Proseguono le riforme verso una "normalità" di Cuba, rispetto al resto del mondo. È stato annunciato che in breve, data non ancora stabilita, uscirà sulla Gaceta Oficial il decreto che autorizza i concessionari di auto a vendere liberamente ai privati. Secondo quanto annunciato la vendita verrà scaglionata lasciando la priorità a chi fosse già in possesso della lettera di autorizzazione prevista dalle vecchie norme, ma poi verrà aperto il flusso a chiunque possa e voglia acquistare una vettura sia nuova che usata, disponibile nelle agenzie di vendita. Verrà anche riaperta la possibilità di importazione, secondo regole non ancora note, per tutti i cittadini cubani o stranieri residenti in modo temporaneo o permanente e per le persone giuridiche.
Assieme a questa importante riforma, è stata annunciata anche l'apertura del primo mercato all'ingrosso per i prodotti agricoli. Vedrò di avere maggiori dettagli sulla sua ubicazione e il suo funzionamento.
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venerdì 20 dicembre 2013
giovedì 19 dicembre 2013
mercoledì 18 dicembre 2013
martedì 17 dicembre 2013
lunedì 16 dicembre 2013
Assegnati i premi Coral al Festival cinematografico dell'Avana
Il vincitore del Primo Premio Coral alla 35ma edizione del Festival avanero è stato il film messicano Heli di Amat Escalante mentre al secondo e terzo posto si sono classificati rispettivamente El lugar del hijo di Manuel Níeto (Uruguay) e Gloria di Sebastián Lelio (Cile) Miglior attrice è risultata essere l'ecuadoriana Vanesa Alvariño per la sua interpretazione in No robarás, a menos que no sea necesario , mentre il premio maschile è andato a Diego Peretti per La reconstrucción (Argentina). Un premio Coral alla carriera è stato assegnato all'attore cubano Reynaldo Miravalles, attualmente residente a Miami che è stato accolto con un'ovazione dal pubblico presente.
Il premio del pubblico è andato a Boccacerias habaneras di Arturo Soto per la sua satira del Decamerone in chiave caraibica che ha vinto anche per il miglior soggetto.
Il premio del pubblico è andato a Boccacerias habaneras di Arturo Soto per la sua satira del Decamerone in chiave caraibica che ha vinto anche per il miglior soggetto.
Il cadavere di Boca Ciega di Ciro Bianchi Ross, pubblicato su Juventud Rebelde del 15/12/13
Omicidio o suicidio? Emilio
Vicente Driggs che aveva sostituito la personalità dell’esploratore Ibeau I.
Monsi, capitano dell’esercito canadese, nato in Senegal, aveva ucciso la
giovane Dottoressa Aurora Méndez del Castillo che chiamava Miss Dawn per poi
bruciarne il cadavere e seppellirlo nella sabbia? O fu lei che pose fine alla
propria vita ed egli si limitò a inumarla per nasconderne i resti, non essere
coinvolto nella faccenda e cancellare indizi che potessero portare la polizia a
stabilire qualunque vincolo fra di loro?
Il fatto, all’epoca, non
poté essere chiarito del tutto e dopo i quasi 90 anni trascorsi da allora, il
cadavere di Boca Ciega, all’est dell’Avana, continua ad essere uno degli enigmi
più impenetrabili della cronaca rossa (gialla, nd.t.) cubana. Nonostante si
sapesse che il presunto Monsi uscì da Cuba col nome di Robert Moore, cittadino
nordamericano nato a Pasadena, scapolo di 35 anni e poi riapparì in California
come Pantaleón Ramos, nato nella Canarie, le autorità dell’Isola non giunsero
mai a mettergli le mani addosso e nemmeno hanno potuto comprovare la veridicità
del messaggio con cui il tale Pantaleón chiedeva al capitano Alfonso L. Fors,
capo della Polizia Giudiziaria cubana, a carico delle indagini, che smettesse
di perseguitarlo, diceva: orbene “anche se sono realmente il capitano Ibeau
Monsi, indicato come autore della morte di Aurora, è certo che mi sento
morire”. Quando si erano effettuate tutte le pratiche per la sua estradizione,
il presunto colpevole moriva per un’infezione laringea che lo aveva privato
della voce.
