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martedì 13 maggio 2014

Forsennato

FORSENNATO: di origine non certa

Per la difesa dell'Ambiente, con Luca Lombroso

Con VIDEO: Luca Lombroso a SulPanaro.net https://www.youtube.com/watch?v=7EH5YMwurjI
http://www.sulpanaro.net/2014/05/lombroso-mirandola-imparare-convivere-fenomeni-estremi-video/

Lombroso a Mirandola: “Imparare a convivere con fenomeni estremi”. VIDEO

Conoscere per prevenire. Luca Lombroso, ieri in Municipio a Mirandola, ha presentato il libro Apocalypse Now? in un incontro organizzato dalla lista L’Altra Europa con Tsipras. E’ stata l’occasione per fare il punto su cambiamenti climatici e sui recenti eventi che hanno flagellato anche il nostro territorio.
Introdotto da Stefano Lugli, candidato alle Europee del 25 maggio con L’Altra Europa, Lombroso è partito dal proprio libro – uscito a fine 2012 ed edito da Artestampa, ma oggi sempre più attuale – per spiegare come interpretare ciò che sta accadendo e, possibilmente, cosa ci dovremo aspettare in un futuro in cui, con certi fenomeni anche estremi, bisognerà saper convivere.


“Quella del Mediterraneo - argomenta - è una zona molto sensibile dal punto di vista del cambiamento del clima, ciò significa che gli effetti sono maggiori, il riscaldamento è superiore e gli eventi estremi sono più accentuati. L’Emilia-Romagna fa parte di quello spot del Mediterraneo e proprio per questo è particolarmente colpita, ma in realtà lo stesso si può dire per il Veneto, il Trentino e altre regioni di quest’area. La recente alluvione nelle Marche ne è un esempio: si tratta di fenomeni ormai non infrequenti”. Insomma, nubifragi anche intensi, alluvioni o periodi di clima fuori norma (come quello verificatosi lo scorso gennaio, con medie autunnali più che invernali) devono iniziare ad essere considerati eventi non così occasionali ed eccezionali. Tanto che Lombroso lancia un’idea: “Ritengo sia ora di iniziare a pensare, nelle aziende anche di questa zona, di approntare i piani di emergenza non solo in caso di terremoto come già accade, ma anche in caso di tornado, visto che certe situazioni stanno diventando, non dico la normalità, ma eventi non così improbabili”.


“Chi ha venti o trent’anni oggi – continua – deve mettersi nell’ordine delle idee che nel proprio futuro troverà situazioni di clima e risorse di energia differenti da quelle che ha conosciuto sinora. I cambiamenti già li stiamo vedendo, bisognerà adattarsi ad essi con i comportamenti e una diversa idea di quotidianità che non sarà più quella di oggi. Il clima è un dado truccato, in cui la variabilità aumenta e compaiono aspetti nuovi per quanto concerne temperature e precipitazioni. E’ un dado truccato perché, al di là della statistica, con il cambiamento ci sono possibilità che si verifichino eventi estremi. Ora, la Pianura Padana è destinata progressivamente ad un aumento di siccità ed alluvioni, ma la variabilità con cui gli eventi estremi accadono confonde le idee e così, se magari per qualche periodo non si verificano, il problema non viene più considerato tale, viene rimandato o sottovalutato e, nei periodi di crisi, non finisce mai nei primi posti dell’agenda politica”.


In tutto questo, inevitabilmente l’uomo è chiamato ad adattarsi per non soccombere: “Il sottotitolo del libro è‘Possiamo salvare il mondo. Ora’, ma la parola “ora” io l’ho scritta un anno e mezzo fa… Bisognerebbe agire adesso, immediatamente, quel ‘salvare il mondo’ significa salvare noi stessi, con una serie di azioni tese a saper convivere con problemi che, in parte, abbiamo causato, e che non possiamo permetterci vadano oltre certi limiti che non potremmo sopportare”. Ecco, allora, tornare in auge un concetto come quello di sostenibilità, ormai non più salvifico: “Sostenibilità – ancora Lombroso – significa cercare di fare meglio le cose ma con l’attuale modello di sviluppo. Il che va anche bene, ma doveva essere fatto vent’anni fa, quando la sostenibilità serviva a prendere tempo per affrontare in seguito le situazioni in maniera drastica. Oggi il concetto da utilizzare è quello diresilienza, ovvero come affrontare adeguatamente eventi fuori dagli standard, come possono essere periodi di siccità, alluvioni, tornado”. In questo senso, la cura del territorio, la manutenzione e la prevenzione diventano decisivi. Il dato è presto detto: “Un euro investito in prevenzione ne fa risparmiare sette di ricostruzione”. Basterebbe questo per capire la direzione.
E Lugli, al termine della serata, ha chiosato il tutto con una frase di Hugo Chavez: “Se il clima fosse una banca lo avrebbero già salvato”. Difficile dargli torto.
Acquista on line il libro Apocalypse Now? di Luca Lombroso
Il sito di Luca Lombroso
Luca Lombroso su Twitter
www.lombroso.it
luca@lombroso.it

lunedì 12 maggio 2014

I fatti di Orfila (II) di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud Rebelde dell'11/5/14

Oltre alle rivalità esistenti fra i gruppi criminali o d’azione, i fatti di Orfila ebbero diversi precedenti diretti. Uno di questi fu l’attentato che orlando León Lemus, “il Rosso”, subì nella Calzada di Ayestaran il lunedì 25 maggio del 1947 che, si sospettò, lo avesse perpetrato Emilio Tro o, almeno, gente dell’Unione Insurrezionale Rivoluzionaria (UIR) che dirigeva. Il 5 settembre dello stesso anno, l’automobile di Emilio Tro fu crivellata di colpi da uomini del “Rosso”, ma il leader dell’UIR non si trovava a bordo. In risposta a questa aggressione, una settimana dopo Tro finì a pistolettate, nella bottega di di 21 e D nel Vedado, il capitano Rafael Ávila, capo della Polizia di Sanità. Involucrato – da quel che si dice – nell’attentato del giorno 5.

Asciutto e affabile

Quelli che lo conobbero, ricordano Orlando León Lemus come un uomo dai capelli rossi, asciutto, inquieto, affabile. Accumulava, nel pieno della gioventù, una lunga storia da sovversivo dapprima nella Scuola di Arti e Mestieri, dove ottenne il soprannome di “Rosso” e poi nell’Istituto n° 1 di Secondo Insegnamento dell’Avana, luogo ove iniziò la sua opposizione a Batista. Fece parte del gruppo iniziale di Azione Rivoluzionaria Guiteras (ARG) e conquistò la celebrità nel 1939 rimanendo ferito nel già scomparso Teatro Principale della Commedia della calle Ánimas quando, militanti di questa organizzazione, chiusero a colpi d’arma da fuoco una riunione che vi celebravano i comunisti. Il Rosso che allora aveva 22 anni, uscì dal Principale con 4 colpi nel torace e un’accusa fatta dalla polizia che lo portò a comparire davanti al Tribunale d’Urgenza, dalla quale però venne assolto.
Non tardò nel vedersi coinvolto in altri fatti di sangue e il generale Manuel Benítez, capo della Polizia Nazionale nel governo costituzionale di Batista gli offrì, per ordine del Presidente, una grossa somma di denaro per andarsene all’estero. Il Rosso non accettò l’offerta. Nemmeno altri membri dell’ARG, come lo “Strano” e Rogelio Hernández Vega. La stessa proposta, il Generale Benítez la fece a Tro che però rifiutò il denaro anche se accettò di uscire dal Paese.
Passò il tempo. Un giorno del 1943 il Rosso viaggiava in autobus per la Calzada di Belascoaín quando venne riconosciuto dalla polizia. Gli agenti cercarono di arrestarlo, ma si dette alla fuga dopo averne abbattuto uno.
Giunse così la mattina del 25 maggio. Il Rosso guidava un’automobile in cui viaggiavano, inoltre, Tomás Bretón, della Gestione Nazionale della Lotteria e Francisco Villanueva, quando un altro veicolo lo superò a tutta velocità alla sua sinistra, per seppellirlo in una gragnuola di colpi e proiettili di mitragliatrice. Il Rosso e Bretón che viaggiavano assieme al loro compagno sul sedile anteriore, uscirono miracolosamente illesi e si persero nella prima traversa che incontrarono nella corsa mentre Villanueva, ferito, copriva la loro fuga fino a che l’auto assalitrice si perse in direzione del Cerro.
Pochi minuti dopo, il ferito, giungeva all’Ospedale d‘Emergenza. Lo accompagnava il Rosso. Quando questi si preparava a lasciare il posto medico, avvertì uno strano movimento e si guardò da un gruppo che gli sembrava sospetto. Temendo di essere soggetto a un altro attentato, chiese aiuto alla Polizia Segreta che, dalla sua sede di Reina e Escobar, inviò un nutrito gruppo di agenti per proteggerlo. Circondato di poliziotti, il Rosso abbandonò Emergenza travestito da medico. Quella stessa notte passeggiò per l’Avana una carovana di tre automobili irte di mitragliatrici. Nella seconda di esse viaggiava il Rosso che non tardò nel responsabilizzare Batista e Benítez, già fuori dal potere, dell’accaduto. Commentò: “Risponderò al piombo col piombo... Continuerò nella mia lotta rivoluzionaria”.

