Pubblicato su Juventud Rebelde dell' 8/2/15
A partire dal 1933, il militarismo si convertì in un fattore di peso nella politica cubana. Non era mai stato così prima, nonostante l’Esercito avesse sempre disimpegnato un ruolo repressivo e come norma, usò la coazione e la violenza durante le campagne elettorali. Il colonnello Fulgencio Batista, come capo dell’Esercito, riempì di benefici la truppa. Assegnò un ruolo decisivo al quadro degli ufficiali, istituì un sistema di salari privilegiato tanto per gli ufficiali quanto per i soldati semplici, con benefici e pagamenti supplementari. Incrementò a oltre 14.000 il numero dei membri delle Forze Armate, si aveva così un militare ogni 285 abitanti.
Per altra parte, si creò il corpo della Polizia Nazionale. Si garantì ai militari l’assistenza sociale, ospedali e cliniche speciali, località balneari, case, casse mutue di soccorso. Il campo di Columbia si trasformò in Città Militare e si dette inizio alla costruzione di una rete di caserme o si trasformarono e ristrutturarono quelle esistenti. Già nel 1936, le assegnazioni date al Segretariato della Difesa superavano il 25% del totale sul bilancio della nazione. Nel 1925 era del 14%. Con promozioni, trasferimenti e licenziamenti controllati da Batista, l’Esercito divenne la forza più coesa dello scenario politico cubano.
C’era, naturalmente, un’opposizione interna. Nel Congresso si creò anche il Blocco Democratico a seguito della destituzione del presidente Miguel Mariano Gómez. Ma Batista, dicono gli investigatori, si affrontava a una situazione internazionale più complessa dell’opposizione interna. A Cuba si ripercuoteva la lotta contro il fascismo e il nazismo, le relazioni con Washington erano eccellenti e il momento non era propizio per governare con l’appoggio di un partito militare. Inoltre Batista voleva proiettarsi come statista e tutto ciò gli fece capire che doveva rivedere orientare le sue aspirazioni politiche. Fu così che nel 1937 lanciò il cosiddetto “Piano Triennale” con un’ampia gamma di vedute tese al miglioramento della popolazione contadina. Lo elaborò con poco o nessun intervento elle istituzioni civili dello Stato, presieduto allora da Federico Laredo Brú. Questo Piano non durò molto; fu abbandonato in meno di un anno. Ciò nonostante lasciò alcuni vantaggi, come la Legge di Coordinazione Zuccheriera e certe misure vantaggiose nell’educazione, salute e beneficenza, sostenute dal Consiglio Corporativo.
Il messaggero della prosperità
Le relazioni di Batista con i nordamericani non potevano essere migliori in quegli anni. Nel 1938 fu invitato a Washington dal Capo di Stato Maggiore dell’Esercito degli Stati Uniti. Il presidente Roosvelt lo ricevette alla Casa Bianca; assistetta alla cerimonia per la Giornata del Veterano nel cimitero di Arlington e all’Accademia Militare di West Point lo si trattò come dovuto alla sua alta gerarchia militare, come capo dell’Esercito cubano. A New York il sindaco lo ricevette con tutti gli onori.
Batista fece contatto, negli Stati Uniti con banche e grandi imprese, firmò numerosi accordi che avrebbero promosso il benessere economico dell’Isola. Tornò a Cuba e i suoi seguaci lo soprannominarono Il Messaggero della Prosperità. In quello stesso periodo si recò in Messico con un invito di Lázaro Cárdenas che voleva, si diceva, rompere l’alleanza di Batista coi nordamericani ed aggiungerlo alla sua politica anti yankee. In questo Paese, dove lo si esaltò come un leader continentale, il militare cubano si impegnò si disse, col presidente Cárdenas e con Lombardo Toledano a legalizzare, a Cuba, il Partito Comunista e a facilitargli il controllo del movimento sindacale.
Inoltre, avrebbe autorizzato questa organizzazione politica a fondare un giornale e un’emittente radiofonica. Con tutto ciò il Paese non si stabilizzò né nel politico né nell’economico, anche se si presero provvedimenti per attenuare lo scontento. Si autorizzò l’organizzazione del Partito Unione Rivoluzionaria, fondato e occupato dai comunisti. Si dichiarò un’ampia amnistia politica. Si concesse l’autonomia universitaria.
