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lunedì 30 dicembre 2013

Il piccolo cieco di Madrid di Ciro Bianchi Ross, pubblicato su Juventud Rebelde del 29/12/13

Aneddoto è sinonimo di racconto, storiella, riporto, eco. Viena dal greco anekdotos che vuol dire inedito ed è la relazione di un evento o fatto curioso e particolare. Ce ne sono che rivelano, come poche altre cose, il carattere del suo protagonista e molti che pongono di manifesto un insegnamento. Altri fanno ridere: a questa categoria sono quelli riprodotti qua sotto. Non ho trovato un modo migliore per alleggerire la pagina in mezzo alle feste di fine anno.
La linea di Claret
Juan Emilio Figuls cominciò molto giovane col giornalismo e si mantenne vincolato ai media molti anni, fino alla fine della sua vita.
In un’occasione, mi raccontò che quando era ancora studente, fu accettato per scrivere la cronaca cattolica nel quotidiano Informaciòn, il suo direttore e proprietario il Dottor Santiago Claret, gli diede dei suggerimenti e raccomandazioni. Fra di esse che non elogiasse mai i lavori di nessun altro giornalista che non appartenesse alla redazione di Informaciòn. Col tempo, Sergio Carbó, direttore e proprietario di Prensa Libre, vinse il premio Justo de Lara, il riconoscimento maggiore del giornalismo cubano dell’epoca, con un articolo sulla notte di Natale cristiana e Figuls si sentì in obbligo di segnalare il fatto nella sua colonna.
Informaciòn era un giornale di 60/70 pagine e Claret se lo leggeva dall’inizio alla fine prima che partisse per la tipografia. Non leggeva solo le notizie e gli articoli di fondo, ma anche gli annunci economici e le necrologie. Redattori e disegnatori non potevano abbandonare la redazione fino a che non avessero ricevuto l’approvazione di Claret per il loro lavoro. Il giorno in questione, Figuls aspettava l’OK dal direttore, quando fu chiamato in direzione. Claret era diventato una furia.
-Mi può spiegare il motivo di questo articolo? Come si permette di elogiare, nel mio giornale, il direttore di un organo della concorrenza?- Domandò e senza dare a Figuls il tempo di rispondere, gli chiese se conosceva il racconto del piccolo cieco di Madrid. Di fronte alla risposta negativa del giovane colonnista raccontò, allora, che nei giorni dell’invasione napoleonica alla Spagna tutte le mattine, alla Puerta del Sol un cieco annunciava le vittorie dell’esercito spagnolo sul nemico.
Diceva: “Oggi che il nostro esercito ha sconfitto l’abominevole esercito francese, una piccola elemosina, per amor di Dio”. Così un giorno dopo l’altro il non vedente chiedeva la sua elemosina dopo aver proclamato la vittoria spagnola sugli invasori. Ma in un’occasione, qualcuno che lo stava sentendo tutti i giorni elencare quei trionfi, detenne il suo passo per domandare se l’esercito francese non vincesse nessuna battaglia.
“Sì, rispose il cieco. Le vince, ma queste vittorie le annuncia il piccolo cieco di Parigi”.
Alla fine il direttore consentì di pubblicare il lavoro di Figuls su Carbó. Claret aveva idee molto particolari di ciò che fosse il giornalismo. Nel suo quotidiano elogiava senza riserve il governo di turno fino a che lasciava il potere. Quando ciò succedeva cominciava a elogiare, con lo stesso impeto, il governo successivo. Diceva che l’informazione aveva una linea, una sola linea ed era una linea governamentale, ma che l’informazione non aveva colpa se si cambiavano i governi.
Appetito di Lezama Lima
