Come abbiamo visto la
settimana scorsa, nella seconda metà del 1909 il presidente liberale José
Miguel Gómez si è proposto di fare realtà di un vecchio desiderio degli avaneri
di togliere la stazione ferroviaria di Villanueva dall’isolato compreso fra Dragones,
Prado, Industria e San José, una zona che si stava convertendo in una delle
migliori e più quotate dell’Avana.
Per renderlo possibile
cedette alla britannica de los Ferrocarriles Unidos, proprietaria di
Villanueva, le installazioni e i terreni del vecchio Arsenale che si
allungavano dai magazzini San José fino all’area del medesimo Arsenale,
occupata dal TheHabana Railway Co e dal litorale fino alla calle Factoría, dove
si sarebbe piazzato il terminal centrale delle ferrovie. I terreni di Villanueva,dove
nel futuro si edificò il Capitolio, José Miguel li voleva per erigervi il
palazzo Presidenziale.
La
capra per la mucca
Nonostante si trattasse di
un cambio che beneficiava la città, la buona intenzione mascherava un affare
torbido. L‘Arsenale era valutato in circa 5 milioni do pesos, mentre Villanueva
non superava i due milioni. Il denaro che si muovesse sottobanco, tra
commissioni e corruzioni, avrebbe “bagnato” il carismatico politico spirituano
e “schizzato” i suoi commilitoni.
Lo scriba descrisse
precedentementeil duello irregolare in cui si affrontarono in piena pubbblica
via due legislatori per via delle opinioni opposte che proposero al Congresso
con relazione al progetto di scambio, scontro in cui uno dei parlamentari morì.
Parte della stampa
capitalina fece un’opposizione formidabile al tentativo di scambio dei terreni.
Fu così che Ricardo de la Torriente, con i titolo de Il cambio dell’Arsenale,
dette a conoscere nel settimanale La Politica Comica una caricatura in cui si
vede Liborio (Pantalone, n.d.t.) e Don Luciano. Il primo, affamato e smunto
porta una cinta nera nell’avambraccio sinistro in segno di lutto: rappresenta
il popolo cubano. Don Luciano, euforico, soddisfatto, ben vestito è il simbolo
del magnate creolo o straniero. Dice la didascalia: “Ho bloccato
Liborio...qualcosa si cucca/gli ho cambiato la capra con la mucca”.
Per la sua voracità di
fronte ai soldi che José Miguel sapeva condividere coi suoi accoliti, Torriente
in calce a un altro disegno scrisse: “Il pescecane, si bagna però spruzza”,
frase che rimase nella storia come ritratto del presidente e che l’astuto e
sagace capetto liberale, dice il giornalista Manuel Márquez Sterling, non prese
mai con acredine.
Dichiarato
deserto
Il 20 luglio del 1910 il
Congresso approvava la legge che permetteva lo scambio dei terreni e gli
edifici dell’Arsenale per quelli di
Villanueva, due giorni dopo autorizzava il Potere Esecutivo a che
disponesse il credito di un milione di pesos per la costruzione del Palazzo
Presidenziale nello spazio che occupò la stazione di Villanueva. Il 27, il
Presidente della Repubblica, mediante decreto, creava la commissione che
avrebbe redatto le basi per il concorso internazionale che si sarebbe convocato
per trovare il progetto del Palazzo.
La giuria che avrebbe
valutato i progetti concorrenti sarebbe stato presieduto dal Ministro delle
Opere Pubbliche e lo avrebbero conformato professori della Scuola di
Architettura dell’Univerisità Nazionale e il Direttore della Scuola di Pittura
e Scultura di San Alejandro, l’Ingegnere in capo della città, l’Ingegnere capo
delle negoziazioni di costruzioni Civili e Militari delle Opere Pubbliche e
altri funzionari, tutti architetti o ingegneri. Si presentarono 23 progetti,
proposti da professionisti di diverse nazionalità che gareggiavano con
nomignoli che nscondevano la vera identità.
La riunione della giuria per
esaminare i materialo presentati ebbe luogo il 15 di aprile del 1911. Dopo una
rigorosa revisione, 19 di questi 23 materiali vennero eliminati, più perché gli
mancava la descrizione che doveva accompagnarli più per non essere inclusi nel
preventivo o per non aver tenuto in conto la clausola di base, mentre altri
venivano squalificati essendo tacciati di “assurdi” dalla giuria.
Quattro progetti passarono
alla seconda fase. La giuria tornò a valutarli per. In definitiva, dichiarare
deserto il concorso, Nessuno dei quattro progetti finalisti rspondeva alla base
del presupposto.