Tutto rimane nel campo delle
ipotesi. Si disse, allora, che il falso capitano e noto truffatore si innamorò
veramente della bella e intelligente giovane che conobbe nella città orientale
di Puerto Padre. Fu a causa di questo amore che decise di non nasconderle per
altro tempo la sua vera identità, raccontarle del suo soggiorno in carcere e
raccontarle il destino del vero capitano Monsi. Per rivelarle i suoi segreti
scelse, per tranquilla e appartata, la spiaggia di Boca Ciega, località che
avevano visitato anteriormente. Li si scatenò la tragedia perché, si disse
anche che davanti alle rivelazioni, la sfortunata Miss Dawn, lo affrontò con
durezza e lo minacciò di rivolgersi alla polizia. Decise quindi di ucciderla,
bruciare il cadavere e sparire dal luogo. Non mancarono, però quelli che
dissero che davanti alle confessioni del suo amante lei avrebbe visto la sua
vita distrutta e svanire i suoi sogni, quindi piena di dolore e paura per il
“cosa diranno”, decise di togliersi la vita dandosi fuoco. Il timore che lo
accusassero della morte della ragazza lo spinse a disfarsi del cadavere. Lo
seppellì nella sabbia a 50 metri dalla costa e ad altri 250 dalla casa più
vicina. Fu una sepoltura superficiale e per sfortuna del falso Monsi, i cani
randagi scoprirono il corpo e misero in vista le ossa che ne portarono alla
scoperta.
Elementi del posto della
Guardia Rurale di Guanabacoa assunsero il caso e al principio apportarono dati
utili e d’interesse, ma lo sconcertante del fatto e l’allarme che creò nella
società, fecero si che le investigazioni si affidassero alla Polizia
Giudiziaria. Il capitano Fors ebbe l’aiuto del detective Mariano Torrens.
Già da allora i forensi
assicuravano che si trattava del cadavere di una donna sconosciuta di età
compresa fra i 25 e 30 anni, della quale non potevano stabilire le cause della
morte. Si imponeva identificare la vittima e chiarire se si suicidò o se fu
oggetto di un crimine, al fine di trovare chi l’avesse uccisa, bruciata e
sepolta oppure se si fosse solo limitato a seppellirla dopo averla trovata
morta. L’idea del suicidio avrebbe potuto reggere di fronte al ritrovamento di
un corpo bruciato, ma l’inumazione del suo corpo calcificato supponeva
l’intenzione di nascondere un delitto. Fors e il suo aiutante conclusero che la
ragazza era stata uccisa in maniera brutale, bruciata e alla fine sepolta. Non
dubitarono quindi che dovevano cercare un assassino freddo e vile.
Chi
è la vittima? Chi è il suo assassino?
In breve si seppe che sette
giorni prima del ritrovamento dei resti, un tipo dalle strane apparenze aveva
proposto a Saturnino Gayón, proprietario della bottega la Viña di Guanabo, di
vendergli indumenti femminili. Chiese per loro 20 pesos dicendo di essere
necessitato di fare con urgenza la vendita perché era in procinto di fare un
viaggio d’esplorazione per le Antille. Nel ricevere i soldi, per
ringraziamento, donò al bottegaio due libri –Baldwin Headers Fourth Years- e ¿Quiere usted aprender el inglés sin maestro?- Nella loro pagina
iniziale, entrambi i volumi avevano questa dedica: “To Miss Dawn. From Captain
Ibeau Monsi. Cuba, Marzo 1924”.
Quello del capitano Ibeau
Monsi sembrò, alla polizia, uno pseudonimo più che un nome reale, ma dawn in
inglese significa “alba, inizio del giorno, aurora”. E con questa parola il
capitano Fors e il detective Torres intuirono che probabilmente era il nome
della donna uccisa.
