Pubblicato su Juventud Rebelde del 25/10/15
Il lettore Gustavo Muñoz Ricardo chiede informazioni sullo scomparso
zuccherificio Toledo e sul suo proprietario. Secondo The Gilmore; Manual azucarero de Cuba (1954), a questa data questa
industria aveva una capacità di raffinazione
di 450.000 “arrobas” di canna da terreni propri e controllati, raccoglieva
il 60% di quello che raffinava. Il suo proprietario era Manuel Aspuru San
Pedro, presidente della Compaña Azucarera central Toledo. Aspuru era padrone di
più di una fabbrica di zucchero, fra di esse il Central Fajardo (150.000
arrobas) in Gabriel, antica provincia de La Habana e il Providencia a Güines
con una macinatura quotidiana di 220.000 arrobas (1 arroba = 14.7 kg., n.d.t.).
Lo zuccherificio Providencia si fondò
nel 1800 da don Francisco de Arango y Parreño, il cosiddetto “statista senza
stato” ed eminenza grigia della saccarocrazia creola.
Gli uffici di questa fabbrica risiedevano in Mercaderes 113 nell’Avana
Vecchia. Tutte sotto la guida di Aspuru, direttore dell’Associazione Nazionale
dei Possidenti Agricoli di Cuba edell’Istituto Cubano di stabilizzazione dello
Zucchero che giunse a presiedere e portavoce della direzione dell’Associazione
Cubana di Raffinatori di Zucchero. Inoltre possedeva negozi di ferramenta e la
Compaa Licorera Cubana, produttrice di liquori e rum. Pioniere nella fabbrica
di carta a partire dagli scarti della canna, era azionista della Antillana de
Acero e di Cabillas Cubanas, padrone di varie imprese di assicurazione e
secondo maggior azionista del Banco Financiero, di propriet di Julio Lobo.
Era anche proprietario di Hotelera del Oeste che costruir a Barlovento
(attuale Marina Hemingway) un hotel destinato a turisti di maggior potere
acquisitivo. Fu membro della giunta direttiva dell’Istituto Culturale Cubano
Nordamericano, benefattore dell’Accademia della Storia di Cuba e manteneva
quasi totalmente la Scuola Elettromeccanica del collegio di Belén, con circa
600 alunni. Appassionato di yacht, sotto la sua presidenza l’Havana Yacht Club
liquidò la totalità dei suoi debiti e divvenne vincitore di tutte le regate e
gare sportive a cui partecipò. Guillermo Jiménez, nel suo libro Los propietarios de Cuba, mette Manuel
Aspuru San Pedro fra gli uomini più ricchi del Paese.
Lo zuccherificio Toledo era l’unica fabbrica di zucchero che si trovava
nel perimetro della capitale, esattamente a Marianao e nel 1958, si considerava
come il più antico degli zuccherifici conosciuti, come dice il già citato
Guillermo Jiménez, “c’è costanza dell’esistenza in luogo di uno zuccherificio
dal 2 dicembre del 1675”. Diego Franco de Castro, direttore del coro
ecclesiastico, lo fondò con il nome di San Andrés. Nel 1762, Juana Sotolongo
comprò la tenuta e vi stabilì lo zuccherificio Nuestra Señora del Carmen che
nel 1783 apparve come proprietà di Gabriel González de Álamo, i cui eredi lo
mantennero fino al XIX secolo.
Poi fu proprietà del conte di Santovenia. Passsò per altre mani e nel
1858 lo acquisirono Francisco Durañona, José Pascual de Goicochea e Antonio
Tuero, ma questa societò si dissolse nel 1865 e Durañon rimase come
proprietario unico. Fu lui a dargli il nome Toledo che è il suo luogo di
nascita. Gli eredi di Durañona lo vendettero nel 1909 a Juan Aspuru, ferramenta
– uno dei proprietari della sinistrata ferramenta Isasi – che prima aveva
comprato il 51% delle azioni dello zuccherificio Providencia. Alla morte di
Aspuru padre, nel 1917, i suoi beni passarono alla vedova e ai suoi quattro
figli, ma fu Manuel ad assumere l’amministrazione della fortuna di famiglia.