Nicolás Guillén ricordava che in una certa occasione, un evento auspicato perl ‘UNEAC, fu chiuso con un pranzo nella medesima casa dei creatori cubani in calle 17 angolo H, nel Vedado. Il poeta José lezama Lima aveva già finito di mangiare quando si accorse che nel vassoio rimaneva una bistecca e questo bastò per risvegliare il suo insaziabile appetito. Disse, l’autore di Paradiso, a qualcuno vicino a lui: “Sarebbe così amabile da trapassare al mio desco qualla povera bistecca che è rimasta orfana e che io posso aiutare con le mie mandibole?”
Il brigadiere Estrada Palma
Si lancia la candidatura presidenziale di Tomás Estrada Palma e per la candidatura a presidente della Repubblica compete anche il Maggior Generale Bartolomé Masó. Una battaglia fra “solitari”. “Il solitario” di Central Valley –Don Tomás- contro “il solitario” de la Jagüita –Masó-. I direttori di campagne politiche, confidando nella efficacia elettorale dell virtù, presentavano i loro candidati come simbolo di purezza, onorabilità  e patriottismo...Li chiamavano “solitari”. Volevano sintetizzare così il raccoglimento in cui vivevano, lontani dal mondo, appartati dalla lotta egoista, scevri di ambizioni, poveri, umili e come dimenticati della loro grandezza e del ruolo illustre che disimpegnavano nella storia. Ancora, negli anni '30 del secolo scorso, il Colonnello Carlos Mendieta era il “solitario” di Cunagua.
Il Maggior Generale Máximo Gómez percorse il territorio di Las Villas in appoggio alla candidatura del “solitario” di Central Valley -titolo che veniva dalla località vicina a New York, dove il candidato risiedeva ed aveva la sua scuola-. Il gran giornalista cubano Manuel Márquez Sterling racconta di aver accompagnato il generalissimo, come una specie di capo ufficio stampa, durante quel viaggio e ogni volta che facevano una sosta nel cammino, la gente si precipitava verso il treno a ondate inneggiando all'eroe de La Sacra e Palo Seco. Márquez Sterling precisa, in un articolo pubblicato il 10 di settembre del 1916 nel quotidiano avanero La Nación, che davanti a questa mostra di affetto e di rispetto, Gómez usciva sulla piattaforma del vagone in cui viaggiava, sollevava la testa con gesto di capo invitto e parlava alla moltitudine con linguaggio paterno, senza fronzoli retorici né intonazioni da tribuno. Diceva: “Cubani, io non vi ho mai ingannato; per questo ho l'autorità per consigliarvi di votare per Tomás Estrada Palma come presidente...”. La moltitudine si eccitava. Evviva, abbbracci, spintoni, discorsi a metà. “Sentite, cubani -aggiungeva il generale- e votate anche per il dottor Luis Estévez per la vicepresidenza”.
Già con direzione a Sagua la Grande, nel nominare Estrada Palma, Gómez gli dette i gradi di brigadiere e non nominó Luis Estévez. Il treno proseguì la sua marcia e il giornalista gli si avvicinò per chiedergli sulla gerarchia militare di don Tomás. Perché dargli trattamento di brigadiere a un uomo che non era nemmeno sergente?
“Ragazzo! - esclamò Gómez conficcando gli occhi fiammeggianti sul suo interlocutore – tu non conosci i cubani? A ciascuno bisogna dare le cose secondo come le capisca. In questo luogo che conosco a memoria, essere brigadiere è la cosa maggiore che si possa essere. Qua brigadiere significa ostentare il comando supremo. Qua non sono maggior generale, sono brigadiere. Il brigadiere non rappresenta solo il potere, ma anche patriottismo e virtù, perché brigadiere in questa terra, viene nominato il più coraggioso, il più saggio, il più buono”.
Gómez fece una pausa. Si voltò verso coloro che conformavano la sua comitiva. “Questi ragazzi conoscono solo l'Avana” -disse e per addolcire la pillola aggiunse con gli occhi posti di nuovo su Márquez Sterling: “E con ciò che tu sei uno dei più informati. Almeno conosci Camagüey, anche se non tanto come me”.