Entrambi lavoravano giorno e
notte, senza tregua, senza trascurare il minimo indizio, senza scartare il
minimo sospetto. Aquilino López, proprietario di un ristorante vegetariano
nella calle Neptuno, mise a disposizione della polizia dettagli interessanti.
Mostrò lettere dirette a Monsi e firmate da una misteriosa Miss Dawn.
Rivelavano un amore appassionato, senza limiti. Mise le autorità sulla pista
giusta quando disse che si trattava di un capitano dell’esercito canadese nato
in Senegal e aggiunse che era un tipo che mangiava vegetali e dormiva sui
tetti. Disse anche che si era accomiatato perché sarebbe partito per l’America
Centrale.
Fors non ci mise molto a
constatare che Monsi e il gibarense Emilio Vicente Driggs erano la stessa
persona e tracciò la linea che lo portava verso Aurora Méndez del Castillo,
data per scomparsa. Ma a questo punto Monsi non poteva essere catturato. Era
uscito dall’Isola a bordo del vapore Cuba, dal molo dell’Arsenale, col nome di
Robert Moore, nordamericano.
Driggs, alias Monsi, lavorò
per la compagnia che operava le centrali zuccheriere Delicias e Chaparra.
Divenne macchinista, ma presto lo cacciarono dall’azienda come ladro. Vagò per
Banes, Antilla e Mayarí e in questa località rapì una bella minorenne che non
tardò ad abbandonare. La famiglia della ragazza lo denunciò. Riuscì a scappare,
ma lo giudicarono in contumacia. Si arruolò come marinaio in una nave da carico
e durante i cinque anni successivi viaggiò per il mondo, quasi sempre in navi
che trasportavano riso che toccavano l’India. Così apprese varie lingue,
specialmente l’inglese e anche il cinese. Tornò a Cuba nel 1920. Era un uomo
raffinato. Parlava spagnolo con accento e vestiva come un esploratore inglese.
Sfoggiava un casco bianco e portava al collo una macchina fotografica e un
binocolo. A Gibara, già col nome falso di Ibeu Monsi, tenne conferenze di
argomenti storici e geografici. Poco a poco ebbe un gruppo di ammiratori che ascoltavano
i suoi lunghi discorsi sulle sue avventure in Cina, Giappone, India e i Paesi
più remoti e che non sospettavano fosse gibarense come loro.
Un pomeriggio, sua madre lo
riconobbe in un parco e gli si gettò fra le braccia. Driggs la respinse e le
chiese in inglese da dove avesse tratto l’idea che fosse suo figlio. La
poveretta rimase stupefatta. Lei lo sapeva bene – lo sentiva – che quel giovane
era frutto del suo ventre, ma davanti al suo iroso diniego lasciò il parco con
gli occhi pieni di lacrime. Il fatto giunse alle orecchie delle autorità. Si
aprì una piccola investigazione e si inviò il falso esploratore a Santiago de
Cuba. Per il fatto della ragazza ingannata a Mayarí, La corte santiaghera lo
condannò a un anno, otto mesi e 21 giorni di prigione che scontò nel carcere
della città, oltre a pagare un indennizzazione di 200 pesos alla ragazza.
Il 14 ottobre del 1921,
Driggs usciva dal carcere e si trasferiva a Porto Padre. Tornava ad essere
l’esploratore Ibeu I. Monsi e una prestigiosa istituzione locale lo contrattò
per una conferenza. Un’ovazione scrosciante chiuse le sue parole. Una
rappresentanza delle classi in vista si premurò di complimentarsi con lui. Lo
invitarono al ballo che quella stessa sera si teneva alla Colonia Spagnola.