Acquisisce, allora, la totalità delle azioni dello zuccherificio Providencia e
nel 1934 compra lo zuccherificio Fajardo. Nel 1940 installa uno dei primi
impianti per la carta dai residui della canna e una fabbrica di caramelle.
Nel febbraio del 1955, in occasione della sua venuta a Cuba, Richard
Nixon allora vice presidente degli USA, visita lo zuccherificio su invito di
Aspuru che fu il suo anfitrione per diversi giorni. Dopo la vittoria della
Rivoluzione, il Toledo passerà a chiamarsi Manuel Martínez Prieto, nome di un
dirigente operaio di questa fabbrica detenuto dalle forze repressive della
dittatura batistiana il 5 marzo del 1958 e assassinato dopo essere stato
sottoposto a orribili torture.
Madrecita sì, ma di chi?
Il dottor Rafael Borroto Chao discrepa dallo scriba quando disse che
Osvaldo Farrés compose Madrecita in
omaggio a sua madre che non ha potuto mai ascoltarla in quanto sorda come una
campana. Nell’opinione dell’attento corrispondente, Farrés dedicò questa
melodia, nel 1950, a Regla Socarrás, madre di Carlos Prío, allora presidente
della nazione. Doña Regla che morì nel 1959 all’Avana e fu tumulata nel
pantehon di famiglia nel cimitero di Colón, ostentava i gradi di capitana
dell’Esercito Liberatore. Era sorella del colonnello Carlos Socarrás, la cui
morte nel 1896, fu motivo di una sentita lettera di condoglianze del maggior
generale Antonio Maceo.
Non è questo, quello che afferma Cristóbal Díaz Ayala, musicografo
cubano residente a Portorico, autore de La
música cubana; del areito al rap e Si
te quieres por el pico divertir, fra altri titoli. Consultato al rispetto
dallo scriba rispose:
“In un’intervista, Farrés mi ha raccontato che glie la ispirò sua madre.
Lei non poteva goderne, essendo sorda, ma leggeva il testo e commentava a suo
figlio che doveva essere molto bella, perché vedeva l’espressione delle persone
che l’ascoltavano...”.
Scuola di giornalismo
Jossie, firma così semplicemente il suo messaggio elettronico, è
confusa.
Ha letto nella mia pagina del 4 di ottobre scorso che Rafael Pegudo,
fotografo del giornale El Mundo, era stato professore della Scuola di
Giornalismo Manuel Márquez Sterling e si è trovata sconcertata leggendo, in quegli
stessi giorni che la Sacuola di Giornalismo dell’Università dell’Avana compiva
50 anni di fondazione. Scrive: “Mi domandavo dove studiò quella moltitudine di
buoni giornalisti che visse e lavorò prima del ’59...Adesso lei mi torna a
seminare lo stesso dubbio, dove studiavano i giornalisti prima del ’59 se la
Scuola ha 50 anni?”.
La risposta è ovvia. Sono due scuole e una lunga storia che cercherò di
semplificare. L’Associazione dei Reporters dell’Avana fu fondata il 14 aprile
del 1902. Naque poverissima, in Gloria 44, in questa capitale e con soli 23
membri. Crebbe poco a poco grazie allo sforzo dei suoi componenti, la spinta
della sua direzione e anche grazie all’appoggio statale all’iniziativa privata.
Ebbe il suo edificio sociale, una vera palazzina, nella calle Zulueta, vicino
alla caserma di pompieri, gestì con singolare successo le leggi che regolavano
il riposo domenicale, la pnesione e il salario minimo, così come procurò
l’assistenza medica e il ricovero ospedaliero a chi la necessitasse. Fra il
1941 e 1943 toccò la presidenza a Lisandro Otero Masdeu, redattore del giornale
El País che aprí una nuova tappa nella vita delle istituzioni giornalistiche
cubane. Organizzò il primo Congresso Nazionale dei Giornalisti, creò la la
Scuola Nazionale di Giornalismo Manuel Márquez Sterling e lavorò nella
congregazione giornalistica, quella di Otero fu un’epoca molto fruttifera per
il giornalismo nazionale. Al cessare la presidenza dei Reporters, Otero assunse
il decanato del Collegio nazionale dei Giornalisti che aveva creato egli
stesso. C’erano, allora, molte intrusioni e improvvisazione nel settore. Si
cercò di ponergli fine mediante la collegialità e due rami nutrirono le
iscrizioni alla Scuola: quello dei diplomati al liceo e quello dei giornalisti
in servizio che furono costretti a studiare.
