Pubblicato su Juventud Rebelde del 1*/3/15
Sul Banco de los Colonos, domanda la lettrice Ada M.
Smith Machado, direttrice della succursale 296 del Banco Metropolitano sita in
Juan Delgado y Lacret, Santos Suarez.
Ada afferma nel suo
messaggio che sono molti i clienti che continuano chiamando Banco de los
Colonos questa entità bancaria ed è “interesse mio –afferma – conoscere la
storia della sua nascita e il motivo per cui gli fu dato questo nome”.
Guillermo Jiménez nel suo
libro Las empresas de Cuba.1958,
pubblicato dall’Editorial Ciencias Sociales nel 2004, dice che con relazione ai
suoi depositi – 22 milioni di pesos – occupava il dodicesimo posto come
importanza fra le banche cubane. Aveva la sua casa madre nella calle Aguíar 360
e contava con sette succursali. Quella di Juan Delgado e Lacret, annota per
conto suo lo scriba, dev’essere stata una delle ultime ad essere aperte, non
viene segnata nell’elenco telefonico dell’Avana corrispondente al 1958 e che
raccoglie informazioni anteriori al 31 dicembre del 1957.
La banca contava con
3000 azionisti. Il proprietari della
maggioranza, col 54% delle azioni, era Gastón Godoy Loret de Mola che dopo il
colpo di Stato del 10 marzo 1952 presiedette il Consiglio Consultivo
batistiano; nel 1953 fu ministro della Giustizia e presiedette la Camera dei
Rappresentanti tra il 1954 e il 1958. Quest’ultimo anno, nelle elezioni spurie
del 3 dicembre, venne eletto vice presidente della Repubblica, carica che
avrebbe dovuto assumere il 24 febbraio del 1959. La vittoria della Rivoluzione
gli precluse questa possibilità. Assieme a sua moglie e suo figlio lasciò il
Paese verso la Repubblica Dominicana con lo stesso aereo in cui lo fece il
dittatore Fulgencio Batista.
Jiménez considera Godoy il
più elevato fra gli alti dirigenti del Governo batistiano. Oltre alla banca era
padrone di una compagnia di assicurazioni e di una azienda che si dedicava al
commercio di lubrificanti per l’uso in zuccherifici, ferrovie, trattori e
macchine agricole, così come una che operava nei moli e magazzini del porto e
che faceva anche da compagnia di navigazione a Santiago di Cuba. Era azionista
dello zuccherificio Andorra, dove anche Batista aveva interessi e controllava i
due terzi della produzione nazionale di miele.
Figlio di spagnolo, nacque
in Perù e assieme alla sua famiglia non tardò a stabilirsi a Santiago. Fu un
prestigioso avvocato, specializzato in temi relativi allo zucchero, ma al tempo
di Machado difese, da penalista, antimachadisti prigionieri e dopo
l’abbattimento della dittatura, assunse la difesa di machadisti portati davanti
al Tribunale Penale. Nel 1941 difese il colonnello José Eleuterio Pedraza nel
giudizio a cui fu sottoposto per il suo tentativo di colpo di Stato contro
Batista.
Gastón Godoy Agostini, padre
di Godoy Loret de Mola, promosse la fondazione della banca nel 1943. A Cuba si
chiamavano coloni i raccoglitori di canna da zucchero. Quaranta di loro, in
maggioranza di origine canaria, si involucrarono nell’impresa col proposito di
stimolare i piccoli coloni. In breve, gli azionisti maggiori capeggiati da
Godoy padre, cominciarono a pressionare gli azionisti minori affincé vendessero
le loro partecipazioni e a partire dal 1952, la banca abbandonò il suo
proposito iniziale di aiutare i piccoli coloni e si convertì essenzialmente,
nella fornitrice di prestiti a proprietari de zuccherifici. Così in quella
data, l’80 per cento dei suoi prestiti beneficiava l’industria zuccheriera e
solo il 9 per cento i coloni. I suoi principali clienti erano l’Associazione
Nazionale dei Coloni di Cuba, la nuova Compagnia Zuccheriera di Gómez Mena, la
centrale Andorra che aveva difficoltà di pagamenti; la centrale Narcisa...
La situazione finanziaria,
la politica creditizia, la solvibilità e le utilità, anche se non dichiarate,
erano buone nel Banco de los Colonos, scrive Guillermo Jiménez ne Las empresas de Cuba.1958. La sua
amministrazione era sicura ed efficiente anche se cominciò a risentire della
presidenza di Gastón Godoy figlio.
Ebrei
a Cuba
La pubblicazione di Herejes (Eretici, n.d.t.), il romanzo
più recente di Leonardo Padura, ha sollevcato interesse per la presenza ebraica
a Cuba. Del tema si interessa il lettore José Antonio Herrera Pita.
