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mercoledì 30 settembre 2015

Ricevo, con piacere da Modena


Curiosità Modenesi di José Rubiera
Luca Lombroso

17:32

 Foto

A: aldo abuaf, ilvecchioeilmare 2002

Caro Aldo

José è partito e ora in volo verso l’Avana, avrai visto l’ampia rassegna stampa della conferenza in università, sono state giornate veramente piacevoli, in aggiunta per il tuo blog di riporto due curiosità

La prima è l’accoglienza della comunità cubana modenese. In particolare la persona che vedi nella foto, Danielis, a Modena da diversi anni, avendo letto la notizia sul quotidiano che ha in mano è venuta alla mostra con la figlia e quindi a salutarlo e portargli un assaggio di parmigiano e balsamico (dolosamente, ho dimenticato di inviarti un pezzo che avevo per te, rimedierò portandolo di persona presto) 
Poi, al ristorante dell’ “ultima cena” una giovane cameriera di origine cubana, a Modena da quando aveva 6 anni, ha fatto da interprete spiegando e illustrando il menù   fra l’altro di cose difficili da spiegare cosa sono come cotechino con purè,  tortellini, tagliatelle alla salsiccia gialla di Zafferano, sorbetto al cetriolo e torta gelato 

La seconda è che molti hanno notato una somiglianza col noto attore Giancarlo Giannini , una persona poi ci ha fermato per strada credendolo il noto attore, poi ho spiegato chi è.

Infine ho qualche news sull’origine del nome del comune di Rubiera , ma te le invierò a parte, aspetto altre info

Saluta José all’arrivo, credo e spero ci vedremo presto o non troppo tardi… 

Luca Lombroso


(n.d.a.: Da sinistra Yamilis, José e Danielis, a destra col giornale)



martedì 29 settembre 2015

Rassegna stampa da Modena....

Cortesia di Emiliaromagnameteo, La Gazzetta di Modena e Luca Lombroso 
Meteorologia ed eventi Estremi, da Cuba a Modena
Meteorologia ed eventi Estremi, da Cuba a Modena
Modena, 28 Settembre 2015