Monsi accettò l’invito, compiaciuto, ed alla festa si trasformò nella figura
centrale della serata. Fra le persone importanti presenti alla Colonia, faceva
spicco una giovane dai capelli neri e un sorriso adorabile. Monsi non le
toglieva gli occhi di dosso e qualcuno li presentò. Era Aurora, aveva 26 anni ed
era Dottoressa in Pedagogia all’Università dell’Avana dove studiava anche
Lettere e Filosofia. Parlava inglese e francese alla perfezione. Un vero
gioiellino. A partire da quel momento, Monsi si accaparrò Aurora per tutta la
festa e nei giorni successivi non perse le sue tracce, nonostante l’occhio
vigile di suo fratello, il Dottor Aurelio Méndez del Castillo, medico e poeta,
tutta una celebrità locale.
La relazione tra Monsi e
Aurora si fece sempre più profonda. Li si vedeva assieme sul molo che guarda
verso cayo Juan Claro o lungo la passeggiata che nasce vicino al Fuerte de la
Loma. A volte navigavano in barca lungo La Boca o Cascarero. Così, fino al
giorno in cui Monsi sparì da Porto Padre senza salutare e qualche ora dopo
spariva anche Aurora. Si sarebbero trovati all’Avana. Gli studi universitari
lasciavano alla ragazza il tempo sufficiente per trovarsi col suo amato,
dapprima in luoghi pubblici, con misura, per lasciarsi andare poi, in luoghi
isolati, ad una passione sfrenata.
Il
vero Ibeau I. Monsi
Tutto sembra indicare che
esistette un genuino capitano, esploratore dell’esercito canadese con questo
nome che giunse a conoscere Emilio Vicente Driggs quando, in viaggio di studi,
era diretto a Cuba su una nave inglese. Durante la traversata Driggs, con la
consueta abilità, riuscì a diventare intimo del capitano. Narra questa versione
che il vero capitano Monsi spiegó a Driggs i dettagli del suo viaggio: il
proposito che lo animava, i risultati che avrebbe ottenuto, senza dimenticare
la succulenta borsa in denaro con cui sarebbe stato ricompensato. Si dice che
ad un certo momento, approfittando delle ore piccole, Driggs strangolò il vero
capitano Monsi, smembrò il suo corpo e lo gettò dall’oblò della cabina. Prese la
sua uniforme e i suoi documenti, sbarcando a Cuba sostituendosi alla
persona dell’esploratore canadese.
È la versione di una
leggenda difficile da comprovare, ma chi può negare che Emilio Vicente Driggs
fosse sufficientemente malvagio per compiere un simile atto?
Se il presunto Monsi morì
sicuramente in California o si perse nel mondo della delinquenza internazionale,
è indubbio che si portò nella tomba la verità attorno al motivo e ai dettagli
della morte di Miss Dawn, fatto che cominciò a inquietare Cuba il 1° di agosto
del 1924. La uccise il falso Ibeu monsi o lei si suicidò dandosi fuoco ed egli
optò per seppellirla nelle allora isolate sabbie dI Boca Ciega?
C’è chi assicura di aver
visto il fantasma di una donna che, alcune notti, percorre le sabbie della
spiaggia. Se voi la vedete, chiedetele se è Aurora e ditele di raccontare i
dettagli della sua morte. Chissà che si degni di rispondere e ci tolga da ogni
dubbio.
(Con informazioni del Dottor Ismael Pérez Gutiérrez)
El cadáver de Boca Ciega
Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
14 de Diciembre del 2013 18:51:21 CDT
¿Asesinato o suicidio? ¿Mató Emilio Vicente Driggs, que había
suplantado la personalidad del explorador Ibeau I. Monsi, capitán del
ejército canadiense, nacido en Senegal, a la joven Doctora Aurora
Méndez del Castillo, a la que llamaba Miss Dawn, e incineró luego el
cadáver y lo enterró en la arena, o fue ella la que puso fin a su vida
y él se limitó a inhumarla para ocultar los restos, desmarcarse del
incidente y borrar indicios que pudieran llevar a la Policía a
establecer cualquier vínculo entre ellos?