Si riorganizzò l’educazione e si aumentarono le possibilità di lavoro per i cubani, con l’espulsione di giamaicani e haitiani.
Prima la Costituzione, proseguiva Aramburo e dopo le elezioni. L’opposizione voleva più di quanto aveva ottenuto. Insisteva nella convocazione di un’Assemblea Costituente. Anche Batista la voleva, ma voleva che prima si celebrassero le elezioni. Il colonnello si era impegnato ad arrivare al potere per la via elettorale; represse con forza i suoi avversari, ma reclamò una legittimità politica nelle urne. Voleva l’approvazione popolare. L’opposizione non cedeva. I suoi avversari reclamavano, prima la Costituente e poi le elezioni, lo conseguirono nelle trattative capitanate da Laredo Brù, presidente della Repubblica.
Non tutti i settori erano d’accordo che si promulgasse una nuova Costituzione. Mariano Aramburo, dalle pagine del Diario della Marina, diceva che gli scivoloni che aveva avuto il Paese, dall’instaurazione della Repubblica, non si dovevano tanto alla Costituzione del 1901 come “alla mancanza di virtù, l'ingordigia e la concupiscenza dei nostri governanti e capetti politici...Così, di abuso in abuso, con delinquenza progressiva, si arrivò ai giorni sfrenati di Machado”.
Aramburo puntualizza: “L’insurrezione che si produsse allora, non si iniziò contro la Costituzione, ma contro la tirannia... Non era quella la causa delle agitazioni che sollevarono il popolo. Lo sforzo civico s’incamminava a deporre il dittatore, nient’altro”.
Senza dubbio, proseguiva Aramburo, interessi di partito tinsero il movimento insorgente di un radicalismo riformatore e si cominciò a parlare di cambio di regime, concetto che la maggior parte degli insorti associò con la defenestrazione di Machado e non con un cambio costituzionale. Il risultato fu la convocazione di un’Assemblea dalla quale sarebbe uscito “un prodotto ibrido, raffazzonato e non attuabile, origine di danni incalcolabili”. Per questo, a parere di Aramburo “sarebbe più prudente prendere come base la Costituzione del 1901 e introdurre nel suo testo quelle riforme principali che esigono le nuove necessità. Questo presuppone di lasciare intatta la dogmatica dei diritti individuali che in questo Codice appaiono definiti e regolati con esattezza”.
Vince l’opposizione
Il 15 novembre del 1939, si celebrarono le elezioni per l’Assemblea Costituente. Vinceva l’opposizione. Di 76 seggi, 35 corrispondevano al Governo, 41 ai suoi avversari. 73 uomini e tre donne. Ramón Grau San Martín che era stato eletto dalle 5 province che lo hanno nominato, fu elevato meritatamente alla presidenza dell’Assemblea che inaugurò le sue sessioni il 7 febbraio del 1940, 75 anni or sono. Otto partiti politici erano presenti alla Convenzione. L’Autentico, con 18 delegati fu quello dalla presenza più nutrita. Lo seguivano i liberali con 15 posti e i nazionalisti con 9. Sei delegati formavano la presenza comunista, mentre che Azione Repubblicana e ABC erano presenti con quattro delegati ciascuno. Tre furono i “congiuntisti” che erano i rappresentanti del Congiunto Nazionale Democratico, mentre il Partito Realista concorse con un solo delegato, José Maceo González.
Per gli autentici, a parte Grau, c’erano fra gli altri Eduardo Chibás, Emilio “Millo” Ochoa, Miguel Suárez Fernández, Alicia Hernández de la Barca, María Esther Villoch, Eusebio Mujal e Carlos Prío che emergerà come politico brillante per la sua abile e accertata attuazione.
Per i liberali assistettero José Manuel Cortina, Rafael Guas Inclán, Alfredo Hornedo, Emilio Nuñez Portuondo, Orestes Ferrara...i comunisti si fecero rappresentare da Juan Marinello, Blas Roca, Salvador García Agüero, Romárico Cordero, Esperanza Sánchez Mastrapa e César Villar...Jorge Mañalich, Francisco Ichaso e Joaquín Martínez Sáenz figurarono negli abecedari. Ci furono anche democratici e repubblicani, come Pelayo Cuervo e Santiago Rey. Gente di tutte le tendenze politiche, animati nel loro lavoro dal criterio memorabile di José Manuel Cortina in uno dei discorsi della sessione inaugurale dell’Assemblea. Cortina , allora, disse: “I partiti fuori! La Patria dentro!”. Questo fu lo spirito che animò i costituenti.