A figure dell’intellettualità cubana, come Jorge Mañach che erano
collaboratori abituali della stampa, li si riconobbe come collegiati e altri
dovettero passare esami. Non pochi rimasero fuori del settore. Successerò così
fatti curiosi. Elio Constantín che sarà vice direttore del giornale Granma fu,
negli anni ’50, delegato del collegio nella rivista Carteles e in tale veste
comunicò a Raúl Corrales, allora collaboratore di detta pubblicazione, il suo
obbligo di iscriversi alla Scuola, se non lo avesse fatto cessava il suo
impegno di lavoro con la rivista. Corrale che era già il grande fotografo che
avrebbe continuato ad essere anche dopo ebbe, come alunno, la soddisfazione di
vedere che i suoi reportages si utilizzavano lì come materiale di studio e
riferimento.
Circa la Márquez Sterling, dove perfino i professori di stenografia
dovevano essere giornalisti in servizio, ci sono opinioni contrastanti non sono
pochi quelli che la glorificano e non sono meno quelli che gli negano
l’utilità. Non è questa la Scuola che ha compiuto da poco i 50 anni, ma quella
dell’Università che fu poi la Facoltà di Giornalismo e oggi è la Facoltà di
Comunicazione che i noi vecchi, continuiamo a chiamare Scuola di Giornalismo.
A Prado e Neptuno
Le pagine sul Paseo del Prado (11 e 18 di ottobre) aprirono la valvola della
memoria alla lettrice Alina Delgado Valdés, nipote di uno dei padroni del
ristorante Miami di Prado e Neptuno. Alina ricorda che da bambina accompagnava
suo nonno nelle visite ai proprietari di altri esercizi della zona, come il
galiziano José dello Sloppy Joe’s e a José María Pertierra, del ristorante El
Ariete, in Consulado e San Miguel dove, ricordava Eduardo Robreño, si elaborava
il miglior pollo con riso dell’Avana.
“Ho percorso di frequente il Paseo del Prado, mi impressionavano i suoi
leoni e i suo grandi alberi. Andavo con mia madre e mia nonna alla profumeria
Guerlain e con i miei genitori al Palazzo dell’Associazione dei Dipendenti del
Commercio dell’Avana e al Club dei Barmen”, riferisce Alina.
In Prado e Neptuno – vicino al marciapiede di destra quando si cammina
verso Galiano – ebbe sede il famoso Bodegón de Alonso, proprietà di Alonso
Álvarez de la Campa. Il soggetto era colonnello dei Volontari e uno dei
maggiori integralisti dell’epoca. Suo figlio si trovò coinvolto nel processo
degli studenti di Medicina, accusati di aver profanato nel cimitero di Espada,
la tomba del giornalista spagnolo Gonzalo Castañon e fu condannato a morte con
la fucilazione. Il padre volle salvargli la vita. Offrì, a costo di restare in
miseria, di dare tanto oro quanto pesasse suo figlio. Non poté salvarlo. Lì si
stabilì, successivamente il caffè Las Columnas dove, nell’estate del 1930 il
poeta García Lorca si entusiasmò con la spremuta di guanabana (frutto
tropicale, n.d.t.). Anni dopo, il 16 gennaio, il 16 gennaio del 1939, aprì le
sue porte in questo luogo un esercizio con funzione di ristorante, bar,
cantina-caffè e fonte di acqua effervescente. Si chiamerà Miami e la sua
proprietà fu stabilita definitivamente il 30 aprile del 1949 a nome di Manuel
Menéndez, Manuel Moreno e Antonio Valdés, il nonno materno di Alina. Antonio
Valdés che giunse all’Avana nel 1905, a 14 anni di età, lo istruì uno chéf
francese e lo si considerò, ai suoi tempi, fra i migliori per ciò che si
riferisce alla cucina internazionale. Non si sa perché, se per la sua statura o
perché a suo modo era un imperatore, ma il caso è vuole che colleghi e clienti
lo chiamavano Napoleone. Un Napoleone che non è quello dei francesi, né fu
politico o guerriero, ma lasciò la sua traccia nella cronaca gastronomica
avanera.