Mettono un prezzo sulla sua testa

La verità, senza dubbio, sembra essere un’altra. Un gruppo rivale aveva voluto eliminarlo. Il sempre ben informato Mario Kuchílan diceva, nella sua colonna del giornale Prensa Libre che un “conosciuto rivoluzionario” era al punto di essere sottomesso al giudizio di un tribunale privato. In effetti, cinque gruppi d’azione avevano messo un prezzo sulla sua testa e così lo rivelò un documento sottoscritto da Jesús Diéguez, dell’Unione Insurrezionale Rivoluzionaria; Luís Pérez, dell’Alleanza Nazionale Rivoluzionaria; Lauro Blanco, di Giovane Cuba; Vicente Alea, dell’Associazione Libertaria de Cuba e José Canto del Campo, dei Combattenti Antifascisti.
Il documento in questione: “La giustizia rivoluzionaria ha cercato di sanzionare Orlando León Lemus. Siccome questo fatto può dar luogo a confusione nell’opinione pubblica, ci interessa chiarire che non si tratta di contese tra organismi rivoluzionari né, molto meno, atti di tipo gangsteristico pagati dalla reazione di regimi passati che hanno tiranneggiato il Paese. L’atto realizzato contro León Lemus, al contrario, rispondeva al sentimento rivoluzionario più puro perpetrato da un’organizzazione che ha una storia pulita e feconda”. Proseguiva: “Quelli che militarono nel campo della rivoluzione e all’ombra del martirologio di coloro che caddero contro tutte le tirannie non hanno diritto di commerciare con la fame del popolo e ammassare fortune con mezzi disdicevoli, proteggendo la speculazione e la borsa nera, come ha fatto León Lemus”.
Emilio Tro rispose col piombo all’attentato del 5 settembre del 1947. Quella sera la sua auto fu crivellata di colpi. Se l’intenzione era di eliminarlo, i suoi nemici scelsero male il luogo e il momento. Tro non si trovava all’interno del veicolo e nessuno dei suoi occupanti morì, nonostante che oltre 60 proiettili perforarono la carrozzeria. È da supporre, dato il volume di fuoco, che ci fossero feriti, ma nessuno andò a cercare aiuto ai centri di pronto soccorso. Lo stile dell’aggressione e l’interesse per non formalizzare la denuncia fecero pensare a molti che la vendetta non avrebbe tardato a presentarsi. In effetti, subito il Segretario Generale della UIR, Jesús Diéguez dichiarava: “Sappiamo chi furono gli autori e vendicheremeo l’attentato. Sereni e responsabili, con la fiducia del movimento rivoluzionario di Cuba senza trascendere alla vendetta squallida di interessi meschini, né paure insultanti, a tutti i traditori della rivoluzione ricordiamo: La giustizia tarda, ma arriva’”
Si commentò che gli aggressori appartenessero al gruppo del Rosso e successivamente si seppe che la sera del 5, uno di coloro che erano all’interno del veicolo assalito, identificò il capitano Ávila come uno degli assalitori. Ávila, uomo del Rosso, fungeva da Capo della Polizia di Sanità. Una settimana dopo era cadavere. Beveva una gassosa nella bottega di 21 e D nel Vedado, quando tre uomini, scesi da una Buick nera, azionarono le loro pistole calibro 45. Ferito, Ávila, cadde in ginocchio. Si riprese con difficoltà e cercò di guadagnare l’interno dell’esercizio in un vano intento di sfuggire ai suoi aggressori. Lo finirono.

Ricerca e cattura

Diceva Enrique de la Osa nella nota che dette a conoscere nella sezione “En Cuba” della rivista Bohemia, che l’opinione pubblica accolse l’incidente come uno in più. Lesse con scetticismo che il capitano Francisco Loredo, capo della Nona Stazione di Polizia, aveva interrogato i testimoni presenti alla morte di Ávila e scritto rapporto dell’accaduto.
Una notizia di maggior rilievo si incubava nei meandri. Si assicurava che il colonnello Fabio Ruíz Rojas, capo della Polizia Nazionale, aveva designato il comandante Mario Salabarría perché agisse come ufficiale investigatore del crimine.Salabarría sottomise i testimoni a un interrogatorio rigoroso e gli mostrò diverse fotografie, fra le quali fu identificata quella di Emilio Tro, come uno dei giustizieri di Ávila.
Valendosi delle facoltà che gli conferiva il Servizio Militare della Riserva, il presidente Grau assegnò a Tro i gradi di comandante e lo designò capo dell’Accademia della Polizia. Una decina di suoi compagni ottenne incarichi da cadetti. Tro aveva vasta esperienza militare guadagnata nell’Esercito degli Stati Uniti, nel quale si arruolò nel 1942. Un lungo allenamento lo convertì in esperto nel maneggio delle armi principali. Ciò gli permise di entrare nelle forze del generale Patton, con le quali combatté in Normandia e Germania. Con lo stesso procedimento, dette ingresso a Salabarría e altri uomini di azione nel corpo poliziesco.
Tro non piaceva agli altri capi del gruppo; risultava indipendente in mezzo al complesso scacchiere delle organizzazioni. La sua designazione nella Polizia piacque ancora meno ai suoi avversari. Per di più non era gradito al colonnello Fabio Ruiz, ciò che provocò un malessere ingiustificato nell’istituzione. Ruiz non assistette alla presa di possesso di Tro come direttore dell’Accademia. Per dire la verità l’unico “alto” ufficiale che si fece presente fu Morín Dopico. Il lettore non perda di vista che a quell’epoca il Comando della Polizia Nazionale era nelle mani di un comandante o un tenente colonnello a cui, per comodità, si dava trattamento da colonnello.
Con la dichiarazione dei testimoni, Benito Herrera, capo della Polizia Segreta e il comandante Mario Salabarría si presentarono davanti al dottor Riera Medida, giudice istruttore della Quarta Sezione e con prove alla mano, il funzionario giudiziario emise ordine di detenzione nei confronti di Emilio Tro Rivero. Sarà Salabarría, per disposizione del giudice, l’incaricato di arrestarlo.
Era sabato 13 settembre. Quarant’otto ore dopo, si scatenarono i fatti del quartiere Orfila.
(Continua).

Los sucesos de Orfila (II)

Ciro Bianchi Ross * digital@juventudrebelde.cu
10 de Mayo del 2014 19:28:54 CDT

Además de las rivalidades existentes entre los grupos gangsteriles o
de acción, varios antecedentes directos tuvieron los sucesos del
Orfila. Uno de ellos fue el atentado que Orlando León Lemus, <>, sufriera en la Calzada de Ayestarán, el lunes 25 de mayo de
1947 y que, se sospechó, lo había perpetrado Emilio Tro o, al menos,
gente de la Unión Insurreccional Revolucionaria (UIR) que dirigía. El
5 de septiembre del propio año, el automóvil de Emilio Tro fue baleado
por hombres del Colorado, pero el líder de la UIR no se hallaba a
bordo. En respuesta a esa agresión, una semana después, Tro ultimó a
balazos, en la bodega de 21 y D, en el Vedado, al capitán Rafael
Ávila, jefe de la Policía del Ministerio de Salubridad, involucrado
--según se dijo-- en el atentado del día 5.

Enjuto y afable

Los que lo conocieron recuerdan a Orlando León Lemus como un hombre
pelirrojo, enjuto, intranquilo, afable. Acumulaba en plena juventud un
largo historial subversivo, primero en la Escuela de Artes y Oficios,
donde ganó el apodo del Colorado, y luego en el Instituto No. 1 de
Segunda Enseñanza de La Habana, lugar en que comenzó su oposición a
Batista. Figuró en el grupo inicial de Acción Revolucionaria Guiteras
(ARG) y ganó celebridad, en 1939, al resultar herido en el ya
desaparecido Teatro Principal de la Comedia, de la calle Ánimas,
cuando militantes de esa organización cerraron a tiros un acto que
allí celebraban los comunistas. El Colorado, que tenía entonces 22
años de edad, salió del Principal con cuatro tiros metidos en la caja
del cuerpo y una acusación policial que lo llevó a comparecer ante el
Tribunal de Urgencia que, en definitiva, lo absolvió.

No demoró en verse envuelto en otros hechos de sangre, y el general
Manuel Benítez, jefe de la Policía Nacional en el Gobierno
constitucional de Batista, le ofreció, por orden del Presidente, una
gruesa suma de dinero si se marchaba al extranjero. No aceptó el
Colorado la oferta. Tampoco otros miembros de ARG, como el Extraño y
Rogelio Hernández Vega. Igual propuesta hizo a Tro el general Benítez,
pero rechazó el dinero, aunque sí accedió a salir del país.

