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mercoledì 3 dicembre 2014
martedì 2 dicembre 2014
lunedì 1 dicembre 2014
Lapidi, di Ciro Bianchi Ross
Pubblicato su Juventud Rebelde del 30/11/14
Como cosa curiosa cabe decir que en el cementerio de Espada, en 1841,
se inhumó el primer cadáver que fue embalsamado en Cuba. Fue el de
Isabel Herrera de La Barrera, esposa del marqués de Almendares. La
embalsamó el gran médico habanero José Nicolás Gutiérrez, primer
cirujano de Cuba, fundador de la Academia de Ciencias.
Fue en 1844 cuando se estableció en La Habana el primer servicio de
las llamadas pompas fúnebres; carros o coches especiales que conducían
los ataúdes al cementerio. El servicio incluía al cochero y a varios
individuos que se encargaban de manipular el féretro y que vestían
uniformes de lacayos con profusión de galones dorados y sombreros de
tres picos. Eran los llamados zacatecas.
Los nichos que se construyeron en 1845 resultaron ineficaces para
responder al crecimiento de la población habanera. Se dispuso la
construcción de una nueva necrópolis y, por orden del capitán general
Arsenio Martínez Campos, el cementerio de Espada quedó clausurado
definitivamente el 3 de noviembre de 1878. Se habían efectuado allí
314 244 inhumaciones.
En 1908, el Gobierno interventor norteamericano dispuso la demolición
de esta necrópolis y el traslado a Colón de los restos que todavía
quedaban allí. Permanece en pie, entre edificaciones modernas de la
calle Aramburu, un pedazo de sus viejas paredes.
Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
http://wwwcirobianchi.blogia.com/
http://cbianchiross.blogia.com/
I resti di un governatore
generale dell’Isola e di un vescovo, deceduti molti anni prima, furono i primi
che ebbero sepoltura nel Cimitero di Espada, dell’Avana, la prima necropoli di
cui contò la colonia.
Fino ad allora i cadaveri si
inumavano nelle chiese e in quest c’erano dieci spazi destinati alle sepolture.
I sepolcri si facevano più cari man mano si facevano più prossimi ai gradini
dell’altare maggiore, erano nell’ordine di 137 pesos, mentre si pagavano 3
pesos e quattro reales per una sepoltura ordinaria, dieci per un bambino bianco
e due per un bambino negro, meticcio o indio, sempre che fossero liberi. Si
pagavano due pesos anche per la sepoltura vicino alla porta del tempio o dietro
il coro, di negri o mulatti liberi e otto reales per gli schiavi, sempre dietro
al coro. Nella Parrocchiale Maggiore avanera che si trovava dove poi si edificò
il Palazzo dei Capitani Generali, la sacrestia si destinò alla sepoltura dei
sacerdoti. Il 26 agosto del 1799, il vescovo Felipe de Tres Palacios concesse ai
proprietari di zuccherifici, la grazia di avere cimiteri in questi.
In campagna si seppelliva
nei boschi e dopo un anno si esumavano le ossa e le si portavano alla
Parrocchiale al fine che ricevessero sepoltura ecclesiastica perché riposavano
in un luogo benedetto.
Tutto questo finì quando,
nello stesso anno 1799 il re Carlos IV, ordinò al Supremo Tribunale di Spagna
che facesse compiere la Reale Cedola del 3 aprile del 1787 nella quale il suo
predecessore, Carlos III, disponeva che cessassero le sepolture nelle chiese e
si costruissero cimiteri nelle periferie dei centri abitati. Siccome le cose di
palazzo vanno lentamente e la burocrazia era pazzesca, l’ordine di Carlos IV
venne in vigore a Cuba nel 1804, quando le autorità avanere avevano già
anticipato le fondamenta di quello che sarebbe stao il cimitero, fuori dalle
mura, a un miglio ad ovest dell’Avana, nelle vicinanze della costa chiamata di
San lazzaro, nel terreno dell’orto che il dottor Teneza, protomedico reggente e
consulente del Santo Uffizio, cedette per la costruzione di un lebbrosario. Si
era pensato di situarlo nel campo sito di fronte all’Arsenale –attuale Stazione
Centrale delle Ferrovie-, ma gli ingegneri militari vi si opposero. Il vescovo
Espada che fu il principale propulsore dell’opera, contò con l’appoggio
entusiastico del Capitano Generale marchese di Someruelos. Lo assecondò anche
il Comandante Generale della Stazione Navale ed ebbe il concorso del Municipio
dell’Avana e della Società Patriottica di Amici del Paese.
Il camposanto ostentava sul
fronte sei colonne di porticato con sbarre di ferro e una porta dello stesso
metallo. A seguito un giardino e il portone che dava accesso ai cortili. Nella
parte superiore del portone si leggeva “Alla religione. Alla salute pubblica.