Il costituente di maggior età fu l’avvocato santiaguero Antonio Bravo Correoso, del gruppo Democratico-Repubblicano. Correoso era stato delegato alla Convenzione Costituente del 1901. Allora si oppose all’Emendamento Platt, ma non si fece presente all’assemblea il giorno della votazione decisiva. L’ultimo soprvvivente di quei 76 delegati fu l’holguinero “Millo” Ochoa. Posteriormente alla Costituente fu eletto senatore. Fu tra i fondatori del Partito Ortodosso che arrivò a presiedere. Fu detenuto 32 volte durante la sua vita politica. Uscì da Cuba nel 1960. Morì nel 2007, alla soglia dei 100 anni, a Miami dove si guadagnò la vita come taxista e fattorino.
C’era di tutto in quell’Assemblea che dotò il Paese della Costituzione del 1940. Oratoria brillante, retorica, accesi duelli verbali, aneddoti di ogni tipo, decessi, dimissioni e per non perdersi niente ci furono anche perdite di tempo in discussioni inutili circa il regolamento. Anche un attentato che mise Ferrara sull’orlo della morte, ricorda nelle sue Cronache della Repubblica, la professoressa Uva de Aragón, dalla quale lo scriba prendi in modo quasi testuale, i riferimenti per questa pagina.
Il patto Batista-Menocal
Preoccupava alcuni settori dell’opinione pubblica l’estensione smisurata del testo costituzionale che si elaborava. Di nuovo usciva allo scoperto Mariano Aramburo: “Sembra una bugia che si perda di vista il carattere fondamentale della Costituzione che non deve scendere in dettagli, e minuzie, ma deve limitarsi a esporre con rigida sobrietà, così nella parte dogmatica come nell’organica, i principi sopratutto normativi che devono conformare la vita dello Stato nell’esercizio dei suoi poteri e nelle sue relazioni con gli altri soggetti di diritto, senza invadere l’area delle leggi di derivazione...”
Presto giungerà la crisi. Grau, nonostante la sua affiliazione al movimento rivoluzionario del ’33, assunse dall’inizio una posizione ferma per evitare le lotte interne. Ma il leader dell’autenticismo non dominava la tecnica parlamentare e c’erano costanti disordini che minacciavano di trasformare la riunione in un caos. D’altra parte, Batista, desideroso di assicurarsi la presidenza nelle successive elezioni, offrì ai "menocalisti" la vice presidenza della Repubblica, il posto di sindaco dell’Avana, tre governi provinciali e 12 senatori. I "menocalisti" passarono a militare dentro le fila del Governo perché, disse il vechio Menocal ai membri del suo partito che giudicavano troppo forte la bevanda "pattista", “è fare un servizio alla Repubblica, propiziare a Batista una via d’uscita costituzionale al fine di liberare Cuba dal predominio militare che lui impersona”. Indubbiamente, il vecchio capoccia, non poté convincere tutti. Fu un colpo molto duro da assimilare per Miguel Coyula, altro dei delegati alla Convenzione. La fedeltà al suo capo e amico si scontravano coi principi che lo obbligavano a respingere un’alleanza con un uomo che aveva già anticipato di che risma fosse. Coyula non trovò un’altra via d’uscita, una volta finita l’Assemblea, che rinunciare agli alti incarichi occupati nelle file del "menocalismo" e ritirarsi dalla vita politica; tutto, meno che confrontarsi con Menocal, il cui funerale celebrò poco dopo con la voce rotta dall’emozione. In ogni modo, il patto Batista-Menocal alterò la composizione dell’Assemblea. L’opposizione perdeva la maggioranza e Grau si vedeva costretto a rinunciare alla sua presidenza. La occupa, allora, Carlos Márquez Sterling.
(Continua)
Fonti: Testi di Uva de Aragón. Mariano Aramburo, mario Coyula e Mario Riera.