Si è svolta Lunedì mattina, presso ilDipartimento di Ingegneria “Enzo Ferrari” dell´Università di Modena e Reggio Emilia, una giornata dedicata alla “Meteorologia e sicurezza del territorio”.
A capitanare l’evento Luca Lombroso dell’Osservatorio Geofisico del DIEF con un ospite d’eccezione. Grazie ad un suo viaggio nel centro America ha conosciuto ilfamoso meteorologo Josè Rubiera, Direttore del Centro di previsioni dell’Istituto Nazionale di Meteorologia e meteorologo della Tv di Cubache era quindi presente a questo appuntamento. Jose’ Rubiera è anche Vice Presidente del Comitato per gli Uragani e Membro del Gruppo di Esperti della Comunicazione dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale (Omm) nella regione americana.
Un intervento davvero interessante quello di Jose’ Rubiera perchè ha illustrato prima gli Uragani più distruttivi che hanno colpito Cuba e poi come la sua nazione sia organizzata in ambito meteorologico, facendoci constatare quanto l’Italia sia, in molti aspetti, decisamente indietro nel settore della prevenzione e soprattutto nella comunicazione di eventuali allerte. Noi non possiamo paragonare i loro Uragani con i nostri eventi temporaleschi, ma pensate che Jose’, se necessario, appare negli schermi televisivi di tutta la nazione per allertare la popolazione, interrompendo quasiasi programma,  mentre qui in Italia le allerte non trovano praticamente mai spazio e se ne parla solo dopo, a tragedia avvenuta, e dipende poi se ci sono stati morti e quali territori hanno colpito. Jose’ Rubiera ha spiegato come sia importante avere un ottimo sistema nazionale di previsioni, un sistema di radar e stazioni meteorologiche ma anche un’educazione sui rischi alla popolazione. Coordinazione tra tutti gli enti e cultura del rischio tra la popolazione a Cuba funzionano bene.
A noi non mancano gli strumenti diMonitoraggio real time (molte stazioni meteo) ma ci manca invece l’aspetto comunicativo, come informare la popolazione del rischio, e non solo. Questo aspettto è stato invece trattato da Carlo Cacciamani, Direttore del Servizio IdroMeteoClima di Arpa Emilia-Romagna, che ci ha illustrato il sistema di allertamento regionale: tante, troppe volte, ci sentiamo dire che “tanto vengono lanciare allerte ogni giorno” e tante altre frasi, non prendendo in seria considerazione un avviso meteo, ma non si sa minimamente il perchè, cosa porta a lanciare un’allerta e cosa si rischia se non viene lanciata un’allerta e poi avviene un fenomeno estremo. Il direttore dell’Arpa ha illustrato molto bene come i nostri strumenti non ci pemettano ancora di sapere, anche a 24 ore di distanza, quale siano le zone esatte dove si potrebbe abbattere un fenomeno estremo. Nell’evento del piacentino, per esempio, si sapeva che erano in arrivo forti temporali sui settori occidentali del nostro crinale, ma non che si sarebbero concentrati sulle valli del piacentino e non su quelle del parmense. Se per il fiume Po l’Arpa ha disposizione 5/7 giorni per organizzare un eventuale allerta (la piena dal Piemonte al ferrarese impiega una settimana ad arrivare), in zone come le colline romagnole o l’Appennino piacentino l’onda di piena arriva in poche ore, quindi a volte entro 2 ore bisogna allertare la popolazioneQuesto è quasi impossibile a volte a causa della lentezza dei procedimenti burocratici ora in atto ma, come afferma lo stesso Cacciamani, qualcosa sta cambiando ultimamente, per fortuna. Le allerte meteo dell’Emilia Romagna, inoltre, non vengono lanciate solamente per la quantita di pioggia o di neve prevista, ma viene considerato anche il rischio che puo’ avere un determinato territorio nel ricevere quella quantità di precipitazione. Per esempio pochi giorni fa è stata lanciata un’allerta per il piacentino nonostante erano attesi pochi mm di pioggia:l’allerta, in quel caso, veniva per la situazione precaria di quei territori dopo l’alluvione, quindi porzioni di territorio fragili e in pericolo anche con pochi mm di pioggia. Questo la popolazione lo sa? Ecco la pecca del nostro sistema. Manca la cultura tra la popolazione, a volte anche nelle istituzioni.
Pierluigi Randi (Meteocenter srl), ha trattato invece il tema dei tornado del 2013 e 2014 in Emilia, spiegando brevemente cosa è e come si forma un Tornado e gli ingredienti che hanno portato alla formazione degli eventi tornadici sul modenese. Un intervento scientifico importante dove e’ stato anche sottolineato come ci sia ancora incertezza sull’aumento dei Tornado nella nostra regione perchè non abbiamo a disposizione molti dati storici ma abbiamo molte basi per ritenere che negli anni prossimi i fenomeni tornadici, anche se stazionari nel numero, possano diventare invece più violenti. La tropicalizzazione del clima NON porta ad un aumento dei fenomeni in questione perchè ai tropici non ci sono i Tornado, tipici invece dei territori continentali, ma l’aumento delle temperature può portare ad una lievitazione dell’energia in gioco per la formazione di questi fenomeni.
Cristiano Bottone (Transition Italia) ha esposto la sua esperienza sul ruolo delle comunitàviaggiando dall’Emilia all’Europa e nel mondo osserva come tanti siano i territori a rischio anche altrove ma in Italia, e nella nostra regione, manca la comunicazione e l’interazione anche tra gli enti preposti. 
E’ stato mostrato anche un fatto davvero eloquente: si preferisce finanziare la gestione delle emergenze, a disastri avvenuti, che la prevenzione. Se nella prevenzione si da 1, nella gestione delle emergenze si da 10. Un controsenso incredibile.
Luca Lombroso ha poi illustrato l’evento alluvionale di Modena del Gennaio 2014. Come già detto sopra, l’evento ha visto una pioggia straordinario sul crinale ma soprattutto per quanto riguarda il periodo. A Gennaio dovrebbe nevicare in pianura, figuriamoci a 1000 metri, o meglio, a 2000 metri. Pensate che a metà Gennaio pioveva quasi fin sulla vetta del Monte Cimone, un evento davvero incredibile. Gli apporti pluviometrici di oltre 250 mmsul bacino del Secchia e Panaro hanno quindi portato una piena intensa tra il 16 ed il 19 Gennaio ma NON da far pensare ad una alluvione. Luca ha mostrato anche come negli anni ’70 si manifestava contro la costruzione di autostrade e in favore della manutenzione dei corsi d’acqua, sindaci e cittadini uniti! Luca ha poi illustrato altri avvenimenti meteo interessanti di Modena, grazie ad un archivio storico tra i più antichi in Italia!
Internevuti anche il prof. Sergio Teggi, sulla rete di stazioni meteorologiche del DIEF ed il docente del Dipartimento di Ingegneria “Enzo Ferrari”, Stefano Orlandini, che ha invece trattato l’argomento Alluvione di Modena dal punto di vista idraulico mostrando come abbia fatto a rompersi l’argine del Secchia il 19 Gennaio 2014. Un’insieme di eventi eccezionali nonostante la piena non sia stata la più intensa di sempre. Tutta colpa della pioggia alluvionale caduta sul crinale in un periodo che dovrebbe vedere bufere di neve a quelle quote, colpa delle 5 piene in 30 giorni circae di altri due fattori determinanti. Solitamente, quando passa una piena a valle, le precipitazioni sono cessate e quindi la piena in pianura arriva con assenza di pioggia, cosa che non è avvenuto in questo frangente visto che nel momento di passaggio della piena su Modena erano in atto temporali, a Gennaio, un evento eccezionale. E ultimo, ma non per ordine d’importanza, le tane degli animali, probabilmente di Istrice o Volpe. Il professore ha illustrato come si era a conoscenza che in quel punto ci fossero tane di animali e questo ha provocato, con tutti gli elementi sopra descritti, il collasso dell’argine e quindi la sua rottura. Quindi questo evidenzia come la prevenzione sia fondamentale..
Sono intervenuti anche il Rettore di Unimore, il prof. Angelo O. Andrisano, il Direttore del DIEF prof. Alessandro Capra e l’Assessore all’Ambiente del Comune di Modena Giulio Guerzoni: tutti e 3 hanno evidenziato il ruolo storico e centrale dell’Osservatorio di Modena, come questo sia uno dei primi nati in Italia, e non solo, e come sia un elemento di Modena, un “monumento”.
Una conferenza davvero interessante, da ripetere e, parere personale, da espandere non solo ai meteoappassionati e studenti universitari ma anche in piazza, tra la gente, perchè è fondamentale diffondere una cultura dei rischi anche tra la popolazione, cosa che al momento manca molto.
luca lombroso

«Modena come l’America, più caldo e trombe d’aria»