I primi ebrei arrivarono a
Cuba con Colombo. Nei suoi viaggi per l’America, navigarono con l’Ammiraglio
circa 160 ebrei, sicuramente convertiti o che nascondevano la loro origine per
sfuggire all’Inquisizione. Di loro si ricordano i nomi di Martín Alonso Pinzón,
Rodrigo de Jerez e Luis de Torres, poliglotta consumato che fu il primo
latifondista ebreo a Cuba e colui che introdusse il tabacco in Europa. Furono
ebrei portoghesi, d’altra parte, che portarono la canna da zucchero.
Anche così fu arduo il
compito degli ebrei nello sforzo di gettare radici a Cuba e in tutto il Nuovo
Continente, ebbene quando si autorizzò l’arrivo dei figli degli arsi
dall’Inquisizione, gli si impose la limitazione che non potessero occupare
cariche pubbliche. Gli si ostacolava la mobilità sociale e non fruttavano i
loro espedienti di “pulizia del sangue”, Carlos V, nel 1552, proibì la vendita
di onorificenze nobili a coloro che avessero un antenato condannato per “vergogna pubblica”, ai discendenti dei
comprometari ai sospettati di eresia o di discendere da ebrei. I successori
dell’Imperatore, a partire dal XVII secolo, flessibilizzarono la vendita di
questo privilegio.In ogni caso era ebrea convertita Isabel de Bobadilla che
sostituì suo marito, Hernando de Soto, come governatore dell’Isola e ispirò
l’artista che scolpì la Giraldilla.
Non fu fino al 1881 quando
il Governo di Madrid autorizzò l’emigrazione degli ebrei.
È a partire da allora che si
può parlare di una comunità ebrea a Cuba, sebbene non esistesse la libertà di
culto martí ebbe ebrei fra i suoi collaboratori vicini e fu notevole l’apporto
della comunità ebraica di Key West alla Guerra d’Indipendenza nella quale si
evidenziarono combattenti ebrei.
Nel 1906 assommavano a circa
mille gli ebrei radicati a Cuba. Erano essenzialmente uomini d’affari,
fondarono un’istituzione sociale e una sinagoga all’Avana e un cimitero a
Guanabacoa. Tra il 1910 e il 1917 arrivarono circa 4000 ebrei sefarditi dal
Marocco e dalla Turchia. Nel 1919, arrivarono 2000 ebrei askenaziti provenienti
da Polonia, Russia e Lituania e questa cifra raddoppierà verso il 1924.
I sefarditi cercavano zone
suburbane o rurali. Erano venditori ambulanti e introdussero il credito nella
loro pratica commerciale. Gli askenaziti si dedicavano al commercio a ella
piccola industria all’Avana, sopratutto durante la II Guerra Mondiale e dopo.
Nel 1945 si contavano circa 25000 ebrei a Cuba. Le più nutrite immigrazioni
ebbero luogo nelle decadi del ’20 e del ’30 sopratutto all’Avana Vecchia,
stabilirono scuole, botteghe, ristorant, negozi per la vendita di tessuto e
mercerie...introdussero l’industria del taglio dei diamanti. Due giornali in yiddish e uno in spagnolo, si editavano
per questa comunità che svolgeva un’attiva vita culturale e sociale sia nella
capitale come nelle province. Molti di questi ebrei, con la fine della Guerra,
tornarono in Europa o passarono a risiedere negli Stati Uniti o in Canada.
Questa comunità entrò in
crisi a partire dal 1960, la nazionalizzazione del commercio e l’industria
provocò l’emigrazione della maggioranza dei suoi appartenenti, generalmente
commercianti o professionisti. Di cosa si sarebbe nutrita? Il Patronato Ebraico
dell’Avana convocò tutti coloro che avessero tracce di giudaismo nella stirpe.
A Cuba erano contate le coppie che avessero ascendenza diretta e dal 1965 le
unioni matrimoniali erano miste, ebbene quasi mai un ebreo o ebrea poteva
sposarsi con qualcuno della propria fede. Il Patronato adottò il rito
conservatore che è molto più moderno e d’accordo coi tempi che il rito
ortodosso. In quest’ultimo, incrostato in antiche tradizioni, è la madre che
assegna legittimità ai suoi discendenti. Adesso si trattava che tutte le
famiglie miste, o no, si considerassero ebree.
Quale sarà il destino di
questa comunità a Cuba? Da nni, lo scrittore ebreo Jaime Sarusky diceva: “A
Cuba gli ebrei affrontano la drammatica disgiuntiva di dissolversi o tentare di
ritrovarsi e conseguire una coesione, per precaria che sia. È impossibile
vaticinare come sarà la comunità ebraica
a Cuba nel 2025 o nel 2050. Ma se per allora rimanesse viva e attiva,
certamente avrà caratteristiche molto proprie nelle quali saranno fuse, in una
entità singolarmente caraibica, due tradizioni: l’ebrea e la cubana”.