Napoleón cocinó en La
Habana
Ciro
Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
24 de Octubre del 2015 20:25:05 CDT
El lector Gustavo Muñoz Ricardo inquiere
información sobre el
desaparecido central Toledo y su propietario.
Según The Gilmore;
Manual azucarero de Cuba (1954), en esa fecha
tenía dicha industria
una capacidad de molida diaria de 450 000
arrobas de caña y, en
terrenos propios y controlados, cosechaba
el 60 por ciento de lo que
molía. Su propietario era Manuel Aspuru San
Pedro, presidente de la
Compañía Azucarera Central Toledo. Aspuru era
dueño de más de una
fábrica de azúcar, entre ellas, el central
Fajardo (150 000 arrobas)
en Gabriel, antigua provincia de La Habana, y el
Providencia, en
Güines, con una molida diaria de 220 000
arrobas. El central
Providencia se fundó en 1800 por don Francisco
de Arango y Parreño, el
llamado «estadista sin Estado» y eminencia gris
de la sacarocracia
criolla.
Las oficinas de esas fábricas radicaban en
Mercaderes 113, La Habana
Vieja. Todas bajo la dirección de Aspuru,
ejecutivo de la Asociación
Nacional de Hacendados de Cuba y del Instituto
Cubano de
Estabilización del Azúcar, que llegó a presidir,
y vocal de la
directiva de la Asociación Cubana de Refinadores
de Azúcar. Poseía
además negocios de ferretería y la Compañía
Licorera Cubana,
productora de licores y rones. Pionero en la
fabricación de papel a
partir del bagazo de caña, era accionista de la
Antillana de Acero y
de Cabillas Cubanas, dueño de varias firmas de
seguro, y el segundo
mayor accionista del Banco Financiero, propiedad
de Julio Lobo.
Propietario asimismo de Hotelera del Oeste, que
construiría en
Barlovento (actual Marina Hemingway) un hotel
destinado a turistas de
mayor poder adquisitivo. Fue miembro de la junta
directiva del
Instituto Cultural Cubano Norteamericano y
benefactor de la Academia
de la Historia de Cuba, y costeaba casi en su
totalidad la Escuela
Electromecánica del Colegio de Belén, con unos
600 alumnos. Entusiasta
yatista, bajo su presidencia el Havana Yacht
Club liquidó la totalidad
de sus deudas y salió triunfador en todas las
regatas y competencias
deportivas en las que participó. Guillermo
Jiménez, en su libro Los
propietarios de Cuba, ubica a Manuel Aspuru San
Pedro entre los
hombres más ricos del país.
El central Toledo era la única fábrica de azúcar
que se encontraba en
el perímetro de la capital, justamente en
Marianao, y en 1958 se le
tenía como el más antiguo de los centrales
conocidos pues, dice el ya
aludido Guillermo Jiménez, «hay constancia de la
existencia en el
lugar de un ingenio desde el 2 de diciembre de
1675». Diego Franco de
Castro, director del coro eclesiástico, lo funda
con el nombre de San
Andrés. En 1762, Juana Sotolongo compra la finca
y establece en ella
el ingenio Nuestra Señora el Carmen, que en 1783
aparece como
propiedad de Gabriel González del Álamo, cuyos
herederos lo mantienen
hasta el siglo XIX.
Luego fue propiedad del conde de Santovenia.
Pasa por otras manos y en
1858 lo adquieren Francisco Durañona, José
Pascual de Goicochea y
Antonio Tuero, pero esa sociedad se disuelve en
1865 y queda Durañona
como propietario único. Es él quien le da
el nombre de Toledo, que es
el del lugar donde nació. Los herederos de
Durañona lo venden en 1909
a Juan Aspuru, ferretero —uno de los
propietarios de la siniestrada
ferretería de Isasi— que antes había comprado el
51 por ciento de las
acciones del central Providencia. Al fallecer
Aspuru padre en 1917,
sus bienes pasan a la viuda y sus cuatro hijos,
pero es Manuel quien
asume la administración de la fortuna familiar.