Momento imbarazzante di Prío
Un giorno, gia a Miami, il giornalista Max Lesnik domandò a Carlos Prìo Socarrás quqle fosse stato il momento più imbarazzante della sua vita. L'ex presidente non ci pensò molto. Riferì che nel 1948, durante la sua visita in Messico come presidente eletto, dovette incontrarsi con Miguel Alemán Valdés, presidente di quel Paese. Dopo la conversazione, l'anfitrione volle mostrare al visitatore alcuni dei luoghi più attrattivi della capitale. Alemán, Prìo e sua moglie Mary Tarrero avrebbero fatto il percorso in un automobile scoperta, nonostante le moto della polizia di scorta che aprivano il passo con le sirene avanzano con difficoltà nel tumulto cittadino e si fermavano ad ogni semaforo rosso trovassero sulla strada.
Aprofittando della sosta ad un semaforo un messicano, appiedato, si avvicinò al veicolo presidenziale. Disse al presidente: “ Senta, don Miguel, lasci quella brutta che ha per moglie e se ne cerchi una bella come donna Mary”.
Aleman Valdés, ricordava Prìo, rimase senza parole avvilito, con gli occhi fissi su un punto lontano. Nemmeno il cubano trovava qualcosa da dire e non osava nemmeno guardare il suo anfitrione. Prìo si vergognava di più di Alemàn.
Marquez Sterling e il digestivo Mojarrieta
La buona amicizia che esisteva tra Manuel Márquez Sterling e Gustavo Robreño fu sul punto di spezzarsi per causa di uno scherzo.
Correvano i primi anni del XX secolo e don Manuel faceva conoscere un libro nella cui controcopertina c'era una striscia rossa in diagonale dove si leggeva su grandi lettere bianche: “Bevete il digestivo Mojarrieta”, sicuramente perché l'azienda produttrice di questo farmaco aveva contribuito al pagamento per la pubblicazione dell'opera.
Márquez Sterling invió copie del suo nuovo titolo alla redazione di tutti i giornali avaneri in cerca di un responsabile commento e lo rimise anche a La Politica Cómica che dirigeva Ricardo de la Torríente, il celebre caricaturista di Liborio; un settimanale che contava con solo due redattori: Pedro González Muñoz e Gustavo Robreño.
Torríente, fedele ai doveri del cameratismo, incaricò González Muñoz una nota sul libro e González Muñoz che presumeva di essere comproprietario della rivista, cosa che non constava a nessuno, passò l'incarico a Robreño che resistette a compierlo perché equivaleva a mettere i denti a un'opera di oltre 400 pagine, mentre il tempo mancava e serviva per altre cose meno serie e più in sintonia con la linea editoriale de La Politica Cómica.
Torrìente insistette nella sua determinazione che si desse a conoscere il commento, anche se alla fine convenne che un giudizio critico, specialmente di un'opera come quella, non concordava col profilo della sua pubblicazione. Ciò nonostante vole che si pubblicasse almeno un avviso di ricevuta e affidò a Robreño, come aveva fatto González Muñoz, il compito di redigerlo.
Robreño, messo con le spalle al muro, decise di assumersi il lavoro senza pensarci molto. Intinse la penna nel calamaio e scrisse: “Abbiamo ricevuto l'ultima opera dell'illustre scrittore manuel Màrquez Sterling, la cui lettura rimandiamo per mancanza di tempo...” Sollevò la penna dalla carta, vacillò un istante e aggiunse una pietosa bugia: “...però ce ne occuperemo più avanti”.
Robreño rilesse lo scritto e gli sembrò troppo freddo e impersonale. Tornò a intingere la penna, la passò sui bordi del calamaio al fine di sgocciolarla, gettò un'altra occhiata al volume e aggiunse: “Una domanda. Il digestivo Mojarrieta, bisogna prenderlo prima o dopo di leggere il libro?”.