Il Marchese di Someruelos, Governatore. Juan de Espada, Vescovo”.
Quando un defunto,
trasportato o in braccio degli accompagnanti superava questa porta, lo si
depositava su un tavolo nero e gli si recitava la funzione. Alla destra si
trovava la stanza del cappellano del cimitero e gli uffici dell’amministratore,
alla sinistra le abitazioni dei necrofori.
Il cimitero era uno spazio
rettangolare con due strade acciottolate che lo dividevano in quattro parti. La
cappella rimaneva in fondo, verso il centro e fin che visse il vescovo espada
si mantenne, nel suo portico, una lampada accesa giorno e notte. L’opera
incassò 46.868 pesos e durante i primi giorni il prelato pagò con gli introiti
gli stipendi dei suoi impiegati.
I pini e cipressi che si
seminarono per l’inaugurazione del camposanto furono, col tempo, sostituiti con
allori. Di fronte alla necropoli, espada fece seminare un ameno e ampio
giardino di piante medicinali “al fine di diminuire, col suo bell’aspetto –
disse il Vescovo -, l’aria scura e malinconica dei sepolcri e di offrire a
fronte dei trionfi della morte, i mezzi preziosi per sfuggire ai suoi
attacchi”.
Nicchie
e volte
Lo scriba controllava la sua
biblioteca in supporto digitale trovando un libro che fin ora aveva trascurato.
S’intitola Necrópolis de La Habana,
si pubblicó nel 1875 e racoglie la storia del cimitero di Espada, anche se
nelle sue pretese sembra volesse includere anche quelli di Jesús del Monte,
Cerro e Colón. Il suo autore è Domingo Rosain y del Castillo, medico e
professore della cattedra di Ostetricia dell’Università avanera - l’unica che
ci fosse allora -. Pubblicò anche un Examen
y cartillas de parteras, la prima opera che vide la luce nell’Isola su
questa materia. Fu il creatore, nel 1828, dell’Academia di ostetriche
dell’Ospedale di Paula. Morì nel 1855 a 56 anni d’età.
Rosain cominciò
l’investigazione per il suo libro nel 1845, quando nel cimitero di Espada si
crearono le nicchie ed egli si impegnò a raccogliere dati e notizie su quelli
che in esse si seppellivano. Il nuovo ordine di sepolture fece si che si
abbandonassero le volte e a questa data non poche mancavano di iscrizione e
perfino di copertura, perciò l’investigatore insistette nel raccogliere la
maggior quantità di informazioni possibile “perché la tipografia si incaricasse
di conservare le iscrizioni che il tempo ha rispettato”.
Prima di Espada, il
benemerito don Luis de las Casas, governatore generale dell’Isola, volle
mettere fine a quello che lo storico Jacobo de Pezuela definì come “la fatale e
perniciosa pratica di seppellire i cadaveri nelle chiese”. Non poté far niente
a causa delle difficoltà per trovare il terreno appropriato per installarlo, ma
più di questo per la resistenza che oppose il vescovo Tres Palacios. Espada,
nel suo momento dovette affrontare, come Las Casas, molteplici difficoltà e
sopratutto l’intransigenza del clero che si beneficiava economicamente di
quelle sepolture.
Nato in Spagna nel 1756,
Espada fu desigfnato come Vescovo dell’Avana nel 1800, dopo la morte misteriosa
del vescovo Montiel quando si affannava a mettere freno alla vita corrotta e
sfrenata dei sacerdoti che officiavano nella capitale della colonia. Ci mise
due anni per arrivare a Cuba per mettersi al fronte della diocesi e fu sul
punto di non poterlo fare, appena mise un piede sull’Isola un attacco violento
di febbre gialla lo mise in punto di morte. Si dice che salvo la sua vita
grazie alle cure dell’eminente medico cubano Tomás Romay e che da questa
circostanza nacque un’amicizia che li unì per sempre.
Quest’amicizia, dice lo
storico Emilio Roig, fece che Espada privilegiasse il sistema sanitario che
preoccupava tanto Romay, a quello delle sepolture nelle chiese che con lo
sviluppo della popolazione, era arrivato a costituire una delle più perniciose
e repulsive conseguenze.
In merito a Espada dice
Eduardo Torres Cuevas, presidente dell’Accademia della Storia: “Di idee
illuminate e avanzate promosse il movimento intellettuale e appoggiò i settori
meno favoriti della società cubana... Promosse personalità come Félix Varela,
José de la Luz y Caballero e José Antonio Saco. Accusato di essere massone,
eretico e indipendentista, si iniziarono nel Vaticano e a Madrid, processi poer
la sua scomunica e carcreazione”. Mantenne il Vescovato dell’Avana fino alla
sua morte, nel 1832.