Adquiere entonces la
totalidad de las acciones del Providencia y en
1934 compra el central
Fajardo. En 1940 establece una de las primeras
plantas de papel de
bagazo, y en 1940 una fábrica de caramelos.
En febrero de 1955, en ocasión de su
venida a Cuba, Richard Nixon,
entonces vicepresidente de EE.UU., visita el
central por invitación
de Aspuru, que fue su anfitrión durante varios días.
Tras el triunfo
de la Revolución, el Toledo pasa a llamarse
Manuel Martínez Prieto,
nombre de un dirigente obrero de esa fábrica
detenido por las fuerzas
represivas de la dictadura batistiana el 5 de
marzo de 1958 y
asesinado tras ser sometido a horribles
torturas.
Madrecita sí, pero ¿de quién?
El doctor Rafael Borroto Chao discrepa del
escribidor cuando dijo que
Osvaldo Farrés compuso Madrecita en homenaje a
su madre, que nunca
pudo escucharla porque era sorda como una tapia.
En opinión del atento
corresponsal, dicha melodía la dedicó Farrés, en
1950, a Regla
Socarrás, madre de Carlos Prío, entonces
presidente de la nación. Doña
Regla, que falleció en 1959 en La Habana y fue
inhumada en el panteón
familiar en el cementerio de Colón, ostentaba
los grados de capitana
del Ejército Libertador. Era hermana del coronel
Carlos Socarrás, cuya
muerte en 1896, motivó una sentida carta de
pésame del mayor general
Antonio Maceo.
No es eso lo que afirma Cristóbal Díaz Ayala,
musicógrafo cubano
radicado en Puerto Rico, autor de La música cubana; del areito al rap
y Si te
quieres por el pico divertir, entre otros títulos. Consultado
al respecto por el escribidor, respondió:
«En entrevista, Farrés me contó que se la
inspiró su madre. Ella no
podía disfrutarla, por ser sorda, pero leía la
letra y le comentaba a
su hijo que debía ser muy linda, porque veía la
expresión de las
personas que la escuchaban...».
Escuela
de periodismo
Jossie, firma así, a secas, su mensaje
electrónico, está confundida.
Leyó en mi página de 4 de octubre pasado que
Rafael Pegudo, fotógrafo
del periódico El Mundo, había sido profesor de
la Escuela del
Periodismo Manuel Márquez Sterling, y se
desconcertó al leer en esos
mismos días que la Escuela de Periodismo de la
Universidad de La
Habana cumplía 50 años de fundada. Escribe: «Me
preguntaba dónde
estudió aquella pléyade de buenos periodistas
que vivió y trabajó
antes del 59… Ahora usted me vuelve a sembrar la
misma duda, ¿dónde
estudiaban los periodistas antes del 59, si la
Escuela tiene 50
años?».
La respuesta es obvia. Son dos escuelas, y una
larga historia que
trataré de simplificar. La Asociación de
Reporteros de La Habana fue
fundada el 14 de abril de 1902. Nació pobrísima,
en Gloria 44, en esta
capital, y solo con 23 miembros. Creció poco a
poco gracias al tesón
de sus componentes y el empuje de su directiva,
y también gracias al
apoyo estatal y a la iniciativa privada. Tuvo su
edificio social, un
verdadero palacete, en la calle Zulueta, aledaño
al cuartel de
bomberos, y gestionó con singular éxito las
leyes que regularon el
descanso dominical, la jubilación y el sueldo
mínimo, así como procuró
la asistencia médica y la hospitalización al que
las necesitara. Entre
1941 y 1943 tocó presidirla a Lisandro Otero
Masdeu, redactor del
periódico El País, que abrió una nueva etapa en
la vida de las
instituciones periodísticas cubanas. Organizó el
primer Congreso
Nacional de Periodistas, creó la Escuela
Profesional de Periodismo
Manuel Márquez Sterling y trabajó en la
colegiación periodística. Fue
la de Otero una etapa muy fructífera para el
periodismo nacional. Al
cesar en la presidencia de los Reporters, Otero
asumió el decanato del
Colegio Nacional de Periodistas que él mismo
creara. Había hasta
entonces mucho intrusismo e improvisación en el sector.