Pasó el tiempo. Un día de 1943 viajaba el Colorado en un ómnibus por
la Calzada de Belascoaín cuando fue reconocido por la policía.
Intentaron detenerlo los agentes, pero se dio a la fuga después de
abatir a uno de ellos.

Llegó así la mañana del 25 de mayo. Conducía el Colorado un automóvil
en que viajaban además Tomás Bretón, de la Renta Nacional de Lotería,
y Francisco Villanueva, cuando otro vehículo lo rebasó, a toda
velocidad y por su izquierda, para cubrirlo con una lluvia de
perdigonazos y balas de ametralladora. El Colorado y Bretón, quienes
viajaban junto a su compañero en el asiento delantero, salieron del
auto milagrosamente ilesos y se perdieron por la primera bocacalle que
encontraron en su carrera, mientras que Villanueva, herido, cubría su
fuga hasta que el auto agresor se perdió en dirección hacia El Cerro.

Minutos después llegaba el herido al Hospital de Emergencias. Lo
acompañaba el Colorado. Cuando este se dispuso a abandonar el centro
médico, advirtió un movimiento extraño y reparó en un grupo que le
pareció sospechoso. Temiendo ser objeto de otro atentado, pidió ayuda
a la Policía Secreta, que desde su cuartel de Reina y Escobar envió un
nutrido grupo de agentes para protegerlo. Rodeado de policías, el
Colorado abandonó Emergencias disfrazado de médico. Esa misma noche
paseó por La Habana una caravana de tres automóviles erizados de
ametralladoras. En el segundo de ellos viajaba el Colorado, que no
demoró en responsabilizar a Batista y a Benítez, ya fuera del poder,
con lo sucedido. Comentó: <>.

Ponen precio a su cabeza

La verdad, sin embargo, parece ser otra. Un grupo rival había querido
eliminarlo. El siempre bien informado Mario Kuchilán decía en su
columna del periódico Prensa Libre que <>
estaba a punto de ser sometido al juicio de un tribunal privado. En
efecto, cinco grupos de acción habían puesto precio a su cabeza y así
lo reveló un documento que suscribían Jesús Diéguez, de la Unión
Insurreccional Revolucionaria; Luis Pérez, de Alianza Nacional
Revolucionaria; Lauro Blanco, de Joven Cuba; Vicente Alea, de
Asociación Libertaria de Cuba; y José Canto del Campo, de los
Combatientes Antifascistas.

Decía el documento en cuestión: <>.

Proseguía:

<>.

Emilio Tro respondió con plomo al atentado del día 5 de septiembre de
1947. Esa noche su automóvil fue acribillado a balazos. Si la
intención era eliminarlo, sus enemigos escogieron mal el lugar y el
momento. Tro no se hallaba en el interior del vehículo, y ninguno de
sus ocupantes resultó muerto, pese a que más de 60 plomazos impactaron
su carrocería. Es de suponer, dado el volumen de fuego, que hubiera
heridos, pero nadie acudió en busca de ayuda a los centros de socorro.
El estilo de la agresión y el interés por no formalizar la denuncia
hicieron pensar a muchos que la venganza no demoraría en hacerse
presente. En efecto, pronto declaraba Jesús Diéguez, secretario
general de la UIR: <>.

Se rumoró que los agresores pertenecían al grupo del Colorado y con
posterioridad se conoció que uno de los que en la noche del día 5
estaba en el interior del vehículo agredido identificó al capitán
Ávila como uno de los agresores. Ávila, hombre del Colorado, fungía
como jefe de la Policía del Ministerio de Salubridad. Una semana
después era cadáver. Bebía una gaseosa en la bodega de 21 y D, en el
Vedado, cuando tres hombres, que habían descendido de un Buick negro,
hicieron funcionar sus pistolas calibre 45. Herido, Ávila cayó de
rodillas. Se incorporó con dificultad y trató de ganar el interior del
establecimiento en un vano intento de escapar de sus agresores. Lo
remataron.

Búsqueda y captura

Decía Enrique de la Osa en la nota que dio a conocer en la sección En
Cuba, de la revista Bohemia, que la opinión pública acogió el
incidente como uno más. Leyó con escepticismo que el capitán Francisco
Loredo, jefe de la Novena Estación de Policía, había interrogado a los
testigos presenciales de la muerte de Ávila y levantado acta del
suceso.

Una noticia de más ancho alcance se incubaba entre bastidores. Se
aseguraba que el coronel Fabio Ruiz Rojas, jefe de la Policía
Nacional, había designado al comandante Mario Salabarría para que
actuase como oficial investigador del crimen. Salabarría sometió a los
testigos a un interrogatorio riguroso y les mostró diversas
fotografías, entre las cuales fue identificada la de Emilio Tro como
uno de los victimarios de Ávila.

Valiéndose de las facultades que le confería el Servicio Militar de
Reserva, el presidente Grau otorgó a Tro grados de comandante y lo
designó jefe de la Academia de la Policía. Una decena de sus
compañeros obtuvieron cargos de cadetes. Tro tenía vasta experiencia
militar ganada en el Ejército de Estados Unidos, en el que se alistó
en 1942. Un largo entrenamiento lo convirtió en un experto en el
manejo de las principales armas. Eso le permitió ingresar en las
fuerzas del general Patton, con las que combatió en Normandía y
Alemania. Con el mismo procedimiento, dio entrada a Salabarría y a
otros hombres de acción en el cuerpo policial.

Tro disgustaba a los otros jefes de grupo; lucía independiente en
medio del complejo tablero de las organizaciones. Su designación en la
Policía disgustó aun más a sus contrarios. Para remate, no era del
agrado del coronel Fabio Ruiz, lo que provocó un improcedente estado
de indisciplina en la institución. Ruiz no asistió a la toma de
posesión de Tro como director de la Academia. A decir verdad, el único
<> oficial que se hizo presente en dicha ocasión fue Morín Dopico.
No pierda de vista el lector que en ese tiempo la jefatura de la
Policía Nacional estaba en manos de un comandante o un teniente
coronel al que, por comodidad, se daba trato de coronel.

Con la declaración de los testigos, Benito Herrera, jefe de la Policía
Secreta, y el comandante Mario Salabarría se personaron ante el doctor
Riera Medida, juez de instrucción de la Sección Cuarta, y, con las
pruebas a la vista, el funcionario judicial dictó orden de detención
contra Emilio Tro Rivero. Sería Salabarría, por disposición del juez,
el encargado de detenerlo.

Era el sábado 13 de septiembre. Cuarenta y ocho horas después se
desencadenaban los sucesos del reparto Orfila. (Continuará)

Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
http://wwwcirobianchi.blogia.com/
http://cbianchiross.blogia.com/


Auguri a tutte le mamme del mondo da parte mia e, spero dei lettori

domenica 11 maggio 2014



Nella giornata di ieri, sabato, si è svolta la prima tappa della kermesse mondiale di tuffi da grande altura, organizzata dalla Red Bull. Notevole affluenza di pubblico e diretta televisiva con schermi giganti sullo spiazzo prospiciente il Castillo de la Punta che, assieme al Morro, dal lato opposto dell’accesso alla baia di Carenas erano le fortezze che difendevano l’ingresso al porto di navi indesiderate.
Chiuso al traffico il Malecón nel tratto che va dal Tunnel da la Bahía al Parque Macéo, così come i tratti iniziali del Prado e di San Lázaro.
Per la cronaca, questa prima manifestazione è stata vinta dal britannico Blake Aldridge.




Fornitura

FORNITURA: la fuliggine

Terminato il FITUR 2014


Conclusa la XXXIV Fiera Internazionale del Turismo (FITUR) 2014 dell’Avana. Nonostante le trattative chiuse con un saldo positivo, con un turismo verso Cuba che non risente eccessivamente della recessione globale, anzi con un saldo rivolto al segno più e con l’annuncio di un nuovo colegamento da 25 città europee via Zurigo, la Fiera non è stata, secondo me una delle migliori per la logistica. Indubbiamente il Parco Morro Cabaña offre uno scenario di eccezionale bellezza e suggestione con viste mozzafiato della città e la sua struttura coloniale ricca di vestigia architettoniche e storiche, ma per un evento commerciale è certamente poco adatta per la scarsa versabilità dei numerosissimi locali e la dispersione dei vari stand, difficili da trovare e poco confortevoli.
Già la Fiera del Libro che vi si svolge fin dalla sua prima edizione trova le sue difficoltà logistiche, in compenso è molto più frequentata da pubblico ed espositori di modo che rende meno “deserta” la locazione.
Queste prime giornate di maggio sono state favorite da un tempo splendido che per contro, nelle ore centrali, ha reso praticamente intransitabili gli spazi all’aperto per il caldo e il sole implacabile. Speriamo che la prossima edizione si possa tenere al pabexpo che sicuramente offre maggiori garanzie di logistica e comfort. Anche se, purtroppo, il panorama non è lo stesso, ma non impedisce una visita di familiarizzazione al Parco Morro Cabaña, fra le altre...













sabato 10 maggio 2014

Formica

FORMICA: il foro non c'è

venerdì 9 maggio 2014

Fontina

FONTINA: sorgente di Tina

Parole di apertura della XXIV Fiera Internazionale del Turismo


l'amico Ciro Bianchi Ross è stato incaricato di dare un discorso di benvenuto ahli illustri invitati francesi a quesa edizione del FITUR, dove la Francia è il Paese invitato. Eccone il testo:

L'orma francese
di Ciro Bianchi Ross


Parole di Ciro Bianchi Ross all'inaugurazione dell'evento teorico della XXXIV Fiera Internazionale del Turismo dedicata alla Francia. L'Avana, 7 maggio 2014.