Cerimonia
inaugurale
Il 2 di febbraio del 1806,
si bendì e inaugurò il cimitero di Espada. In lussuose casse foderate di
velluto nero, cesellate in oro e con le corrispondenti insegne, si collocarono
le ossa di Candamo – chi scrive non può precisare il suo nome né altri
particolari -, vescovo di Milasa e goveratore della Mitra dell’Avana e quelle
del governatore Diego Antonio de Manrique che si trovava al potere da 13 giorni
quando cadde fulminato dal vomito, mentre ispezionava le opere di costruzione
della fortezza de La Cabaña. La febbre gialla, che non rispettava fortune,
ranghi né dignità, se lo portò con sé per convertirlo in uno dei nove
governatori che morirono durante l’incarico.
Dalla cappella della Casa di
Beneficenza, dov’erano depositati i resti, furono condotti in processione al
cimitero. Erano le 16.30 del 2 febbraio. Apriva la marcia un drappello di
dragoni e lo seguivano la cupola ecclesiastica e i resti dell’illustrissimo
Candamo. Due reggenti del Municipio e due colonnelli portavano le maniglie della
cassa del governatore Manrique. Seguivano il Decano della Cattedrale avanera,
dignità ecclesiastiche, il vescovo Espada, rappresentanze dei corpi militare e
politico con i rispettivi capi, l’intendente della Real Hacienda, Il Comandante
, il Comandante Generale della Stazione Marittima, il conte di Mompox e Jaruco
e la municipalità avanera al completo. Chiudeva la comitiva il marchese di
Someruelos, governatore generale dell’Isola. Dietro avanzava una compagnia del
Reggimento di San Cristóbal, il cosiddetto Fisso dell’Avana.
Le due casse si collocarono
in un catafalco collocato al centro del cimitero. Espada, investito di poteri
pontifici benedisse il luogo e immediatamente, musicisti della cappella della
Cattedrale, interpretarono il pezzo composto per l’occasione. I resti di
Manrique si inumarono nella volta destinata ai governatori e quelli di Candamo
in quella costruita per i dignitari ecclesiastici. Alle 19 la cerimonia terminò
con la ritirata della compagnia del Fisso dell’Avana. Il cimitero era illuminato
a profusione con torce.
Zacatechi
Come curiosità bisogna dire
che nel cimitero di Espada, nel 1841, si inumò il porimo cadavere che fu
imbalsamato a Cuba. Fu quello di Isabel Herrera de la Barrera, sposa del
marchese di Almendares. La imbalsamò il grande medico avanero José Nicolás
Gutiérrez, primo chirurgo di Cuba, fondatore dell’Accademia delle Scienze.
Fu nel 1844 che si stabilì
al’Avana il primo servizio delle cosiddette pompe funebri, carri o carretti
speciali che portavano le bare al cimitero. Il servizio comprendeva il
cocchiere e vari individui che si incaricavano di manovrare il feretro e che
vestivano uniformi da lecché con profusione di galloni dorati e cappelli a tre
punte. Erano chiamati zacatechi.
Le nicchie che si
costruirono nel 1845 risultarono inefficaci per rispondere alla crescita della
popolazione avanera. Si dispose la costruzione di una nuova necropoli e per
ordine del capitano generale Arsenio Martínez Campos, il cimitero di Espada
venne chiuso definitivamente il 3 novembre del 1878. Vi si erano effettuate lì
314.244 inumazioni.
Nel 1908 il governo
intervezionista nordamericano dispose la demolizione di questa necropoli e il
trasloco a Colón dei resti che rimanavano ancora lì. Tra le moderne
edificazioni della calle Aramburu, rimane in piedi un pezzo delle sue vecchie
pareti.
Lápidas
Ciro Bianchi Ross * digital@juventudrebelde.cu
29 de Noviembre del 2014 19:23:57 CDT
Los restos de un gobernador general de la Isla y de un obispo,
fallecidos muchos años antes, fueron los primeros que hallaron
sepultura en el Cementerio de Espada, de La Habana, la primera
necrópolis con que contó la Colonia.
Hasta entonces los cadáveres se inhumaban en las iglesias y había en
estas diez tramos destinados a los enterramientos. Los sepulcros se
hacían más caros mientras más próximos estuviesen a las gradas del
altar mayor; estaban en el orden de los 137 pesos, mientras se
abonaban tres pesos con cuatro reales por una sepultura ordinaria,
diez por la de un niño blanco, y dos por las de un niño negro, mestizo
o indio, siempre que fueran libres. También se pagaban dos pesos por
el enterramiento, cerca de la puerta del templo o detrás del coro, de
negros y mulatos libres, y ocho reales por los de los esclavos,
también detrás del coro. En la Parroquial Mayor habanera, que se
ubicaba donde luego se edificó el Palacio de los Capitanes Generales,
la sacristía se destinó para sepultura de los sacerdotes. El 26 de
agosto de 1799 el obispo Felipe de Tres Palacios concedió a los dueños
de ingenios azucareros la gracia de establecer cementerios en estos.