MODENA. “Meteorologia e sicurezza del territorio”: questo il tema della giornata di ieri, organizzata dal Dipartimento di Ingegneria "Enzo Ferrari" dell'Università di Modena e Reggio Emilia, che ha portato al Tecnopolo uno dei più noti esperti internazionali, il meteorologo e professore Jose Rubiera. Direttore del Centro di previsioni dell'Istituto Nazionale di Meteorologia di Cuba e meteorologo della televisione nazionale locale, Rubiera è Vice Presidente del Comitato per gli Uragani e Membro del Gruppo di Esperti della Comunicazione dell'Organizzazione Meteorologica Mondiale (Omm) nella regione americana. «Gli eventi meteorologici estremi - afferma Luca Lombroso dell’Osservatorio Geologico del Dief e organizzatore dell'evento - sono una realtà nuova e sempre più evidente nella meteo climatologia locale e ci pongono di fronte a problemi nuovi nella previsione dei fenomeni e nell'informazione».
«La visita del professor Rubiera - continua Lombroso - è un'occasione per conoscere questi fenomeni e affrontarli». I tornado che interessano con frequenza e intensità la zona di provenienza dell'esperto, infatti, hanno permesso un confronto sul tema della sicurezza: si tratta di un argomento di centrale importanza per il Dipartimento “Enzo Ferrari” che quest’anno celebra i venticinque anni della nascita della Facoltà di Ingegneria a Modena. «Non si tratta solo di questioni scientifiche - commenta il professor Alessandro Capra, direttore del Dief - ma anche di problematiche di ordine politico e civile».
Presente anche il Comune, nella veste dell'assessore all'ambiente Giulio Guerzoni, che ha sottolineato alcuni aspetti della questione: «Enti locali come la Protezione Civile - commenta - hanno sempre più importanza e responsabilità civile come diretta conseguenza dei fenomeni avversi che hanno interessato la nostra regione».
«Uno dei fenomeni più pericolosi e frequenti che interessano Cuba - spiega il professor Rubiera durante la sua presentazione, in inglese e con l'aiuto di numerose diapositive - è quello dei cicloni tropicali: situazioni del genere ci hanno spinto a organizzare un sistema solido di prevenzione».
Alla base, un Sistema Nazionale di Previsioni molto solido, preparato e in grado di collegare preparazione scientifica e informazione pubblica. «È necessario - continua il professor Rubiera - che la rete dei radar funzioni in modo continuativo e permanente e che l'informazione pubblica sia corretta e a immediata disposizione dei cittadini». «Per quanto riguarda questo tipo di fenomeni, nel mio paese gli stessi presentatori meteo nelle televisioni sono meteorologi con esperienza», conclude. La ricetta del professor Rubiera per una corretta ed efficiente preparazione ai danni ambientali è semplice ma chiara: un buon sistema nazionale di previsioni, un'educazione a trecentosessanta gradi sui rischi, che comprende la televisione, la radio, la carta stampata e gli stessi social network, un'informazione chiara e comprensibile e una buona coordinazione fra tutti questi elementi.
Informazioni utili per la nostra zona geografica, anche se i cicloni ci appaiono più lontani e meno probabili dei recenti terremoti e alluvioni. Eppure, non si tratta di un rischio così remoto, soprattutto in relazione ai cambiamenti climatici cui stiamo assistendo: «Per sua stessa conformazione geografica - spiega Pierluigi Randi di Meteocenter srl - la pianura padana presenta tratti analoghi alle grandi pianure americane, in piccolissima scala: di fatto, le Alpi e l'Adriatico svolgono lo stesso ruolo delle Montagne Rocciose e del Golfo del Messico». «Anche se la prevedibilità dei cicloni è quasi nulla,
- spiega Randi - un eventuale aumento potrebbe essere legato all'aumento della temperatura: uno dei fattori che determinano questi fenomeni è infatti la salita verso l'alto dell'aria calda e umida, che incontrando la rotazione può dar forma al tornado».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
luca lombroso




Nuova riunione tra Barak Obama e Raúl Castro, intanto il "pueblo" aspetta e spera...

CUBA
Fonte: El Nuevo Herald 


SEPTIEMBRE 29, 2015
Obama y Raúl Castro inician en la ONU su segunda reunión bilateral
Los mandatarios iniciaron su segunda reunión tras el anuncio de la normalización de relaciones bilaterales entre los dos países
Obama y Castro posaron brevemente ante los fotógrafos antes de la reunión
La reunión de hoy sigue a la que ambos mantuvieron en Panamá en abril pasado en el marco de la Cumbre de las Américas



Obama y Castro posaron brevemente ante los fotógrafos antes de la reunión, en la que también participan el secretario de Estado, John Kerry, y el canciller cubano, Bruno Rodríguez. Miami

