Los repentistas, sono attori per lo più dilettanti e di origine contadina che recitano poemi, storie e racconti in versi e formano una ricca tradizione cubana. Il "nostro" poeta, scrittore, intellettuale e attore David Riondino, tornato dopo la sua recente visita in occasione della Settimana della Cultura Italiana, è responsabile di un gruppo che ha un progetto ambizioso: quello di portare un'opera, nientemeno che di Shakespeare, trasposta in chiave moderna e recitata dai repentistas in diversi Paesi europei, Italia compresa. Nel suo attuale soggiorno sta lavorando per abituare gli artisti locali a muoversi con disinvoltura e padronanza sulle scene. Come scenario delle prove, ha scelto un angolo appartato del litorale avanero dove arricchisce gli attori con la sua esperienza nel mestiere.
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venerdì 21 febbraio 2014
In vista modifiche alla legge sugli investimenti stranieri
Nei prossimi mesi è prevista l'approvazione di una nuova legge sugli investimenti stranieri, che in realtà non sarà proprio "nuova", ma conterrà sostanziali modifiche principalmente per la riesportazione degli utili sulla falsariga delle disposizioni della Zona franca del Mariel . Non è certo cosa da poco e favorirà (credo) nuovi investimenti. Mi è giunta notizia, invece, che i "soliti bene informati" qua e la, spargono false aspettative e speranze a chi spera di aprire la sua piccola azienda a carattere "famigliare" pur senza avere la residenza. Per non alimentare queste voci, mi sembra giusto pubblicare una nota da fonte cubana sicuramente più informata dei fantasisti del web.
Fonte TTC.
Di Eileen Martínez Sosin. On Cuba
Il mese di marzo porterà con sé non solo l’attesa primavera, ma anche molte nuove aspettative. Proprio a primavera, l’Assemblea Nazionale di Cuba voterà infatti una nuova legge sugli investimenti turistici stranieri.
Il capitale straniero svolge un ruolo sempre più attivo nell’economia del Paese e il Ministero del Turismo (MINTUR) ha già pronto un pacchetto di future opportunità per gli investitori interessati.
Secondo José Reinaldo Daniel (direttore per gli affari esteri MINTUR), gli investimenti riguarderanno principalmente le joint venture destinate alla costruzione di alberghi, e a imprese e progetti di costruzione associate a campi da golf; ma anche a contratti di gestione e alla commercializzazione di alberghi e franchising di famosi ristoranti cubani in altri paesi fuori da Cuba.
Nel Paese, attualmente, diverse aree in forte sviluppo sono alla ricerca di maggiori risorse (a livello di expertise, tecnologia, etc.): è il caso di Cienfuegos, di Rancho Luna o di Pasacaballos. Fra queste, anche Perla del Sur, rinomata per la qualità della sua architettura e per il suo patrimonio culturale (oltre che per la sua splendida baia costituita da 88 chilometri quadrati e oltre 10 chilometri di litorale).
Caratteristiche come queste sono alla base di un progetto che intende migliorare il polo del turismo cubano; offrendo un prodotto di qualità sia a livello di accoglienza nelle città, sia per quanto riguarda il settore delle crociere e della logistica nautica.
Anche la città di Trinidad e la vicina penisola di Ancon sono aree di forte interesse per gli investimenti turistici, in quanto rappresentano una destinazione sempre più richiesta (che giustificherebbe dunque un aumento consistente nella ricettività: hotel, camere, ma anche immobili in affitto / basti considerare che, così come affermato dalla delegazione provinciale del MINTUR, la sola Trinidad conta circa 600 affittacamere).
Playa Santa Lucia, a nord di Camagüey, è caratterizzata da un’imponente barriera corallina (perfetta per immersioni e altre attività subacquee). In questa zona sono presenti dieci lotti per altrettanti progetti di sviluppo (in previsione della realizzazione di circa 5.000 nuove camere).
A nord di Las Tunas si trova Covarrubias, area poco sfruttata, ma con un grande “potenziale turistico” per vacanze da spiaggia e sport acquatici, grazie anche alla presenza di terreni dove sarebbe possibile costruire campi da golf. Stesso potenziale anche per Guardalavaca (Holguin), che meriterebbe certamente un considerevole aumento della capacità alberghiera.
Oltre alle garanzie offerte agli investitori stranieri a Cuba dall’attuale legge 77 (rimpatrio gratuito dei profitti, senza espropriazione e con un regime fiscale agevolato, etc. /in special modo per le forme di turismo associate al patrimonio storico e culturale) sicuri punti di forza per l’attivazione dei progetti sono: una manodopera altamente qualificata; collegamenti aerei diretti da/per 43 città; un sistema sanitario avanzato; un ambiente sano e una politica stabile.
Più nello specifico, in relazione alla realizzazione di nuovi campi da golf e nuovi complessi immobiliari, l’obiettivo fondamentale della partecipazione straniera dovrebbe essere quello di ottenere finanziamenti esterni, ampliare l’accesso ai mercati fonte di turismo e coordinare le metodologie gestionali.
Gli accordi per attuare soluzioni di franchising prevedono la standardizzazione sistematica sia per quanto riguarda il controllo di qualità, sia in merito alla formazione e alla gestione complessiva. Il gruppo Palmares gestisce attualmente 11 di queste strutture in franchising, (“riproduzioni” fedeli di ristoranti cubani di fama mondiale come La Bodeguita del Medio e El Floridita: cinque sono attualmente presenti in Messico; il resto si trova tra Regno Unito, Austria, Ucraina, Ungheria, Repubblica Ceca e Argentina).
Alla fine del 2013 Cuba ha ricevuto 14.000 visitatori in più rispetto l’anno precedente (confermando una crescita dello 0,5%). La capacità ricettiva attuale ha raggiunto le 60.500 camere (il 63% delle quali sono situate in alberghi a quattro e cinque stelle). Tre terminal crociere, sette porti turistici e 10 aeroporti internazionali completano attualmente i servizi offerti dall’isola.
Recentemente sono stati firmati cinque nuovi contratti di gestione (con l’introduzione di due nuovi marchi, uno dei quali è la società NH, che si era ritirata da Cuba nel mese di febbraio e che gestirà ora l’Hotel Capri).
Fonte TTC.
Di Eileen Martínez Sosin. On Cuba
Il mese di marzo porterà con sé non solo l’attesa primavera, ma anche molte nuove aspettative. Proprio a primavera, l’Assemblea Nazionale di Cuba voterà infatti una nuova legge sugli investimenti turistici stranieri.
Il capitale straniero svolge un ruolo sempre più attivo nell’economia del Paese e il Ministero del Turismo (MINTUR) ha già pronto un pacchetto di future opportunità per gli investitori interessati.
Secondo José Reinaldo Daniel (direttore per gli affari esteri MINTUR), gli investimenti riguarderanno principalmente le joint venture destinate alla costruzione di alberghi, e a imprese e progetti di costruzione associate a campi da golf; ma anche a contratti di gestione e alla commercializzazione di alberghi e franchising di famosi ristoranti cubani in altri paesi fuori da Cuba.
Nel Paese, attualmente, diverse aree in forte sviluppo sono alla ricerca di maggiori risorse (a livello di expertise, tecnologia, etc.): è il caso di Cienfuegos, di Rancho Luna o di Pasacaballos. Fra queste, anche Perla del Sur, rinomata per la qualità della sua architettura e per il suo patrimonio culturale (oltre che per la sua splendida baia costituita da 88 chilometri quadrati e oltre 10 chilometri di litorale).
Caratteristiche come queste sono alla base di un progetto che intende migliorare il polo del turismo cubano; offrendo un prodotto di qualità sia a livello di accoglienza nelle città, sia per quanto riguarda il settore delle crociere e della logistica nautica.
Anche la città di Trinidad e la vicina penisola di Ancon sono aree di forte interesse per gli investimenti turistici, in quanto rappresentano una destinazione sempre più richiesta (che giustificherebbe dunque un aumento consistente nella ricettività: hotel, camere, ma anche immobili in affitto / basti considerare che, così come affermato dalla delegazione provinciale del MINTUR, la sola Trinidad conta circa 600 affittacamere).
Playa Santa Lucia, a nord di Camagüey, è caratterizzata da un’imponente barriera corallina (perfetta per immersioni e altre attività subacquee). In questa zona sono presenti dieci lotti per altrettanti progetti di sviluppo (in previsione della realizzazione di circa 5.000 nuove camere).
A nord di Las Tunas si trova Covarrubias, area poco sfruttata, ma con un grande “potenziale turistico” per vacanze da spiaggia e sport acquatici, grazie anche alla presenza di terreni dove sarebbe possibile costruire campi da golf. Stesso potenziale anche per Guardalavaca (Holguin), che meriterebbe certamente un considerevole aumento della capacità alberghiera.
Oltre alle garanzie offerte agli investitori stranieri a Cuba dall’attuale legge 77 (rimpatrio gratuito dei profitti, senza espropriazione e con un regime fiscale agevolato, etc. /in special modo per le forme di turismo associate al patrimonio storico e culturale) sicuri punti di forza per l’attivazione dei progetti sono: una manodopera altamente qualificata; collegamenti aerei diretti da/per 43 città; un sistema sanitario avanzato; un ambiente sano e una politica stabile.