Se le trató de
poner fin mediante la colegiación, y dos
vertientes nutrieron la
matrícula de la Escuela: la de los egresados de
Bachillerato y la de
periodistas en ejercicio a los que se les obligó
a estudiar.
A figuras de la intelectualidad cubana, como
Jorge Mañach, que eran
colaboradores habituales de la prensa, se les
reconoció como
colegiados, y otros tuvieron que evaluarse. No
pocos quedaron fuera
del sector. Sucedieron asimismo cosas curiosas.
Elio Constantín, que
sería subdirector del diario Granma, fue en los
años 50 delegado del
Colegio en la revista Carteles, y en calidad de
tal comunicó a Raúl
Corrales, colaborador entonces de dicha
publicación, su obligación de
matricular en la Escuela, pues si no lo hacía
cesaba su compromiso de
trabajo con la revista. Corrales, que era ya el
gran fotógrafo que
seguiría siendo después, tuvo, como alumno, la
satisfacción de ver que
sus reportajes se utilizaban allí como material
de estudio y
referencia.
Acerca de la Márquez Sterling, donde hasta los
profesores de
taquigrafía debían ser periodistas en ejercicio,
hay opiniones
encontradas. No son pocos quienes la glorifican
y no son menos los que
le niegan el pan y la sal. No es esa la Escuela
que recién cumplió 50
años, sino la de la Universidad, que fue después
la Facultad de
Periodismo y hoy es la Facultad de Comunicación,
a la que los más
viejos seguimos llamándole Escuela de
Periodismo.
A Prado Y
Neptuno
Las páginas sobre el Paseo del Prado (11 y 18 de
octubre) abrieron la
válvula de la memoria de la lectora Alina
Delgado Valdés, nieta de uno
de los dueños del restaurante Miami, en Prado y
Neptuno. Recuerda
Alina que de niña acompañaba al abuelo en sus
visitas a propietarios
de otros establecimientos de la zona, como al
gallego José, del Sloppy
Joe’s, y a José María Pertierra, del restaurante
El Ariete, en
Consulado y San Miguel, donde, recordaba Eduardo
Robreño, se elaboraba
el mejor arroz con pollo de La Habana.
«Recorrí a menudo el Paseo del Prado, me
impresionaban sus leones y su
gran arbolado. A la perfumería Guerlain iba con
mi madre y abuela, y
con mis padres al palacio de la Asociación de
Dependientes del
Comercio de la Habana y al Club de Cantineros»,
refiere Alina.
En Prado y Neptuno —acera de la derecha cuando
se camina rumbo a
Galiano— radicó el célebre Bodegón de Alonso,
propiedad de Alonso
Álvarez de la Campa. Era el sujeto coronel de
Voluntarios y uno de los
más furibundos integristas de su tiempo. Su hijo
se vio enredado en el
proceso de los estudiantes de Medicina, acusados
de haber profanado en
el cementerio de Espada la tumba del periodista
español Gonzalo
Castañón, y fue condenado a la pena de muerte
por fusilamiento. El
padre quiso salvarle la vida. Ofreció, aunque
quedara en la miseria,
dar a cambio de ella tanto oro como pesara su hijo.
No pudo salvarlo.
Allí se estableció luego el café Las Columnas,
donde, en el verano de
1930, el poeta García Lorca se entusiasmó con la
champola de
guanábana. Años más tarde, el 16 de enero de
1939, abrió sus puertas
en ese sitio un establecimiento con funciones de
restauración, bar,
café-cantina y fuente de soda. Se llamaría Miami
y su propiedad fue
asentada definitivamente el 30 de abril de
1949 a nombre de Manuel
Menéndez, Manuel Moreno y Antonio Valdés, el
abuelo materno de Alina.
A Antonio Valdés, que llegó a La Habana en 1905,
con 14 años de edad,
lo entrenó un chef francés y se le consideró en
su tiempo entre los
mejores en lo que a cocina internacional se
refería. No se sabe ya por
qué, si por su estatura o porque era un
emperador en lo suyo, pero el
caso es que colegas y clientes le llamaban
Napoleón. Un Napoleón que
no es el de los franceses, ni fue político ni
guerrero, pero dejó su
huella en la crónica gastronómica habanera.
Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
http://wwwcirobianchi.blogia.com/
http://cbianchiross.blogia.com/