El suceso, en su momento, no pudo ser esclarecido del todo, y a la
vuelta de los casi 90 años transcurridos desde entonces el cadáver de
la playa de Boca Ciega, al este de La Habana, sigue siendo uno de los
enigmas más impenetrables de la crónica roja cubana. Pese a que se
supo que el presunto Monsi salió de Cuba bajo el nombre de Robert
Moore, ciudadano norteamericano nacido en Pasadena, soltero y de 35
años de edad, y luego apareció en California como Pantaleón Ramos,
natural de Canarias, las autoridades de la Isla no alcanzaron nunca a
echarle el guante ni tampoco comprobaron la veracidad del mensaje en
que el tal Pantaleón pedía al capitán Alfonso L. Fors, jefe de la
Policía Judicial cubana, a cargo de las investigaciones, que dejara de
perseguirlo pues, decía, «aunque soy en verdad el capitán Ibeu Monsi,
señalado como autor de la muerte de Aurora, lo cierto es que me siento
morir». Cuando se habían corrido ya todos los trámites para su
extradición, el supuesto culpable fallecía de una afección laríngea
que lo había privado de la voz.
Todo queda en el campo de las suposiciones. Se dijo entonces que el
falso capitán y reconocido timador se enamoró verdaderamente de la
bella e inteligente joven a la que conoció en la ciudad oriental de
Puerto Padre. Fue en aras de ese amor que decidió no ocultarle por más
tiempo su verdadera identidad, relatarle sus estancias en la cárcel y
contarle del destino del verdadero capitán Monsi. Para revelarle sus
secretos escogió, por lo tranquilo y apartado del lugar, la playa de
Boca Ciega, paraje que habían visitado antes. Allí se desencadenaría
la tragedia porque, se dijo también, ante las revelaciones, la
infortunada Miss Dawn lo increpó con crudeza y lo amenazó con la
Policía. Optó entonces él por matarla, quemar el cadáver y esfumarse
del lugar. No faltaron, sin embargo, los que afirmaban que ella, fuera
de sí por las confesiones de su amante, viendo su vida deshecha y roto
su sueño y llena de pesar y miedo por el «qué dirán», decidió privarse
de la vida, incinerándose. El temor de que lo acusaran de la muerte de
la muchacha lo empujó a deshacerse del cadáver. Lo enterró en la
arena, a 50 metros de la costa y a otros 250 de la casa más próxima.
Fue un enterramiento superficial y, para la mala suerte del falso
Monsi, los perros jíbaros lo descubrieron y sacaron a la luz huesos
que condujeron al hallazgo del cadáver.
Elementos del puesto de la Guardia Rural de Guanabacoa asumieron el
caso en un inicio y aportaron indicios de interés y utilidad. Pero lo
desconcertante del suceso y la alarma que generó en la sociedad
hicieron que las investigaciones se confiaran a la Policía Judicial.
El capitán Fors se auxilió del detective Mariano Torrens.
Ya para entonces los forenses aseveraban que se trataba de los restos
de una mujer desconocida de entre 25 y 30 años de edad, de la que no
podían precisar cómo había muerto. Se imponía establecer la identidad
de la víctima y precisar si se suicidó o fue objeto de un crimen a fin
de encontrar al que mató a la muchacha, la incineró y la enterró, o al
que se limitó a inhumarla luego de encontrarla muerta. La idea del
suicidio hubiera podido justificarse frente al hallazgo de un cuerpo
quemado, pero la inhumación de su cuerpo calcinado pretendía de seguro
ocultar un delito. Fors y su ayudante concluyeron que la muchacha
había sido asesinada de manera brutal, quemada después y, por último,
enterrada. Entonces no dudaron que buscaban a un asesino frío y
cobarde.
¿Quién es la víctima? ¿Quién su asesino?
Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
14 de Diciembre del 2013 18:51:21 CDT
¿Asesinato o suicidio? ¿Mató Emilio Vicente Driggs, que había
suplantado la personalidad del explorador Ibeau I. Monsi, capitán del
ejército canadiense, nacido en Senegal, a la joven Doctora Aurora
Méndez del Castillo, a la que llamaba Miss Dawn, e incineró luego el
cadáver y lo enterró en la arena, o fue ella la que puso fin a su vida
y él se limitó a inhumarla para ocultar los restos, desmarcarse del
incidente y borrar indicios que pudieran llevar a la Policía a
establecer cualquier vínculo entre ellos?
