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mercoledì 23 settembre 2015

I terreni del Capitolio (II) di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud Rebelde del 20/9/15

Come abbiamo visto la settimana scorsa, nella seconda metà del 1909 il presidente liberale José Miguel Gómez si è proposto di fare realtà di un vecchio desiderio degli avaneri di togliere la stazione ferroviaria di Villanueva dall’isolato compreso fra Dragones, Prado, Industria e San José, una zona che si stava convertendo in una delle migliori e più quotate dell’Avana.
Per renderlo possibile cedette alla britannica de los Ferrocarriles Unidos, proprietaria di Villanueva, le installazioni e i terreni del vecchio Arsenale che si allungavano dai magazzini San José fino all’area del medesimo Arsenale, occupata dal TheHabana Railway Co e dal litorale fino alla calle Factoría, dove si sarebbe piazzato il terminal centrale delle ferrovie. I terreni di Villanueva,dove nel futuro si edificò il Capitolio, José Miguel li voleva per erigervi il palazzo Presidenziale.

La capra per la mucca

Nonostante si trattasse di un cambio che beneficiava la città, la buona intenzione mascherava un affare torbido. L‘Arsenale era valutato in circa 5 milioni do pesos, mentre Villanueva non superava i due milioni. Il denaro che si muovesse sottobanco, tra commissioni e corruzioni, avrebbe “bagnato” il carismatico politico spirituano e “schizzato” i suoi commilitoni.
Lo scriba descrisse precedentementeil duello irregolare in cui si affrontarono in piena pubbblica via due legislatori per via delle opinioni opposte che proposero al Congresso con relazione al progetto di scambio, scontro in cui uno dei parlamentari morì.
Parte della stampa capitalina fece un’opposizione formidabile al tentativo di scambio dei terreni. Fu così che Ricardo de la Torriente, con i titolo de Il cambio dell’Arsenale, dette a conoscere nel settimanale La Politica Comica una caricatura in cui si vede Liborio (Pantalone, n.d.t.) e Don Luciano. Il primo, affamato e smunto porta una cinta nera nell’avambraccio sinistro in segno di lutto: rappresenta il popolo cubano. Don Luciano, euforico, soddisfatto, ben vestito è il simbolo del magnate creolo o straniero. Dice la didascalia: “Ho bloccato Liborio...qualcosa si cucca/gli ho cambiato la capra con la mucca”.
Per la sua voracità di fronte ai soldi che José Miguel sapeva condividere coi suoi accoliti, Torriente in calce a un altro disegno scrisse: “Il pescecane, si bagna però spruzza”, frase che rimase nella storia come ritratto del presidente e che l’astuto e sagace capetto liberale, dice il giornalista Manuel Márquez Sterling, non prese mai con acredine.