EFE

NACIONES UNIDAS 
El presidente Barack Obama y el gobernante de Cuba, Raúl Castro, iniciaron el martes en la sede de la ONU su segunda reunión tras el anuncio de la normalización de las relaciones bilaterales entre los dos países.
Obama y Castro posaron brevemente ante los fotógrafos antes de la reunión, en la que también participan el secretario de Estado, John Kerry, y el canciller cubano, Bruno Rodríguez.
De pie, los dos líderes se dieron la mano e intercambiaron sonrisas, pero no respondieron a preguntas de los medios presentes.
La reunión de hoy sigue a la que ambos mantuvieron en Panamá en abril pasado en el marco de la Cumbre de las Américas y que fue el primer encuentro de dos gobernantes de Cuba y EEUU en más de cinco décadas.
Este lunes, los dos mandatarios intervinieron ante la Asamblea General de Naciones Unidas y ambos abordaron el embargo económico que pesa sobre la isla y que solamente el Congreso de EEUU puede levantar por completo.
En su discurso, Obama se mostró convencido de que el cambio llegará a Cuba, al defender la política de acercamiento emprendida el pasado diciembre y que resultó en el restablecimiento de relaciones diplomáticas y la reapertura de embajadas en Washington y La Habana en julio.
“Estoy seguro de que el Congreso levantará inevitablemente un embargo que ya no debería estar ahí”, enfatizó.
También admitió que aún tiene “diferencias con el Gobierno cubano” y que EEUU “seguirá defendiendo los derechos humanos” en la isla.
Por su parte, Castro reiteró en su intervención que el “largo proceso de normalización de las relaciones” con EEUU culminará cuando, entre otras medidas, el país norteamericano devuelva la base de Guantánamo y pague compensaciones por el embargo.
La normalización de los vínculos con EEUU acabará cuando, entre otras medidas, “se ponga fin al bloqueo económico, comercial y financiero contra Cuba”, destacó Castro.
También “cuando se devuelva a nuestro país el territorio ocupado ilegalmente por la Base Naval de Guantánamo, cesen las transmisiones radiales y televisivas y los programas de subversión y desestabilización contra Cuba y se compense a nuestro pueblo por los daños humanos y económicos que aún sufre”, agregó.
Como cada año desde hace más de dos décadas, Cuba está impulsando en la Asamblea General de la ONU una resolución crítica con el embargo y que pide su fin, un texto que habitualmente obtiene un respaldo mayoritario y siempre el voto en contra de EEUU.
El Gobierno adelantó la semana pasada que aún no ha tomado una decisión sobre cómo votará en octubre ante ese documento, lo que ha alimentado las especulaciones acerca de que, por primera vez, podría optar por abstenerse.
Mientras, funcionarios de los dos países iniciaron ayer los primeros contactos, a puerta cerrada en La Habana, para normalizar el servicio aéreo.
Además, representantes del “lobby” agrícola de los estados de Arkansas y Carolina del Norte se encuentran de visita en Cuba para explorar posibilidades de negocio y la secretaria de Comercio, Penny Pritzker, viajará a La Habana los días 6 y 7 de octubre.
La semana pasada entraron en vigor nuevas normas adoptadas por el Gobierno que amplían a los ciudadanos las facilidades para viajar, hacer negocios, enviar remesas y prestar servicios de telecomunicaciones en Cuba, aunque el turismo sigue prohibido.


Modena si prepara agli uragani...Conferenza del Dott. Rubiera

Per gentile concessione di TRC e Luca Lombroso

Da Cuba, per avvertirci sui cambiamenti climatici
28 settembre 2015 di Valentina Lanzilli
in:
Lui è Josè Rubiera, direttore del centro di previsioni l’istituto nazionale di meteorologia di Cuba, oggi ospite al Tecnopolo di Modena per parlare di meteorologia e sicurezza del territorio.
L’ultimo uragano del quale ha parlato è Erika che lo scorso agosto ha ucciso 20 persone sull’isola caraibica di Dominica e ha poi raggiunto la parte orientale di Cuba, dove è però arrivato indebolito. Lui è Josè Rubiera, direttore del centro di previsioni l’istituto nazionale di meteorologia di Cuba, oggi ospite al Tecnopolo di Modena per parlare di meteorologia e sicurezza del territorio. Rubiera ha parlato di un anno che non ha contato fenomeni disastrosi, grazie alla presenza del “Niňo”, la corrente anomala calda che si sviluppa sulle coste occidentali dell’America del Sud e influisce sul clima globale creando le premesse per un record del caldo. Una situazione destinata a peggiorare, con fenomeni sempre più forti, se l’uomo non inizierà ad aver maggior rispetto del pianeta.
Riproduzione riservata © 2015 TRC
tag: clima

luca lombroso


lunedì 28 settembre 2015

I terreni del Capitolio (III e fine) di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud Rebelde del 27/9/15 