Ci fu un tempo in cui le prostitute francesi erano le preferite. Più eleganti, profumate, meno volgari, eccellevano da maestre nelle pratiche del sesso orale, allora sconosciute tra gli amanti cubani. Ce n'erano austriache, italiane, canadesi, belghe, tedesche...ma erano tutte francesi per quelli di casa. Una di loro, la piccola Berta, la donna più bella che mai ci fu nella zona di tolleranza di San Isidro, fu il detonante della guerra che sostennenero in questo quartiere avanero i protettori francesi e cubani. In quella tenzone – chiamata la guerra delle braghe sbottonate – trovarono la morte Louisi Lotot e Alberto Yarini, il re dei magnaccia cubani.
Gli ideali di “Libertà, Uguaglianza e Fraternità” proclamati dalla Rivoluzione Francese, scuotono molto presto il movimento rivoluzionario e anticolonialista dell'Isola. Fu numeroso il gruppo di cubani che, ai tempi della Spagna, trova rifugio in Francia per le sue idee, lo stesso succederà con la dittatura machadista. Il primo condannato a morte per il delitto di sovversivismo fu un inviato di José Bonaparte a disturbare l'ordine nella colonia.
Già da allora e fino aben inoltrata la prima metà del XX secolo, Parigi e non New York, sarà la mecca della borghesia e dell'aristocrazia cubana. Una sera alle Tullerìes, Napoleone III si getterà morto d'amore, ai piedi della cubana serafina Montalvo, terza Contessa di Fernandina, dalla fama di essere una delle cubane più belle del suo tempo. Marta Abreu e Luis Estevez y Romero, manterranno una fastosa magione a Parigi. Quella di Rosalía Abreu si converte, per desiderio espresso della sua proprietaria, nella Casa Cuba, pensione di studenti cubani che frequenatnco corsi alla Sorbona. A parigi ha casa a Parigi il matrimonio Baró-Lasa. Il poeta Saint John-Perse, Premio Nobel di Letteratura avrà, più in qua nel tempo, relazioni amorose con una distinta giovane cubana, Lilita Sánchez Abreu, alla quale dedicherà il suo problema “Alla straniera”. Lil e lo scrittore francese si conobbero nel 1932 e “Alla straniera” fu il regalo di commiato che il poeta le fece quando, anni dopo, si separarono per l'ultima volta a Washington. Senza dubbio, Perse, non dimenticò mai la cubana e ancora nel 1953 le fece arrivare questo messaggio: “Vorrei che sapesse che rimarrà sempre nel meglio di me stesso, che lei è molto di me stesso, che il mio cuore continua ad emozionarsi quando penso in lei e che il legame che esiste fra noi continuerà essendo per me, forse al contrario di quello che lei sente, eccezionale fino alla mia morte”.
Nella residenza parigina della cubana María de las Mercedes Santa Cruz y Montalvo, la molto conosciuta Contessa di Merlin che fu amante, si dice, del principe Geronimo Bonaparte, si alternavano Victor Hugo e Lamartine, Musset e Rossini, anche Maria Malibràn, la famosa cantante. Parigi è lo scenario dei grandi successi iniziali di Claudio José Brindis de Salas, il Paganini nero, come si chiamo lì e lì un altro cubano, José White, autore de La bella cubana, arriverà a sostituire Jean Delphine Alard alla sua cattedra nel Conservatorio di Parigi. La pittura moderna comincia a Cuba dopo il soggiorno parigino di Víctor Manuel e Alejo Carpentier scriverà, in francese, racconti surreali fino a che sente la necessità imperiosa di esprimere l'americano nella sua opera.
Vagabondi nottambuli saranno, a Parigi, il pittore Carlos Enríquez e il poeta Félix pita Rodríguez prima che lo fosse tutta una legione di scrittori e artisti cubani che si deliziavano con Sartre e le sue pagine sul compromesso intellettuale, seguono con simpatia la guerra di liberazione algerina e si entusiasmano con la Nuova Onda, gente che preferisce il volto smunto di Simone Signoret con una sigaretta che pende dalle labbra sotto un lampione opaco all'immacolata e sanissima Doris Day parlando da un telefono bianco.
Specchio della pazienza, scritto nel 1908 e che è il monumento più antico delle lettere cubane che è arrivato fino a noi, ha un francese come uno dei suoi suo protagonisti. Si tratta di un personaggio reale, il corsaro Gilberto Girón.
I fatti che canta il poema epico-storico Specchio della pazienza, accaddero realmente nel 1604. Il sequestro di Frate Juan de las Cabezas Altamirano, Vescovo di Cuba, da parte del corsaro francese Gilberto Girón, vicino alle coste di Manzanillo. Il vescovo riesce ad essere riscattato mediante un congruo pagamento: soldi, carne, pancetta e cuoio. Quindi un gruppo di ventiquattro creoli e spagnoli decide di lavare l'affronto e ci riesce. Si affronta alle forze del francese e il negro schiavo Salvador Golomón colpisce a morte il corsaro, per cui gli si offre la libertà. Già prima di allora, nel 1555, un altro corsaro francese, Jacques de Sores, si era impadronito dell'Avana e la distrusse prima di abbandonarla.
Alla fine del XVIII secolo, apparve a Cuba la controdanza come conseguenza dell'influenza francese nelle corti spagnole e l'arrivo dei primi coloni francesi da Haiti e Luisiana. Nel 1794 , il Papel Periódico dell'Avana, una delle nostre prime pubblicazioni giornalistiche, segnala un ballo ufficiale che comincia con un minuetto e prosegue con la controdanza. Anni dopo, nel 1809, un articolo pubblicato se El Aviso dell'Avana, ricorda l'inimicizia politica che esiste in quel momento tra Spagna e Francia e si scaglia contro i balli di origine francese. Della controdanza dice che è “un'invenzione che la diabolica Francia ci ha introdotto” Un ballo, prosegue che è, nella sua essenza,diametralmente contrario al cristianesimo, “fatto a base di gesti lascivi e una ruffianità imprudente...che provocano, per la stanchezza e il caldo che patisce il corpo, la concupiscenza” Già per questa data - inizi del XIX secolo – nasceva la controdanza creola. In essa si trovano le cellule iniziali dell'habanera, il danzón, la guajira, la clave, la criolla e altre modalità della canzone cubana. Il valzer e la controdanza, portati dagli immigrati francesi, trovarono subito documento di cittadinanza fra di noi.
Parigi, nei decenni iniziali del XX secolo, fu uno dei primi scenari internazionali della musica cubana. La francia che tradizionalmente aveva ignorato l'America, comincia allora a interessarsi per le cose di questo continente ed è la musica cubana con Moisés Simons e Eliseo Grenet, di mezzo, quella che aprì questa porta. Sono i giorni de El manisero e di Mamá Inés una musica, dice Carpentier testimone di quella esplosione, che profumava a esterno di zuccherificio, a cortile di case popolari, a chioschi cinesi a mandorle tostate da premio...e che non era altro che il son e la conga che irrompevano in teatri e cabaret. Nel suo momento, Los Zafiros entusiasmarono al teatro Olimpia di Parigi e Dith Piaf conquisterà successi incondizionali nelel sue serate del cabaret Sans Souci.
Ancora nel 1977 il Teatro dei campi Elisi, di Parigi, servì da pista di decollo al cubano Jorge Luis Prats. Trascorreva il Ventisettesimo Concorso Internazionale Marguerite Long-Jaques Tibaud e questo pianista fenomenale era uno dei cinquantasette candidati di tredici Paesi che optavano per i riconoscimenti della gara. La giuria fu particolarmente severa con i concorrenti: dopo la prima eliminatoria ne rimasero solo undici e otto dopo la seconda. Nel terza selezione, quella definitiva, Prats ottenne il Primo Gran Premio Marguerite Long e con quattro dei cinque premi speciali della gara. Il permio che non vinse era destinato a riconoscere il miglior interprete di Rachmaninov e non venne assegnato. Prats non aveva portato al concorso nessuna opera di Rachmaninov.
La Francia disputa a Cuba la nazionalità dell'eminente urologo Joaquin Albarrán che donò alla sua natìa Sagua la Grande, città della regione centrale dell'Isola, la sua toga e il tòcco di professore della Sorbona. Il progetto dell'acquedotto dell'Avana, dell'ingegner Francisco de Albear ricevette, nel 1887, la Medaglia d'Oro all'Esposizione Internazionale di Parigi, una delle sette meraviglie dell'ingegneria civile cubana. Opere sociali e economiche importantinella vita cubana, come il tunnel dell'Avana e il tunnel della Quinta Avenida, furono eseguite da imprese francesi.
Lezama Lima che riconobbe come pochi la cultura francese, non andò mai in Francia. Il modernista Julián del Casal, seguace di Baudelaire e Verlaine, investe in un desiderato viaggio a Parigi l'esigua fortuna che gli lascia suo padre. Attraversa l'Atlantico, ma non passa dalla Spagna. Ha sognato tanto la capitale francese che teme che la realta lo deluda, che il suo sogno svanisca come il profumo di un fiore colto con le mani. Senza mai aver visto un originale di Moreau, casal può mettere in versi in Mi museo ideal, dieci quadri del francese; una delle migliori collezioni di sonetti che esiste nelle lettere cubane. José Martí, in cambio arriverà a parigi alla fine della sua prima deportazione in Spagna e conoscerà Victor Hugo. Il francese aveva appena pubblicato Mes fils e l'opera è al sensazionalità del momento. Martí ne acquista una copia e al suo ritorno in America, nella solitudine silenziosa dell'Atlantico, assiema all'aria di mare lo tonificano quelle riflessioni di Hugo sulla tristezza del proscritto e il piacere del sacrificio. Nel secolo scorso, Mariano Brull, farà una traduzione eccellente di Cimitero marino e La giovane parca di Paul Valery. Cintio Vitier mette in spagnolo le illuminazioni di Rimbau e Lezama lima assume la versione spagnola di Piogge, di Saint-John Perse. Sempre, dal XIX secolo, poeti nati a Cuba adottarono come propria la lingua di Francia e invece di scrivere in spagnolo, aspirarono a scrivere i loro nomi nelle lettere francesi. Figurano in questa linea José María de Heredia autore di Les Trophées. Anche Augusto da Armas, autore di Rimes byzantines e Armand Godoy, autore di oltre quaranta poemari scritti in francese e pubblicati in Francia. Frutto del talento di Godoy è la traduzione fedele e armoniosa di poemi di José Martí che dette a conoscere nel 1937. Un lavoro meritorio nell'insegnamento del francese è quello che svolge da molti anni l'Alianza Francesa, mentre, l'Unión Francesa, fondata nel 1925, si sforza per riunire i francesi residenti o di passaggio a Cuba.