Dichiarato deserto

Il 20 luglio del 1910 il Congresso approvava la legge che permetteva lo scambio dei terreni e gli edifici dell’Arsenale per quelli di  Villanueva, due giorni dopo autorizzava il Potere Esecutivo a che disponesse il credito di un milione di pesos per la costruzione del Palazzo Presidenziale nello spazio che occupò la stazione di Villanueva. Il 27, il Presidente della Repubblica, mediante decreto, creava la commissione che avrebbe redatto le basi per il concorso internazionale che si sarebbe convocato per trovare il progetto del Palazzo.
La giuria che avrebbe valutato i progetti concorrenti sarebbe stato presieduto dal Ministro delle Opere Pubbliche e lo avrebbero conformato professori della Scuola di Architettura dell’Univerisità Nazionale e il Direttore della Scuola di Pittura e Scultura di San Alejandro, l’Ingegnere in capo della città, l’Ingegnere capo delle negoziazioni di costruzioni Civili e Militari delle Opere Pubbliche e altri funzionari, tutti architetti o ingegneri. Si presentarono 23 progetti, proposti da professionisti di diverse nazionalità che gareggiavano con nomignoli che nscondevano la vera identità.
La riunione della giuria per esaminare i materialo presentati ebbe luogo il 15 di aprile del 1911. Dopo una rigorosa revisione, 19 di questi 23 materiali vennero eliminati, più perché gli mancava la descrizione che doveva accompagnarli più per non essere inclusi nel preventivo o per non aver tenuto in conto la clausola di base, mentre altri venivano squalificati essendo tacciati di “assurdi” dalla giuria.
Quattro progetti passarono alla seconda fase. La giuria tornò a valutarli per. In definitiva, dichiarare deserto il concorso, Nessuno dei quattro progetti finalisti rspondeva alla base del presupposto.
José Miguel che lascerà la presidenza il 28 gennaio del 1913, voleva a tutti i costi un palazzo e pensava, suppone lo scriba, che premurava il problema, non solo perché lo avrebbe lasciato pronto al termine del suo mandato, ma anche perché forse avrebbe potuto goderne. Perciò, mediante Decreto del 1° luglio del 1911, incaricò il Segretario delle Opere Pubbliche e l’Ingegnere capo delle Costruzioni Civili e Miliatari, della stessa Segreteria, perché congiuntamente al Segretario di Istruzione Pubblica e delle Belle Arti, studiassero di nuovo i quattro progetti finalisti e informassero quale di essi riunisse le migliori condizioni e poteva essere accettato anche vi si dovesse apportare qualche modifica. Richiesta che fu immediatamente accettata e il giurato “studiò con detenimento e coscienziosamente per oltre due ore” i quattro progetti e si decise unanimente per quello presentato dagli Architetti Eugenio Ranyeri Sorrentino e Eugenio Ranyeri Piedra che aveva concorso con il “nome” di La Repubblica. José Miguel, mediante Decreto del 7 agosto, convalidò la decisione della giuria e dispose che si ponesse all’asta pubblica l’appalto dell’opera con un costo massimo di 985.000 pesos. Rimase chiaro nel Decreto che nell’asta si dette prelazione ai Ranyeri, ai quali, se non accettassero parteciparvi, sarebbe stato retribuito il loro progetto d’accordo al valore stabilito dai tre giurati che lo selezionarono.
Giunse così l’asta. Il 5 Gennaio del 1912, su proposta del nuovo Segretario delle Opere Pubbliche, si aggiudicava l’opera ai signori Ranyeri, padre e figlio. Entrambi avrebbero assunto la costruzione del Palazzo Presidenziale che avrebbe sostituito la residenza del Capo dello Stato e lo studio ufficiale e gli ufficci dell’Esecutivo, al posto del vecchio edificio dei Capitani Generali, nella Piazza d’Armi, utilizzato da Tomás Estrada Palma, nostro primo presidente, durante il suo mandato e che utilizzava anche il generale Máximo, secondo in grado al comando della nazione.
Il Governo designò l’architetto Hilario del Castillo come ispettore dell’opera e come ausiliare e questi nominò l’architetto Farncisco Centurión Maceo.
Il palazzo presidenziale avrebbe avuto 100 metri di fronte e 70 di profondità.

