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mercoledì 28 aprile 2021

Hemingway e la pesca al marlin

Fra poco, il 2 luglio, ricorrono 60 anni dal suicidio di Ernest Hemingway quando era prossimo al giorno del suo 62mo compleanno, il 21 dello stesso mese, nel suo ranch nell'Ohio. Il giorno prima ero arrivato al porto di New York, sbarcando al Pier 44, dal transatlantico Leonardo da Vinci al suo secondo viaggio. Papa’s, com’era conosciuto a Cuba, soffriva di una forte depressione probabilmente dovuta al riassunto della sua intensa vita fisica e intellettuale che lo aveva divorato dentro.

Poco tempo prima aveva scritto al suo grande amico, patron dello yacht “Pilar” che gli aveva lasciato in custodia, il canario naturalizzato cubano Gregorio Fuentes. Nella lettera diceva di essere amareggiato per paura di non poter scrivere a causa di un tumore maligno, peraltro mai diagnosticato e per questo preferiva dar fine alla sua esistenza. Gregorio lo raccontava a chi lo visitava a Cojimar, il paesello di pescatori alla periferia est dell’Avana che lo aveva accolto come un figlio. Il vecchio marinaio non mancava mai al suo appuntamento quotidiano col bar ristorante “La Terraza” dove sedeva nell’angolo che compartiva col suo compagno di pesca ed amico. Fra i tanti visitatori è toccato anche a me di andarci in più di una occasione dove ho avuto anche il piacere di conoscere Manolo, il cuoco che non era altri che il piccolo amico e confidente di Santiago, il protagonista de “Il vecchio e il mare” nella versione cinematografica magistralmente interpretata da Spencer Tracy, da qui l’adozione dello pseudonimo che uso nelle reti sociali e nel mio Blog.

Per ricordare il grande giornalista e scrittore ho pensato di tradurre un capitolo tratto dal libro “La Habana de Hemingway y otras historias” dell’amico Ciro Bianchi, forse lo scrittore più letto, oggi, a Cuba.

 

“Ernest Hemingway ha vissuto in questa casa gli ultimi 22 anni della sua vita. Quando si è installato nella “Finca Vigía”, a una trentina di minuti dal centro dell’Avana, era sul punto di concludere “Per chi suona la campana”. Nell’abbandonarla per sempre, aveva già percorso, come scrittore, il cammino della fama e meritato il Premio Nobel. Nella Finca sono rimasti, quindi, la sua Royal portatile, le tombe dei suoi cani, una cinquantina di gatti, i nove mila volumi che aveva raccolto nel corso della sua vita e che molti anni dopo fecero esclamare a Gabriel García Márquez: “Che biblioteca originale aveva quest’uomo!”

Hemingwy giunse a Cuba nella prima metà di aprile del 1928 assieme a Pauline Pfeiffer, la sua seconda moglie e quì fece il transito per andare a Key West dove terminó “Addio alle armi”. Tornò nel 1932 per pescare pesce spada nelle acque cubane. Nel 1933 tornò ancora e scrisse la sua prima cronaca con tema cubano. A partire da allora non sciolse più il vincolo con “quest’isola lunga, bella e sfortunata”, come citò Cuba ne “Verdi colline d’Africa”.

“Il vecchio e il mare” (1952) è per eccellenza il racconto “cubano” di Hemingway. Parte della trama del postumo “Isole nel Golfo” (1970) si svolge a Cuba. Anche in qualcuno dei suoi racconti e in moltissimi dei suoi articoli giornalistici si menziona Cuba. Lo scenario di “Avere e non avere” (1937) è un buona parte cubano.

In un’occasione espresse: “A Cuba mi sento come a casa; lì dove un uomo si sente come a casa, a parte il luogo dove nacque, è il posto in cui era destinato”.

Hemingway era, nella decade del ’30, un turista dalla sospetta reincidenza che ogni anno trascorreva a Cuba I mesi di maggio, giugno e luglio che sono i mesi del passo dei pesce spada.

Il suo primo rifugio avanero fu l’hotel Ambos Mundos, nella calle Obispo, molto vicina al porto. La camera, allora senza numero, di quella installazione dove alloggiò invariabilmente, si conserva intatta. Alle cinque del pomeriggio, dopo una giornata di pesca, Hemingway si chiudeva nella stanza, ordinava la cena e si metteva a scrivere: lo faceva a letto, a mano e poi dattilografava il suo manoscritto senza quasi introdurre correzioni. Nel 1958, nella sua celebre intervista con George Plimpton ricordava: “L’Ambos Mundos dell’Avana è stato un buon posto per lavorare”.