José Miguel che lascerà la
presidenza il 28 gennaio del 1913, voleva a tutti i costi un palazzo e pensava,
suppone lo scriba, che premurava il problema, non solo perché lo avrebbe
lasciato pronto al termine del suo mandato, ma anche perché forse avrebbe
potuto goderne. Perciò, mediante Decreto del 1° luglio del 1911, incaricò il
Segretario delle Opere Pubbliche e l’Ingegnere capo delle Costruzioni Civili e
Miliatari, della stessa Segreteria, perché congiuntamente al Segretario di
Istruzione Pubblica e delle Belle Arti, studiassero di nuovo i quattro progetti
finalisti e informassero quale di essi riunisse le migliori condizioni e poteva
essere accettato anche vi si dovesse apportare qualche modifica. Richiesta che
fu immediatamente accettata e il giurato “studiò con detenimento e
coscienziosamente per oltre due ore” i quattro progetti e si decise unanimente
per quello presentato dagli Architetti Eugenio Ranyeri Sorrentino e Eugenio
Ranyeri Piedra che aveva concorso con il “nome” di La Repubblica. José Miguel,
mediante Decreto del 7 agosto, convalidò la decisione della giuria e dispose
che si ponesse all’asta pubblica l’appalto dell’opera con un costo massimo di
985.000 pesos. Rimase chiaro nel Decreto che nell’asta si dette prelazione ai
Ranyeri, ai quali, se non accettassero parteciparvi, sarebbe stato retribuito
il loro progetto d’accordo al valore stabilito dai tre giurati che lo
selezionarono.
Giunse così l’asta. Il 5
Gennaio del 1912, su proposta del nuovo Segretario delle Opere Pubbliche, si
aggiudicava l’opera ai signori Ranyeri, padre e figlio. Entrambi avrebbero
assunto la costruzione del Palazzo Presidenziale che avrebbe sostituito la
residenza del Capo dello Stato e lo studio ufficiale e gli ufficci
dell’Esecutivo, al posto del vecchio edificio dei Capitani Generali, nella
Piazza d’Armi, utilizzato da Tomás Estrada Palma, nostro primo presidente,
durante il suo mandato e che utilizzava anche il generale Máximo, secondo in
grado al comando della nazione.
Il Governo designò
l’architetto Hilario del Castillo come ispettore dell’opera e come ausiliare e
questi nominò l’architetto Farncisco Centurión Maceo.
Il palazzo presidenziale
avrebbe avuto 100 metri di fronte e 70 di profondità.
Degna
dell’Avana
Intanto, nei terreni del
vecchio Arsenale si edificava la Stazione Centrale delle Ferrovie, giusto
all’intersezione delle calles Arsenal e Egido con la fronte su questa. La
facciata si apre su una piazza in porfido di 33 x 66 metri e chiusa per
un’inferriata su base di cemento con lampioncini in ogni colonna.
L’Empresa de los
Ferrocariles Unidos nell’edificarla si compromise a costruire un edificio degno
della città dell’Avana. Così si costituì
un’impresa negli Stati Uniti, La Habana Terminal Co., iscritta a Kittery, Maine
col fine di offrire le facilità adeguate e stabilire all’Avana uina stazione
moderna. Per quello gli Stati Uniti contrattarono l’architetto nordamericano
Kenneth Mckenzie Murchison che aveva ottenuto fame al realizzare la stazione
Pennsylvania a Baltimora ed aver progettato altre stazioni per diverse imprese
ferroviarie dell’Unione.
L’Imprescindibile Juan de
las Cuevas, nel suo libro 500 años de
construcciones en Cuba, la cataloga come
di severo stile di rinascimento spagnolo. Consta di quattro piani racchiusi a
entrambi i lati da torrioni che si elevano per 38 metri sul livello della
strada, costruiti in acciaio e cemento armato e adornati con terracotta e
piastrelle che ricordano, dicono gli specialisti, alla Giralda di Siviglia e
che ancora oggi servono come elementi di orientazione nella città.
L’edificio che fu dichiarato
Monumento Nazionale, esibisce nella sua facciata 77 finestroni.conta anche di
balconi interni, Al primo piano ci sono le sale d’attesa, il ristorante e gli
sportelli, così come uno scomparso ufficio postale e di telegrafo. Questo piano
è decorato con colonne rivestite di marmo. I tre piani superiori li occupavano
gli uffici dell’impresa ferroviaria.
