. Si usted la ve,
pregúntele si es Aurora y pídale que le cuente los detalles de su
muerte. Quizá se digne a responder y nos saque de dudas.
(Con información del Doctor Ismael Pérez Gutiérrez)
Ciro Bianchi Ross
ciro@jrebelde.cip.cu
http://wwwcirobianchi.blogia.com/
http://cbianchiross.blogia.com/

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