Più nello specifico, in relazione alla realizzazione di nuovi campi da golf e nuovi complessi immobiliari, l’obiettivo fondamentale della partecipazione straniera dovrebbe essere quello di ottenere finanziamenti esterni, ampliare l’accesso ai mercati fonte di turismo e coordinare le metodologie gestionali.
Gli accordi per attuare soluzioni di franchising prevedono la standardizzazione sistematica sia per quanto riguarda il controllo di qualità, sia in merito alla formazione e alla gestione complessiva. Il gruppo Palmares gestisce attualmente 11 di queste strutture in franchising, (“riproduzioni” fedeli di ristoranti cubani di fama mondiale come La Bodeguita del Medio e El Floridita: cinque sono attualmente presenti in Messico; il resto si trova tra Regno Unito, Austria, Ucraina, Ungheria, Repubblica Ceca e Argentina).
Alla fine del 2013 Cuba ha ricevuto 14.000 visitatori in più rispetto l’anno precedente (confermando una crescita dello 0,5%). La capacità ricettiva attuale ha raggiunto le 60.500 camere (il 63% delle quali sono situate in alberghi a quattro e cinque stelle). Tre terminal crociere, sette porti turistici e 10 aeroporti internazionali completano attualmente i servizi offerti dall’isola.
Recentemente sono stati firmati cinque nuovi contratti di gestione (con l’introduzione di due nuovi marchi, uno dei quali è la società NH, che si era ritirata da Cuba nel mese di febbraio e che gestirà ora l’Hotel Capri).
giovedì 20 febbraio 2014
mercoledì 19 febbraio 2014
Documenti di Hemingway
Fonte: El Nuevo Herald
Cuba pone 2,000 nuevos papeles de Hemingway a disposición de investigadores de EEUU
Agence France Presse
Cuba pone 2,000 nuevos papeles de Hemingway a disposición de investigadores de EEUU
Ernest Hemingway vivió en Cuba de 1939 a 1960 y escribió en la isla algunas de sus más conocidas obras, como El viejo y el mar.
Archivo/AP
Agence France Presse
LA HABANA -- El telegrama de la Academia Sueca anunciándole el Premio Nobel de Literatura está entre los 2,000 nuevos documentos del escritor estadounidense Ernest Hemingway (1899-1961) que Cuba puso a disposición de investigadores en Estados Unidos, informó este martes una revista.
Más de 2,000 documentos conservados en el Museo Finca Vigía de La Habana (el hogar de Hemingway en la isla) están ahora disponibles por primera vez para investigadores en Estados Unidos, tras ser digitalizados y transferidos a la Biblioteca y Museo Presidencial John F. Kennedy, dijo la revista Cuba Contemporánea en su sitio web (www.cubacontemporanea.com).
Este material refleja la existencia diaria de Hemingway en Cuba. Permite una mirada muy personal a su vida, dijo a la revista Susan Wrynn, curadora de la Biblioteca Kennedy.
Esta es la segunda entrega de copias digitales de documentos de Hemingway que durante décadas atesoró este museo de La Habana. Una primera partida fue puesta a disposición de la biblioteca norteamericana en el 2008 mediante un acuerdo.
Entre otros muchos documentos, la colección digitalizada incluye telegramas como el del Dr. Anders Osterling, de la Academia Sueca, notificando al escritor que ha ganado el Premio Nobel de Literatura de 1954, y otros de felicitación enviados por Carl Sandburg, Spencer Tracy, Verónica Rocky' Cooper (esposa de Gary Cooper), la escritora y periodista Lilliam Ross, John Huston y Adriana Ivancich, uno de los amores del autor de Por quién doblan las campanas', dijo la revista.
El proceso de restauración y digitalización de este legado comenzó en el 2002, cuando se firmó un acuerdo de colaboración entre el Consejo Nacional de Patrimonio Cultural de Cuba y el Social Science Research Council de Estados Unidos.
La cooperación se mantuvo luego con la Finca Vigia Foundation, creada en Estados Unidos en el 2004 por Jenny Phillips, la nieta del editor de Hemingway, Maxwell Perkins, dijo Cuba Contemporánea.
Hemingway vivió en Cuba de 1939 a 1960 y escribió en la isla algunas de sus más conocidas obras, como El viejo y el mar. Su casa de Finca Vigía, donada a Cuba por sus herederos, se convirtió en un museo, que es visitado cada año por miles de turistas.
El museo guarda una valiosa colección de 23,000 piezas, entre las que se incluyen documentos originales y obras de arte, armas, trofeos de caza, muebles, equipos eléctricos y mecánicos, ropa y objetos de decoración.
Los estudiosos han estado tratando durante décadas de ver lo que había allá, en La Habana, y debido a la situación política lograrlo se hacía muy difícil (
). Todos estos materiales son restos, desechos de la vida de un escritor. Todos se unen en un rompecabezas mayor, dijo Jenny Phillips a la revista.
Estados Unidos y Cuba viven enfrentados hace medio siglo por disputas políticas y carecen de relaciones diplomáticas, pero existen varios proyectos de cooperación académica y cultural.
martedì 18 febbraio 2014
XXlll Fiera Internazionale del Libro
Una doppietta di libri presentati da Ciro Bianchi in questa edizione della Fiera che come tradizionalmente avviene, ha la sua sede principale nel suggestivo scenario del complesso storico che comprende le fortezze di San Cárlos de la Cabaña e del Morro de La Habana. Al mattino: "Paseo por La Habana" arricchito dalle illustrazioni di Evelio Toledo Quesada, dove il narratore percorre angoli dell'Avana poco frequentati dal visitatore occasionale con gli aneddoti e curiosità relativi. Nel pomeriggio è stato invece presentato "Oficio de contar" nel quale, con la sua solita verve di investigatore della storia e costume ripercorre avvenimenti e personaggi del passato, più o meno recente.
Nella prima presentazione, in contemporanea è stato anche offerto al pubblico "Tranvias en La Habana" di Lázaro García Driggs e Zenaida Iglesias Sánchez che ripercorre la storia dei tram dall'inizio della loro circolazione fino alla loro scomparsa dal panorama urbano. Mentre nel pomeriggio la presentazione è stata condivisa con un altro grande della letteratura cubana, pur essendo uruguayano di nascita: Daniél Chavarría che con la sua compagna Hilda Sosa Saura ha scritto "La Habana de Chavarría" dove a sua volta gli autori mostrano un'Avana tutta particolare, vista dall'occhio dello scrittore.
Prima delle presentazioni Ciro si è intrattenuto con il Ministro della Cultura Rafael Bernal Alemany e dal Premio Nazionale della Letteratura, Reynaldo Gonzáles.
Piccola presenza italiana con l'editrice Aly Italia.
Ricevo e pubblico
Un po' come provocazione, riprendendo il concetto di Loss&Damage in chiave nostrana:
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/02/18/eventi-meteorologici-estremi-chi-ha-inquinato-deve-pagare/884945/
Eventi meteorologici estremi: chi ha inquinato deve pagare?
Alluvione a Modena, Roma e Veneto, frane e allagamenti in Liguria, Firenze e Pisa minacciate dall’Arno, spiagge erose dalle mareggiate lungo l’Adriatico da Rimini a Venezia, sofferenza per la scarsità di neve in Appennino mentre sulle Dolomiti chiudono gli impianti per la troppa neve, bagnata e primaverile, con pericolo valanghe. Scarseggia la neve e fa caldo alle Olimpiadi di Sochi, in Russia ma si rimedia con quella immagazzinata negli scorsi inverni in silos refrigerati, eufemisticamente detti “snow farm”, fattorie di neve.
Ma non è tutto, anche l’Inghilterra è in ginocchio per le alluvioni, le mareggiate e le tempeste di vento sulle coste, ed infuriano le polemiche sui colpevoli, anche perché per salvare Londra si sarebbero allagati piccoli borghi. Perfino l’ipertecnologico Giappone è messo in ginocchio da tempeste di neve e gelo, con i super moderni treni bloccati dal ghiaccio.
Contro gli eventi estremi, contro le conseguenze ormai evidenti dei cambiamenti climatici, non basta la tecnologia.
Tutti questi fenomeni meteoclimatici, concentrati nell’ultimo mese, hanno un comune denominatore: il clima è fuori controllo. Scientificamente un singolo evento non può essere ascritto alle conseguenze, sotto forma di cambiamenti climatici, del global warming indotto dall’aumento dei gas serra in atmosfera. Ma il ripetersi di tanti eventi di questa portata un campanello d’allarme dovrebbe metterlo nella popolazione. E se invece delle nutrie i
veri colpevoli fossero le centrali a carbone, le nostre stesse automobili, gli inceneritori, le fabbriche, e via dicendo, chi paga i danni? Sembrerà strano, ma alle ultime conferenze sul clima, a Doha in Qatar nel 2012 e a Varsavia
in Polonia lo scorso novembre 2013, si è discusso più di questo che di come ridurre i gas serra.
Siccome i paesi “inquinatori”, storici e maggiormente responsabili come Usa, Canada, Russia, Australia Regno Unito, Germania, ed il resto dell’Unione Europea non riescono a mettersi d’accordo coi paesi come Cina, Brasile, Sudafrica e altri che (forse) oggi inquinano di più, ma fino a pochi anni fa consumavano un decimo di noialtri privilegiati occidentali, la complessa macchina burocratica delle Nazioni Unite ha escogitato un meccanismo detto “loss and damage: perdita (per esempio, pensiamo ai nostri fatti recenti, un’automobile spazzata via o danneggiata irrimediabilmente da un’alluvione) e danno (per esempio, una casa da ristrutturare per i danni dell’acqua). Un meccanismo in realtà non ancora in vigore, o almeno non finanziato, una scatola vuota insomma e comunque rivolto ai paesi in via di sviluppo.