Degna dell’Avana

Intanto, nei terreni del vecchio Arsenale si edificava la Stazione Centrale delle Ferrovie, giusto all’intersezione delle calles Arsenal e Egido con la fronte su questa. La facciata si apre su una piazza in porfido di 33 x 66 metri e chiusa per un’inferriata su base di cemento con lampioncini in ogni colonna.
L’Empresa de los Ferrocariles Unidos nell’edificarla si compromise a costruire un edificio degno della città dell’Avana.  Così si costituì un’impresa negli Stati Uniti, La Habana Terminal Co., iscritta a Kittery, Maine col fine di offrire le facilità adeguate e stabilire all’Avana uina stazione moderna. Per quello gli Stati Uniti contrattarono l’architetto nordamericano Kenneth Mckenzie Murchison che aveva ottenuto fame al realizzare la stazione Pennsylvania a Baltimora ed aver progettato altre stazioni per diverse imprese ferroviarie dell’Unione.
L’Imprescindibile Juan de las Cuevas, nel suo libro 500 años de construcciones en Cuba, la cataloga come di severo stile di rinascimento spagnolo. Consta di quattro piani racchiusi a entrambi i lati da torrioni che si elevano per 38 metri sul livello della strada, costruiti in acciaio e cemento armato e adornati con terracotta e piastrelle che ricordano, dicono gli specialisti, alla Giralda di Siviglia e che ancora oggi servono come elementi di orientazione nella città.
L’edificio che fu dichiarato Monumento Nazionale, esibisce nella sua facciata 77 finestroni.conta anche di balconi interni, Al primo piano ci sono le sale d’attesa, il ristorante e gli sportelli, così come uno scomparso ufficio postale e di telegrafo. Questo piano è decorato con colonne rivestite di marmo. I tre piani superiori li occupavano gli uffici dell’impresa ferroviaria.
La piattaforma consta di quattro coperture sui binari che davano accesso alle otto vie per i treni di passaggio. I marciapiedi di carico erano all’est della stazione. L’accesso dei treni di passaggio si effettuava lungo un viadotto di oltre un chilometro che si è sempre chiamato La Sopraelevata  che arriva dalla fine dell’Arsenale fino al ponte di Agua Dulce. I cortili di carico occupano un’area di 140.000 metri quadrati e hanno due grandi magazzini costruiti in acciaio.
Questa stazione si inaugurò il 30 novembre del 1912 come cntro di operazioni de los Ferrocarriles Unidos e de La Habana Central Railroad. Il giorno stesso della sua inaugurazione, Villanueva chiuse per sempre le sue porte. La cerimonia d’inaugurazione cominciò alle 14.45. A quest’ora partì l’ultimo treno dalla stazione di Villanueva col seguente percorso: Ciénaga-Palatino-Jesús del Monte-Hacendados-Elevados de la Calle Fábrica-Nueva Estación.
Erano trascorsi esattamente tre quarti di secolo da quando la ferrovia arrivò a Bejucal e 74 anni del suo arrivo a Güines. Nel libro Impresiones de la República de Cuba si rende conto che nella nuova stazione circolò, per la prima volta al mondo, un treno mosso da batterie di accumulatori che trasportó gli invitati dal deposito di Villanueva.
Nello stesso anno si collocava, negli antichi terreni di Villanueva, la prima pietra dell’edificio che il maggior generale José Miguel Gómez voleva destinare a  Palazzo Presidenziale.
Cominciarono i lavori di edificazione e proseguirono il loro corso normale fino a che il maggior generale Mario García Menocal che aveva sostituito José Miguel alla presidenza della Repubblica, diede ordine di fermarsi. Menocal che usava la Quinta Durañona, a Marianao, come Palazzo Presidenziale d’estate, aveva intenzione di costruire il nuovo palazzo dell’Esecutivo nella Quinta de los Molinos, dove aveva avuto sede la casa di riposo dei generali spagnoli e dispose che quello già costruito nell’isolato formato dalle calles Ptrado Industria, Dragones e San José si adattasse a Palazzo del Congresso, sede del parlamento bicamerale.
Così lo vedremo domenica prossima.
(con documentazione dell’Ingegnere Luis Díaz)
Continua

Los terrenos del Capitolio (II)
Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu

19 de Septiembre del 2015

Como vimos la semana pasada, en la segunda mitad de 1909 el presidente liberal José Miguel Gómez se propuso hacer realidad el viejo anhelo de los habaneros de sacar la estación de trenes de Villanueva de la manzana enmarcada por las calles Dragones, Prado, Industria y San José, una zona que se iba convirtiendo en una de las mejores y mejor cotizadas de La Habana.
Para hacerlo posible cedió a la empresa británica de los Ferrocarriles Unidos, propietaria de Villanueva, los terrenos e instalaciones del viejo Arsenal, que se extendían desde los almacenes San José hasta las áreas del propio Arsenal, ocupada por The Havana Central Railway Co., y desde el litoral hasta la calle Factoría, donde se emplazaría la terminal central de ferrocarriles. Los terrenos de Villanueva, donde a la postre se edificó el Capitolio, los quería José Miguel para erigir el palacio Presidencial.

La chiva por la vaca

Aunque se trataba de un cambio que beneficiaría a la ciudad, la buena intención enmascaraba un negocio turbio. El Arsenal estaba valorado en unos cinco millones de pesos mientras que Villanueva no pasaba de dos millones. El dinero que se movería bajo cuerda, en comisiones y sobornos, «bañaría» al carismático político espirituano y «salpicaría» a sus conmilitones.
El escribidor aludió antes al duelo irregular en que se enfrascaron, en plena vía pública, dos legisladores por las opiniones contrarias que vertieron en el Congreso en cuanto al proyecto de canje; enfrentamiento en que uno de esos parlamentarios resultó muerto. Parte de la prensa capitalina hizo una oposición formidable al intento del cambio de terrenos. Fue así que Ricardo de la Torriente, bajo el título de El canje del Arsenal, dio a conocer en el semanario La Política Cómica una caricatura en la que se ve a Liborio y a Don Luciano. El primero, famélico y raído, lleva una cinta negra en el antebrazo izquierdo en señal de luto: representa al pueblo cubano. Don Luciano, eufórico, satisfecho, bien vestido, es el símbolo del magnate criollo o foráneo. Dice al pie del cartón: «He trabado a Liborio… algo se saca. / Ya le cambié la chiva por la vaca».
Por su voracidad ante el dinero, que José Miguel sabía compartir con sus acólitos, Torriente, en el pie de otro dibujo, escribió: «Tiburón, se baña pero salpica», frase que quedó en la historia como retrato del mandatario y que el astuto y sagaz caudillo liberal, dice el periodista Manuel Márquez Sterling, jamás tomó con acritud.