El suceso, en su momento, no pudo ser esclarecido del todo, y a la
vuelta de los casi 90 años transcurridos desde entonces el cadáver de
la playa de Boca Ciega, al este de La Habana, sigue siendo uno de los
enigmas más impenetrables de la crónica roja cubana. Pese a que se
supo que el presunto Monsi salió de Cuba bajo el nombre de Robert
Moore, ciudadano norteamericano nacido en Pasadena, soltero y de 35
años de edad, y luego apareció en California como Pantaleón Ramos,
natural de Canarias, las autoridades de la Isla no alcanzaron nunca a
echarle el guante ni tampoco comprobaron la veracidad del mensaje en
que el tal Pantaleón pedía al capitán Alfonso L. Fors, jefe de la
Policía Judicial cubana, a cargo de las investigaciones, que dejara de
perseguirlo pues, decía, «aunque soy en verdad el capitán Ibeu Monsi,
señalado como autor de la muerte de Aurora, lo cierto es que me siento
morir». Cuando se habían corrido ya todos los trámites para su
extradición, el supuesto culpable fallecía de una afección laríngea
que lo había privado de la voz.
Todo queda en el campo de las suposiciones. Se dijo entonces que el
falso capitán y reconocido timador se enamoró verdaderamente de la
bella e inteligente joven a la que conoció en la ciudad oriental de
Puerto Padre. Fue en aras de ese amor que decidió no ocultarle por más
tiempo su verdadera identidad, relatarle sus estancias en la cárcel y
contarle del destino del verdadero capitán Monsi. Para revelarle sus
secretos escogió, por lo tranquilo y apartado del lugar, la playa de
Boca Ciega, paraje que habían visitado antes. Allí se desencadenaría
la tragedia porque, se dijo también, ante las revelaciones, la
infortunada Miss Dawn lo increpó con crudeza y lo amenazó con la
Policía. Optó entonces él por matarla, quemar el cadáver y esfumarse
del lugar. No faltaron, sin embargo, los que afirmaban que ella, fuera
de sí por las confesiones de su amante, viendo su vida deshecha y roto
su sueño y llena de pesar y miedo por el «qué dirán», decidió privarse
de la vida, incinerándose. El temor de que lo acusaran de la muerte de
la muchacha lo empujó a deshacerse del cadáver. Lo enterró en la
arena, a 50 metros de la costa y a otros 250 de la casa más próxima.
Fue un enterramiento superficial y, para la mala suerte del falso
Monsi, los perros jíbaros lo descubrieron y sacaron a la luz huesos
que condujeron al hallazgo del cadáver.
Elementos del puesto de la Guardia Rural de Guanabacoa asumieron el
caso en un inicio y aportaron indicios de interés y utilidad. Pero lo
desconcertante del suceso y la alarma que generó en la sociedad
hicieron que las investigaciones se confiaran a la Policía Judicial.
El capitán Fors se auxilió del detective Mariano Torrens.
Ya para entonces los forenses aseveraban que se trataba de los restos
de una mujer desconocida de entre 25 y 30 años de edad, de la que no
podían precisar cómo había muerto. Se imponía establecer la identidad
de la víctima y precisar si se suicidó o fue objeto de un crimen a fin
de encontrar al que mató a la muchacha, la incineró y la enterró, o al
que se limitó a inhumarla luego de encontrarla muerta. La idea del
suicidio hubiera podido justificarse frente al hallazgo de un cuerpo
quemado, pero la inhumación de su cuerpo calcinado pretendía de seguro
ocultar un delito. Fors y su ayudante concluyeron que la muchacha
había sido asesinada de manera brutal, quemada después y, por último,
enterrada. Entonces no dudaron que buscaban a un asesino frío y
cobarde.
¿Quién es la víctima? ¿Quién su asesino?