Per esempio, le Filippine devastate con oltre 6000 vittime dal ciclone Haiyan, lo scorso novembre, dovrebbero essere ripagate da un apposito fondo finanziato dai paesi più ricchi e storicamente responsabili dei cambiamenti climatici.
Questo per i paesi in via di sviluppo, ma le catastrofi legate ai cambiamenti climatici non risparmiano nemmeno i paesi più ricchi e industrializzati. Per esempio, ammesso che si possa stabilire un nesso di causa-effetto col clima in cambiamento, chi paga per i danni dell’uragano Sandy, o dell’alluvione in Inghilterra o Modena, o delle eccessive nevicate sulle Dolomiti, o ancora delle frane in Liguria o del nubifragio di Roma? Vero che ci sono anche altre concause e probabilmente responsabilità, dirà qualcuno, ma è indubbio che a scatenare l’evento sono state le precipitazioni straordinarie. Qualcuno sostiene che nei paesi più ricchi, i danni locali li pagano gli inquinatori locali.
Naturalmente, la questione è controversa, politicamente e giuridicamente, ma se così fosse i danni delle alluvioni in Liguria dovrebbero in buona parte pagarli le centrali elettriche a carbone, quella in Emilia le industrie manifatturiere e gli inceneritori, le eccessive nevicate o la scarsità di neve, o i danni da mareggiate alle spiagge, paradossalmente, anche gli stessi operatori turistici. Poi, in parte, anche tutti noi, che usiamo l’auto o riscaldiamo e illuminiamo (spesso eccessivamente) la casa, nonché i centri commerciali, vere macchine energivore dove non basta certo un pannello solare per definirli “ecologici”, altrettanto l’agricoltura che nel contempo produce gas serra sia consumando energia sia indirettamente (fertilizzanti, bestiame) ma subisce anche i danni stessi da cambiamenti climatici.
Naturalmente, questo che scriviamo è poco più di una provocazione, se ho una perdita d’acqua in casa non posso dire a chi è sotto “apri l’ombrello e ti ripago i danni”. Bisogna chiudere il rubinetto, o meglio l’emissione di gas serra, riducendo drasticamente l’uso dei combustibili fossili. Occorre fermare il global warming “ad ogni costo” entro la soglia di 2°c di qui al 2100, ci dice perfino la banca Mondiale.
L’impressione però è che la politica non lo farà mai, e forse nemmeno noi tutti siamo pronti ad accettare i cambiamenti di stile di vita (e soprattutto modello di sviluppo) necessari. Ma nemmeno possiamo continuare ad accettare catastrofi a ripetizione che, complice il dissesto e il degrado del territorio, hanno un comune denominatore: i cambiamenti climatici che aumentano gli eventi meteorologi estremi.
Ma cercare un meccanismo di pagamento dei danni, forse, non è proprio la strada giusta, se non si interviene sulle cause.
luca lombroso
www.lombroso.it
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/02/18/eventi-meteorologici-estremi-chi-ha-inquinato-deve-pagare/884945/
Eventi meteorologici estremi: chi ha inquinato deve pagare?
Alluvione a Modena, Roma e Veneto, frane e allagamenti in Liguria, Firenze e Pisa minacciate dall’Arno, spiagge erose dalle mareggiate lungo l’Adriatico da Rimini a Venezia, sofferenza per la scarsità di neve in Appennino mentre sulle Dolomiti chiudono gli impianti per la troppa neve, bagnata e primaverile, con pericolo valanghe. Scarseggia la neve e fa caldo alle Olimpiadi di Sochi, in Russia ma si rimedia con quella immagazzinata negli scorsi inverni in silos refrigerati, eufemisticamente detti “snow farm”, fattorie di neve.
Ma non è tutto, anche l’Inghilterra è in ginocchio per le alluvioni, le mareggiate e le tempeste di vento sulle coste, ed infuriano le polemiche sui colpevoli, anche perché per salvare Londra si sarebbero allagati piccoli borghi. Perfino l’ipertecnologico Giappone è messo in ginocchio da tempeste di neve e gelo, con i super moderni treni bloccati dal ghiaccio.
Contro gli eventi estremi, contro le conseguenze ormai evidenti dei cambiamenti climatici, non basta la tecnologia.
Tutti questi fenomeni meteoclimatici, concentrati nell’ultimo mese, hanno un comune denominatore: il clima è fuori controllo. Scientificamente un singolo evento non può essere ascritto alle conseguenze, sotto forma di cambiamenti climatici, del global warming indotto dall’aumento dei gas serra in atmosfera. Ma il ripetersi di tanti eventi di questa portata un campanello d’allarme dovrebbe metterlo nella popolazione. E se invece delle nutrie i
veri colpevoli fossero le centrali a carbone, le nostre stesse automobili, gli inceneritori, le fabbriche, e via dicendo, chi paga i danni? Sembrerà strano, ma alle ultime conferenze sul clima, a Doha in Qatar nel 2012 e a Varsavia
in Polonia lo scorso novembre 2013, si è discusso più di questo che di come ridurre i gas serra.
Siccome i paesi “inquinatori”, storici e maggiormente responsabili come Usa, Canada, Russia, Australia Regno Unito, Germania, ed il resto dell’Unione Europea non riescono a mettersi d’accordo coi paesi come Cina, Brasile, Sudafrica e altri che (forse) oggi inquinano di più, ma fino a pochi anni fa consumavano un decimo di noialtri privilegiati occidentali, la complessa macchina burocratica delle Nazioni Unite ha escogitato un meccanismo detto “loss and damage: perdita (per esempio, pensiamo ai nostri fatti recenti, un’automobile spazzata via o danneggiata irrimediabilmente da un’alluvione) e danno (per esempio, una casa da ristrutturare per i danni dell’acqua). Un meccanismo in realtà non ancora in vigore, o almeno non finanziato, una scatola vuota insomma e comunque rivolto ai paesi in via di sviluppo.
Per esempio, le Filippine devastate con oltre 6000 vittime dal ciclone Haiyan, lo scorso novembre, dovrebbero essere ripagate da un apposito fondo finanziato dai paesi più ricchi e storicamente responsabili dei cambiamenti climatici.
Questo per i paesi in via di sviluppo, ma le catastrofi legate ai cambiamenti climatici non risparmiano nemmeno i paesi più ricchi e industrializzati. Per esempio, ammesso che si possa stabilire un nesso di causa-effetto col clima in cambiamento, chi paga per i danni dell’uragano Sandy, o dell’alluvione in Inghilterra o Modena, o delle eccessive nevicate sulle Dolomiti, o ancora delle frane in Liguria o del nubifragio di Roma? Vero che ci sono anche altre concause e probabilmente responsabilità, dirà qualcuno, ma è indubbio che a scatenare l’evento sono state le precipitazioni straordinarie. Qualcuno sostiene che nei paesi più ricchi, i danni locali li pagano gli inquinatori locali.
Naturalmente, la questione è controversa, politicamente e giuridicamente, ma se così fosse i danni delle alluvioni in Liguria dovrebbero in buona parte pagarli le centrali elettriche a carbone, quella in Emilia le industrie manifatturiere e gli inceneritori, le eccessive nevicate o la scarsità di neve, o i danni da mareggiate alle spiagge, paradossalmente, anche gli stessi operatori turistici. Poi, in parte, anche tutti noi, che usiamo l’auto o riscaldiamo e illuminiamo (spesso eccessivamente) la casa, nonché i centri commerciali, vere macchine energivore dove non basta certo un pannello solare per definirli “ecologici”, altrettanto l’agricoltura che nel contempo produce gas serra sia consumando energia sia indirettamente (fertilizzanti, bestiame) ma subisce anche i danni stessi da cambiamenti climatici.
Naturalmente, questo che scriviamo è poco più di una provocazione, se ho una perdita d’acqua in casa non posso dire a chi è sotto “apri l’ombrello e ti ripago i danni”. Bisogna chiudere il rubinetto, o meglio l’emissione di gas serra, riducendo drasticamente l’uso dei combustibili fossili. Occorre fermare il global warming “ad ogni costo” entro la soglia di 2°c di qui al 2100, ci dice perfino la banca Mondiale.
L’impressione però è che la politica non lo farà mai, e forse nemmeno noi tutti siamo pronti ad accettare i cambiamenti di stile di vita (e soprattutto modello di sviluppo) necessari. Ma nemmeno possiamo continuare ad accettare catastrofi a ripetizione che, complice il dissesto e il degrado del territorio, hanno un comune denominatore: i cambiamenti climatici che aumentano gli eventi meteorologi estremi.
Ma cercare un meccanismo di pagamento dei danni, forse, non è proprio la strada giusta, se non si interviene sulle cause.
luca lombroso
www.lombroso.it
lunedì 17 febbraio 2014
Vicepresidenti di Ciro Bianchi Ross, pubblicato su Juventud rebelde del 16/2/14
Di tutti i cubani che hanno occupato la Vice Presidenza della Repubblica, soltanto uno passò, da questo incarico, a occupare la massima carica. Quello di Vice Presidente, un posto poco appetitoso nella vita politica anteriore al 1959. Si supponeva che fosse la seconda posizione della Repubblica, ma nella pratica questa seconda posizione corrispondeva al sindaco dell’Avana dovendo egli sostituire il Presidente in caso di sua assenza e presiedere il Senato che d’altra parte aveva un suo titolare.