Anni più tardi Robreño confessò che questo scherzo digestivo non fu digerito da don Manuel che gli attribuì mancanza di cameratismo e gli mise il muso per oltre un anno. Ma -il tempo sana tutte le ferite- il malestare passò e un bel giorno, incontrandosi per caso in strada, don manuel ebbe il buon gusto di non ricordare l'incidente e riannodarono l'amicizia. Quando Manuel Sterling fondò, nel 1913, il suo quotidiano Heraldo de Cuba, sollecitò la collaborazione di Gustavo Robreño che dette a conoscere nelle sue pagine la colonna umoristica Aquellarres del sabato.


El cieguito de Madrid

Ciro Bianchi Ross •
 digital@juventudrebelde.cu
28 de Diciembre del 2013 19:25:12 CDT

Anécdota es sinónimo de narración, historieta, chascarrillo, eco.
Viene del griego anekdotos, que quiere decir inédito, y es la relación
breve de un rasgo o suceso curioso y particular. Las hay que revelan,
como otras pocas cosas, el carácter de su protagonista, y muchas que
ponen de manifiesto una enseñanza. Otras hacen reír. A esta categoría
pertenecen las que se insertan abajo. No encontré manera mejor de
aligerar la página en medio de las fiestas por el fin de año.
La línea de Claret

Juan Emilio Friguls empezó muy joven el periodismo y se mantuvo
vinculado a los medios durante muchos años, hasta el final de su vida.
En una ocasión me contó que cuando, siendo aún estudiante, fue
aceptado para escribir la crónica católica en el periódico
Información, su director y propietario, el doctor Santiago Claret, le
hizo sugerencias y recomendaciones. Entre ellas, que jamás elogiara ni
resaltara el quehacer de ningún periodista que no perteneciera a la
redacción de Información. Andando el tiempo, Sergio Carbó, director y
propietario de Prensa Libre, ganó el premio Justo de Lara, el galardón
más relevante en el periodismo cubano de la época, con un artículo
sobre la Nochebuena cristiana, y Friguls se sintió obligado a reseñar
el hecho en su columna.
Información era un periódico de 60 o 70 páginas, y Claret se lo leía
de punta a cabo antes de que saliera para la imprenta. Leía no solo
las noticias y los artículos de fondo, sino también los anuncios, los
clasificados y las notas necrológicas. Redactores y dibujantes no
podían abandonar la redacción hasta que no hubieran recibido la
aprobación de Claret por su trabajo. El día en cuestión, Friguls
esperaba el OK del director cuando fue llamado a la dirección. Claret
estaba hecho una furia.
—¿Me puede explicar el porqué de este artículo? ¿Cómo es posible que
usted se atreva a elogiar en mi periódico al director de un órgano de
la competencia? —preguntó y, sin dar a Friguls tiempo para responder,
inquirió si conocía el cuento del cieguito de Madrid. Ante la
respuesta negativa del joven columnista, contó entonces que en los
días de la invasión napoleónica a España, todas las mañanas, en la
Puerta del Sol, un ciego anunciaba las victorias del ejército español
sobre el enemigo.
Decía: «Hoy que nuestro ejército derrotó al abominable ejército
francés, una limosnita por el amor de Dios». Y así un día tras otro el
invidente pedía su limosna luego de proclamar la victoria española
sobre los invasores. Pero en una ocasión, alguien que le escuchaba a
diario pregonar aquellos triunfos detuvo su camino para preguntarle si
el ejército francés no ganaba ninguna batalla.
—Sí, respondió el ciego. Las gana, pero esas victorias las anuncia el
cieguito de París.
Al fin accedió el director de Información a publicar el trabajo de
Friguls sobre Carbó. Claret tenía ideas muy particulares de lo que era
el periodismo. En su diario elogiaba sin reservas al gobierno de turno
hasta que cesaba en el poder. Cuando eso sucedía, comenzaba a elogiar,
con el mismo ímpetu, al gobierno siguiente. Decía que Información
tenía una línea, una sola línea, y era una línea gubernamental, pero
que Información no tenía la culpa de que cambiaran los gobiernos.
Apetito de Lezama Lima

Recordaba Nicolás Guillén que en cierta ocasión un evento auspiciado
por la Uneac fue clausurado con un almuerzo en la propia casa de los
creadores cubanos, en 17 esquina a H, en el Vedado. El poeta José
Lezama Lima había terminado ya de comer cuando advirtió que en la
bandeja quedaba un bistec y eso bastó para tentar su apetito
insaciable. Dijo el autor de Paradiso a alguien cercano a él: «¿Sería
usted tan amable de traspasar a mis predios ese pobre bistec que se ha
quedado huérfano y que yo puedo ayudar con mis mandíbulas?».
El brigadier Estrada Palma