La cucina francese è una degli affluenti di quella cubana. Ristoranti come Le Vendôme, Normandie, Mès Amìs, La Torre e sopratutto El Palcio de Cristal, mantennero all'Avana, già nel XX secolo, le glorie della cucina francese. Nonostante i cuochi stranieri fossero un'eccezione nelel case cubane, il milionario Oscar Cintas ebbe uno chéf francese nella sua residenza avanera perché servisse la sua tavola nei tre o quattro giorni l'anno che passava a Cuba. Lo ebbe anche Agustín Batista González de Mendoza. Nel 1949, il padrone di The Trust Company of Cuba, considerata una delle cinquecento entità bancarie del mondo, portò dalla Francia Sylvain Brouté che aveva lavorato per celebrità come i Rothschild, la principessa de la Tour D'Auvergue, il Conte de Vianne e Jacques Guerlain. Col tempo, Brouté, rescise il suo contratto con ala coppia Batista-Falla Bonet e aprì la sua propria attività, Sylavin Patisserie, dolci e buffet per cene fini di cibo francese e che dopo la morte del suo fondatore, diede origine a una catena di opifici di pane e dolci di successo. Un piatto caratteristico della cucina cubana, l'aragosta al caffé, nacque a Parigi e non pochi piatti francesi si sono “cubanizzati” all'Avana nell'introdurvi le nostre spezie nel loro confezionamento. Così l'aragosta termidor “cubanizzata” si condisce con aglio, peperoncino, formaggino e senape che le danno odore e sapore differente.
Dopo innumerevoli e infruttuosi tentativi, il 22 aprile del 1819 si tenne la fondazione della colonia Fernandina de Jagua (la odierna Cienfuegos, n.d.t.), con la presenza nel territorio del colonnello degli Eserciti Reali Juan Luis Lorenzo de Clouet e un gruppo di coloni francesi provenienti da Bordeaux, la luisiana e Filadelfia.
Fu l'unica cittò in america che, sotto la Corona Spagnola fu sognata disegnata e fondata da francesi, marchio che la sviluppa e si trasforma per la sua creazione e immagine alla città più “francesizzata” di Cuba. Mentre in America si produce l'espansione delle città esistenti o se ne fondano altre di minor importanza, è a Cienfuegos dove si raggiunge la materializzazione delle idee più moderne e illustri del XIX secolo che si esprime con l'integrazione del suo urbanismo e architettura, con la rottura coloniale della piazza, la chiesa il municipio e nell'esplosione delle nuove funzioni proprie della modernità, assieme alla sua stretta relazione con la baia che la avvolge, condiziona, qualifica.
Il suo perfetto ed elegante tracciato neoclassico a forma di scacchiera che si estende per tutto il perimetro urbano, costituisce una mostra eccezionale dell'rbanismo cubano e americano del XIX secolo al quale si aggiunge la ricchezza monumentale dei suoi spazi pubblici, i suoi edifici neoclassici, eclettici e di Art Decò, tutto ciò generatori di una grande omogeneità stilistica e costruttiva che definisce l'alto valore urbano e architettonico che ha ereditato il complesso.
Cienfuegos costituisce un'ineguagliabile congiunto di valori strettamente relazionati al mare, vero protagonista della sua ricchezza, identità fisica e spirituale dei cienfuegueros. Da lì che sia riconosciuta sia nazionalmente che internazionalmente come La Bella Città del Mare e la Perla del Sud. Detta baia, rifugio costante dei più famosi pirati e corsari del loro tempo fu battezzata, prima dell fondazione di Cienfuegos, come Il Grande Porto delle Americhe, soprannome che raccoglie le eccellenti condizioni della sua baia a forma di sacca, fonte di ispirazione e ricchezza, conchiglia che si apre al mondo con ampie possibilità ambientali, commerciali e turistiche.
Fu una città ricca e colta. La sua risorsa economica fondamentale era lo zucchero e manteneva un commercio intenso con l'estero. La sua borghesia parlava le lingue, educava i figli con istitutrici francesi prima di inviarli in Europa e passeggiava i suoi ozi in lussuose carrozze modello Principe Alberto.
Questo splendore di ieri si avverte oggi nel severo neoclassicismo di molti edifici dell'urbe. Il Teatro Sauto è una delle gioie dell'architettura cubana e la chiesa di San Pietro Apostolo è considerata come la costruzione neoclassica più bella del Paese. Niente uguaglia, nel continente la farmacia francese del dottor Triolet, convertita in museo.
Questo esercizio fu aperto al pubblico il 1° gennaio 1882. Fondata dai dottori Emilio Triolet, nato a Lissy, Francia, e Juan Fermín Figueroa, il cosiddetto re delle farmacie a Cuba, acquisì subito fama.
Durante la fine del XIX secolo e inizio del XX, mantenne rapporti commerciali con i laboratori più importanti del mondo. Triolet partecipò all Esposizione Universale di Parigi nel 1900 ottenendo la Medaglia di Bronzo con undici prodotti brevettati da lui. Nel 1964 l'esercizio fu nazionalizzato e convertito immediatamente in museo. Esibisce, fra gl altri oggetti originali, i suoi vasi di porcellana policroma, i libri dove si registravano le ricette e una valorosa collezione di etichette, così come il bancone del dispensario. A Trinidad si conserva la Casa del Corsaro, fu costruita nel 1754 dal capitano di corsa Carlos Merlin, di origine francese. A Trinidad all'epoca della corsa, c'era un quartiere intero, El Fotuto, abitato da corsari. Non bisogna dimenticare che con Bayamo e Remedios, Trinidad era base di corsari. Gilberto Girón, il corsaro di “Espejo de paciencia”, dette nome a una spiaggia della baia dei Porci, Playa Girón, scritta a colpi di sangue e eroismo nella storia della Rivoluzione e tutt'oggi all'Isola della Gioventù, ci sono persone che cercano i tesori, presumibilmente, nascosti da pirati e corsari nel territorio.
Crogiolo di culture, somma di incontri e disincontri – catalani al centro dell'emigrazione spagnola, africani di etnie diverse, francesi, haitiani, antillani in generale – la mescolanza è più aperta a Santiago de Cuba che nel resto del Paese e l'influenza negra resta un elemento essenziale.
C'è influenza francese nel suo folclore. La Tumba Francesa, uno dei centri culturali della città, è composta da discendenti di schiavi africani che ebbero padroni francesi e utilizzano elementi tradizionali di provenienza dahomeyana, mentre il Balletto Folkloristico Cutumba, da un tocco proprio alle radici haitiane e franco haitiane. Nella periferia della città sono visibili rovine di aziende di produzione e raccolta del caffè che erano di francesi. Il restauro di una di queste – La Isabelica, nei dintorni della Gran Piedra, roccia granitica che si eleva a oltre 1200 metri di altitudine – permette di vedere come viveva la famiglia proprietaria e come si ottenevano i raccolti. In questa regione si installarono molti francesi che fuggirono da Haiti dopo il trionfo della Rivoluzione e si dedicarono alla coltivazione del caffè. Il museo descrive la vita in queste tenute e gli strumenti utilizzati nelle coltivazioni. Fuori dall'edificio del museo sono situati gli essiccatoi, la mola e un acquedotto.
Più di 60 famiglie con cognomi francesi sono radicate a Baracoa. I loro antenati arrivarono a questa città nei giorni della rivoluzione haitiana. La giusta ira dei loro antichi schiavi li aveva privati di quasi tutto quello che possedevano nella vita, ma poterono scappare da Haiti con la testa sulle spalle e una volta a Baracoa propagarono i loro usi e costumi, la loro filosofia e letteratura e si dedicarono a controllare l'economia della regione. Rivitalizzarono l'industria zuccheriera locale che sparì in seguito e introdussero nuovi metodi e varietà nella semina del caffè.
Dietro a loro giunse a Baracoa, nel 1819, il dottor Enrìque Faber. Di bella presenza, simpatico, buon medico, il francese non smetteva di vantarsi della sua condizione di chirurgo negli eserciti napoleonici. La sua popolarità e fama crescevano giorno dopo giorno e non mancavano, naturalmente, le ragazze nubili – e alcune sposate – che sospiravano al suo passaggio e lo chiamavano col pretesto di qualunque, falsa, indisposizione improvvvisa.
Le preferenze del giovane medico non erano fra le sue compatriote, ma fra le giovani creole e fra loro, sembrava avere occhi per Juana de Leòn, una signorina a cui il viso brillva come una moneta appena coniata. Il dottor Faber si vide corrisposto, gli amori culminarono in matrimonio e come nelle favole gli sposi vissero felici fino a quando la notizia non si sparse per la città e dintorni, provocando l'intervento delle autorità locali.
Una schiava domestica vide più di quello che doveva e scoprì, spaventata, che il dottor Enrique Faber era una donna.
La giustizia, immediatamente mise in chiaro i fatti e una commissione di medici, gli stessi a cui il dottor Faber aveva sottratto la clientela, lo sottomise a un coscienzioso esame che confermò quello che la schiava stava proclamendo a i quattro venti.
Senz’altra alternativa, Enriqueta Faber rivelò la sua storia. Vedova, usurpò il nome e i documenti di suo marito che le aveva trasmesso le sue conoscenze di Medicina e una buona scorta di aneddoti dei suoi trascorsi nelle campagne bonapartiste e se ne andò a cercare fortuna per il mondo fino che sbarcò a Baracoa, dove la colonia francese lì residente poteva garantirle una clientela vasta e sicura.
La sanzione fu severa. La Chiesa annullò il matrimonio e la truffaldina fu rinchiusa nella Casa di Raccolta dell’Avana per diversi anni. Poi fu espulsa da Cuba.
Juana de León non rinunciò alle sue vanità del mondo, com’era da attendersi. Otto anni dopo l’incidente si sposò nuovamente, adesso sì, con un signore di retta e incorruttibile virilità.
Napoleone ha il suo palazzo all’Avana. È, nel suo genere, il museo più importante che esiste fuori dalla Francia. L’Imperatore non venne mai a Cuba; giunse però la sua maschera funebre. La portò Antonmarchi, il suo medico durante l’esilio a Sant Elena che visse e morì a Santiago de Cuba, dove venne inumato nel cimitero di Santa Ifigenia di questa città.
Ci visitò anche il Duca di Orleàns, futuro re di Francia col nome di Luigi Filippo I. Giunse in compagnia dei suoi fratelli, il Duca di Montpensier e il Conte Beaujolais. La visita dei principi di Orleans fu un avvenimento sociale. La Contessa di Jibacoa, loro anfitriona principale, mise la sua casa a disposizione dei francesi, pagò le loro spese e diede a Luigi Filippo, alla sua partenza da Cuba, una borsa con mille once d’oro.
Molto generoso fu anche don Martín Aróstegui y Herrera che somministrò ai principi, in qualità di prestito, una buona somma di denaro di cui poi rifiuto la restituzione. Si dice che Luigi Filippo si rivolgeva a lui come “Mon Chér Martin” e che gli inviò in regalo il ritratto di sua madre, la regina Luisa di Borbone-Pethievre, disegnato da David quando, nel 1938, il Principe di Joiunville, suo figlio, visitò l’Avana con quell’incarico.
Vive all’Avana Maria Antonietta di Francia. L’immaginario popolare situa il suo arrivo alla fine della decade degli anni ’20. Vestita di bianco, deambula senza testa lungo il Salone dei Passi Perduti del Campidoglio dell’Avana. Nessuno è riuscito a parlarle. È estremamente paurosa e fugge davanti agli estranei.