Dalla sua cronaca “La pesca del pesce spada all’altezza del Morro”, con la quale tornò al giornalismo dopo essersi allontanato da questa professione per oltre dieci anni, si conoscono non poche abitudini di quell’ospite dell’Ambos Mundos.

Dormiva con i piedi rivolti a levante; in questo modo quando il sole cominciava a colpirlo in faccia, lo obbligava a lasciare il letto. Dalla finestra adocchiava i dintorni: la Cattedrale, l’entrata del porto, Casablanca, i tetti delle case. La bandiera cubana che ondeggia sul Morro gli indicava la direzione del vento e  ricci di mare gli facevano scoprire se gli Alisei soffiavano dal primo mattino. Allora le condizioni erano favorevoli alla pesca del pesce spada e il narratore, dopo una doccia, si infilava un vecchio pantalone cachi una camicia qualunque, dei mocassini asciutti e scendeva a far colazione: un bichiere di acqua di Vichy, un altro di latte freddo e una fetta di pane, prima di dirigersi all’imbarcazione.

A volte in bermuda, con ciabattine basche, quasi sempre senza calze e con una camicia leggera, lo si vedeva camminare per la calle Obispo. Ne “Isole nel Golfo” evocò gli odori caratteristici di questa via: quello della farina immagazzinata in sacchi, quello della polvere di farina, quello delle casse d’imballaggio appena aperte, l’odore del caffé tostato “che era una sensazione più forte che quella di un sorso in mattinata”, il delizioso odore di tabacco…

Lo scrittore si trovava bene all’Ambos Mundos per la centralità della zona e la vicinanza al porto dove ormeggiava il suo yacht. Ma a Maria Gelhorn, la sua terza moglie, cominciava a dare fastidio la stanza anonima, spersonalizzata e la mancanza di riservatezza durante le visite degli amici del marito. Fu lei che cercò e trovò la Finca Vigía. A Hemingway, inizialmente, non piacque il posto: era troppo lontano dal Floridita.

Una buona parte di “Isole nel Golfo” si svolge in questo bar dell’Avana. In queste pagine del romanzo il lettore vede deambulare un personaggio che lo scrittore chiama Liliana l’onesta. Nella vita reale si chiamava Leopoldina, una prostituta mulatta che “faceva la vita” nel Floridita e che fu il grande amore cubano del romanziere. La ricordava ne “Isole nel Golfo”: “Aveva un bellisimo sorriso, degli occhi scuri meravigliosi, così come splendidi cpelli neri…Aveva una pelle liscia come un avorio color oliva, se questo avorio esistesse, con un leggero tono rosa…”

La Terraza, ristorante marino del paese di pescatori di Cojimar, fu all’Avana, un ‘altro dei luoghi preferiti da Hemingway. Nel Floridita si evidenzia il posto dove lo scrittore soleva sedersi, il primo sedile a sinistra del bancone e alla Terraza, il suo tavolo di sempre nell’angolo sinistro, vicino alla finestra.

“È molto gradevole stare quì” dice il protagonista di “Isole nel Golfo”, alludendo a la Terraza; e nello stesso romanzo descrive il daiquiri col suo colore e sapore esatti. “Bicchiere di acque superiori”, lo definiva Hemingway.

Nel 1949, in una cronaca, spiegò le ragioni della sua lunga residenza cubana. Naturalmente parlò della Corrente del Golfo “dove c’è la migliore e più abbondante pesca che ho visto in vita mia”; delle 18 qualità di mango che si raccoglievano nella sua proprietà, del suo allevamento di galli da combattimento…e aggiunse con indifferenza: “Uno vive in quest’Isola […] perché nel fresco del mattino si lavora meglio e con maggiori comodità che in qualunque altro posto”.

Lì conluse “Per chi suona la campana” e scrisse “Al di la del fiume, tra gli alberi”, “Il vecchio e il mare”, “Fiesta” e “Isole nel Golfo” oltre a un altro romanzo che lasció inconcluso: “Il Giardino dell’Eden”. Inoltre moltissimi articoli e cronache per pubblicazioni periodiche, fra di esse “Un’estate di sangue” riferita al confronto fra i toreri Antonio Ordoñez e Luis Miguel Dominguín ai quali presenziò in Spagna l’anno prima e che dicono i suoi biografi, ebbe molte difficoltà per terminarla.