La Constitución del 40 (I)
7 de Febrero
del 2015 20:49:34 CDT
A partir de
1933 el militarismo se convirtió en un factor de peso en la vida política
cubana. Nunca había sido así con anterioridad, pese a que el Ejército desempeñó
siempre un papel represivo y, como norma, ejerció la coacción y la violencia
durante las campañas comiciales.
El coronel
Fulgencio Batista, como jefe del Ejército, llenó de beneficios a la tropa.
Otorgó un papel decisivo al cuadro de oficiales, instituyó un privilegiado
sistema de salarios tanto para los oficiales como para los simples alistados,
con asignaciones y sobresueldos. Incrementó a más de 14 000 el número de
miembros de las Fuerzas Armadas, con lo que hubo un militar por cada 285
habitantes.
Se creó, por
otra parte, el cuerpo de la Policía Nacional. Se garantizó a los militares
seguridad social, hospitales y clínicas especiales, balnearios, viviendas,
cajas de auxilio. El campamento de Columbia se transformó en Ciudad Militar y
se acometió la construcción de una red de cuarteles o se transformaron o
modernizaron los existentes. Ya en 1936, las asignaciones otorgadas a la
Secretaría de Defensa sobrepasaban el 25 por ciento del total del presupuesto
de la nación. Había sido de un 14 por ciento en 1925. Con ascensos, traslados y
licenciamientos controlados por Batista, el Ejército se convirtió en la fuerza
más cohesionada en el escenario político cubano.
Había, por
supuesto, oposición interna. En el Congreso incluso se creó el Bloque
Democrático a raíz de la destitución del presidente Miguel Mariano Gómez. Pero
Batista, dicen los investigadores, se enfrentaba a una situación internacional
más compleja que la de la oposición interna. Repercutía en Cuba la lucha contra
el fascismo y el nazismo, sus relaciones eran excelentes con Washington y el
momento no era propicio para gobernar apoyado en un partido militar. Además,
quería Batista proyectarse como estadista y todo esto lo hizo comprender que
debía reorientar sus aspiraciones políticas. Fue así que en 1937 lanzó el
llamado Plan Trienal, con una amplia gama de medidas encaminadas al
mejoramiento de la población campesina. Lo elaboró con poca o ninguna
intervención de las instituciones civiles del Estado, presidido entonces por
Federico Laredo Brú. Ese Plan no duró mucho; fue abandonado en menos de un año.
Aun así dejó algunas ganancias, como la Ley de Coordinación Azucarera y ciertas
medidas ventajosas en educación, sanidad y beneficencia, impulsadas por el
Consejo Corporativo.
El mensajero de la prosperidad
Las relaciones
de Batista con los norteamericanos eran inmejorables en aquellos años. En 1938
fue invitado a Washington por el jefe del Estado Mayor del Ejército de Estados
Unidos. El presidente Roosevelt lo recibió en la Casa Blanca; asistió a la
ceremonia por el Día de los Veteranos en el cementerio de Arlington y en la
academia militar de West Point se le trató en consonancia con su alta jerarquía
militar como jefe del Ejército cubano. En Nueva York el Alcalde lo atendió por
todo lo alto.
Hizo contacto
Batista en Estados Unidos con la banca y las grandes empresas, y firmó
numerosos acuerdos que redundarían en el bienestar económico de la Isla.
Regresó a Cuba, y sus seguidores le apodaron El Mensajero de la Prosperidad.
Por esa misma época viajó a México con una invitación de Lázaro Cárdenas, quien
quería, se decía, resquebrajar la alianza de Batista con los norteamericanos y
sumarlo a su política antiyanqui. En ese país, donde se le exaltó como un líder
continental, el militar cubano se comprometió, se dijo, con el presidente
Cárdenas y con Lombardo Toledano, a legalizar en Cuba el Partido Comunista y
facilitarle el control del movimiento sindical.
Asimismo,
autorizaría a esa organización política a fundar un periódico y una emisora radial. Con todo,
el país no se estabilizó ni en lo político ni en lo económico, aunque se
tomaron medidas para atenuar el descontento. Se autorizó la organización del
Partido Unión Revolucionaria, copado y controlado ya por los comunistas. Se
declaró una amplia amnistía política. Se concedió la autonomía universitaria.