L’Assemblea Costituente del 1928 che riformò la Costituzione del 1901, soppresse la carica. Si affidò, quindi, al Segretario di Stato – Ministro degli Esteri – la facoltà di sostituire il Presidente. L’incaricò tornò nel 1936 e la Costituzione del 1940 lo ratificò in uno dei suoi titoli. Si potrebbe supporre che, venendo dallo stesso bacino elettorale, il Presidente e il suo Vice, lavorassero assieme. In realtà non succedeva così e non era infrequente che esistessero rancori e inimicizie fra di loro. José Miguel Gómez non sopportò mai Alfredo Zayas e lo silurò nel 1913, nei suoi tentativi di raggiungere la Presidenza. Non furono buone le relazioni fra Ramón Grau San Martín e Raúl de Cárdenas e le frizioni tra Carlos Prío e il suo Vice Presidente Guillermo Alonso Pujol, furono così gravi che il Capo dello Stato giunse a ritirare la scorta al suo vice. Enrique José Varona che funse da da Vice Presidente del generale Mario García Menocal tra il 1913 e il 1917, rinunciò ad accompagnarlo per la rielezione, disgustato dalla condotta dei conservatori e per il proprio impegno reazionario del Presidente. Anteriormente, nello stesso anno 1913, aveva rinunciato alla presidenza del Partito Conservatore capendo che “siamo arrivati al potere per governare il Paese, non per ripartire pubblici incarichi fra i nostri correligionari”. Da allora, Varona, uscì dalla politica attiva anche se non smise di avere preoccupazione per gli affari pubblici fino al medesimo momento della sua morte, nel novembre 1933, dopo la caduta della dittatura di Gerardo Machado, che tanto combatté.
Varona è un caso curioso nella vita cubana. Il pensatore eclissa sempre il politico quando, come disse Cosme de la Torriente, era “la condizione essenziale dello statista quella che coincideva in Varona e che risaltava in ogni sua altra condizione”. Era, puntualizzava Torriente, “un politico di grande abilità e intelligenza”.
Il suicida
Tomàs Estrada Palma voleva portare alla Vice Presidenza il maggior generale Bartolomé Masó. Questi non accettò. Ebbene essendo stato, come don Tomàs, Presidente della Repubblica in Armi insistette ad aspirare, anch’egli, alla prima carica istituzionale. In definitiva, le irregolarità e pressioni del Governo interventista nordamericano nell’Isola, a favore di Estrada Palma, forzarono la rinuncia di Masó e il 31 dicembre del 1901 Estrada Palma partecipó alle elezioni come candidato unico ottenendo la vittoria. Strane elezioni, quelle, nelle quali il candidato non partecipò alla campagna elettorale e non si trovava nemmeno a Cuba.
Lo scriba vuole precisare che quelle elezioni addomesticate non danneggiarono i legami tra le due figure. Già eletto Presidente, Estrada Palma, sbarcò a Gibara e si addentrò nel territorio cubano in direzione di Manzanillo. Attreversò il Río Cauto per il cosiddetto Paso della Mula. Vicino a Yara lo aspettava Masó. Sistrinsero in uno stretto abbraccio tra applausi ed evviva. Il “solitario” della Jagüita si convertì in un anfitrione del “solitario” di Central Valley; lo alloggiò a casa sua e mangiavano come in famiglia. Ricordavano, in piacevoli conversazioni, ricordi lontani, ma a volte cadevano in abissali silenzi nell’abbordare l’attualità. “Io sono il Presidente morale e tu, Tomasito, il Presidente materiale. Questo a me non creerà fastidio né disgusto. Tu invece patirai abbastanza. Perderai il sonno, la tranquillità e il buon umore”.
Al rifiutare, Masó, di integrare la candidatura presidenziale di Estrada Palma, si fecero i nomi di Manuel Sanguily e Luís Estévez y Romero. Sanguily, respinse l’offerta e l’altro accettò dopo molti interventi personali di Máximo Gómez che lo visitò per iutarlo a decidere. Era un distinto avvocato e il suo matrimonio con Martha Abreu lo mise in contatto con una delle famiglie più ricche della regione centrale e lo vincolò alla lotta per l’indipendenza. Scrisse diversi libri, fra i quali quello intitolato Dsede el Zanjón hasta Baire che apparve nel 1899 e che Sanguily considerò, al suo momento, lo studio più completo del periodo racchiuso tra due grandi guerre. Luis Estévez non accompagnò don Tomàs fino alla fine del suo mandato. Si dimise il 31 marzo del 1905. Addusse motivi di salute, ma in opinione di García Garófalo, suo biografo, le dimissioni, per la data e per quello che stava succedendo allora a Cuba, si possono interpretare come espressione di inconformità con l’affiliazione di Estrada Palma al Partito Moderato, allora appena fondato, e alla sua intenzione di farsi rieleggere. Si suicidò a Parigi, il 3 febbraio del 1909, esattamente un mese dopo la morte di Martha.
Zaysti e Miguelisti
Nella sua rielezione, don Tomás, porta come vice il generale Domingo Méndez Capote. Aveva presieduto l’Assemblea Costituente del 1901 e occupò la presidenza del Senato durante il primo periodo di Estrada Palma. Fu una vice presidenza effimera; di poco più di quattro mesi, fra maggio e settembre del 1906. Incapace di soffocare l’insurrezione liberale di quell’anno – la cosiddetta “Guerrita de agosto” - e al negarsi ad un accordo con gli insorti, Estrada Palma preferì, in virtù dell’emendamento Platt, sollecitare l’intervento nordamericano e prima di rinunciare, volle le dimissioni di tutti i suoi ministri e quelle del Vice Presidente, lasciandò con ciò la Repubblia acefala e con le porte aperte all’ingerenza straniera.
Il secondo intervento si estese fino al 28 gennaio del 1909, quando giunse al potere José Miguel Gómez-Alfredo Zayas. I conservatori, con loro gli sconfitti di Estrada Palma, strinsero le fila attorno a García Menocal, suo erede naturale al comando. Dentro della fila liberali lottavano le fazioni di miguelisti e zayisti, con José Miguel fronte del gruppo “Storico” e Zayas del Partito Liberale, propriamente detto. Le elezioni parziali del 1908 dimostrarono ai liberali che rimanendo divisi potevano dimenticarsi la vittoria. Fu così che entrambe le fazioni si unirono per portare José Miguel come Presidente e Zayas come Vice, con la promessa che quest’ultimo sarebbe stato il candidato alla presidenza per il periodo 1913-1917. Così fu, ma non risultò eletto.
In quella occasione Zayas, con Eusebio Hernández – generale dell’Indipendenza ed eminente ginecologo – da vice, furono sconfitti dalla macchinaria elettorale Menocal-Varona. Nelle elezioni del 1908, Menocal aveva portato Rafael Montoro come vice. I liberali li sconfissero con facilità. Il passato autonomista di Montoro tolse voti a questa candidatura. Era prevedibile, la sua nomina come professore universitario fu impugnata con tal forza che non poté accedere all’incarico. Quelli che gli si opponevano, dimenticavano che quell’uomo, di limpida traiettoria personale e difensore unicamente delle sue idee politiche, se fosse andato in Spagna al termine della sovranità spagnola sull’Isola, avrebbe goduto di un posto vitalizio al Senato e di tutti gli onori immaginabili, fra questi un marchesato, con Grandezza di Spagna, che non volle mai accettare. Decise di rimanere nella terra che lo vide nascere. Era un uomo di troppo valore perché la Repubblica lo lasciasse andare. Fu, con Estrada Palma, ambasciatore in Inghilterra e Germania: ministro alla Presidenza con Menocal, nel 1913, cancelliere nel Governo di Zayas. Transitò nella vita pubblica senza macchiarsi. Alla fine della sua vita, il popolo dell’Avana fece una colletta perché potesse moirire a casa sua.
Con la voglia
Il generale Emilio Nuñez accompagnò Menocal nel suo secondo mandato, tra il 1917 e il 1921. Quando morì, Máximo Gómez il 17 giugno del 1906, impugnava la rielezione di Estrada Palma e promuoveva la candidatura presidenziale di Nuñez, un uomo che partecipò alle tre guerre per l’indipendenza e che in quella del ’95 capeggiò con successo il Dipartimento per le Spedizioni. Partecipò all’Assemblea Costituente del 1901 e fu Governatoire dell’Avana fino al 1908, quando si impegnò per organizzare i veterani delle patrie lotte. Figura preminente del Partito Conservatore, la sua partecipazione nelle campagne elettorali del 1908 e 1912, fu molto attiva. Menocal lo nominò Ministro dell’Agricoltura, Commercio e Lavoro, settori allora raggruppati in un solo dicastero e nel 1916 spuntò come candidato dei conservatori alla Presidenza della Repubblica. Però Menocal era deciso a farsi rieleggere, Nuñez accettò la candidatura come vicepresidente e, vincitore delle elezioni, sostituì Varona come tale.