Declarado Desierto

El 20 de julio de 1910 el Congreso aprobaba la ley que posibilitaba la permuta de los terrenos y los edificios del Arsenal por los de Villanueva, y dos días después autorizaba al Poder Ejecutivo a que dispusiera de un crédito de un millón de pesos para la construcción del Palacio Presidencial en el espacio que ocupó la estación de Villanueva. El 27, el Presidente de la República, mediante decreto, creaba la comisión que redactaría las bases del concurso internacional que se convocaría para buscar el proyecto del Palacio.
El jurado que evaluaría los planos concursantes estaría presidido por el Secretario (ministro) de Obras Públicas, y lo conformarían profesores de la Escuela de Arquitectura de la Universidad Nacional, el Director de la Escuela de Pintura y Escultura San Alejandro, el ingeniero jefe de la ciudad, el ingeniero jefe del negociado de Construcciones Civiles y Militares de Obras Públicas y otros funcionarios, todos arquitectos o ingenieros. Se presentaron 23 proyectos, remitidos por profesionales de diversas nacionalidades que contendieron bajo lemas que ocultaban sus nombres.
La reunión del jurado para examinar los materiales presentados tuvo lugar el 15 de abril de 1911. Luego de una rigurosa revisión, 19 de esos 23 materiales quedaron eliminados, bien porque les faltaba la memoria que debía acompañarlos, por no ajustarse al presupuesto o por no haber tomado en cuenta determinada cláusula de las bases, mientras otros quedaban descalificados al ser tachados de «absurdos» por el jurado.
Cuatro proyectos pasaron a una segunda ronda. El jurado volvió a valorarlos para, en definitiva, declarar desierto el premio. Ninguno de los cuatro trabajos finalistas se ajustaba en propiedad a las bases del certamen.
José Miguel, que cesaría en la presidencia el 28 de enero de 1913, quería un palacio a toda costa y pensaba, supone el escribidor, que si apuraba el asunto no solo lo dejaría listo al cesar su mandato, sino que tal vez pudiera disfrutarlo. Por eso, mediante Decreto del 1ro. de julio de 1911, encargó al Secretario de Obras Públicas y al ingeniero jefe del negociado de Construcciones Civiles y Militares de la propia Secretaría para que, en unión del Secretario de Instrucción Pública y Bellas Artes, estudiaran de nuevo los cuatro proyectos finalistas e informasen cuál de ellos reunía mejores condiciones y podía ser aceptado, aunque para poderlo ejecutar hubiera que introducirle modificaciones.
Consigna el acta que el jurado «estudió detenida y concienzudamente durante más de dos horas» los cuatro proyectos y se decidió de manera unánime por el que remitieron los arquitectos Eugenio Rayneri Sorrentino y Eugenio Rayneri Piedra, que había concursado bajo el lema de La República. José Miguel, mediante Decreto de 7 de agosto, validó la decisión del jurado y dispuso que se sacase a pública subasta la ejecución de la obra dentro del costo máximo de 985 000 pesos. Quedó asentado en el Decreto que en dicha subasta se les concediera derecho de tanteo a los Rayneri, a quienes, de no aceptar adjudicarse la ejecución de la obra, les sería retribuido su proyecto de acuerdo con la valoración que de él hicieran los tres jurados que lo seleccionaron.
Llegó así la subasta. El 5 de enero de 1912, a propuesta del nuevo secretario de Obras Públicas, se adjudicaba la obra a los señores Rayneri, padre e hijo. Ambos asumirían la construcción del Palacio Presidencial que sustituiría, como residencia del jefe del Estado y despacho oficial y oficinas del Ejecutivo, al viejo Palacio de los Capitanes Generales, en la Plaza de Armas, utilizado por Tomás Estrada Palma, nuestro primer presidente, durante su mandato, y que utilizaba asimismo el general José Miguel Gómez, segundo mandatario de la nación.
Designó el Gobierno al arquitecto Hilario del Castillo como inspector de las obras, y como auxiliar de este nombró al arquitecto Francisco Centurión Maceo.
El Palacio Presidencial tendría cien metros de frente y 70 de fondo.