La piattaforma consta di
quattro coperture sui binari che davano accesso alle otto vie per i treni di
passaggio. I marciapiedi di carico erano all’est della stazione. L’accesso dei
treni di passaggio si effettuava lungo un viadotto di oltre un chilometro che
si è sempre chiamato La Sopraelevata che
arriva dalla fine dell’Arsenale fino al ponte di Agua Dulce. I cortili di
carico occupano un’area di 140.000 metri quadrati e hanno due grandi magazzini
costruiti in acciaio.
Questa stazione si inaugurò
il 30 novembre del 1912 come cntro di operazioni de los Ferrocarriles Unidos e
de La Habana Central Railroad. Il giorno stesso della sua inaugurazione,
Villanueva chiuse per sempre le sue porte. La cerimonia d’inaugurazione
cominciò alle 14.45. A quest’ora partì l’ultimo treno dalla stazione di Villanueva
col seguente percorso: Ciénaga-Palatino-Jesús del Monte-Hacendados-Elevados de
la Calle Fábrica-Nueva Estación.
Erano trascorsi esattamente
tre quarti di secolo da quando la ferrovia arrivò a Bejucal e 74 anni del suo
arrivo a Güines. Nel libro Impresiones
de la República de Cuba si rende conto che nella nuova stazione circolò,
per la prima volta al mondo, un treno mosso da batterie di accumulatori che
trasportó gli invitati dal deposito di Villanueva.
Nello stesso anno si
collocava, negli antichi terreni di Villanueva, la prima pietra dell’edificio
che il maggior generale José Miguel Gómez voleva destinare a Palazzo Presidenziale.
Cominciarono i lavori di
edificazione e proseguirono il loro corso normale fino a che il maggior
generale Mario García Menocal che aveva sostituito José Miguel alla presidenza
della Repubblica, diede ordine di fermarsi. Menocal che usava la Quinta
Durañona, a Marianao, come Palazzo Presidenziale d’estate, aveva intenzione di
costruire il nuovo palazzo dell’Esecutivo nella Quinta de los Molinos, dove
aveva avuto sede la casa di riposo dei generali spagnoli e dispose che quello
già costruito nell’isolato formato dalle calles Ptrado Industria, Dragones e
San José si adattasse a Palazzo del Congresso, sede del parlamento bicamerale.
Così lo vedremo domenica
prossima.
(con
documentazione dell’Ingegnere Luis Díaz)
Continua
Los terrenos del Capitolio
(II)
19 de Septiembre del 2015
Como vimos la
semana pasada, en la segunda mitad de 1909 el presidente liberal José Miguel
Gómez se propuso hacer realidad el viejo anhelo de los habaneros de sacar la
estación de trenes de Villanueva de la manzana enmarcada por las calles
Dragones, Prado, Industria y San José, una zona que se iba convirtiendo en una
de las mejores y mejor cotizadas de La Habana.
Para hacerlo
posible cedió a la empresa británica de los Ferrocarriles Unidos, propietaria
de Villanueva, los terrenos e instalaciones del viejo Arsenal, que se extendían
desde los almacenes San José hasta las áreas del propio Arsenal, ocupada por
The Havana Central Railway Co., y desde el litoral hasta la calle Factoría,
donde se emplazaría la terminal central de ferrocarriles. Los terrenos de
Villanueva, donde a la postre se edificó el Capitolio, los quería José Miguel
para erigir el palacio Presidencial.
La chiva por la vaca
Aunque se
trataba de un cambio que beneficiaría a la ciudad, la buena intención
enmascaraba un negocio turbio. El Arsenal estaba valorado en unos cinco
millones de pesos mientras que Villanueva no pasaba de dos millones. El dinero
que se movería bajo cuerda, en comisiones y sobornos, «bañaría» al carismático
político espirituano y «salpicaría» a sus conmilitones.
El escribidor
aludió antes al duelo irregular en que se enfrascaron, en plena vía pública,
dos legisladores por las opiniones contrarias que vertieron en el Congreso en
cuanto al proyecto de canje; enfrentamiento en que uno de esos parlamentarios
resultó muerto. Parte de la prensa capitalina hizo una oposición formidable al
intento del cambio de terrenos. Fue así que Ricardo de la Torriente, bajo el
título de El canje del Arsenal, dio a conocer en el semanario La Política
Cómica una caricatura en la que se ve a Liborio y a Don Luciano. El primero,
famélico y raído, lleva una cinta negra en el antebrazo izquierdo en señal de
luto: representa al pueblo cubano. Don Luciano, eufórico, satisfecho, bien
vestido, es el símbolo del magnate criollo o foráneo. Dice al pie del cartón:
«He trabado a Liborio… algo se saca. / Ya le cambié la chiva por la vaca».