Un altro generale dell’Indipendenza, Francisco Carrillo, giunse al potere con Zayas nel 1921. Zayas si presentò per il Partito Popolare, organizzazione di poche risorse economiche, che vinse con l’appoggio dei conservatori a cambio che nell’elezione successiva si spianasse la vittoria di Menocal. Vale a dire che stavolta non sarebbe stato sostenuto dai liberali. Nota curiosa. Zayas fu destituito dalla presidenza del Partito Liberale in un litigio clamoroso. Il fatto di essere sconfitto davanti ai tribunali gli aprì, per questi controsensi della vita repubblicana, l’opportunità di arrivare alla Presidenza. Il suo antagonista, per i liberali, fu José Miguel, che portò come vice Manuel Arango y Mantilla, figura minuscola, come politico, ma con una grande influenza nel settore zuccheriero. Solo la presa di José Miguel sull’elettorato liberale rese possibile che si ovviasse, come Vice Presidente, la candidatura del comandante camagüeyano Enrique Recio, uomo di gran simpatia popolare. Questa sconfitta elettorale, forse, anticipò la maorte di José Miguel che morì a New York quando non era ancora trascorso un mese dalla presa di possesso del suo avversario.
Carlos de la Rosa fu l’ultimo Vice Presidente eletto al calore della Costituzione del 1901. La carica, si è già detto, sparì con la riforma costituzionale del 1928. Giunse al potere con Gerardo Machado e rappresentò, assicurano gli specialisti, una modificazione nella politica elettorale cubana svoltasi, fino ad allora, fra “generali e dottori”. Si garantisce che lottò con l’Esercito di Liberazione, ma raggiunse un grado tanto, ma tanto, modesto che i suoi sostenitori non ci tengono a diffonderlo. Si iscrisse alla carriera di Diritto, ma non giunse alla laurea. La sua opera alla vice presidenza è qualificata come discreta che è un termine che contiene quello di mediocre, culmine di una carriera modesta che iniziò come sindaco di Manguito e poi di Cárdenas. Machado, quando sparì la carica, lo ricompensò con un seggio vitalizio al Senato. Morì nel 1933, poco prima della caduta machadista.
Federico Laredo Bru, fu l’unico Vice Presidente che occupò la più alta carica, dopo che il Senato giudicò e destituì il Presidente Miguel Mariano Gómez. Successe nel 1936. Fulgencio Batista ottenne la presidenza nel 1940 ed ebbe come vice l’eminente medico Gustavo Cuervo Rubio. Più sopra si menzionarono i vice di Grau e Prío. Rafael Guas Inclán fu, tra il 1955 e 58, Vice Presidente di Batista. Si dimise per aspirare ad essere sindaco dell’Avana nella farsa elettorale di quest’ultimo anno. Ottenne la nomina e avrebbe dovuto prendere carica il 24 febbraio del 1959. Trionfò la Rivoluzione e Guas rimase con la voglia.
Vicepresidentes
Ciro Bianchi Ross * digital@juventudrebelde.cu
15 de Febrero del 2014 21:24:24 CDT
De todos los cubanos que ocuparon la Vicepresidencia de la República,
solo uno pasó desde ese cargo a desempeñar la primera magistratura.
Era el de vicepresidente un puesto poco apetecible en la vida política
anterior a 1959. Se suponía que era la segunda posición de la
República, pero en puridad esa segunda posición correspondía al
Alcalde de La Habana, quedando para el vice la responsabilidad de
sustituir al Presidente en caso de ausencia, y presidir el Senado, que
por otra parte tenía su propio titular.
La Asamblea Constituyente de 1928, que reformó la Constitución de
1901, suprimió el cargo. Se otorgó entonces al Secretario de Estado
--Ministro de Relaciones Exteriores-- la facultad de sustituir al
Presidente. Volvió el cargo en 1936 y la Constitución de 1940 lo
restituyó en uno de sus títulos. Puede suponerse que, emergidos del
mismo tique electoral, el Presidente y su vice trabajarían unidos. No
ocurría así en la práctica, y no era raro que existieran rencillas y
enemistades entre ellos. José Miguel Gómez nunca soportó a Alfredo
Zayas y lo torpedeó en 1913, en sus intentos de alcanzar la
Presidencia. No fueron buenas las relaciones entre Ramón Grau San
Martín y Raúl de Cárdenas, y las fricciones entre Carlos Prío y su
vicepresidente, Guillermo Alonso Pujol, fueron tantas y tan graves que
el mandatario llegó a retirarle la escolta a su vice. Enrique José
Varona, que fungió como vicepresidente del general Mario García
Menocal entre 1913 y 1917, desistió de acompañarlo en la reelección,
disgustado con la conducta de los conservadores y con el propio empeño
continuista del mandatario. Con anterioridad, en el mismo año de 1913,
había renunciado a la presidencia del Partido Conservador por entender
<>. Se salió Varona a
partir de entonces de la política activa, aunque no dejó de mostrar
preocupación por los asuntos públicos hasta el mismo instante de su
muerte, en noviembre de 1933, tras la caída de la dictadura de Gerardo
Machado, que tanto combatió.
Varona es un caso curioso en la vida cubana. El pensador eclipsa
siempre en él al político cuando, al decir de Cosme de la Torriente,
era <>. Era, puntualizaba
Torriente, <>.
El suicida
Tomás Estrada Palma quiso llevar de vicepresidente al mayor general
Bartolomé Masó. No aceptó este, pues habiendo sido, al igual que don
Tomás, presidente de la República en Armas, insistió en aspirar
también a la primera magistratura. En definitiva, las irregularidades
y presiones del Gobierno interventor norteamericano en la Isla a favor
de Estrada Palma forzaron el retraimiento de Masó, y el 31 de
diciembre de 1901 Estrada Palma concurrió a las elecciones como
candidato único y logró la victoria. Raros comicios aquellos en los
que el aspirante no participó en la campaña ni se encontraba siquiera
en Cuba.
Quiere el escribidor precisar que aquellas elecciones amañadas no
agriaron los nexos entre ambas figuras. Ya electo presidente, Estrada
Palma desembarcó por Gibara y se adentró en territorio cubano rumbo a
Manzanillo. Atravesó el río Cauto por el llamado Paso de la Mula.
Cerca de Yara lo esperaba Masó. Se fundieron en un estrecho abrazo
entre aplausos y vítores. El <> de La Jagüita se convirtió en
anfitrión del <> de Central Valley; lo alojó en su casa y
comían como en familia. Evocaban, en amenas charlas, lejanos
recuerdos, pero caían a veces en silencios abismales al abordar la
actualidad. <>.
Al rehusar Masó integrar la candidatura presidencial de Estrada Palma,
se barajaron los nombres de Manuel Sanguily y Luis Estévez y Romero.
Sanguily rechazó el ofrecimiento y el otro lo aceptó luego de
múltiples gestiones y de la intervención personal de Máximo Gómez, que
lo visitó para ayudarle a decidir. Era un abogado distinguido y su
matrimonio con Martha Abreu lo puso en relación con una de las
familias más ricas de la región central y lo vinculó a la lucha por la
independencia. Escribió varios libros, entre ellos el titulado Desde
el Zanjón hasta Baire, que apareció en 1899 y que Sanguily consideró,
en su momento, el estudio más completo del período encerrado entre dos
grandes guerras. No acompañó Luis Estévez a don Tomás hasta el fin de
su mandato. Renunció el 31 de marzo de 1905. Alegó motivos de salud,
pero en opinión de García Garófalo, su biógrafo, la dimisión, por su
fecha y por lo que en ese momento ocurría en Cuba, puede interpretarse
como una expresión de inconformidad con la afiliación de Estrada Palma
al Partido Moderado, recién fundado entonces, y a su intención de
reelegirse. Se suicidó en París, el 3 de febrero de 1909, justo un mes
después de la muerte de Martha.
Zayas y miguelistas
En su reelección, don Tomás lleva como vice al general Domingo Méndez
Capote. Había presidido la Asamblea Constituyente de 1901 y ocupó la
presidencia del Senado durante el primer período de Estrada Palma. Fue
una vicepresidencia efímera; de poco más de cuatro meses, entre mayo y
septiembre de 1906. Incapaz de sofocar la insurrección liberal de ese
año --la llamada <>-- y negarse a llegar a un acuerdo
con los alzados, Estrada Palma prefirió, en virtud de la Enmienda
Platt, solicitar la intervención norteamericana, y antes de renunciar
exigió la dimisión de todos sus ministros y la del vicepresidente, con
lo que dejó acéfala la República y las puertas abiertas a la
injerencia extraña.
La segunda intervención se extendería hasta el 28 de enero de 1909,
cuando accedió al poder el tique José Miguel Gómez-Alfredo Zayas. Los
conservadores y, con ellos, los derrotados de Estrada Palma,
estrecharon filas en torno a García Menocal, su caudillo natural.
Dentro de las huestes liberales pugnaban las facciones de miguelistas
y zayistas, con José Miguel al frente del grupo <>, y Zayas,
del Partido Liberal propiamente dicho. Las elecciones parciales de
1908 demostraron a los liberales que de permanecer divididos podían
olvidarse del triunfo. Fue así que ambas facciones se unieron para
llevar a José Miguel de presidente y a Zayas de vice, con la promesa
de que este último sería el candidato a la presidencia para el período
1913-1917. Así ocurrió, pero no resultó electo.