“Io ho sempre avuto fortuna scrivendo a Cuba […] espresse in una lettera e poco dopo aver saputo di essere vincitore del Premio Nobel dichiarò in un’intervista: “Questo è un premio che appartiene a Cuba, perché la mia opera è stata pensata e creata a Cuba, con la mia gente di Cojimar di dove sono cittadino. Attraverso tutte le traduzioni è presente questa patria adottiva dove ho i miei libri e la mia casa.”

In una cronaca giornalistica del 1936, Hemingway raccontò in meno di 200 pariole la storia che avrebbe sviluppato, anni dopo, ne “Il vecchio e il mare”. Gli studi coincidono che si ispirò in un pescatore di Cojimar di nome Anselmo Hernández, cosa che non esclude che altri pescatori della zona apportassero elementi al suo personaggio. La storia del racconto è ben conosciuta, il suo senso ben evidente. Hemingway lo mette in bocca a Santiago, il protagonista; “L’uomo non è fatto per la sconfitta, l’uomo può essere distrutto, non sconfitto”. Lo scenario del racconto è il mare e la lotta del vecchio contro i pescecani che finiscono per strappargli il frutto della sua pesca, è quella dell’uomo per la sua vita. Lo scrittore dirà: “Ho cercato di descrivere un vecchio reale, un ragazzo reale, un mare reale, un pesce reale, dei pescecani reali, ma se li ho realizzati bene e sono sufficientemente reali possono significare molte cose. Quando si scrive bene e con sincerità di una cosa questa, dopo, significherà molte altre cose”. E aggiunse senza ambascia né modestia che “con il Vecchio e il mare è come se, finalmente, avessi dato espressione a tutto quello che ho perseguito nella vita”.

Scriveva in piedi, già negli ultimi anni, sulla pelle di un kudu perché cosi “pensavo con maggior chiarezza”. Si alzava presto e abbandonava il lavoro solo quando arrivava a un punto dove sapeva con certezza quello che sarebbe successo dopo. Raggiungere, in una giornata, circa 500 parole “pulite” per lui era soddisfacente e mai avrebbe messo in machina i passaggi più difficili, ma i dialoghi sì.

La Finca Vigía, dice García Márquez, fu l’unica casa veramente stabile che lo scrittore ebbe nella sua vita. Mary Wels, la sua quarta e ultima moglie mise, fin dove poté, ordine nella tenuta e nell’esistenza del romanziere. Siccome questi si lamentava di quanto lo importunassero I visitatori, Mary si occupò di far costurire la torre di tre piani annessa alla casa. L’ultimo piano sarebbe stato la stanza di lavoro di Hemingway. Egli salì un giorno e vi rimase un quarto d’ora durante il quale si impegnò, invano, a redigere una frase. Scese e non usò mai più quel luogo per scrivere. Commentò che non poteva resitere alla solitudine.

“Guardate come mi ammazzerò” diceva ai suoi amici nella Finca Vigía. Collocava il calcio del suo fucile Mannlicher Schoenauer 265 sul pavimento e appoggiava la canna sul palato. Poi premeva il grilletto con l’alluce di un piede, si sentiva uno scatto secco ed esclamava sorridente: “Questa è la tecnica del hara-kiri col fucile”.

Alla sua morte, all’Avana, si lesse il testamento di Hemingway. Fra gli altri lasciti trapassava la proprietà della Finca Vigía allo Stato Cubano. Il vechio scrittore, tanto restìo a ricevere altri scrittori a casa sua, volle che l’ambiente fungesse da luogo di riunione di giovani intellettuali e artisti e che lì funzionasse anche un centro per gli studi botanici. Fidel Castro che ammirava molto Hemingway e che lo conobbe personalmente durante uno dei tornei di pesca al pesce spada che lo scrittore organizzava, propose allora che la Finca si convertisse in museo, suggerimento che la vedova del narratore accettò.

Più che un museo, la Finca Vigía continua ad essere la casa di Hemingway. Anche vuota sembra, senza dubbio, piena di vita. Da l’impressione che il suo proprietario non sia morto, ma assente e che da un momento all’altro ritorni dal Floridita o da una battuta di caccia.

Quindi lascerà in qualche angolo la sua carabina e guarderà superficialmente la corrispondenza. In definitiva sul tavolo della biblioteca c’è un timbro di gomma che dice: “Io non scrivo mai lettere”. Ingerirà un sorso (“Un buon whisky è molto gradevole, è una delle cose più gradevoli dell’esistenza”) poi si collocherà davanti alla sua Royal portatile per proseguire il lavoro del raro a ambizioso romanzo che non è mai giunto a concludere.

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