Se lanza la candidatura presidencial de Tomás Estrada Palma y
contiende también por la presidencia de la República el Mayor General
Bartolomé Masó. Una batalla entre «solitarios». El «solitario» de
Central Valley —don Tomás— contra el «solitario» de La Jagüita —Masó—.
Los directores de campañas políticas, confiados de la eficacia
electoral de las virtudes, presentaban a sus candidatos como símbolos
de pureza, honradez, patriotismo… Les llamaban «solitarios». Querían
sintetizar así el recogimiento en que vivían, lejos del mundo,
apartados de la pugna egoísta, limpios de ambición, pobres y humildes,
y como olvidados de su grandeza y del papel ilustre que desempeñaban
en la historia. Todavía en los años 30 del siglo pasado, el Coronel
Carlos Mendieta era el «solitario» de Cunagua.
El Mayor General Máximo Gómez recorrió el territorio de Las Villas en
apoyo a la candidatura del «solitario» de Central Valley —título este
que tomaba de la localidad cercana a Nueva York donde el candidato
residía y tenía su escuela. Cuenta el gran periodista cubano Manuel
Márquez Sterling, quien como una especie de jefe de prensa acompañó al
Generalísimo en ese viaje, que cada vez que hacían un alto en el
camino, la gente, en oleadas, se precipitaba hacia el tren y daba
vivas al héroe de La Sacra y Palo Seco. Precisa Márquez Sterling en un
artículo publicado el 10 de septiembre de 1916, en el periódico
habanero La Nación, que ante esa muestra de cariño y respeto, Gómez
salía a la plataforma del vagón donde viajaba, levantaba la cabeza en
gesto de caudillo invicto y hablaba a la multitud con lenguaje
paternal, sin adornos retóricos ni entonación tribunicia. Decía:
«Cubanos, yo nunca los he engañado; tengo por eso autoridad para
aconsejarles que voten por Tomás Estrada Palma para presidente…». La
multitud alborotaba. Vivas, abrazos, empujones, discursos a medias.
«Oigan, cubanos, añadía el General, y voten también por el doctor Luis
Estévez para la vicepresidencia».
Ya rumbo a Sagua la Grande, al nombrar a Estrada Palma, Gómez le dio
grados de brigadier y no mencionó a Luis Estévez. Prosiguió el tren su
marcha y el periodista se le acercó para interrogarle acerca de la
jerarquía militar de don Tomás. ¿Por qué darle trato de brigadier a un
hombre que ni siquiera era sargento?
—¡Muchacho!, —exclamó Gómez y clavó en su interlocutor sus ojos
fulgurantes—. ¿Tú no conoces a los cubanos? A cada uno es preciso
decirle las cosas como mejor las entienda. En este lugar, que yo me sé
de memoria, ser brigadier es lo más grande que se puede ser. Aquí
brigadier significa ostentar el mando supremo. Aquí yo no soy mayor
general, soy brigadier. Brigadier no solo representa poder, sino
patriotismo y virtud, porque brigadier nombran únicamente en esta
comarca al más valiente, al más sabio, al más bueno.
Hizo Gómez un alto. Se volvió hacia los que conformaban su comitiva.
«Estos muchachos solo conocen La Habana» —dijo— y, como para endulzar
la censura, añadió con los ojos puestos de nuevo en Márquez Sterling:
«Y eso que tú eres de los más enterados. Al menos conoces Camagüey,
aunque no tanto como yo».
Momento embarazoso de Prío