En esa ocasión Zayas, con Eusebio Hernández --general de la
independencia y eminente ginecólogo-- de vice, fueron derrotados por la
maquinaria Menocal-Varona. En las elecciones de 1908, Menocal había
llevado a Rafael Montoro como vice. Los liberales los derrotaron con
facilidad. El pasado autonomista de Montoro restó votos a esa
candidatura. Era previsible, pues antes su nombramiento como profesor
universitario fue impugnado con tal fuerza que no pudo acceder al
claustro. Los que se le oponían olvidaban que aquel hombre, de pulcra
actuación personal y defensor únicamente de sus ideas políticas, de
haberse ido a España al cesar la soberanía española en la Isla hubiera
disfrutado de una prometida senaduría vitalicia y de todos los honores
imaginables, entre estos un marquesado, con Grandeza de España, que
nunca quiso aceptar. Decidió permanecer en la tierra que lo vio nacer.
Era un hombre demasiado valioso para que la República lo dejara de la
mano. Fue, con Estrada Palma, embajador en Inglaterra y Alemania:
ministro de la Presidencia con Menocal, en 1913, y canciller en el
Gobierno de Zayas. Pasó por la vida pública sin mancharse. Al final de
su vida, el pueblo de La Habana hizo una colecta para que pudiera
morir en casa propia.
Con las ganas
El general Emilio Núñez acompañó a Menocal en su segundo mandato,
entre 1917 y 1921. Cuando Máximo Gómez murió el 17 de junio de 1906
impugnaba la reelección de Estrada Palma y promovía la candidatura
presidencial de Núñez, un hombre que participó en las tres guerras por
la independencia y que en la del 95 encabezó, con acierto, el
Departamento de Expediciones. Estuvo en la Asamblea Constituyente de
1901 y fue Gobernador de La Habana hasta 1908, cuando se empeñó en
organizar a los veteranos de las luchas patrias. Figura prominente del
Partido Conservador, fue muy activa su participación en las campañas
electorales de 1908 y 1912. Menocal lo nombró ministro de Agricultura,
Comercio y Trabajo, sectores agrupados entonces en una sola
secretaría, y en 1916 despuntó como candidato de los conservadores a
la Presidencia de la República. Pero decidido Menocal a reelegirse,
Núñez aceptó la candidatura para vicepresidente y, vencedor en los
comicios, sustituyó a Varona como tal.
Otro general de la Independencia, Francisco Carrillo, llegó al poder
con Zayas, en 1921. Zayas aspiró por el Partido Popular, organización
minúscula, de bolsillo, que triunfó con el apoyo de los conservadores
a cambio de que en las elecciones generales siguientes allanara la
victoria de Menocal. Es decir, esta vez no es llevado por los
liberales. Algo curioso. Zayas fue despojado de la presidencia del
Partido Liberal en un ruidoso pleito. El hecho de ser derrotado ante
los tribunales le abrió, por esos contrasentidos de la vida
republicana, la oportunidad de llegar a la Presidencia. Su contrario,
por los liberales, fue José Miguel, que llevó de vice a Miguel Arango
y Mantilla, figura minúscula como político, pero con gran influencia
en el sector azucarero. Solo el arraigo de José Miguel sobre las
huestes liberales pudo hacer posible que se obviara para
vicepresidente la candidatura del comandante camagüeyano Enrique
Recio, hombre de gran simpatía popular. Ese revés electoral anticipó
quizá la muerte de José Miguel, que falleció en Nueva York cuando
todavía no había transcurrido un mes de la toma de posesión de su
adversario.
Carlos de la Rosa fue el último vicepresidente electo al calor de la
Constitución de 1901. El cargo, ya se dijo, desapareció con la reforma
constitucional de 1928. Llegó al poder con Gerardo Machado y
representó, aseveran especialistas, una modificación en la política
electoral cubana desenvuelta hasta entonces entre <>. Se asegura que peleó en el Ejército Libertador, pero
alcanzó un grado tan, tan modesto, que sus panegiristas tienen a bien
no consignarlo. Matriculó la carrera de Derecho, pero no llegó a
graduarse. Su actuación en la vicepresidencia es calificada de
discreta, que es un término que engloba, por lo general, el de
mediocre, culminación de una modesta carrera que empezó como alcalde
de Manguito y luego de Cárdenas. Machado, cuando desapareció el cargo,
lo compensó con una senaduría vitalicia. Murió en 1933, poco antes del
derrumbe machadista.
Federico Laredo Bru fue el único vicepresidente que ocupó la primera
magistratura, luego de que el Senado juzgara y destituyera al
presidente Miguel Mariano Gómez. Ocurrió en 1936. Fulgencio Batista
ganó la presidencia en 1940, y tuvo como vice al eminente médico
Gustavo Cuervo Rubio. Se mencionaron arriba los vice de Grau y Prío.
Rafael Guas Inclán fue, entre 1955 y 58, vicepresidente de Batista.
Renunció para aspirar a la alcaldía habanera en la farsa electoral de
noviembre de ese último año. Ganó la plaza y debió tomar posesión el
24 de febrero de 1959. Triunfó la Revolución y Guas se quedó con las
ganas.
Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
http://wwwcirobianchi.blogia.com/
http://cbianchiross.blogia.com/
L’Assemblea Costituente del 1928 che riformò la Costituzione del 1901, soppresse la carica. Si affidò, quindi, al Segretario di Stato – Ministro degli Esteri – la facoltà di sostituire il Presidente. L’incaricò tornò nel 1936 e la Costituzione del 1940 lo ratificò in uno dei suoi titoli. Si potrebbe supporre che, venendo dallo stesso bacino elettorale, il Presidente e il suo Vice, lavorassero assieme. In realtà non succedeva così e non era infrequente che esistessero rancori e inimicizie fra di loro. José Miguel Gómez non sopportò mai Alfredo Zayas e lo silurò nel 1913, nei suoi tentativi di raggiungere la Presidenza. Non furono buone le relazioni fra Ramón Grau San Martín e Raúl de Cárdenas e le frizioni tra Carlos Prío e il suo Vice Presidente Guillermo Alonso Pujol, furono così gravi che il Capo dello Stato giunse a ritirare la scorta al suo vice. Enrique José Varona che funse da da Vice Presidente del generale Mario García Menocal tra il 1913 e il 1917, rinunciò ad accompagnarlo per la rielezione, disgustato dalla condotta dei conservatori e per il proprio impegno reazionario del Presidente. Anteriormente, nello stesso anno 1913, aveva rinunciato alla presidenza del Partito Conservatore capendo che “siamo arrivati al potere per governare il Paese, non per ripartire pubblici incarichi fra i nostri correligionari”. Da allora, Varona, uscì dalla politica attiva anche se non smise di avere preoccupazione per gli affari pubblici fino al medesimo momento della sua morte, nel novembre 1933, dopo la caduta della dittatura di Gerardo Machado, che tanto combatté.
Varona è un caso curioso nella vita cubana. Il pensatore eclissa sempre il politico quando, come disse Cosme de la Torriente, era “la condizione essenziale dello statista quella che coincideva in Varona e che risaltava in ogni sua altra condizione”. Era, puntualizzava Torriente, “un politico di grande abilità e intelligenza”.
Il suicida
Tomàs Estrada Palma voleva portare alla Vice Presidenza il maggior generale Bartolomé Masó. Questi non accettò. Ebbene essendo stato, come don Tomàs, Presidente della Repubblica in Armi insistette ad aspirare, anch’egli, alla prima carica istituzionale. In definitiva, le irregolarità e pressioni del Governo interventista nordamericano nell’Isola, a favore di Estrada Palma, forzarono la rinuncia di Masó e il 31 dicembre del 1901 Estrada Palma partecipó alle elezioni come candidato unico ottenendo la vittoria. Strane elezioni, quelle, nelle quali il candidato non partecipò alla campagna elettorale e non si trovava nemmeno a Cuba.
Lo scriba vuole precisare che quelle elezioni addomesticate non danneggiarono i legami tra le due figure. Già eletto Presidente, Estrada Palma, sbarcò a Gibara e si addentrò nel territorio cubano in direzione di Manzanillo. Attreversò il Río Cauto per il cosiddetto Paso della Mula. Vicino a Yara lo aspettava Masó. Sistrinsero in uno stretto abbraccio tra applausi ed evviva. Il “solitario” della Jagüita si convertì in un anfitrione del “solitario” di Central Valley; lo alloggiò a casa sua e mangiavano come in famiglia. Ricordavano, in piacevoli conversazioni, ricordi lontani, ma a volte cadevano in abissali silenzi nell’abbordare l’attualità. “Io sono il Presidente morale e tu, Tomasito, il Presidente materiale. Questo a me non creerà fastidio né disgusto. Tu invece patirai abbastanza. Perderai il sonno, la tranquillità e il buon umore”.
Al rifiutare, Masó, di integrare la candidatura presidenziale di Estrada Palma, si fecero i nomi di Manuel Sanguily e Luís Estévez y Romero. Sanguily, respinse l’offerta e l’altro accettò dopo molti interventi personali di Máximo Gómez che lo visitò per iutarlo a decidere. Era un distinto avvocato e il suo matrimonio con Martha Abreu lo mise in contatto con una delle famiglie più ricche della regione centrale e lo vincolò alla lotta per l’indipendenza. Scrisse diversi libri, fra i quali quello intitolato Dsede el Zanjón hasta Baire che apparve nel 1899 e che Sanguily considerò, al suo momento, lo studio più completo del periodo racchiuso tra due grandi guerre. Luis Estévez non accompagnò don Tomàs fino alla fine del suo mandato. Si dimise il 31 marzo del 1905. Addusse motivi di salute, ma in opinione di García Garófalo, suo biografo, le dimissioni, per la data e per quello che stava succedendo allora a Cuba, si possono interpretare come espressione di inconformità con l’affiliazione di Estrada Palma al Partito Moderato, allora appena fondato, e alla sua intenzione di farsi rieleggere. Si suicidò a Parigi, il 3 febbraio del 1909, esattamente un mese dopo la morte di Martha.