La costruzione del Palazzo Presidenziale nei terreni della stazione ferroviaria di Villanueva, proseguì il suo corso normale sotto il Governo del maggior generale José Miguel Gómez. Il 28 gennaio del 1913 intervenne il cambio dei poteri e il maggior generale Mario García Menocal, il nuovo presidente, ordinò la sospensione dell’opera, animato com’era, di costruire la residenza dell’Esecutivo nella Quinta de los Molinos e di destinare a sede del Potere Legislativol’edificio che avrebbe costruito nell’isolato compreso fra le calles Prado, Industria, San José e Dragones. Un anno dopo si votava un credito di un milione di pesos per convertire in Capitolio quello che si doveva costruire come Palazzo Presidenziale. Due architetti con molto talento e prestigio assumerebbero l’esecuzione del progetto: Félix Cabarrocas e Mario Romañach.
Cabarrocas trasformò completamente il progetto che gli architetti Eugenio Rayneri Sorrentino ed Eugenio Rayneri Piedra realizzarono per il Palazzo Presidenziale. Disegnò un magnifico edificio in stile Rinascimento francese e fra gli altri miglioramenti aggiunse ai vecchi progetti, ai due estremi del disegno, gli emicicli; uno per il Senato e uno per la Camera dei Deputati. D’altra parte cambiò il tipo di cupola del primitivo progetto che si era già cominciato a costruire, per un’altra di sezione quadrata e volta differente. Come se questo fosse poco, trasformò completamente il vestibolo dell’edificio e progettò nuovamente le scale, molto simili a quelle che si realizzarono per il progetto definitivo del Capitolio, ma più strette. Se il rigettato Palazzo Presidenziale si concepì con cento metri di fronte e 70 di profondità, il nuovo edificio ne avrebbe avuti 140 x 75. L’architetto Francisco Centurión Maceo fu designato come ingegnere principale e per esito dell’asta di appalto, l’opera si affidó alla compagnia costruttrice La Nacional.
Tre secondi per quattro petardi
Come succede in questi casi e nonostante l’impegno che si rispettasse tutto quello che potesse rispettarsi, adattare il già fatto al nuovo progetto di Cabarrocas e Romañach, portò con se la demolizione di quasi la metà del costruito per il Palazzo Presidenziale. Si dovette scavare e costruire nuove fondamenta, pareti e facciate.
I terreni dove si costruì, prima la stazione dei treni di Villanueva e dopo il Capitolio, erano pantanosi. C’è un ripieno di quasi quattro metri sotto il livello stradale; poi viene uno strato di roccia molto porosa di circa un metro e venti di spessore, seguita da un banco di argilla, di quella conosciuta come “saponetta”, con una profondità che va dai 6 ai 9 metri circa, per dar passo a uno strato roccia solida.  Nel sottosuolo sud dell’edificio che è quello che guarda la Plaza de la Fraternidad, non esiste roccia ferma, ma un conglomerato di sabbia al quale segue uno strato diroccia solida. Roccia ferma esiste anche dalla parte di San José. Per questo si dovette procedere alla cementazione della cupola: si
piantarono 532 pilastri di legno duro – jucaro, jiquí e pino tea di Pinar del Río.
Ma questa cupola doveva sparire. L’architetto Luis Bay Sevilla, affermava che quando si iniziarono le demolizioni per adattare il costruito al nuovo progetto, risvegliò molto interesse tra i professionisti del procedimento che si proponevano seguire i direttori della compagnia costruttrice per distruggere la cupola che risultava molto bassa per l’idea che avevano del Capitolio Romañach e Cabarrocas.
Bay Sevilla puntualizza che prevalse l’idea di isolare l’installazione della cupola dal resto dell’edificio. Per ottenerlo si tagliarono tutte le connessioni da ambo i lati e gli architravi e i sostegni dei tetti delle parti laterali coi quali era allacciata la cupola, rimasero appesi. La demolizione sarebbe stata prodotta da un’esplosione controllata.
Bay Sevilla dice: “Noi che eravamo presenti pieni di curiosità, al momento dell’esplosione dei quattro petardi di dinamite, vedemmo con gioia che tutto successe nel modo previsto per i tecnici de La Nacional. In tre secondi e mezzo cadde al suolo quella mole enorme di cemento armato”
La cupola occupava un’area di circa 400 metri quadrati. Misurava oltre 550 metri cubi, ciò che rappresentava il peso di circa 1.200 tonnellate. La sua costruzione aveva richiesto un investimento di oltre 30.000 pesos.

Deviazione di risorse

I lavori trascorsero normalmente da dicembre del 1917 fino ad aprile del 1919, quando il generale Menocal ordinò il blocco dei medesimi. I prezzi erano aumentati e con loro non solo quelli dei materiali da costruzione, ma anche le giornate di lavoro di operai e tecnici e le esigenze dei contrattisti.
Trascorso qualche tempo si riannodarono i compiti e l’opera era già abbastanza avanzata quando il presidente Zayas con decreto del 21 ottobre 1921, rescindeva il contratto sottoscritto con La Nacional e disponeva la paralizzazione dei lavori, la grave crisi economica che attraversava la nazione non permetteva proseguire con l’opera. In realtà il presidente era del criterio che Cuba non aveva bisogno un plazzo con tanto lusso dove trovassero posto i due corpi legislativi che potevano tenere le loro sessioni come fino ad allora: il Senato nel Palazzo del Secondo Capo e la Camera dei Rappresentanti nell’edificio che José Miguel Gómez aveva costruito per lei nel 1910 in Oficios angolo Churruca. Durante il Governo di Zayas (1921-1925) non solo si paralizzarono le opere del Capitolio, ma i terreni si affittarono al fine che si installasse su di essi lo spettacolo conosciuto come Havana Park. Fu il disastro. Sparirono, quasi per arte della magia, quasi tutti i materiali da costruzione e strumenti di lavoro che i contrattisti avevano laasciato in dposito sul luogo e l’edificio incompleto, soffrì gravi detereriorazioni per l’abbandono, senza contare il danno che causarono il vento e la pioggia. Col tempo altri affari privati trovarono buona sistemazione nell’area, convertita inoltre in un magazzino di sgombri e immondizia.
Mentre il Capitolio rimaneva fatto a metà e con l’aspetto di una rovina, cos’era successo col Palazzo Presidenziale? Menocal, in definitiva, non giunse a costruirlo. In quei giorni, il generale Ernesto Asbert, governatore dell’Avana costruiva quello che sarebbe stato la sede del governo provinciale. Era uno dei “papabili” alla presidenza, ma nel 1913 venne arrestato per essersi trovato coinvolto nella sparatoria che in pieno Paseo del Prado, costò la vita la generale Armando de la Riva, capo della Polizia Nazionale. Forse Asbert non era colpevole diretto della morte del capo del corpo poliziesco, ma amici e nemici si vendicarono; era un politico di troppo successo. Mariana Seba, la moglie del Presidente, si innamorò di questo edificio. Menocal lo confiscò e lo Stato pagò mezzo milione di pesos per l’immobile che con gli adattamenti pertinenti, si destinò a Palazzo Presidenziale.
Menocal lo abitò per poco tempo, fu pronto nel 1920 ed egli abbandonò il potere nel 1921. A partire da questo momento fu studio ufficiale e residenza di tutti i presidenti cubani fino a Manuel Urrutia Lleó, il primo presidente della Rivoluzione. Il suo successore, il dottor Osvaldo Dorticós che fu l’ultima figura che occupò l’incarico di Presidente della Repubblica, lo utilizzò solo come uffici e luogo per ricevimenti. È l’attuale Museo della Rivoluzione.