Se reorganizó
la educación. Y se ensancharon las posibilidades de trabajo para el cubano, con
la expulsión de jamaicanos y haitianos.
Constituyente
primero, elecciones después. Quería la oposición más de lo que ha conseguido.
Insistía en la convocatoria a una Asamblea Constituyente. Batista también la
quería, pero deseaba que primero se celebraran elecciones. Se ha empeñado el
Coronel en llegar al poder por la vía electoral; reprimió por la fuerza a sus
adversarios, pero reclamó una legitimidad política en las urnas. Quería la
aprobación popular. La oposición no cedía. Sus adversarios reclamaban
Constituyente primero y elecciones después, y lo consiguieron en las
negociaciones que encabezó Laredo Brú, presidente de la República.
No todos los
sectores estaban de acuerdo con que se promulgara una nueva Constitución.
Mariano Aramburo, desde las páginas del Diario de la Marina, decía que los
descalabros que conoció el país desde la instauración de la República no se
debían tanto a la Constitución de
1901 como “a la
falta de virtud y a la demasía de concupiscencia de nuestros gobernantes y
caudillos políticos... Así, de abuso en abuso, en progresiva delincuencia, se
llegó a los desenfrenos de los días de
Machado”.
Puntualiza
Aramburo: “La insurrección que entonces se produjo no se inició contra la
Constitución, sino contra la tiranía. No era aquella la causa de los desmanes
que soliviantaron al pueblo. El esfuerzo cívico se encaminaba a deponer al
dictador, y no más”.
Sin embargo,
proseguía Aramburo, intereses de partido tiñeron el movimiento insurgente de un
radicalismo reformador y empezó a hablarse de cambio de régimen, concepto que
la mayor parte de los sublevados asoció solo con la defenestración de Machado y
no con un cambio constitucional. El resultado fue la convocatoria a una
Asamblea de la que saldría “un producto híbrido, artero e inviable, origen de
imponderables daños”. Por eso, en opinión de Aramburo, “lo más prudente sería tomar
por base la Constitución de 1901 e introducir en su texto aquellas reformas
parciales que exijan las nuevas necesidades. Ello supone dejar intacta la
dogmática de los derechos individuales, que en ese código aparecen definidos y
regulados con
Acierto”.
Triunfa la
oposición
El 15 de
noviembre de 1939 se celebraron las elecciones para la Asamblea Constituyente.
Triunfaba la oposición. De 76 actas, 35 correspondían al Gobierno; 41 a sus
contrarios. 73 hombres y tres mujeres. Ramón Grau San Martín, quien ha sido
electo por las cinco provincias que lo nominaron, fue exaltado merecidamente a
la Presidencia de la Asamblea, que inauguró sus sesiones el 7 de febrero de
1940, hace ahora 75 años Ocho partidos políticos estaban representados en la
Convención. El Auténtico, con 18 delegados, fue el de más nutrida presencia. Le
siguieron los liberales, con 15 asientos, y los nacionalistas con nueve. Seis
delegados conformaron la bancada comunista, mientras que Acción Republicana y
el ABC se hicieron presentes con cuatro delgados cada uno. Tres fueron los
conjuntistas, esto era, representantes del Conjunto Nacional Democrático, en
tanto que el Partido Realista concurrió con un solo delegado, José Maceo
González.
Por los
auténticos, aparte de Grau, estuvieron, entre otros, Eduardo Chibás, Emilio
“Millo” Ochoa, Miguel Suárez Fernández, Alicia Hernández de la Barca, María
Esther Villoch, Eusebio Mujal y Carlos Prío, que despuntará como un político
brillante por su hábil y acertada actuación.
Por los
liberales asistieron José Manuel Cortina, Rafael Guas Inclán, Alfredo Hornedo, Emilio Núñez
Portuondo, Orestes Ferrara... Los comunistas se hicieron representar por Juan
Marinello, Blas Roca, Salvador García Agüero, Romárico Cordero, Esperanza
Sánchez Mastrapa y César Vilar... Jorge Mañach, Francisco Ichaso y Joaquín
Martínez Sáenz figuraron entre los abecedarios. Hubo también demócratas y
republicanos, como Pelayo Cuervo y Santiago Rey. Gente de todas las tendencias
políticas, animados en su labor por el criterio memorable de José Manuel
Cortina en uno de los discursos de la sesión inaugural de la Asamblea. Dijo
Cortina entonces: “¡Los Partidos fuera! ¡La Patria dentro!”. Fue ese el
espíritu que animó a los constituyentes.