En los campos se enterraba en los montes y al año se exhumaban los
huesos y se llevaban a la Parroquial a fin de que recibiesen sepultura
eclesiástica porque reposarían en lugar bendecido.
Todo esto acabó cuando, en el mismo año de 1799, el rey Carlos IV
ordenó al Supremo Tribunal de España que hiciera cumplir la Real
Cédula de 3 de abril de 1787 en la que su antecesor, Carlos III,
disponía que cesaran los enterramientos en las iglesias y se
construyeran cementerios en las afueras de las poblaciones. Como las
cosas de palacio van despacio y el burocratismo colonial era de anjá,
la orden de Carlos IV se circuló a Cuba en 1804, cuando la autoridades
habaneras tenían ya adelantados los cimientos de lo que sería el
cementerio, en extramuros, a una milla al oeste de La Habana, en las
inmediaciones de la costa llamada de San Lázaro, en el terreno de la
huerta que el doctor Teneza, protomédico regente y consultor del Santo
Oficio, cediera para la construcción del leprosorio. Se había pensado
emplazarlo en el campo situado al frente del Arsenal --actual Estación
Central de Ferrocarriles--, pero los ingenieros militares se opusieron
a ello. El obispo Espada, que fue el propulsor principal de la obra,
contó con el apoyo entusiasta del Capitán General, marqués de
Someruelos. Lo secundó además el Comandante General del Apostadero, y
tuvo el concurso del Ayuntamiento de La Habana y de la Sociedad
Patriótica de Amigos del País.
El camposanto lucía por el frente seis columnas de sillería con verjas
de hierro y una puerta del mismo metal. Seguía un jardín y luego la
portada que daba acceso a los patios. En la parte superior de la
portada, se leía: “A la religión. A la salud pública. El Marqués de
Someruelos, Gobernador. Juan de Espada, Obispo”.
Cuando un difunto, en andas o en hombros de los acompañantes,
traspasaba esa puerta, se depositaba sobre una mesa negra y se le
rezaba el responso. A la derecha se hallaba la habitación del capellán
del cementerio y las oficinas del administrador, a la izquierda, la
vivienda de los sepultureros.
Era la necrópolis un espacio rectangular con dos calles enlosadas que
lo dividían en cuatro partes. La capilla quedaba al fondo, hacia el
centro, y mientras vivió el obispo Espada se mantuvo en su pórtico,
día y noche, una lámpara encendida. La obra importó 46 868 pesos y
durante sus primeros días el prelado abonó de sus rentas los sueldos
de sus empleados.
Los pinos y cipreses que se sembraron para la inauguración del
camposanto fueron, con el tiempo, sustituidos por laureles. Frente a
la necrópolis, Espada hizo sembrar un ameno y dilatado jardín de
plantas medicinales “a fin de disminuir, con su bello aspecto, dijo el
Obispo, el aire sombrío y melancólico de los sepulcros, y de ofrecer a
la frente de los triunfos de la muerte los preciosos medios de
resistir sus despiadados ataques”.
Ciro Bianchi Ross * digital@juventudrebelde.cu
29 de Noviembre del 2014 19:23:57 CDT
Los restos de un gobernador general de la Isla y de un obispo,
fallecidos muchos años antes, fueron los primeros que hallaron
sepultura en el Cementerio de Espada, de La Habana, la primera
necrópolis con que contó la Colonia.
Hasta entonces los cadáveres se inhumaban en las iglesias y había en
estas diez tramos destinados a los enterramientos. Los sepulcros se
hacían más caros mientras más próximos estuviesen a las gradas del
altar mayor; estaban en el orden de los 137 pesos, mientras se
abonaban tres pesos con cuatro reales por una sepultura ordinaria,
diez por la de un niño blanco, y dos por las de un niño negro, mestizo
o indio, siempre que fueran libres. También se pagaban dos pesos por
el enterramiento, cerca de la puerta del templo o detrás del coro, de
negros y mulatos libres, y ocho reales por los de los esclavos,
también detrás del coro. En la Parroquial Mayor habanera, que se
ubicaba donde luego se edificó el Palacio de los Capitanes Generales,
la sacristía se destinó para sepultura de los sacerdotes. El 26 de
agosto de 1799 el obispo Felipe de Tres Palacios concedió a los dueños
de ingenios azucareros la gracia de establecer cementerios en estos.
En los campos se enterraba en los montes y al año se exhumaban los
huesos y se llevaban a la Parroquial a fin de que recibiesen sepultura
eclesiástica porque reposarían en lugar bendecido.