La huella francesa
Ciro Bianchi Ross.


Palabras de Ciro Bianchi Ross en la inauguración del evento teórico de
la 34 Feria Internacional de Turismo, dedicado a Francia. La Habana,
mayo 7 de 2014

Hubo un tiempo en Cuba en que las prostitutas francesas eran las
preferidas. Más elegantes y perfumadas, menos vulgares, se alzaban
como maestras en prácticas como la del sexo oral entonces todavía
desconocidas entre los amantes cubanos. Las había austriacas,
italianas, canadienses, belgas, alemanas... pero todas eran francesas
para los del patio. Una de ellas, la pequeña Berta, la mujer más bella
que hubo jamás en la zona de tolerancia de San Isidro, fue el
detonante de la guerra que en dicha barriada habanera sostuvieron
proxenetas franceses y cubanos. En aquella contienda --la llamada
guerra de las portañuelas-- encontraron la muerte Louis Lotot y
Alberto Yarini, el rey de los chulos cubanos.

Los ideales de <> proclamados por la
Revolución Francesa, mueven desde temprano el movimiento
revolucionario y anticolonialista de la Isla. Numeroso es el grupo de
cubanos que, en tiempos de España, encuentra, por sus ideas, refugio
en Francia, y lo mismo sucederá bajo la dictadura machadista. El
primer condenado a muerte por el delito de infidencia fue un enviado
por José Bonaparte a subvertir el orden en la colonia.

Ya para entonces, y hasta bien entrada la primera mitad del siglo XX,
París, y no Nueva York, será la meca de la aristocracia y la burguesía
cubanas. Una noche, en las Tullerías, Napoleón III se arrojará, muerto
de amor, a los pies de la cubana Serafina Montalvo, III Condesa de
Fernandina, con fama de ser una de las cubanas más bellas de su
tiempo. Marta Abreu y Luis Estévez y Romero mantendrán una fastuosa
mansión en París. La de Rosalía Abreu se convierte, por decisión
expresa de su propietaria, en La Casa Cuba, albergue de estudiantes
cubanos que cursan estudios en La Sorbona. Tiene también casa en París
el matrimonio Baró-Lasa. El poeta Saint John-Perse, Premio Nóbel de
Literatura, tendrá, más acá en el tiempo, relaciones amorosas con una
distinguida joven cubana, Lilita Sánchez Abreu, a la que dedicará su
poema <>. Lil y el escritor francés se conocieron en
1932 y <
> fue el regalo de despedida que el poeta le
hizo cuando, años después, se separaron por última vez, en
Washington. Sin embargo, Perse no olvidó nunca a la cubana y todavía
en 1953 le hacía llegar este mensaje: <>.

En la residencia parisina de la cubana María de las Mercedes Santa
Cruz y Montalvo, la muy célebre Condesa de Merlin, que fue amante, se
dice, del príncipe Jerónimo Bonaparte, alternan Víctor Hugo y
Lamartine, Musset y Rossini. También María Malibrán, la famosa
cantante. París es el escenario de los grandes éxitos iniciales de
Claudio José Brindis de Salas, el Paganini negro, como se le llamó, y
allí otro cubano, José White, autor de La bella cubana, llegaría a
sustituir a Jean Delphine Alard en su cátedra del Conservatorio de
París. La pintura moderna comienza en Cuba luego de la estancia
parisina de Víctor Manuel, y Alejo Carpentier escribirá en francés
relatos surrealistas hasta que siente la necesidad imperiosa de
expresar lo americano en su obra.

Vagabundos del alba serán en París el pintor Carlos Enríquez y el
poeta Félix Pita Rodríguez antes de que lo fuera toda una legión de
escritores y artistas cubanos que se deslumbran con Sartre y sus
páginas sobre el compromiso intelectual, siguen con simpatía la guerra
de liberación argelina y se entusiasman con la Nueva Ola, gente que
prefiere el rostro demacrado de Simone Signoret con un cigarrillo
colgando de los labios bajo una farola opaca a la inmaculada y
saludable Doris Day hablando por un teléfono blanco.