Dittatura di cemento armato

A Cuba, le dittature sono state anche del cemento armato. Gerardo Machado che prenderà la presidenza  della repubblica il 20 maggio del 1925. Il 15 luglio seguente il Congresso votava la Legge delle Opere Pubbliche. Machado che non tardò a rivelarsi un dittatore, si propose di modernizzare la capitale cubana e in buona misura il Paese e propiziò un vasto e ambizioso piano costruttivo. Sotto il suo mandato si rimodellò il Paseo del Prado, il vecchio Campo di Marte si trasformò in Piazza della Fraternità Americana e si tracciò la avenida de las Misiones. Si costruì, all’Isola dei Pini la cosiddetta Prigione Modello. Il Malecón si estese verso ovest fino alla calle G, nel Vedado e da qua prosguì con la Avenida del Puerto. Venne inaugurata la Carretera Central e si elevò la scalinata universitaria. Si urbanizzò il reparto Lutgardita. Si costruirono l’Hotel Nacional e l’aeroporto di Rancho Boyeros che all’epoca aveva il nome di Generale Machado.
L’edificazione del palazzo dei tribunali nei terreni di Villanueva si assegnava al bilancio  di Costruzioni Civili della Legge delle Opere Pubbliche. Carlos Miguel de Céspedes, lasciò fuori dal suo mirino le opere inconcluse del Capitolio. Si sarebbe aprofittato del già edificato, anche se il progetto dovette avere innumerevoli modifiche. I migliori architetti cubani di allora – Cbarrocas, Govantes, Otero, Rayneri, Bens...- e alcuni stranieri come Forestier, sopratutto per i giardini, si gettarono sui progetti, mentre la parte materiale era assegnata alla Purdy  and Henderson, contrattisti nordamericani che fecero affari molto buoni con la costruzione della Lonja del Comercio, l’edificio de La Metropolitana, all’angolo di O’Reilly e Aguiar e l’edificio Gómez Mena in Obispo e Aguiar (oggi Istituto Cubano del Libro) entrambi all’Avana Vecchia l’Hotel Nacional e i centri Galiziano e Asturiano, fra altre opere importanti.
Questa nuova tappa del progetto fu realizzata dallo studio di Govantes e Cabarrocas. Gli architetti Eugenio Ranyeri Piedra e Raúl Otero furono rispettivamente direttore tecnico e direttore artistico dell’opera. La costruzione ricominciò nell’aprile del 1926, senza che i progetti fossero debitamente terminati, cosa che provocò difficoltà serie, giacché l’opera doveva avanzare e i progetti non si terminavano né potevano terminarsi con la velocità necessaria, né si era arrivati a un accordo in  quanto alle necessità e la distribuzione del nuovo edificio.
Otero rinunciò all’incarico e il suo sostituto, l’architetto José M. Bens Arrate, introdusse modifiche nei progetti, fra queste cambiare la cupola già progettata per un’altra più snella e monumentale che successivamente fu profilata e migliorata, fino a darle la forma che ha attualmente, dagli architetti Rayneri e Luis Betancourt. Le fondamenta risultava insufficiente per la nuova cupola e si issarono circa mille piloni di legno duro sui quali si fuse una soletta di cemento armato, al fine che appoggiassero le otto colonne d’acciaio che sostengono la cupola. Introdusse anche gli adorni che rialzano la bellezza della facciata dell’edificio.
Quando si ripassano le vicende delle opere del Capitolio, solgono risaltare i nomi dell’architetto Eugenio Rayneri Piedra che assieme a suo padre, lavorò nei progetti del Palazzo Presidenziale che non giunse ad essere costruito ed ebbe molto a che vedere con i progetti successivi, sia per il Palazzo che per il Capitolio. Si evidenzia anche l’ingegnere Luis Betancourt, capo del salone di disegno. Ma il Capitolio è anche opera di molti altri architetti, progettisti, disegnatori e delle migliaia di operai e tecnici che hanno lavorato nella costruzione di uno degli edifici più grandiosi d’America.
(Con documentazione dell’ingegner Luis Díaz).

Los terrenos del Capitolio (III y final)
Ciro Bianchi Ross 
digital@juventudrebelde.cu
26 de Septiembre del 2015 21:35:35 CDT