Todo esto acabó cuando, en el mismo año de 1799, el rey Carlos IV
ordenó al Supremo Tribunal de España que hiciera cumplir la Real
Cédula de 3 de abril de 1787 en la que su antecesor, Carlos III,
disponía que cesaran los enterramientos en las iglesias y se
construyeran cementerios en las afueras de las poblaciones. Como las
cosas de palacio van despacio y el burocratismo colonial era de anjá,
la orden de Carlos IV se circuló a Cuba en 1804, cuando la autoridades
habaneras tenían ya adelantados los cimientos de lo que sería el
cementerio, en extramuros, a una milla al oeste de La Habana, en las
inmediaciones de la costa llamada de San Lázaro, en el terreno de la
huerta que el doctor Teneza, protomédico regente y consultor del Santo
Oficio, cediera para la construcción del leprosorio. Se había pensado
emplazarlo en el campo situado al frente del Arsenal --actual Estación
Central de Ferrocarriles--, pero los ingenieros militares se opusieron
a ello. El obispo Espada, que fue el propulsor principal de la obra,
contó con el apoyo entusiasta del Capitán General, marqués de
Someruelos. Lo secundó además el Comandante General del Apostadero, y
tuvo el concurso del Ayuntamiento de La Habana y de la Sociedad
Patriótica de Amigos del País.
El camposanto lucía por el frente seis columnas de sillería con verjas
de hierro y una puerta del mismo metal. Seguía un jardín y luego la
portada que daba acceso a los patios. En la parte superior de la
portada, se leía: “A la religión. A la salud pública. El Marqués de
Someruelos, Gobernador. Juan de Espada, Obispo”.
Cuando un difunto, en andas o en hombros de los acompañantes,
traspasaba esa puerta, se depositaba sobre una mesa negra y se le
rezaba el responso. A la derecha se hallaba la habitación del capellán
del cementerio y las oficinas del administrador, a la izquierda, la
vivienda de los sepultureros.
Era la necrópolis un espacio rectangular con dos calles enlosadas que
lo dividían en cuatro partes. La capilla quedaba al fondo, hacia el
centro, y mientras vivió el obispo Espada se mantuvo en su pórtico,
día y noche, una lámpara encendida. La obra importó 46 868 pesos y
durante sus primeros días el prelado abonó de sus rentas los sueldos
de sus empleados.
Los pinos y cipreses que se sembraron para la inauguración del
camposanto fueron, con el tiempo, sustituidos por laureles. Frente a
la necrópolis, Espada hizo sembrar un ameno y dilatado jardín de
plantas medicinales “a fin de disminuir, con su bello aspecto, dijo el
Obispo, el aire sombrío y melancólico de los sepulcros, y de ofrecer a
la frente de los triunfos de la muerte los preciosos medios de
resistir sus despiadados ataques”.
Nichos y bóvedas
Revisaba el escribidor su biblioteca en soporte digital y reparó en un
libro que hasta ahora pasó siempre por alto. Se titula Necrópolis de
La Habana, se publicó en 1875 y recoge la historia del cementerio de
Espada, aunque parece que sus pretensiones eran las de abarcar además
los de Jesús del Monte, Cerro y Colón. Su autor es Domingo Rosain y
del Castillo, médico y profesor de la cátedra de Obstetricia de la
Universidad habanera --la única que había entonces--. Publicó asimismo
un Examen y cartilla de parteras, primera obra que vio la luz en la
Isla sobre esa materia. Fue el creador, en 1828, de la Academia de
Parteras del Hospital de Paula. Falleció en 1855, a los 56 años de
edad.
Rosain comenzó la investigación para su libro en 1845, cuando en el
cementerio de Espada se crearon los nichos y él se empeñó en recoger
datos y noticias sobre los que en ellos se sepultaban. El nuevo orden
de sepulturas hizo que se abandonasen las bóvedas y en esa fecha no
pocas carecían ya de inscripción y hasta de losa, por lo que el
investigador insistió asimismo en acopiar cuanta información le fue
posible “para que la imprenta se encargase de conservar las
inscripciones que el tiempo ha respetado”.
Antes de Espada, el benemérito don Luis de las Casas, gobernador
general de la Isla, quiso poner fin a lo que el historiador Jacobo de
la Pezuela definió como “la fatal y perniciosa práctica de enterrar
los cadáveres en las iglesias”. Nada pudo hacer debido a las
dificultades para encontrar el terreno apropiado donde lo emplazaría,
pero más que eso por la resistencia que opuso el obispo Tres Palacios.
Espada en su momento debió afrontar, al igual que Las Casas, múltiples
dificultades y, sobre todo, la intransigencia del clero que se
beneficiaba pecuniariamente con aquellos enterramientos.
Nacido en España en 1756, Espada fue designado Obispo de La Habana en
1800, tras la muerte misteriosa del obispo Montiel cuando se afanaba
en poner coto a la vida corrupta y desenfrenada de los sacerdotes que
oficiaban en la capital de la colonia. Demoró dos años en llegar a
Cuba para ponerse al frente de la diócesis. Y estuvo a punto de no
poder hacerlo, pues apenas puso un pie en la Isla un violento ataque
de fiebre amarilla lo puso al filo de la muerte. Se dice que salvó la
vida gracias a los cuidados del eminente médico cubano Tomás Romay, y
de esa circunstancia nació una amistad que los unió para siempre.