Por su
voracidad ante el dinero, que José Miguel sabía compartir con sus acólitos,
Torriente, en el pie de otro dibujo, escribió: «Tiburón, se baña pero salpica»,
frase que quedó en la historia como retrato del mandatario y que el astuto y
sagaz caudillo liberal, dice el periodista Manuel Márquez Sterling, jamás tomó
con acritud.
Declarado Desierto
El 20 de julio
de 1910 el Congreso aprobaba la ley que posibilitaba la permuta de los terrenos
y los edificios del Arsenal por los de Villanueva, y dos días después
autorizaba al Poder Ejecutivo a que dispusiera de un crédito de un millón de
pesos para la construcción del Palacio Presidencial en el espacio que ocupó la
estación de Villanueva. El 27, el Presidente de la República, mediante decreto,
creaba la comisión que redactaría las bases del concurso internacional que se
convocaría para buscar el proyecto del Palacio.
El jurado que
evaluaría los planos concursantes estaría presidido por el Secretario
(ministro) de Obras Públicas, y lo conformarían profesores de la Escuela de
Arquitectura de la Universidad Nacional, el Director de la Escuela de Pintura y
Escultura San Alejandro, el ingeniero jefe de la ciudad, el ingeniero jefe del
negociado de Construcciones Civiles y Militares de Obras Públicas y otros funcionarios,
todos arquitectos o ingenieros. Se presentaron 23 proyectos, remitidos por
profesionales de diversas nacionalidades que contendieron bajo lemas que
ocultaban sus nombres.
La reunión del
jurado para examinar los materiales presentados tuvo lugar el 15 de abril de
1911. Luego de una rigurosa revisión, 19 de esos 23 materiales quedaron
eliminados, bien porque les faltaba la memoria que debía acompañarlos, por no
ajustarse al presupuesto o por no haber tomado en cuenta determinada cláusula
de las bases, mientras otros quedaban descalificados al ser tachados de
«absurdos» por el jurado.
Cuatro
proyectos pasaron a una segunda ronda. El jurado volvió a valorarlos para, en
definitiva, declarar desierto el premio. Ninguno de los cuatro trabajos
finalistas se ajustaba en propiedad a las bases del certamen.
José Miguel,
que cesaría en la presidencia el 28 de enero de 1913, quería un palacio a toda
costa y pensaba, supone el escribidor, que si apuraba el asunto no solo lo
dejaría listo al cesar su mandato, sino que tal vez pudiera disfrutarlo. Por
eso, mediante Decreto del 1ro. de julio de 1911, encargó al Secretario de Obras
Públicas y al ingeniero jefe del negociado de Construcciones Civiles y
Militares de la propia Secretaría para que, en unión del Secretario de
Instrucción Pública y Bellas Artes, estudiaran de nuevo los cuatro proyectos
finalistas e informasen cuál de ellos reunía mejores condiciones y podía ser
aceptado, aunque para poderlo ejecutar hubiera que introducirle modificaciones.
Consigna el
acta que el jurado «estudió detenida y concienzudamente durante más de dos
horas» los cuatro proyectos y se decidió de manera unánime por el que
remitieron los arquitectos Eugenio Rayneri Sorrentino y Eugenio Rayneri Piedra,
que había concursado bajo el lema de La República. José Miguel, mediante
Decreto de 7 de agosto, validó la decisión del jurado y dispuso que se sacase a
pública subasta la ejecución de la obra dentro del costo máximo de 985 000
pesos. Quedó asentado en el Decreto que en dicha subasta se les concediera
derecho de tanteo a los Rayneri, a quienes, de no aceptar adjudicarse la
ejecución de la obra, les sería retribuido su proyecto de acuerdo con la
valoración que de él hicieran los tres jurados que lo seleccionaron.
Llegó así la
subasta. El 5 de enero de 1912, a propuesta del nuevo secretario de Obras
Públicas, se adjudicaba la obra a los señores Rayneri, padre e hijo. Ambos
asumirían la construcción del Palacio Presidencial que sustituiría, como
residencia del jefe del Estado y despacho oficial y oficinas del Ejecutivo, al
viejo Palacio de los Capitanes Generales, en la Plaza de Armas, utilizado por
Tomás Estrada Palma, nuestro primer presidente, durante su mandato, y que
utilizaba asimismo el general José Miguel Gómez, segundo mandatario de la nación.