Digna de La Habana

Mientras tanto, en terrenos del viejo Arsenal se edificaba la Estación Central de Ferrocarriles, justo en la intersección de las calles Arsenal y Egido, con frente sobre esta. La fachada se abre sobre una plaza de adoquines de 33 por 66 metros y cerrada por una verja de hierro y cemento con farolas en cada una de las columnas.
La empresa de los Ferrocarriles Unidos al acometerla se comprometió a construir una edificación nueva y digna para una ciudad como La Habana. Así, se constituyó una empresa en Estados Unidos, La Havana Terminal Co., inscrita en Kittery, Maine, con el fin de ofrecer facilidades adecuadas y establecer en La Habana una estación moderna. Para ello los ferrocarriles contrataron al arquitecto norteamericano Kenneth Mckenzie Murchison, que había obtenido fama al realizar la estación Pennsylvania, en Baltimore, y haber proyectado otras estaciones para diversas empresas ferroviarias de la Unión.
El imprescindible Juan de las Cuevas, en su libro 500 años de construcciones en Cuba, la cataloga como de severo estilo renacimiento español. Consta de cuatro pisos rematados a ambos lados por dos torreones que se elevan 38 metros sobre el nivel de la calle, construidos de acero y hormigón armado y adornados con terracota y azulejos que recuerdan, dicen especialistas, a la Giralda de Sevilla y que todavía hoy sirven de elementos orientadores en la ciudad.
El edificio, que fue declarado Monumento Nacional, exhibe en su fachada 77 ventanales. Cuenta asimismo con balcones interiores. En el primer piso están las salas de espera, el restaurante y las taquillas, así como una desaparecida oficina de correos y telégrafos. Esa planta está decorada con columnas revestidas de mármol. Los tres pisos altos los ocupaban oficinas de la empresa ferroviaria.
La plataforma consta de cuatro sotechados dobles sobre los andenes que daban acceso a ocho vías para trenes de pasaje. Los andenes de carga se encontraban al este de la estación. El acceso de los trenes de pasaje se efectuaba por un viaducto de más de un kilómetro, al que siempre se llamó El Elevado, que llega desde el final del Arsenal hasta el puente de Agua Dulce. Los patios de carga ocupan un área de 140 000 metros cuadrados y tienen dos grandes almacenes construidos de acero.
Esta terminal se inauguró el 30 de noviembre de 1912 como centro de operaciones de los Ferrocarriles Unidos y de la Havana Central Railroad. El mismo día de su inauguración, Villanueva cerró sus puertas para siempre. La ceremonia de inauguración comenzó a las 2:45 de la tarde. A esa hora salió el último tren de la Estación de Villanueva con el siguiente recorrido: Ciénaga-Palatino-Jesús del Monte-Hacendados-Elevados de la Calle Fábrica-Nueva Estación.
Habían transcurrido exactamente tres cuartos de siglo desde que el ferrocarril había llegado a Bejucal y 74 años de su arribo a Güines. En el libro Impresiones de la República de Cuba se da cuenta de que en la inauguración de la nueva terminal circuló por primera vez en el mundo un tren movido por baterías de acumuladores, que transportó a los invitados desde el depósito de Villanueva.
En el mismo año se colocaba, en los antiguos terrenos de Villanueva, la primera piedra del edificio que el mayor general José Miguel Gómez quería destinar a Palacio Presidencial.
Comenzaron los trabajos de edificación y siguieron su curso normal hasta que el mayor general Mario García Menocal, que había sustituido a José Miguel en la presidencia de la República, ordenó su paralización. Menocal, que usaba de la Quinta Durañona, en Marianao, como Palacio Presidencial de verano, tenía la intención de construir el nuevo palacio del Ejecutivo en la Quinta de los Molinos, donde había radicado la casa de descanso de los capitanes generales españoles, y dispuso que lo ya construido en la manzana enmarcada por las calles Prado, Industria, Dragones y San José se adaptara para Palacio del Congreso, sede del parlamento bicameral.
Así lo veremos el próximo domingo.
(Con documentación del ingeniero Luis Díaz)
Continuará.



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