La construcción del Palacio Presidencial en los terrenos de la
estación de ferrocarril de Villanueva prosiguió su curso normal bajo
el Gobierno del mayor general José Miguel Gómez. Sobrevino el cambio
de poderes, el 28 de enero de 1913, y el mayor general Mario García
Menocal, el nuevo mandatario, ordenó la suspensión de la obra, animado
como estaba del propósito de  construir la mansión del Ejecutivo en la
Quinta de los Molinos y de destinar a sede del Poder Legislativo el
edificio que se construía en la manzana comprendida entre las calles
Prado, Industria, San José y Dragones. Un año después se votaba un
crédito de un millón de pesos para convertir en Capitolio lo que se
había construido para Palacio Presidencial. Dos arquitectos de mucho
talento y prestigio asumirían la ejecución del proyecto: Félix
Cabarrocas y Mario Romañach.
Cabarrocas transformó por completo el proyecto que los arquitectos
Eugenio Rayneri Sorrentino y Eugenio Rayneri Piedra realizaron para el
Palacio Presidencial. Diseñó un hermoso edificio de estilo
Renacimiento francés y entre otras mejoras adicionó a los viejos
planos, en ambos extremos de la planta, los hemiciclos; uno para el
Senado y otro para la Cámara de Representantes. Por otra parte, cambió
el tipo de cúpula del proyecto primitivo, que ya se había comenzado a
construir, por otra de sección cuadrada y bóveda diferente. Como si
eso fuese poco transformó totalmente el vestíbulo del edificio y
proyectó otra vez las escaleras, muy parecidas a las que a la postre
se realizaron para el proyecto definitivo del Capitolio, pero más
estrechas. Si el desechado  Palacio Presidencial se concibió con cien
metros de frente y 70 de fondo, la nueva edificación tendría 140 por
75. El arquitecto Francisco Centurión Maceo fue designado ingeniero
principal, y, por subasta, la obra se confió a la compañía
constructora La Nacional.

Tres segundos para cuatro petardos

Como sucede por lo general en estos  casos y pese al empeño de que se
respetara todo lo que podía respetarse, adaptar lo ya hecho al nuevo
proyecto de Cabarrocas y Romañach trajo consigo la demolición de casi
la mitad de lo construido para Palacio Presidencial. Se impuso excavar
y construir nuevos cimientos, paredes y fachadas.
Eran cenagosos los terrenos donde se construyó, primero, la estación
de Villanueva y, luego, el Capitolio. Hay relleno a cuatro metros
debajo del nivel de la calle; viene después una capa de roca muy
porosa de unos cuatro pies de espesor, seguido por un banco de
arcilla, de la conocida como jaboncillo, con una profundidad que va
desde los 20 a los 30 pies, para dar paso a un banco de roca sólida.
En el subsuelo del lado sur del edificio, que es el que mira a la
Plaza de la Fraternidad, no existe esa roca firme, sino un
conglomerado de arena al que sigue un banco de roca sólida. Roca firme
existe también en la parte de San José. Por eso hubo que proceder a la
cimentación de la cúpula: se clavaron 532 pilotes de madera dura
—júcaro, jiquí y pino tea de Pinar del Río.
Pero esa cúpula debía desaparecer. Afirmaba el arquitecto Luis Bay
Sevilla que cuando se iniciaron las demoliciones para adaptar lo
edificado al nuevo proyecto, despertó gran interés entre los
profesionales el procedimiento que se proponían seguir los directores
de la compañía constructora para destruir la cúpula, que resultaba muy
baja para la idea que del Capitolio tenían Romañach y Cabarrocas.
Puntualiza Bay Sevilla que prevaleció la idea de aislar el
emplazamiento de la cúpula del resto del edificio. Para conseguirlo se
cortó toda conexión entre ambas partes y quedaron colgando de sus
arquitrabes y apoyos los techos de las crujías laterales, con los que
estaba enlazada la cúpula. La demolición sería producto de una
explosión controlada.
Dice Bay Sevilla: «Nosotros, que presenciamos llenos de curiosidad el
momento de la explosión de los cuatro petardos de dinamita, vimos
regocijados que todo ocurrió de la forma prevista por los facultativos
de La Nacional. En tres segundos y medio vino al suelo aquella enorme
mole de hormigón armado».
La cúpula ocupaba un área de unos 400 metros cuadrados. Medía más de
550 metros cúbicos, lo que representaba un peso de unas 1 200
toneladas métricas. Su construcción había requerido una inversión de
más de 30 000 pesos.

Desvío de recursos

Los trabajos transcurrieron  normalmente desde diciembre de 1917 hasta
abril de 1919, cuando el general Menocal ordenó la paralización de los
mismos. Los precios habían subido y con ellos no solo los de los
materiales de construcción, sino también los jornales de obreros y
técnicos, y las exigencias de los contratistas.
Pasado algún tiempo se reanudaron las tareas, y la obra estaba ya
bastante adelantada cuando el presidente Alfredo Zayas, mediante
decreto de 21 de octubre de 1921, rescindía el contrato suscrito con
La Nacional y disponía la paralización de los trabajos, pues la grave
crisis económica por la que atravesaba la nación no permitía seguir
adelante la obra. En verdad, el mandatario era del criterio de que
Cuba no necesitaba un palacio de tanta riqueza donde encontraran
alojamiento los dos cuerpos colegisladores, que podían seguir
sesionando como hasta entonces: el Senado en el Palacio del Segundo
Cabo, y la Cámara de Representantes en el edificio que José Miguel
Gómez construyó para ella en 1910, en Oficios esquina a Churruca.
Durante el Gobierno de Zayas (1921-1925) no solo se paralizaron las
obras del Capitolio, sino que los terrenos se arrendaron a fin de que
se instalara en ellos el espectáculo conocido como Havana Park. Fue el
desastre. Desaparecieron como por arte de magia casi todos los
materiales constructivos e instrumentos de trabajo que los
contratistas dejaron en depósito en el lugar, y el edificio sin
terminar sufrió deterioros graves por el abandono, sin contar el daño
que le ocasionaron el viento y la lluvia. Con el tiempo otros negocios
particulares buscaron asiento en el área, convertida además en un
almacén de trastos e inmundicias.
Mientras el Capitolio permanecía a medio hacer y con aspecto de ruina,
¿qué había pasado con el Palacio Presidencial?  Menocal, en
definitiva, no llegó a construirlo. En aquellos días, el general
Ernesto Asbert, gobernador de La Habana, construía el palacio que
sería la sede del gobierno provincial. Era uno de los
«presidenciables», pero cayó preso en 1913 por haberse visto
involucrado en el tiroteo que, en pleno Paseo del  Prado, costó la
vida al general Armando de la Riva, jefe de la Policía Nacional. Quizá
Asbert no fuera culpable directo de la muerte del jefe del cuerpo
policial, pero amigos y enemigos le pasaron la cuenta; era un político
demasiado exitoso. Mariana Seba, la esposa del Presidente, se enamoró
de ese edificio. Menocal lo confiscó y el Estado pagó medio millón de
pesos por el inmueble que, con las adaptaciones pertinentes, se
destinó a Palacio Presidencial.
Menocal lo habitó por poco tiempo, pues quedó listo en 1920 y él
abandonó el poder en 1921. A partir de ese momento fue despacho
oficial y residencia de todos los mandatarios cubanos hasta Manuel
Urrutia Lleó, el primer presidente de la Revolución. Su sucesor, el
doctor Osvaldo Dorticós,  que fue la última figura que ocupó  el cargo
de Presidente de la República, lo utilizó solo como oficinas y lugar
de recibo. Es el actual Museo de la Revolución.