Designó el
Gobierno al arquitecto Hilario del Castillo como inspector de las obras, y como
auxiliar de este nombró al arquitecto Francisco Centurión Maceo.
El Palacio
Presidencial tendría cien metros de frente y 70 de fondo.
Digna de La Habana
Mientras
tanto, en terrenos del viejo Arsenal se edificaba la Estación Central de
Ferrocarriles, justo en la intersección de las calles Arsenal y Egido, con
frente sobre esta. La fachada se abre sobre una plaza de adoquines de 33 por 66
metros y cerrada por una verja de hierro y cemento con farolas en cada una de
las columnas.
La empresa de
los Ferrocarriles Unidos al acometerla se comprometió a construir una
edificación nueva y digna para una ciudad como La Habana. Así, se constituyó
una empresa en Estados Unidos, La Havana Terminal Co., inscrita en Kittery,
Maine, con el fin de ofrecer facilidades adecuadas y establecer en La Habana
una estación moderna. Para ello los ferrocarriles contrataron al arquitecto
norteamericano Kenneth Mckenzie Murchison, que había obtenido fama al realizar
la estación Pennsylvania, en Baltimore, y haber proyectado otras estaciones
para diversas empresas ferroviarias de la Unión.
El
imprescindible Juan de las Cuevas, en su libro 500 años
de construcciones en Cuba, la cataloga como de severo estilo
renacimiento español. Consta de cuatro pisos rematados a ambos lados por dos
torreones que se elevan 38 metros sobre el nivel de la calle, construidos de
acero y hormigón armado y adornados con terracota y azulejos que recuerdan, dicen
especialistas, a la Giralda de Sevilla y que todavía hoy sirven de elementos
orientadores en la ciudad.
El edificio,
que fue declarado Monumento Nacional, exhibe en su fachada 77 ventanales.
Cuenta asimismo con balcones interiores. En el primer piso están las salas de
espera, el restaurante y las taquillas, así como una desaparecida oficina de
correos y telégrafos. Esa planta está decorada con columnas revestidas de
mármol. Los tres pisos altos los ocupaban oficinas de la empresa ferroviaria.
La plataforma
consta de cuatro sotechados dobles sobre los andenes que daban acceso a ocho
vías para trenes de pasaje. Los andenes de carga se encontraban al este de la
estación. El acceso de los trenes de pasaje se efectuaba por un viaducto de más
de un kilómetro, al que siempre se llamó El Elevado, que llega desde el final
del Arsenal hasta el puente de Agua Dulce. Los patios de carga ocupan un área
de 140 000 metros cuadrados y tienen dos grandes almacenes construidos de
acero.
Esta terminal
se inauguró el 30 de noviembre de 1912 como centro de operaciones de los
Ferrocarriles Unidos y de la Havana Central Railroad. El mismo día de su
inauguración, Villanueva cerró sus puertas para siempre. La ceremonia de
inauguración comenzó a las 2:45 de la tarde. A esa hora salió el último tren de
la Estación de Villanueva con el siguiente recorrido: Ciénaga-Palatino-Jesús
del Monte-Hacendados-Elevados de la Calle Fábrica-Nueva Estación.
Habían
transcurrido exactamente tres cuartos de siglo desde que el ferrocarril había
llegado a Bejucal y 74 años de su arribo a Güines. En el libro Impresiones de la República de Cuba se da cuenta
de que en la inauguración de la nueva terminal circuló por primera vez en el
mundo un tren movido por baterías de acumuladores, que transportó a los invitados
desde el depósito de Villanueva.
En el mismo
año se colocaba, en los antiguos terrenos de Villanueva, la primera piedra del
edificio que el mayor general José Miguel Gómez quería destinar a Palacio
Presidencial.
Comenzaron los
trabajos de edificación y siguieron su curso normal hasta que el mayor general
Mario García Menocal, que había sustituido a José Miguel en la presidencia de
la República, ordenó su paralización. Menocal, que usaba de la Quinta Durañona,
en Marianao, como Palacio Presidencial de verano, tenía la intención de
construir el nuevo palacio del Ejecutivo en la Quinta de los Molinos, donde
había radicado la casa de descanso de los capitanes generales españoles, y
dispuso que lo ya construido en la manzana enmarcada por las calles Prado, Industria,
Dragones y San José se adaptara para Palacio del Congreso, sede del parlamento
bicameral.
Así lo veremos
el próximo domingo.
(Con
documentación del ingeniero Luis Díaz)
Continuará.
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