Pronto se supo que siete días antes del hallazgo de los restos, un
sujeto de rara presencia había propuesto a Saturnino Gayón,
propietario de la bodega La Viña, de Guanabo, varias piezas de vestir
de mujer. Pidió por ellas 20 pesos y manifestó que se veía urgido de
hacer aquella venta porque no demoraría en emprender un viaje de
exploración por las Antillas. Al recibir el dinero, en agradecimiento,
obsequió al bodeguero dos libros —Baldwins Headers Fourth Years y
¿Quiere usted aprender inglés sin maestro?—. En su página inicial,
ambos volúmenes llevaban esta dedicatoria: «To Miss Dawn. From Captain
Ibeu Monsi. Cuba, Marzo, 1924».
Lo de captain Ibeu Monsi pareció a la Policía un seudónimo más que un
nombre real, pero dawn, en inglés, significa «amanecer, comienzo del
día, aurora». Y en esa palabra sí repararon el capitán Fors y el
detective Torrens. Quizá Aurora fuese el nombre de la mujer asesinada.
Ambos detectives trabajaban sin descanso, día y noche, sin desdeñar
ningún posible indicio, sin descartar la más ligera sospecha. Aquilino
López, propietario de un restaurante vegetariano de la calle Neptuno,
puso detalles de interés en conocimiento de la Policía. Mostró cartas
y tarjetas dirigidas a Monsi y firmadas por la misteriosa Miss Dawn.
Revelaban un amor apasionado, sin fronteras. Puso a las autoridades en
la pista correcta cuando les dijo que se trataba de un capitán del
ejército canadiense nacido en Senegal. Y añadió que era un tipo que
comía vegetales y dormía en las azoteas. Dijo también que se había
despedido porque viajaría a Centroamérica.
Fors no demoró en constatar que Monsi y el gibareño Emilio Vicente
Driggs eran una sola persona y trazó la línea que lo llevaba hasta
Aurora Méndez del Castillo, reportada como desaparecida. Pero a esa
altura Monsi no podía ser capturado. A bordo del vapor Cuba había
salido de la Isla por el muelle del Arsenal, con el nombre de Robert
Moore, norteamericano.
Driggs, alias Monsi, trabajó para la compañía que operaba los
centrales Delicias y Chaparra. Se hizo maquinista, pero pronto lo
expulsaron de la empresa por ladrón. Vagó por Banes, Antilla y Mayarí
y en esta localidad raptó a una linda menor a la que no tardó en
abandonar. La familia de la muchacha lo denunció. Pudo escapar, pero
lo encausaron en rebeldía. Se enroló como tripulante en un barco de
carga y durante los cinco años siguientes viajó por el mundo, casi
siempre en buques dedicados al transporte de arroz que tocaban la
India. Así aprendió varios idiomas, especialmente el inglés y también
el chino. Regresó a Cuba en 1920. Era un hombre refinado. Hablaba el
español con acento y vestía como un explorador inglés. Se tocaba con
un casco blanco y llevaba al cuello una cámara fotográfica y unos
prismáticos. En Gibara, ya con el nombre falso de Ibeu Monsi,
pronunció conferencias sobre cuestiones históricas y geográficas.
Lentamente fue haciéndose de un grupo de admiradores que escuchaban
las largas peroratas sobre sus aventuras en China, Japón, la India y
los países más remotos sin sospechar que era tan gibareño como ellos.
Una tarde, la madre lo reconoció en el parque y corrió a echarse en
sus brazos. Driggs la rechazó y le preguntó en inglés que de dónde
sacaba ella que él era su hijo. La infeliz quedó estupefacta. Bien
sabía ella —lo sentía— que aquel joven era fruto de su vientre, pero
ante su airada negativa abandonó el parque con los ojos llenos de
lágrimas. El incidente llegó a oídos de las autoridades. Se abrió una
pequeña investigación y se remitió al falso explorador a Santiago de
Cuba. Por el asunto de la menor burlada en Mayarí, la audiencia
santiaguera lo condenó a un año, ocho meses y 21 días de prisión, que
cumpliría en la cárcel de la ciudad, y a indemnizar con 200 pesos a la
muchacha.