Esa amistad, dice el historiador Emilio Roig, hizo que Espada
priorizara el problema sanitario que tanto preocupaba a Romay: el del
enterramiento en las iglesias que, con el desarrollo de la población,
había llegado a constituir un mal de las más repulsivas y perniciosas
consecuencias.
Acerca de Espada dice Eduardo Torres Cuevas, presidente de la Academia
de la Historia: “De ideas ilustradas y avanzadas promovió el
movimiento intelectual y apoyó a los sectores desfavorecidos de la
sociedad cubana... Promovió a personalidades como Félix Varela, José de
la Luz y Caballero y José Antonio Saco. Acusado de masón, hereje e
independentista, se iniciaron en el Vaticano y en Madrid juicios para
su excomunión y encarcelamiento”. Retuvo el Obispado de La Habana
hasta su muerte, en 1832.
Ceremonia inaugural
libro que hasta ahora pasó siempre por alto. Se titula Necrópolis de
La Habana, se publicó en 1875 y recoge la historia del cementerio de
Espada, aunque parece que sus pretensiones eran las de abarcar además
los de Jesús del Monte, Cerro y Colón. Su autor es Domingo Rosain y
del Castillo, médico y profesor de la cátedra de Obstetricia de la
Universidad habanera --la única que había entonces--. Publicó asimismo
un Examen y cartilla de parteras, primera obra que vio la luz en la
Isla sobre esa materia. Fue el creador, en 1828, de la Academia de
Parteras del Hospital de Paula. Falleció en 1855, a los 56 años de
edad.
Rosain comenzó la investigación para su libro en 1845, cuando en el
cementerio de Espada se crearon los nichos y él se empeñó en recoger
datos y noticias sobre los que en ellos se sepultaban. El nuevo orden
de sepulturas hizo que se abandonasen las bóvedas y en esa fecha no
pocas carecían ya de inscripción y hasta de losa, por lo que el
investigador insistió asimismo en acopiar cuanta información le fue
posible “para que la imprenta se encargase de conservar las
inscripciones que el tiempo ha respetado”.
Antes de Espada, el benemérito don Luis de las Casas, gobernador
general de la Isla, quiso poner fin a lo que el historiador Jacobo de
la Pezuela definió como “la fatal y perniciosa práctica de enterrar
los cadáveres en las iglesias”. Nada pudo hacer debido a las
dificultades para encontrar el terreno apropiado donde lo emplazaría,
pero más que eso por la resistencia que opuso el obispo Tres Palacios.
Espada en su momento debió afrontar, al igual que Las Casas, múltiples
dificultades y, sobre todo, la intransigencia del clero que se
beneficiaba pecuniariamente con aquellos enterramientos.
Nacido en España en 1756, Espada fue designado Obispo de La Habana en
1800, tras la muerte misteriosa del obispo Montiel cuando se afanaba
en poner coto a la vida corrupta y desenfrenada de los sacerdotes que
oficiaban en la capital de la colonia. Demoró dos años en llegar a
Cuba para ponerse al frente de la diócesis. Y estuvo a punto de no
poder hacerlo, pues apenas puso un pie en la Isla un violento ataque
de fiebre amarilla lo puso al filo de la muerte. Se dice que salvó la
vida gracias a los cuidados del eminente médico cubano Tomás Romay, y
de esa circunstancia nació una amistad que los unió para siempre.
Esa amistad, dice el historiador Emilio Roig, hizo que Espada
priorizara el problema sanitario que tanto preocupaba a Romay: el del
enterramiento en las iglesias que, con el desarrollo de la población,
había llegado a constituir un mal de las más repulsivas y perniciosas
consecuencias.
Acerca de Espada dice Eduardo Torres Cuevas, presidente de la Academia
de la Historia: “De ideas ilustradas y avanzadas promovió el
movimiento intelectual y apoyó a los sectores desfavorecidos de la
sociedad cubana... Promovió a personalidades como Félix Varela, José de
la Luz y Caballero y José Antonio Saco. Acusado de masón, hereje e
independentista, se iniciaron en el Vaticano y en Madrid juicios para
su excomunión y encarcelamiento”. Retuvo el Obispado de La Habana
hasta su muerte, en 1832.
Ceremonia inaugural
El 2 de febrero de 1806 se bendijo e inauguró el cementerio de Espada.