Dictadura de hormigón armado

En Cuba las dictaduras lo han sido también de hormigón armado. Gerardo
Machado asumió la presidencia de la República el 20 de mayo de 1925.
El 15 de julio siguiente el Congreso votaba la Ley de Obras Públicas.
Machado, que no demoró en revelarse como un dictador, se propuso
modernizar la capital cubana, y en buena medida el país, y propició un
vasto y ambicioso plan constructivo. Bajo su mandato se remodeló el
Paseo del Prado, el viejo Campo de Marte se transformó en Plaza de la
Fraternidad Americana y se trazó la Avenida de las Misiones. Se
construyó, en Isla de Pinos, el llamado Presidio Modelo. El Malecón se
extendió  por el oeste hasta la calle G, en el Vedado, y por el este
prosiguió con la Avenida del Puerto. Quedó inaugurada la Carretera
Central y se levantó la escalinata universitaria. Se urbanizó el
reparto Lutgardita. Se construyeron el Hotel Nacional y el aeropuerto
de Rancho Boyeros, que en su momento llevó el nombre de General
Machado.
La edificación del palacio de las leyes en los terrenos de Villanueva
se consignaba asimismo en el acápite de Construcciones Civiles de la
Ley de Obras Públicas. Resultaba impensable que Machado y su
megalómano ministro de Obras Públicas, Carlos Miguel de Céspedes,
dejaran fuera de su punto de mira las obras inconclusas del Capitolio.
Se aprovecharía lo ya construido, aunque el proyecto debió sufrir
modificaciones innumerables. Los mejores arquitectos cubanos de
entonces —Cabarrocas, Govantes, Otero, Rayneri, Bens...— y algunos
extranjeros, como Forestier, sobre todo para los jardines, se volcaron
sobre los planos, en tanto la parte material era encomendada a la
empresa Purdy and Henderson, contratistas norteamericanos que hicieron
muy buenos negocios en el país con la construcción de la Lonja del
Comercio, el edificio de La Metropolitana, en la esquina de O’Reilly y
Aguiar, y el edificio Gómez Mena, en Obispo y Aguiar (hoy Instituto
Cubano del Libro) ambos  en La Habana Vieja, el Hotel Nacional y los
centros Gallego y Asturiano, entre otras importantes obras.
En esta nueva etapa el proyecto fue realizado por el estudio de
Govantes y Cabarrocas. Los arquitectos Eugenio Rayneri Piedra y Raúl
Otero fueron director técnico y director artístico de la obra,
respectivamente. La construcción recomenzó en abril de 1926, sin que
los planos estuviesen debidamente terminados, lo que provocó serias
dificultades, ya que la obra tenía que avanzar y los planos no se
terminaban ni podìan terminarse con la rapidez necesaria, ni se había
llegado a un acuerdo en cuanto a las necesidades y distribución del
nuevo edificio.
Otero renunció a su cargo, y su sustituto, el arquitecto José M. Bens
Arrate, introdujo modificaciones en los planos, entre ellas cambiar la
cúpula ya proyectada por otra más esbelta y monumental, que
posteriormente fue perfilada y mejorada, hasta darle la forma que
tiene en la actualidad, por los arquitectos Rayneri y Luis
Betancourt. La cimentación resultaba insuficiente para la nueva cúpula
y se hincaron cerca de mil pilotes de madera dura sobre los que se
fundió una placa de hormigón armado, a fin de que descansaran las ocho
columnas de acero que sostienen la cúpula. También introdujo en el
proyecto las metopas, que tanto realce y belleza dan a la fachada del
edificio.
Cuando se pasa balance a las obras del Capitolio, suelen resaltarse
los nombres del arquitecto Eugenio Rayneri y Piedra que, junto a su
padre, trabajó en los planos del Palacio Presidencial que no llegó a
concluirse y mucho tuvo que ver en los proyectos posteriores, tanto
para el Palacio como para el Capitolio. Sobresale además el ingeniero
Luis Betancourt, jefe del salón de dibujo. Pero el Capitolio es
también obra de otros muchos arquitectos, proyectistas, dibujantes y
de los miles de obreros y técnicos que trabajaron en la construcción
de uno de los edificios más grandiosos de América.
(Con documentación del ingeniero Luis Díaz).

Ciro Bianchi Ross
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