El
constituyente de mayor edad fue el abogado santiaguero Antonio Bravo Correoso,
de la bancada Demócrata-Republicana. Correoso había sido delegado a la
Convención Constituyente de 1901. Se
opuso entonces a la Enmienda Platt, pero no se hizo presente en la Asamblea el
día de la votación decisiva. El último sobreviviente de aquellos 76 delegados
fue el holguinero “Millo” Ochoa. Con posterioridad a la Constituyente resultó
electo senador. Estuvo entre los fundadores del Partido Ortodoxo, que llegaría
a presidir. Fue detenido 32 veces a lo largo de su vida política. Salió de Cuba
en 1960. Murió en 2007 al filo de los cien años, en Miami, donde se ganó la
vida como taxista y mensajero.
Habría de todo
en aquella asamblea que dotó al país de la Constitución de 1940. Oratoria
brillante, retórica, acerados duelos verbales, anécdotas de todo tipo,
fallecimientos, renuncias y, por no dejar de haber, hubo asimismo pérdida de
tiempo en discusiones inútiles acerca del reglamento. Y hasta un atentado que
puso a Ferrara al borde de la muerte, recuerda, en sus Crónicas de la
República, la profesora Uva de Aragón, de quien el escribidor toma, de manera
casi textual, referencias para esta página.
El pacto Batista-Menocal
Preocupaba a
algunos sectores de la opinión pública la extensión desmedida del texto
constitucional que se elaboraba. De nuevo salía Mariano Aramburo a la palestra:
“Parece mentira que se pierda de vista el carácter fundamental de la
Constitución, que no debe descender a detalles y minucias, que debe limitarse a
exponer con rígida sobriedad, así en la parte dogmática como en la orgánica,
los principios superiormente normativos que han de informar la vida del Estado
en el ejercicio de sus poderes y en sus relaciones con los demás sujetos de
derecho sin invadir el área de las leyes derivativas...”.
Pronto sobrevendría
la crisis. Grau, pese a su filiación con el movimiento revolucionario del 33,
asumió desde el comienzo una posición firme para evitar las luchas internas.
Pero el líder del autenticismo no dominaba la técnica parlamentaria y había
constantes desórdenes que amenazaban con convertir la reunión en un caos. Por
otra parte, Batista, deseoso de asegurarse la Presidencia en los
siguientes comicios, ofreció a los
menocalistas la vicepresidencia de la República, la alcaldía de La Habana, tres
gobiernos provinciales y
12 senadurías.
Los menocalistas pasaron a militar dentro de las filas del Gobierno porque,
dijo el viejo Menocal a sus partidarios que juzgaban demasiado fuerte el
brebaje pactista, “es hacerle un servicio a la República propiciarle a Batista
una salida constitucional a fin de librar a Cuba del predominio militar que él
personifica”. No pudo el viejo caudillo, sin embargo, convencerlos a todos. Fue
un golpe muy duro de asimilar para Miguel Coyula, otro de los delegados de la
Convención. La fidelidad a su jefe y amigo chocaban con principios que lo
obligaban a rechazar públicamente la alianza con un hombre que ya había anticipado su calaña. No
encontró Coyula otra salida, una vez finalizada la Asamblea, que la de
renunciar a los puestos superiores que ocupaba en las filas del menocalismo y
retirarse de la vida política; todo menos enfrentarse a Menocal, cuyo duelo
despediría poco después con la voz ahogada por la emoción. De cualquier manera,
el pacto Batista-Menocal alteró la composición de la Asamblea. Perdía la
oposición la mayoría, y Grau se veía forzado a renunciar a su presidencia. La
ocupa entonces Carlos Márquez Sterling. (Continuará)
Fuentes: Textos
de Uva de Aragón, Mariano Aramburo, Mario Coyula y Mario Riera.
Ciro Bianchi Ross