Zaysti e Miguelisti
Nella sua rielezione, don Tomás, porta come vice il generale Domingo Méndez Capote. Aveva presieduto l’Assemblea Costituente del 1901 e occupò la presidenza del Senato durante il primo periodo di Estrada Palma. Fu una vice presidenza effimera; di poco più di quattro mesi, fra maggio e settembre del 1906. Incapace di soffocare l’insurrezione liberale di quell’anno – la cosiddetta “Guerrita de agosto” - e al negarsi ad un accordo con gli insorti, Estrada Palma preferì, in virtù dell’emendamento Platt, sollecitare l’intervento nordamericano e prima di rinunciare, volle le dimissioni di tutti i suoi ministri e quelle del Vice Presidente, lasciandò con ciò la Repubblia acefala e con le porte aperte all’ingerenza straniera.
Il secondo intervento si estese fino al 28 gennaio del 1909, quando giunse al potere José Miguel Gómez-Alfredo Zayas. I conservatori, con loro gli sconfitti di Estrada Palma, strinsero le fila attorno a García Menocal, suo erede naturale al comando. Dentro della fila liberali lottavano le fazioni di miguelisti e zayisti, con José Miguel fronte del gruppo “Storico” e Zayas del Partito Liberale, propriamente detto. Le elezioni parziali del 1908 dimostrarono ai liberali che rimanendo divisi potevano dimenticarsi la vittoria. Fu così che entrambe le fazioni si unirono per portare José Miguel come Presidente e Zayas come Vice, con la promessa che quest’ultimo sarebbe stato il candidato alla presidenza per il periodo 1913-1917. Così fu, ma non risultò eletto.
In quella occasione Zayas, con Eusebio Hernández – generale dell’Indipendenza ed eminente ginecologo – da vice, furono sconfitti dalla macchinaria elettorale Menocal-Varona. Nelle elezioni del 1908, Menocal aveva portato Rafael Montoro come vice. I liberali li sconfissero con facilità. Il passato autonomista di Montoro tolse voti a questa candidatura. Era prevedibile, la sua nomina come professore universitario fu impugnata con tal forza che non poté accedere all’incarico. Quelli che gli si opponevano, dimenticavano che quell’uomo, di limpida traiettoria personale e difensore unicamente delle sue idee politiche, se fosse andato in Spagna al termine della sovranità spagnola sull’Isola, avrebbe goduto di un posto vitalizio al Senato e di tutti gli onori immaginabili, fra questi un marchesato, con Grandezza di Spagna, che non volle mai accettare. Decise di rimanere nella terra che lo vide nascere. Era un uomo di troppo valore perché la Repubblica lo lasciasse andare. Fu, con Estrada Palma, ambasciatore in Inghilterra e Germania: ministro alla Presidenza con Menocal, nel 1913, cancelliere nel Governo di Zayas. Transitò nella vita pubblica senza macchiarsi. Alla fine della sua vita, il popolo dell’Avana fece una colletta perché potesse moirire a casa sua.
Con la voglia
Il generale Emilio Nuñez accompagnò Menocal nel suo secondo mandato, tra il 1917 e il 1921. Quando morì, Máximo Gómez il 17 giugno del 1906, impugnava la rielezione di Estrada Palma e promuoveva la candidatura presidenziale di Nuñez, un uomo che partecipò alle tre guerre per l’indipendenza e che in quella del ’95 capeggiò con successo il Dipartimento per le Spedizioni. Partecipò all’Assemblea Costituente del 1901 e fu Governatoire dell’Avana fino al 1908, quando si impegnò per organizzare i veterani delle patrie lotte. Figura preminente del Partito Conservatore, la sua partecipazione nelle campagne elettorali del 1908 e 1912, fu molto attiva. Menocal lo nominò Ministro dell’Agricoltura, Commercio e Lavoro, settori allora raggruppati in un solo dicastero e nel 1916 spuntò come candidato dei conservatori alla Presidenza della Repubblica. Però Menocal era deciso a farsi rieleggere, Nuñez accettò la candidatura come vicepresidente e, vincitore delle elezioni, sostituì Varona come tale.
Un altro generale dell’Indipendenza, Francisco Carrillo, giunse al potere con Zayas nel 1921. Zayas si presentò per il Partito Popolare, organizzazione di poche risorse economiche, che vinse con l’appoggio dei conservatori a cambio che nell’elezione successiva si spianasse la vittoria di Menocal. Vale a dire che stavolta non sarebbe stato sostenuto dai liberali. Nota curiosa. Zayas fu destituito dalla presidenza del Partito Liberale in un litigio clamoroso. Il fatto di essere sconfitto davanti ai tribunali gli aprì, per questi controsensi della vita repubblicana, l’opportunità di arrivare alla Presidenza. Il suo antagonista, per i liberali, fu José Miguel, che portò come vice Manuel Arango y Mantilla, figura minuscola, come politico, ma con una grande influenza nel settore zuccheriero. Solo la presa di José Miguel sull’elettorato liberale rese possibile che si ovviasse, come Vice Presidente, la candidatura del comandante camagüeyano Enrique Recio, uomo di gran simpatia popolare. Questa sconfitta elettorale, forse, anticipò la maorte di José Miguel che morì a New York quando non era ancora trascorso un mese dalla presa di possesso del suo avversario.
Carlos de la Rosa fu l’ultimo Vice Presidente eletto al calore della Costituzione del 1901. La carica, si è già detto, sparì con la riforma costituzionale del 1928. Giunse al potere con Gerardo Machado e rappresentò, assicurano gli specialisti, una modificazione nella politica elettorale cubana svoltasi, fino ad allora, fra “generali e dottori”. Si garantisce che lottò con l’Esercito di Liberazione, ma raggiunse un grado tanto, ma tanto, modesto che i suoi sostenitori non ci tengono a diffonderlo. Si iscrisse alla carriera di Diritto, ma non giunse alla laurea. La sua opera alla vice presidenza è qualificata come discreta che è un termine che contiene quello di mediocre, culmine di una carriera modesta che iniziò come sindaco di Manguito e poi di Cárdenas. Machado, quando sparì la carica, lo ricompensò con un seggio vitalizio al Senato. Morì nel 1933, poco prima della caduta machadista.
Federico Laredo Bru, fu l’unico Vice Presidente che occupò la più alta carica, dopo che il Senato giudicò e destituì il Presidente Miguel Mariano Gómez. Successe nel 1936. Fulgencio Batista ottenne la presidenza nel 1940 ed ebbe come vice l’eminente medico Gustavo Cuervo Rubio. Più sopra si menzionarono i vice di Grau e Prío. Rafael Guas Inclán fu, tra il 1955 e 58, Vice Presidente di Batista. Si dimise per aspirare ad essere sindaco dell’Avana nella farsa elettorale di quest’ultimo anno. Ottenne la nomina e avrebbe dovuto prendere carica il 24 febbraio del 1959. Trionfò la Rivoluzione e Guas rimase con la voglia.
Vicepresidentes
Ciro Bianchi Ross * digital@juventudrebelde.cu
15 de Febrero del 2014 21:24:24 CDT
De todos los cubanos que ocuparon la Vicepresidencia de la República,
solo uno pasó desde ese cargo a desempeñar la primera magistratura.
Era el de vicepresidente un puesto poco apetecible en la vida política
anterior a 1959. Se suponía que era la segunda posición de la
República, pero en puridad esa segunda posición correspondía al
Alcalde de La Habana, quedando para el vice la responsabilidad de
sustituir al Presidente en caso de ausencia, y presidir el Senado, que
por otra parte tenía su propio titular.
La Asamblea Constituyente de 1928, que reformó la Constitución de
1901, suprimió el cargo. Se otorgó entonces al Secretario de Estado
--Ministro de Relaciones Exteriores-- la facultad de sustituir al
Presidente. Volvió el cargo en 1936 y la Constitución de 1940 lo
restituyó en uno de sus títulos. Puede suponerse que, emergidos del
mismo tique electoral, el Presidente y su vice trabajarían unidos. No
ocurría así en la práctica, y no era raro que existieran rencillas y
enemistades entre ellos. José Miguel Gómez nunca soportó a Alfredo
Zayas y lo torpedeó en 1913, en sus intentos de alcanzar la
Presidencia. No fueron buenas las relaciones entre Ramón Grau San
Martín y Raúl de Cárdenas, y las fricciones entre Carlos Prío y su
vicepresidente, Guillermo Alonso Pujol, fueron tantas y tan graves que
el mandatario llegó a retirarle la escolta a su vice. Enrique José
Varona, que fungió como vicepresidente del general Mario García
Menocal entre 1913 y 1917, desistió de acompañarlo en la reelección,
disgustado con la conducta de los conservadores y con el propio empeño
continuista del mandatario. Con anterioridad, en el mismo año de 1913,
había renunciado a la presidencia del Partido Conservador por entender
<
partir de entonces de la política activa, aunque no dejó de mostrar
preocupación por los asuntos públicos hasta el mismo instante de su
muerte, en noviembre de 1933, tras la caída de la dictadura de Gerardo
Machado, que tanto combatió.