El 14 de octubre de 1921, Driggs salía de la cárcel y se trasladaba a
Puerto Padre. Volvía a ser el explorador Ibeu I. Monsi y una
prestigiosa institución cultural de la localidad lo contrataba para
una conferencia. Una cerrada ovación cerró sus palabras. Una
representación de las clases vivas se apresuró a felicitarlo. Lo
invitaron al baile que esa misma noche se ofrecía en la Colonia
Española. Aceptó Monsi la invitación, complacido y, ya en la fiesta,
se convirtió en la figura central de la noche. Entre las personas
relevantes que alternaban en la Colonia sobresalía una joven de pelo
negro y sonrisa adorable. Monsi no le quitaba el ojo y alguien los
presentó. Era Aurora. Tenía 26 años de edad, era Doctora en Pedagogía
por la Universidad de La Habana y estudiaba Filosofía y Letras en el
mismo centro docente. Hablaba inglés y francés a la perfección. Una
verdadera joyita. A partir de ahí, Monsi acaparó a Aurora durante toda
la fiesta, y, en los días sucesivos, no le perdió pie ni pisada, aun
bajo el ojo celoso de su hermano, el doctor Aurelio Méndez del
Castillo, médico y poeta, toda una celebridad local.
La relación entre Monsi y Aurora se hizo cada vez más profunda. Juntos
se les veía en el muelle que mira hacia el cayo Juan Claro o en el
paseo que nace cerca del Fuerte de la Loma. A veces navegaban en
lancha por La Boca o Cascarero. Así hasta que un día Monsi desapareció
de Puerto Padre sin despedirse y horas después desaparecía también
Aurora. Se encontrarían en La Habana. Sus estudios universitarios
dejaban a la muchacha tiempo suficiente para reunirse con su amado,
primero en lugares públicos, con mesura, para entregarse luego, en
parajes aislados, a una pasión desenfrenada.
El verdadero IBEU I. MONSI
Todo parece indicar que existió un genuino capitán explorador del
ejército canadiense con ese nombre. Y que llegó a conocer a Emilio
Vicente Driggs cuando, en viaje de estudios, se dirigía a Cuba en un
barco inglés. Durante la travesía Driggs, con su habilidad
característica, logró intimar con el capitán. Destaca esta versión que
el genuino capitán Monsi dio a Driggs los pormenores de su viaje: el
propósito que lo animaba, los resultados que obtendría, sin olvidar la
jugosa bolsa en metálico con que se le recompensaría. Se afirma que,
en cierto momento, aprovechándose de la madrugada, Driggs estranguló
al auténtico capitán Monsi, trucidó su cuerpo, lo echó por la
ventanilla del camarote, tomó su uniforme y su documentación y
desembarcó en Cuba, suplantando la personalidad del explorador
canadiense.
Es la versión de una leyenda difícil de comprobar. Pero, ¿quién niega
que Emilio Vicente Driggs tuviera suficiente maldad para realizar tal
hecho?
Si el supuesto Monsi falleció ciertamente en California o se perdió en
el mundo de la delincuencia internacional, es indudable que se llevó a
la tumba la verdad acerca del porqué y los pormenores de la muerte de
Miss Dawn, suceso que comenzó a inquietar a Cuba el 1ro. de agosto de
1924. ¿La mató el falso Ibeu Monsi o ella se suicidó, quemándose, y él
optó por enterrarla en las entonces solitarias arenas de Boca Ciega?
Hay quienes aseguran haber visto una fantasmagórica figura de mujer
que algunas noches recorre las arenas de la playa. Si usted la ve,
pregúntele si es Aurora y pídale que le cuente los detalles de su
muerte. Quizá se digne a responder y nos saque de dudas.
(Con información del Doctor Ismael Pérez Gutiérrez)
Ciro Bianchi Ross
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