En sendas cajas forradas con terciopelo negro, galoneadas de oro y con
sus correspondientes insignias, se colocaron los huesos de Candamo --no
puede quien esto escribe precisar su nombre ni otros detalles--, obispo
de Milasa y gobernador de la Mitra de La Habana, y los del gobernador
Diego Antonio de Manrique, que llevaba 13 días en el poder cuando cayó
fulminado por el vómito mientras inspeccionaba las obras en
construcción de la fortaleza de La Cabaña. La fiebre amarilla, que no
respetaba fortunas, rangos ni dignidades, se lo llevó de cuajo para
convertirlo en uno de los nueve gobernadores que fallecieron en su
puesto.
De la capilla de la Casa de Beneficencia, donde estaban
depositados los restos, fueron conducidos en procesión al cementerio.
Eran las 4:30 de la tarde del 2 de febrero. Abría la marcha un piquete
de dragones y le seguían el cabildo eclesiástico y los restos del
Ilustrísimo Candamo. Dos regidores del Ayuntamiento y dos coroneles
llevaban las borlas de la caja del ex gobernador Manrique. Seguían el
Deán de la Catedral habanera, dignidades eclesiásticas, el obispo
Espada, representaciones de los cuerpos militares y políticos con sus
jefes, el Intendente de la Real Hacienda, el Comandante General del
Apostadero, el conde de Mompox y Jaruco y el Ayuntamiento habanero en
pleno. Cerraba la comitiva el marqués de Someruelos, gobernador
general de la Isla. Avanzaba detrás una compañía del Regimiento de San
Cristóbal, el llamado Fijo de La Habana.
En un catafalco colocado en el centro del cementerio se colocaron las
dos cajas. Espada, revestido de medio pontifical, bendijo el lugar y
enseguida músicos de la capilla de la Catedral interpretaron la pieza
compuesta para la ocasión. Se inhumaron los restos de Manrique en la
bóveda destinada a los gobernadores, y los de Candamo en la construida
para las dignidades eclesiásticas. A las siete de tarde terminó la
ceremonia con la retirada de la compañía del Fijo de La Habana. El
cementerio estaba profusamente iluminado con antorchas.
Zacatecas
En sendas cajas forradas con terciopelo negro, galoneadas de oro y con
sus correspondientes insignias, se colocaron los huesos de Candamo --no
puede quien esto escribe precisar su nombre ni otros detalles--, obispo
de Milasa y gobernador de la Mitra de La Habana, y los del gobernador
Diego Antonio de Manrique, que llevaba 13 días en el poder cuando cayó
fulminado por el vómito mientras inspeccionaba las obras en
construcción de la fortaleza de La Cabaña. La fiebre amarilla, que no
respetaba fortunas, rangos ni dignidades, se lo llevó de cuajo para
convertirlo en uno de los nueve gobernadores que fallecieron en su
puesto.
De la capilla de la Casa de Beneficencia, donde estaban
depositados los restos, fueron conducidos en procesión al cementerio.
Eran las 4:30 de la tarde del 2 de febrero. Abría la marcha un piquete
de dragones y le seguían el cabildo eclesiástico y los restos del
Ilustrísimo Candamo. Dos regidores del Ayuntamiento y dos coroneles
llevaban las borlas de la caja del ex gobernador Manrique. Seguían el
Deán de la Catedral habanera, dignidades eclesiásticas, el obispo
Espada, representaciones de los cuerpos militares y políticos con sus
jefes, el Intendente de la Real Hacienda, el Comandante General del
Apostadero, el conde de Mompox y Jaruco y el Ayuntamiento habanero en
pleno. Cerraba la comitiva el marqués de Someruelos, gobernador
general de la Isla. Avanzaba detrás una compañía del Regimiento de San
Cristóbal, el llamado Fijo de La Habana.
En un catafalco colocado en el centro del cementerio se colocaron las
dos cajas. Espada, revestido de medio pontifical, bendijo el lugar y
enseguida músicos de la capilla de la Catedral interpretaron la pieza
compuesta para la ocasión. Se inhumaron los restos de Manrique en la
bóveda destinada a los gobernadores, y los de Candamo en la construida
para las dignidades eclesiásticas. A las siete de tarde terminó la
ceremonia con la retirada de la compañía del Fijo de La Habana. El
cementerio estaba profusamente iluminado con antorchas.
Zacatecas
Como cosa curiosa cabe decir que en el cementerio de Espada, en 1841,
se inhumó el primer cadáver que fue embalsamado en Cuba. Fue el de
Isabel Herrera de La Barrera, esposa del marqués de Almendares. La
embalsamó el gran médico habanero José Nicolás Gutiérrez, primer
cirujano de Cuba, fundador de la Academia de Ciencias.
Fue en 1844 cuando se estableció en La Habana el primer servicio de
las llamadas pompas fúnebres; carros o coches especiales que conducían
los ataúdes al cementerio. El servicio incluía al cochero y a varios
individuos que se encargaban de manipular el féretro y que vestían
uniformes de lacayos con profusión de galones dorados y sombreros de
tres picos. Eran los llamados zacatecas.