Un día, ya en Miami, el periodista Max Lesnik preguntó a Carlos Prío
Socarrás cuál era el momento más embarazoso de su vida. El ex
mandatario no lo pensó mucho. Refirió que en 1948, durante su visita a
México como presidente electo, debió encontrarse con Miguel Alemán
Valdés, presidente de ese país. Tras la charla, quiso el anfitrión
mostrar al visitante algunos de los lugares más atractivos de la
ciudad capital. Alemán, Prío y su esposa, Mary Tarrero, harían el
recorrido en un automóvil descapotable que pese a las motocicletas de
la Policía, que le abrían paso con sus sirenas, avanzaba con
dificultad en medio del tumulto citadino, deteniéndose en cuanta luz
roja encontraba a su paso.
Aprovechando la parada ante un semáforo, un mexicano de a pie se
acercó al vehículo presidencial. Dijo al Presidente: «Óigame, don
Miguel, suelte a esa fea que tiene por mujer y búsquese otra tan linda
como doña Mary».
Alemán Valdés, recordaba Prío, quedó sin palabras, apenado, con los
ojos clavados en un punto lejano. El cubano tampoco hallaba nada que
decir, ni a mirar a su anfitrión se atrevía. Prío estaba más apenado
que Alemán.
Márquez Sterling y el digestivo Mojarrieta


La buena amistad que existía entre Manuel Márquez Sterling y Gustavo
Robreño estuvo a punto de romperse a causa de una broma.
Corrían los años iniciales del siglo XX y don Manuel daba a conocer un
libro cuya contraportada mostraba una franja roja en diagonal en la
que se leía, en grandes letras blancas: «Tome el digestivo
Mojarrieta», de seguro porque la empresa productora de ese fármaco
había contribuido al pago de la publicación de la obra.
Márquez Sterling envió ejemplares de su nuevo título a la redacción de
todos los periódicos habaneros, en busca del consabido comentario, y
lo remitió también a La Política Cómica, que dirigía Ricardo de la
Torriente, el célebre caricaturista de Liborio; un semanario que
contaba solo con dos redactores: Pedro González Muñoz y Gustavo
Robreño.
Torriente, fiel a los deberes del compañerismo, encargó a González
Muñoz una nota sobre el libro, y González Muñoz, que presumía de ser
copropietario del periódico, lo que no le constaba a nadie, pasó el
encargo a Robreño, que se resistió a cumplirlo porque hacerlo
equivalía a meterle el diente a una obra de más de 400 páginas cuando
el tiempo apremiaba y hacía falta para otras cosas menos serias y más
en consonancia con la línea editorial de La Política Cómica.
Insistió Torriente en su determinación de que se diera a conocer el
comentario, aunque convino al fin en que un juicio crítico, y más de
una obra como esa, no encajaba en el perfil de su publicación. Aun
así, quiso que se publicara el acuse de recibo y confió a Robreño,
como lo había hecho González Muñoz, la tarea de redactarlo.
Robreño, puesto en tres y dos, decidió asumir su trabajo sin pensarlo
mucho. Mojó la pluma en el tintero y escribió: «Hemos recibido la
última obra del ilustre escritor Manuel Márquez Sterling, cuya lectura
aplazamos por falta de tiempo…». Levantó la pluma del papel, vaciló un
instante y añadió una mentira piadosa: «… pero de la que nos
ocuparemos más adelante».
Releyó Robreño lo escrito y le pareció demasiado frío e impersonal.
Volvió a mojar la pluma, la pasó lentamente por los bordes del tintero
a fin de escurrirla de tinta, echó otra mirada al volumen y añadió:
«Una pregunta. El digestivo Mojarrieta que se anuncia en la
contraportada, ¿hay que tomarlo antes o después de leer el libro?».
Años después Gustavo Robreño confesaría que esa broma digestiva
indigestó a don Manuel, que la atribuyó a falta de compañerismo y
llegó a enfurruñarse con él durante más de un año. Pero —manos dadas y
pelillos a la mar— el disgusto pasó y un buen día, al encontrarse de
manera casual en la calle, don Manuel tuvo el buen gusto de no
recordar el incidente y reanudaron la amistad. Cuando Márquez Sterling
fundó en 1913 su periódico Heraldo de Cuba, solicitó la colaboración
de Gustavo Robreño, que dio a conocer en sus páginas la columna
humorística Aquelarres del sábado.

Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
http://wwwcirobianchi.blogia.com/
http://cbianchiross.blogia.com/



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