Espejo de paciencia, escrito en 1608 y que es el monumento más
antiguo de las letras cubanas que ha llegado hasta nosotros, tiene a
un francés como uno de sus protagonistas. Se trata de un personaje
real, el corsario Gilberto Girón.

Los hechos que canta el poema épico-histórico Espejo de paciencia
sucedieron realmente en 1604. El secuestro de fray Juan de las Cabezas
Altamirano, Obispo de Cuba, por el corsario francés Gilberto Girón
cerca de las costas de Manzanillo. El Obispo logra ser rescatado
mediante el pago de un cuantioso rescate --dinero, carne, tocino y
cueros. Entonces un grupo de veinticuatro criollos y españoles decide
lavar la afrenta y lo consigue. Se enfrenta a las fuerzas del francés
y el negro esclavo Salvador Golomón da muerte al corsario, por lo que
se le otorga la libertad. Ya para entonces, en 1555, otro corsario
francés, Jacques de Sores, se había apoderado de La Habana y la
destruyó antes de abandonarla.

A fines del siglo XVIII aparecía en Cuba la contradanza como
consecuencia de la influencia francesa en las cortes españolas y la
llegada de los primeros colonos franceses de Haití y Louisiana. En
1794, El Papel Periódico de La Habana, una de nuestras primeras
publicaciones periódicas, reseña un baile oficial que comienza con un
minué y prosigue con la contradanza. Años más tarde, en 1809, un
artículo publicado en El Aviso de La Habana, recuerda la enemistad
política que existe en ese momento entre España y Francia y arremete
contra los bailes de origen francés. De la contradanza dice que es
<>. Un
baile, prosigue, que es, en su esencia, diametralmente contrario al
cristianismo, <>. Ya para esta fecha --inicios del siglo XIX--
nacía la contradanza criolla. En ella se encuentran las células
iniciales de la habanera, el danzón, la guajira, la clave, la criolla
y de otras modalidades de la canción cubana. El vals y la contradanza
traídos por los inmigrantes franceses tuvieron pronto carta de
ciudadanía entre nosotros.

Es París, en las décadas iniciales del siglo XX, uno de los primeros
escenarios internacionales de la música cubana. Francia que
tradicionalmente había ignorado a América, empieza entonces a
interesarse por las cosas de este continente y es la música cubana,
con Moisés Simons y Eliseo Grenet por medio, la que abrió esa puerta.
Son los días de El manisero y de Mamá Inés, una música, dice
Carpentier, testigo de aquella explosión, que olía a batey de ingenio,
a patio de solar, a puesto de chinos, a pirulí premiado... y que no era
más que el son y la conga que irrumpían en teatros y cabarets. En su
momento, Los Zafiros arrebatarían en el teatro Olimpia, de París, y
Edith Piaf conquistaría nuevos incondicionales en sus noches del
cabaret Sans Souci.

Todavía en 1977 el Teatro de los Campos Elíseos, de París, sirvió de
pista de despegue al cubano Jorge Luis Prats. Transcurría el Vigésimo
Séptimo Concurso Internacional Margueritte Long-Jacques Tibaud y ese
pianista fenomenal era uno de los cincuenta y siete candidatos de
trece países que optaban por los galardones del certamen. El jurado
fue particularmente severo con los concursantes: solo once de ellos
quedaron después de la primera eliminatoria, y ocho después de la
segunda. En la tercera ronda, la definitiva, Prats se alzó con el
Primer Gran Premio Margueritte Long y con cuatro de los cinco premios
especiales de la competencia. El galardón que no conquistó estaba
destinado a reconocer al mejor intérprete de Rachmáninov, y quedó
desierto. Prats no había llevado a concurso ninguna obra de
Rachmáninov.

Francia disputa aún a Cuba la nacionalidad del eminente urólogo
Joaquín Albarrán, que legó a su natal Sagua la Grande, ciudad de la
región central de la Isla, su toga y su birrete de profesor de La
Sorbona. Medalla de Oro en la Exposición Internacional de París
obtuvo, en 1887, el proyecto que el ingeniero Francisco de Albear
realizó para el acueducto de La Habana, una de las siete maravillas de
la ingeniería civil cubana. Obras sociales y económicas importantes
en la vida cubana, como el túnel de La Habana y el túnel de la Quinta
Avenida, fueron ejecutadas por empresas francesas.

Lezama Lima, que conoció como pocos la cultura francesa, no estuvo
nunca en Francia. El modernista Julián del Casal, seguidor de
Baudelaire y Verlaine, invierte en un ansiado viaje a París la exigua
fortuna que le lega su padre. Cruza el Atlántico, pero no pasa de
España. Ha soñado tanto con la capital francesa que teme que la
realidad lo desilusione, que su ensueño se desvanezca como el aroma de
una flor cogida con la mano. Sin haber visto nunca un original de
Moreau, Casal puede llevar al verso, en Mi museo ideal, diez cuadros
del francés; una de las mejores colecciones de sonetos que existe en
las letras cubanas. José Martí, en cambio, llegará a París al final de
su primer destierro, en España, y conocerá a Víctor Hugo. Acababa el
francés de publicar Mes fils, y la obra es la sensación literaria del
momento. Martí se hace de su ejemplar y en su retorno a América, en la
soledad silenciosa del Atlántico, lo tonifican, junto al aire de mar,
aquellas reflexiones de Hugo sobre la tristeza del proscrito y el
placer del sacrificio. En el siglo pasado Mariano Brull hará una
traducción excelente de Cementerio marino y La joven parca, de Paul
Valery. Cintio Vitier pone en español las Iluminaciones, de Rimbau. Y
Lezama Lima asume la versión española
de Lluvias, de Saint-John Perse. Hubo siempre, desde el siglo XIX,
poetas nacidos en Cuba que adoptaron como propio el idioma de Francia
y, en lugar de escribir en español, aspiraron a incorporar su nombre a
las letras francesas. Figuran en esa línea José María de Heredia,
autor de Les Trophées. También Augusto de Armas, autor de Rimes
byzantines, y Armand Godoy, autor de más de cuarenta poemarios
escritos en francés y publicados en Francia. Fruto del talento de
Godoy es la traducción fiel y armoniosa de poemas de José Martí que
dio a conocer en 1937. Una labor meritoria en la enseñanza del francés
acomete desde hace muchos años la Alianza Francesa, en tanto que la
Unión Francesa, fundada en 1925, se esfuerza por agrupar a franceses
residentes o de paso por Cuba.

La cocina francesa es uno de los afluentes de la cubana. Restaurantes
como Le Vendome, Normandie, Mes Amis, La Torre y, sobre todo, El
Palacio de Cristal, mantuvieron en La Habana, ya en el siglo XX, las
glorias de la cocina francesa. Pese a que los cocineros extranjeros
eran excepción en las casas cubanas, el millonario Oscar Cintas tuvo
un chef francés en su residencia habanera para que atendiera su la
mesa en los tres o cuatro días que cada año pasaba en Cuba. También lo
tuvo Agustín Batista González de Mendoza. En 1949, el dueño de The
Trust Company of Cuba, considerado uno de las quinientas entidades
bancarias más importantes del mundo, trajo de Francia a Sylvain Brouté
que había trabajado para celebridades como los Rothschild, la Princesa
de la Tour D' Auvergue, el Conde de Vianne y Jacques Guerlain. Con el
tiempo, Brouté rescindió su contrato con el matrimonio Batista-Falla
Bonet y abrió su propio negocio, Sylvain Patisserie, repostería y
buffet de comida fina francesa que, ya muerto su fundador, daría
origen a una exitosa cadena de establecimientos de pan y dulces. Un
plato emblemático de la cocina cubana, la langosta al café, nació en
París, y no pocos platos franceses se cubanizaron en La Habana al
incorporárseles nuestras especias en su confección. Así, la langosta
termidor cubanizada se sazona con ajo, ají guaguao, tomillo y mostaza
que le dan sabor y olor diferentes.

Luego de innumerables e infructuosos intentos, el 22 de abril de 1819
se efectuó la fundación de la colonia Fernandina de Jagua, con la
presencia en el territorio del coronel de los Reales Ejércitos Juan
Luis Lorenzo De Clouet y un grupo de colonos franceses procedentes de
Burdeos, Luisiana y Filadelfia.

Fue la única ciudad de América que bajo la Corona Española fue soñada,
diseñada y fundada por franceses, sello que la fomenta y se convierte
por su creación e imagen en la ciudad más afrancesada de Cuba.
Mientras en América se produce la expansión de sus ciudades ya
existentes o se fundan otras de menor importancia, es en Cienfuegos
donde se alcanza la materialización de las ideas más modernas e
ilustradas del siglo XIX, que se expresa con la integración de su
urbanismo y arquitectura, con la ruptura colonial de la plaza, la
iglesia y el cabildo y en la explosión de las nuevas funciones propias
de la modernidad, junto a su estrecha relación con la bahía que la
envuelve, condiciona y cualifica.