Los nichos que se construyeron en 1845 resultaron ineficaces para
responder al crecimiento de la población habanera. Se dispuso la
construcción de una nueva necrópolis y, por orden del capitán general
Arsenio Martínez Campos, el cementerio de Espada quedó clausurado
definitivamente el 3 de noviembre de 1878. Se habían efectuado allí
314 244 inhumaciones.
En 1908, el Gobierno interventor norteamericano dispuso la demolición
de esta necrópolis y el traslado a Colón de los restos que todavía
quedaban allí. Permanece en pie, entre edificaciones modernas de la
calle Aramburu, un pedazo de sus viejas paredes.
Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
http://wwwcirobianchi.blogia.com/
http://cbianchiross.blogia.com/
Chiusa la Settimana della Cultura Italiana, commiato a Tomás Milián
Dopo la chiusura della Settimana della Cultura Italiana, l'Ambasciata d'Italia, nella persona dell'Ambasciatore Carmine Robustelli ha offerto un cocktail di commiato alla manifestazione e di saluto all'ospite d'onore Tomás Milián che è stato al centro dell'attenzione degli invitati e ha voluto una foto ricordo col regista Giuspeppe Sansonna.
domenica 30 novembre 2014
sabato 29 novembre 2014
Il back stage dell'Amleto cubano: Tomás Milián
Conversando durante la colazione e nelle pause delle riprese con Tomás Milián, sono riuscito a chiarire alcuni aspetti che non avevo ben afferrato durante il suo colloquio col pubblico e la stampa. Il padre era un militare dai tempi della dittatura di Gerardo Machado e quando Batista assunse la sua prima presidenza, lo fece arrestare con altri ufficiali e trasferire alla prigione della Cabaña per un tempo che Tomás non vuole ricordare. Dopo la scarcerazione, le crisi che lo condussero a una casa di cure per malattie mentali, la successiva dimissione e il tragico suicidio. La madre, che aveva comunque rotto da tempo le relazioni coniugali si chiuse in una vedovanza silenziosa e si preoccupò sempre meno del figlio che un tempo viziava. Sono dettagli che aiutano meglio a capire il desiderio di fuga, nato nel giovane che aveva poi trovato parziale appoggio con la zia Carmíta.
Oltre queste precisazioni abbiamo passato alcuni giorni in giro per l’Avana dove il regista Giuseppe Sansonna assieme all’addetto alla fotografia Sergio Grillo e al fonico Enrico Grammaroli, con la preziosa collaborazione logistica di Ángel Mário González Acosta, ha filmato scene legate ai ricordi cubani dell’attore per la realizzazione del documentario autobiografico. Il soggetto è dello stesso Tomás: El Hamleto cubano o The cuban Hamlet e del regista che si erano incontrati a Miami per la stesura di un libro sulla vita attore.
La produzione esecutiva del documentario è della IXCO, in sinergia con la RAI, il cui vice presidente l’architetto Marco Marini è stato contattato del regista ed ha accettato con entusiasmo la proposta assieme all’addetto alle Relazioni Esterne dell’associazione, Stefano Donati che seppur rimanendo a Roma ha svolto un intenso lavoro di tessitura per la riuscita del progetto. Marco Marini anche per conto dell’IXCO mantiene da anni relazioni istituzionali con Enti economici e politici dei due Paesi, si è messo in contatto con il Consigliere di Ambasciata Pietro De Martin che aveva da anni il sogno nel cassetto di portare Tomás Milián a Cuba, ma per ragioni diverse, non ultima quella della resistenza dell’attore che come già detto aveva il desiderio e nel contempo il timore di affrontare il suo passato. Grazie a lunghe conversazioni telefoniche, l’architetto Marini è riuscito a strappare il consenso di Milián, ma fino al’ultimo istante non era sicuro che l’attore avrebbe confermato la sua promessa. Il Consigliere De Martin è così riuscito a realizzare questo suo desiderio che veniva da lontano, proprio negli ultimi giorni del suo mandato a Cuba, dove ha svolto un eccellente lavoro, specialmente nelle relazioni culturali con l’Italia come le organizzazioni di queste Settimane della Cultura Italiana ed altre iniziative collaterali.
Il filmato dovrebbe andare in onda su RAI Movie in una data da destinarsi, ma che dovrebbe essere abbastanza prossima, appena si avrà la conferma, orario compreso, Giuseppe Sansonna mi ha detto che mi comunicherà con precisione i dati sulla messa in onda.
Il giovane regista sembra sapere il fatto suo e sul set ha un rapporto di delicatezza con il protagonista come se stesse filmando col proprio nonno. Inutile dire che la padronanza del mestiere di Tomás non richiede molti sforzi per fargli capire i movimenti e gli atteggiamenti da assumere di volta in volta, in pratica è quasi sempre “buona la prima”.
venerdì 28 novembre 2014
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