Varona es un caso curioso en la vida cubana. El pensador eclipsa
siempre en él al político cuando, al decir de Cosme de la Torriente,
era <
Torriente, <
El suicida
Tomás Estrada Palma quiso llevar de vicepresidente al mayor general
Bartolomé Masó. No aceptó este, pues habiendo sido, al igual que don
Tomás, presidente de la República en Armas, insistió en aspirar
también a la primera magistratura. En definitiva, las irregularidades
y presiones del Gobierno interventor norteamericano en la Isla a favor
de Estrada Palma forzaron el retraimiento de Masó, y el 31 de
diciembre de 1901 Estrada Palma concurrió a las elecciones como
candidato único y logró la victoria. Raros comicios aquellos en los
que el aspirante no participó en la campaña ni se encontraba siquiera
en Cuba.
Quiere el escribidor precisar que aquellas elecciones amañadas no
agriaron los nexos entre ambas figuras. Ya electo presidente, Estrada
Palma desembarcó por Gibara y se adentró en territorio cubano rumbo a
Manzanillo. Atravesó el río Cauto por el llamado Paso de la Mula.
Cerca de Yara lo esperaba Masó. Se fundieron en un estrecho abrazo
entre aplausos y vítores. El <
anfitrión del <
comían como en familia. Evocaban, en amenas charlas, lejanos
recuerdos, pero caían a veces en silencios abismales al abordar la
actualidad. <
Al rehusar Masó integrar la candidatura presidencial de Estrada Palma,
se barajaron los nombres de Manuel Sanguily y Luis Estévez y Romero.
Sanguily rechazó el ofrecimiento y el otro lo aceptó luego de
múltiples gestiones y de la intervención personal de Máximo Gómez, que
lo visitó para ayudarle a decidir. Era un abogado distinguido y su
matrimonio con Martha Abreu lo puso en relación con una de las
familias más ricas de la región central y lo vinculó a la lucha por la
independencia. Escribió varios libros, entre ellos el titulado Desde
el Zanjón hasta Baire, que apareció en 1899 y que Sanguily consideró,
en su momento, el estudio más completo del período encerrado entre dos
grandes guerras. No acompañó Luis Estévez a don Tomás hasta el fin de
su mandato. Renunció el 31 de marzo de 1905. Alegó motivos de salud,
pero en opinión de García Garófalo, su biógrafo, la dimisión, por su
fecha y por lo que en ese momento ocurría en Cuba, puede interpretarse
como una expresión de inconformidad con la afiliación de Estrada Palma
al Partido Moderado, recién fundado entonces, y a su intención de
reelegirse. Se suicidó en París, el 3 de febrero de 1909, justo un mes
después de la muerte de Martha.
Zayas y miguelistas
En su reelección, don Tomás lleva como vice al general Domingo Méndez
Capote. Había presidido la Asamblea Constituyente de 1901 y ocupó la
presidencia del Senado durante el primer período de Estrada Palma. Fue
una vicepresidencia efímera; de poco más de cuatro meses, entre mayo y
septiembre de 1906. Incapaz de sofocar la insurrección liberal de ese
año --la llamada <
con los alzados, Estrada Palma prefirió, en virtud de la Enmienda
Platt, solicitar la intervención norteamericana, y antes de renunciar
exigió la dimisión de todos sus ministros y la del vicepresidente, con
lo que dejó acéfala la República y las puertas abiertas a la
injerencia extraña.
La segunda intervención se extendería hasta el 28 de enero de 1909,
cuando accedió al poder el tique José Miguel Gómez-Alfredo Zayas. Los
conservadores y, con ellos, los derrotados de Estrada Palma,
estrecharon filas en torno a García Menocal, su caudillo natural.
Dentro de las huestes liberales pugnaban las facciones de miguelistas
y zayistas, con José Miguel al frente del grupo <
del Partido Liberal propiamente dicho. Las elecciones parciales de
1908 demostraron a los liberales que de permanecer divididos podían
olvidarse del triunfo. Fue así que ambas facciones se unieron para
llevar a José Miguel de presidente y a Zayas de vice, con la promesa
de que este último sería el candidato a la presidencia para el período
1913-1917. Así ocurrió, pero no resultó electo.
En esa ocasión Zayas, con Eusebio Hernández --general de la
independencia y eminente ginecólogo-- de vice, fueron derrotados por la
maquinaria Menocal-Varona. En las elecciones de 1908, Menocal había
llevado a Rafael Montoro como vice. Los liberales los derrotaron con
facilidad. El pasado autonomista de Montoro restó votos a esa
candidatura. Era previsible, pues antes su nombramiento como profesor
universitario fue impugnado con tal fuerza que no pudo acceder al
claustro. Los que se le oponían olvidaban que aquel hombre, de pulcra
actuación personal y defensor únicamente de sus ideas políticas, de
haberse ido a España al cesar la soberanía española en la Isla hubiera
disfrutado de una prometida senaduría vitalicia y de todos los honores
imaginables, entre estos un marquesado, con Grandeza de España, que
nunca quiso aceptar. Decidió permanecer en la tierra que lo vio nacer.
Era un hombre demasiado valioso para que la República lo dejara de la
mano. Fue, con Estrada Palma, embajador en Inglaterra y Alemania:
ministro de la Presidencia con Menocal, en 1913, y canciller en el
Gobierno de Zayas. Pasó por la vida pública sin mancharse. Al final de
su vida, el pueblo de La Habana hizo una colecta para que pudiera
morir en casa propia.
Con las ganas
El general Emilio Núñez acompañó a Menocal en su segundo mandato,
entre 1917 y 1921. Cuando Máximo Gómez murió el 17 de junio de 1906
impugnaba la reelección de Estrada Palma y promovía la candidatura
presidencial de Núñez, un hombre que participó en las tres guerras por
la independencia y que en la del 95 encabezó, con acierto, el
Departamento de Expediciones. Estuvo en la Asamblea Constituyente de
1901 y fue Gobernador de La Habana hasta 1908, cuando se empeñó en
organizar a los veteranos de las luchas patrias. Figura prominente del
Partido Conservador, fue muy activa su participación en las campañas
electorales de 1908 y 1912. Menocal lo nombró ministro de Agricultura,
Comercio y Trabajo, sectores agrupados entonces en una sola
secretaría, y en 1916 despuntó como candidato de los conservadores a
la Presidencia de la República. Pero decidido Menocal a reelegirse,
Núñez aceptó la candidatura para vicepresidente y, vencedor en los
comicios, sustituyó a Varona como tal.
Otro general de la Independencia, Francisco Carrillo, llegó al poder
con Zayas, en 1921. Zayas aspiró por el Partido Popular, organización
minúscula, de bolsillo, que triunfó con el apoyo de los conservadores
a cambio de que en las elecciones generales siguientes allanara la
victoria de Menocal. Es decir, esta vez no es llevado por los
liberales. Algo curioso. Zayas fue despojado de la presidencia del
Partido Liberal en un ruidoso pleito. El hecho de ser derrotado ante
los tribunales le abrió, por esos contrasentidos de la vida
republicana, la oportunidad de llegar a la Presidencia. Su contrario,
por los liberales, fue José Miguel, que llevó de vice a Miguel Arango
y Mantilla, figura minúscula como político, pero con gran influencia
en el sector azucarero. Solo el arraigo de José Miguel sobre las
huestes liberales pudo hacer posible que se obviara para
vicepresidente la candidatura del comandante camagüeyano Enrique
Recio, hombre de gran simpatía popular. Ese revés electoral anticipó
quizá la muerte de José Miguel, que falleció en Nueva York cuando
todavía no había transcurrido un mes de la toma de posesión de su
adversario.
Carlos de la Rosa fue el último vicepresidente electo al calor de la
Constitución de 1901. El cargo, ya se dijo, desapareció con la reforma
constitucional de 1928. Llegó al poder con Gerardo Machado y
representó, aseveran especialistas, una modificación en la política
electoral cubana desenvuelta hasta entonces entre <
alcanzó un grado tan, tan modesto, que sus panegiristas tienen a bien
no consignarlo. Matriculó la carrera de Derecho, pero no llegó a
graduarse. Su actuación en la vicepresidencia es calificada de
discreta, que es un término que engloba, por lo general, el de
mediocre, culminación de una modesta carrera que empezó como alcalde
de Manguito y luego de Cárdenas. Machado, cuando desapareció el cargo,
lo compensó con una senaduría vitalicia. Murió en 1933, poco antes del
derrumbe machadista.
Federico Laredo Bru fue el único vicepresidente que ocupó la primera
magistratura, luego de que el Senado juzgara y destituyera al
presidente Miguel Mariano Gómez. Ocurrió en 1936. Fulgencio Batista
ganó la presidencia en 1940, y tuvo como vice al eminente médico
Gustavo Cuervo Rubio. Se mencionaron arriba los vice de Grau y Prío.
Rafael Guas Inclán fue, entre 1955 y 58, vicepresidente de Batista.
Renunció para aspirar a la alcaldía habanera en la farsa electoral de
noviembre de ese último año. Ganó la plaza y debió tomar posesión el
24 de febrero de 1959. Triunfó la Revolución y Guas se quedó con las
ganas.
Ciro Bianchi Ross
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