Su elegante y perfecto trazado neoclásico en forma de tablero de
ajedrez, que se extiende por todo su perímetro urbano, constituye un
exponente excepcional del urbanismo cubano y americano del siglo XIX,
al que se suma la riqueza monumental de sus espacios públicos y sus
edificaciones neoclásicas, eclécticas y de Art Deco, todas ellas,
generadoras de una gran homogeneidad estilística y constructiva, que
define el alto valor urbano y arquitectónico que tiene el conjunto
heredado.

Cienfuegos constituye un inigualable conjunto de valores estrechamente
relacionados con el mar, verdadero protagonista de su riqueza e
identidad física y espiritual de los cienfuegueros. De ahí que sea
reconocida nacional e internacionalmente como la Linda Ciudad del Mar
y la Perla del Sur. Dicha bahía, refugio constante de los más
connotados corsarios y piratas de su tiempo, fue bautizada desde antes
de la fundación de Cienfuegos como el Gran Puerto de las Américas,
sobrenombre que recoge las excelentes condiciones de su bahía del
bolsa, fuente de inspiración y riquezas, concha que se abre al mundo
con amplias posibilidades ambientales, comerciales y turísticas.

Fue una urbe rica y culta. Su rubro económico fundamental era el
azúcar y mantenía un comercio intenso con el exterior. Su burguesía
dominaba idiomas, educaba a sus hijos con institutrices francesas
antes de enviarlos a Europa y paseaba sus ocios en lujosos coches
modelo Príncipe Alberto.

Ese esplendor de ayer se advierte hoy en el severo corte neoclásico de
muchas de las edificaciones de la urbe. El Teatro Sauto es una de las
joyas de la arquitectura cubana, y la iglesia de San Pedro Apóstol
está considerada como la construcción neoclásica más bella del país.
Nada iguala en el continente a la farmacia francesa del doctor
Triolet convertida en museo. Este establecimiento abrió al público el
1 de enero de 1882. Fundada por los doctores Emilio Triolet, nacido en
Lissy, Francia, y Juan Fermín Figueroa, el llamado Rey de las boticas
de Cuba, ganó rápidamente merecida fama.

Durante los finales del siglo XIX y comienzos del XX mantuvo nexos
comerciales con los laboratorios más importantes del mundo. Triolet
participó en la Exposición Universal de Paris en 1900 obteniendo
Medalla de Bronce con once productos patentados por él. En 1964 el
establecimiento fue nacionalizado y convertido en museo de inmediato.
Muestra, entre otros objetos originales, sus frascos de porcelana
policromada, los libros donde se asentaban las recetas y una valiosa
colección de etiquetas, así como la mesa dispensarial.

Se conserva en Trinidad la Casa del Corsario. Fue construida en 1754
para el capitán de corsario Carlos Merlin, de origen francés. En
Trinidad, en la época del corso, había un barrio entero, El Fotuto,
habitado por corsarios. No hay que olvidar que junto a Bayamo y
Remedios, Trinidad era base de corsarios. Gilberto Girón, el corsario
de Espejo de paciencia, dio nombre a una playa de la bahía de
Cochinos, Playa Girón, escrita a golpe de sangre y heroísmo en la
historia de la Revolución, y todavía, en la Isla de la Juventud, hay
pineros que buscan los tesoros que supuestamente enterraron piratas y
corsarios en su territorio.

Crisol de culturas, suma de encuentros y desencuentros --catalanes en
el centro de la emigración española, africanos de etnias diversas,
franceses, haitianos, antillanos en general-- el mestizaje es en
Santiago de Cuba más abierto que en el resto del país y la influencia
negra resulta un elemento insoslayable.

Hay ascendencia francesa en su folclor. La Tumba Francesa, uno de los
focos culturales de la ciudad, la componen descendientes de esclavos
africanos que tuvieron amos franceses y utilizan elementos
tradicionales de procedencia dahomeyana, mientras que el Ballet
Folclórico Cutumba, da un toque propio a las raíces haitianas y franco
haitianas. En las afueras de la ciudad son visibles ruinas de
cafetales franceses. El rescate de uno de ellos --La Isabelica, en los
alrededores de La Gran Piedra, roca granítica que se eleva a más de 1
200 m de altitud-- permite ver cómo vivía la familia propietaria y cómo
se obtenían las cosechas. En esa región se instalaron muchos franceses
que huyeron de Haití tras el triunfo de la revolución y se dedicaron
al cultivo del café. El museo describe la vida en esas haciendas y los
instrumentos utilizados en los cultivos. Fuera del edificio del museo
están situados los secaderos, la tahona y un acueducto.

Más de 60 familias con apellidos franceses radican hoy en Baracoa. Sus
antecesores llegaron a esta villa en los días de la revolución
haitiana. La justa ira de sus antiguos esclavos los había privado de
casi todo lo que poseían en la vida, pero pudieron escapar de Haití
con la cabeza sobre los hombros, y ya en Baracoa propagaron sus modas
y costumbres, su filosofía y su literatura y se dedicaron a controlar
la economía de la región. Revitalizaron la industria azucarera local,
que desapareció luego, e introdujeron nuevos métodos y variedades en
la siembra del café.

Tras ellos llegó a Baracoa, en 1819, el doctor Enrique Faber. Bien
parecido, simpático, buen médico, el francés no cesaba de jactarse de
su condición de cirujano en los ejércitos napoleónicos. Su popularidad
y fama crecían por día, y no faltaban, por supuesto, las muchachas
casaderas --y algunas casadas-- que suspiraban a su paso y lo hacían
venir con el pretexto de cualquier fingida indisposición repentina.

Las preferencias del joven galeno no estaban entre sus compatriotas,
sino entre las criollitas y, de ellas, solo parecía tener ojos para
Juana de León, una señorita a quien la cara le relucía como una moneda
recién acuñada. El doctor Faber se vio correspondido, los amores
concluyeron en matrimonio y, como en los cuentos, los esposos vivieron
muy felices hasta que la noticia se regó por la ciudad y sus contornos
y provocó la intervención de las autoridades locales.

Una esclava doméstica vio más de lo que debía, y descubrió, espantada,
que el doctor Enrique Faber era en verdad una mujer.

La justicia, de inmediato, puso en claro los hechos, y una junta de
médicos, los mismos a los que el doctor Faber había venido
quitándoles la clientela, lo sometió a un concienzudo reconocimiento
que corroboró lo que la esclava proclamaba a los cuatro vientos.

Sin otra alternativa, Enriqueta Faber reveló su historia. Viuda,
usurpó el nombre y los documentos de su esposo, que le había
trasmitido sus conocimientos de Medicina y una buena provisión de
anécdotas de sus andanzas en las campañas bonapartistas, y salió a
probar suerte por el mundo hasta que carenó en Baracoa, donde la
colonia francesa allí asentada podía garantizarle una clientela vasta
y segura.

La sanción fue severa. La Iglesia anuló el matrimonio y la plagiaria
fue internada en la Casa de Recogidas de La Habana durante varios
años. Luego, la expulsaron de Cuba.

Juana de León no renunció a las vanidades del mundo, como era de
esperarse. Ocho años después del incidente casó de nuevo, ahora, eso
sí, con un señor de recta e insobornable virilidad.

Napoleón tiene su palacio en La Habana. Es, en su tipo, el más
importante museo que existe fuera de Francia. Nunca estuvo el
Emperador en Cuba; llegó, sí, su mascarilla. La trajo Antommarchi, su
médico durante el cautiverio de Santa Elena, que vivió y murió en
Santiago de Cuba y fue inhumado en el cementerio de Santa Ifigenia, de
esa ciudad.

Nos visitó asimismo el Duque de Orleáns, futuro rey de Francia con el
nombre de Luis Felipe I. Llegó en compañía de sus hermanos, el Duque
de Montpensier y el Conde Beaujolais. La visita de los príncipes de
Orleáns fue un acontecimiento social. La Condesa de Jibacoa, su
principal anfitriona, puso su casa a disposición de los franceses,
pagó sus gastos y dio a Luis Felipe, a su salida de Cuba, una bolsa
con mil onzas de oro.

Muy generoso fue asimismo don Martín Aróstegui y Herrera, que
suministró a los príncipes en calidad de préstamo una bonita suma de
dinero cuya devolución se negó a aceptar. Se dice que Luis Felipe se
dirigía a él como Mon Cher Martín y que le envió de regalo el retrato
de su madre, la reina Luisa de Bourbon-Penthiévre, dibujado por David,
cuando en 1838, el Príncipe de Joiunville, su hijo, visitó La Habana
con dicha encomienda.

Vive en La Habana María Antonieta de Francia. El imaginario popular
sitúa su arribo a fines de la década de 1920. Vestida de blanco,
deambula sin cabeza por el Salón de los Pasos Perdidos del Capitolio
de La Habana. Nadie ha conseguido hablarle. Es extremadamente
asustadiza y huye ante los extraños.


Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
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