Ferrara
Varie interroganti sono
formulate nel suo messaggio dal lettore Miguel A. López Fernández, avvocato di
Unión de Reyes, Matanzas. Impossibile rispondere a tutte. La morte di Gonzalo
Castañon la affrontò lo scriba già da molto tempo ed ò impossibile adesso
riferirne i dettagli per ragioni di spazio. D’altra parte, ignoro se il
politico machadista camagüeyano Rogerio Zayas Bazán, morto nel 1932 in un
duello irregolare, era parente di Carmen, la moglie di José Martí, anche lei
camagüeyana. Zayas Bazán fu segretario (ministro) nel primo gabinetto di
Machado e con questa carica fu il braccio visibile della pretesa politica di
rigenerazione morale della vita cubana, orchestrata da machado. Perseguì con
accanimento prositute e protettori, ciò che gli valse il plauso e
riconoscimento e il suo nome si associa alla costruzione del Carcere Modello
dell’Isola dei Pini. In quel periodo, la stampa gli dedicava tanto spazio come
quello che dedicava a Machado. Rinunciò al suo incarico di ministro nel maggio
1928 e nell’aprile del 1931 il :Partito Liberale lo porta al Senato della
Repubblica. Abitava all’angolo di L e 21 nel Vedado, dove adesso c’è un parcheggio.
Sull’italiano Orestes
Ferrara (1876-1972) ha pubblicato, lo scriba, fino a non poterne più. López
fernández domanda come arrivó a Cuba, quando e dove si laureò da avvocato. Era
studente e si entusiasmó con la guerra che i cubani avevano contro la Spagna.
Un giorno senza che i suoi si rendessero conto, uscì dalla sua casa di Napoli e
giunse a New York. Venne a Cuba come membro della spedizione del sesto viaggio
del vapore Daunteless che sbarcò nella provincia di Oriente. Passò un periodo
in questa provincia e in quella di Camagüey fino a che varcò la linea da Jùcaro
a Morón e si incorporò come comandante ausiliario alla prima divisione del
quarto corpo dell’Esercito di Liberazione che operava a Las Villas agli ordini
del generale José Miguel Gómez col quale partecipò ai combattimenti di Bacuino
e Peña e nella presa di Arroyo Blanco, fra altre azioni.
Conclusa la guerra, tornò in
Italia col grado di colonnello e terminò gli studi di Diritto. Tornò all’Isola
e si dedicò al Diritto Penale fino a che si rese conto che era più producente
dedicarsi a rappresentare gli interessi delle grandi compagnie nordamericane a
Cuba.
Fu Rappresentante all
camera, il massimo incarico eleggibile al quale poteva aspirare vista la sua
condizione di straniero e occupò la presidenza di questo corpo legislativo. Fu
ambasciatore negli USA e cancelliere al tempo di Machado. Fuggì alla caduta
della dittatura (1933) e tornò nel 1937. Alla fine degli anni ’40, fu nominato
ambasciatore all’Unesco e rimase con questa carica fino a che il governo cubano
lo destituì nei primi giorni di gennaio del 1959.
Impartì all’Università
del’Avana i corsi di Diritto Romano. Fu un buen professore. Si dice che non
bocciò mai nessun alunno per incapace che si mostrasse agli esami. Quando i
suoi compagni del tribunale gli rimproveravano quelle promozioni, Ferrara aveva
una frase invariabile: “Promuoviamoli adesso che li boccerà la vita”.
Banco de los Colonos
y otras respuestas
Ciro Bianchi Ross * digital@juventudrebelde.cu
28 de Febrero del 2015 19:19:32 CDT
Sobre el Banco de los Colonos inquiere la
lectora Ada M. Smith
Machado, directora de la sucursal 296 del Banco
Metropolitano, sita en
Juan Delgado y Lacret, Santos Suárez. Afirma Ada
en su mensaje que son
muchos los clientes que siguen llamando Banco de
los Colonos a esa
entidad bancaria y “es interés mío --afirma--
conocer la historia de su
surgimiento y el motivo por el que se le dio ese
nombre”.
Guillermo Jiménez en su libro Las empresas de
Cuba. 1958, publicado
por la Editorial de Ciencias Sociales en 2004,
dice que, en atención a
sus depósitos --22 millones de pesos-- ocupaba
el décimosegundo lugar en
importancia entre los bancos cubanos. Tenía su
casa matriz en la calle
Aguiar 360, y contaba con siete sucursales. La
de Juan Delgado y
Lacret, apunta por su cuenta el escribidor, debe
haber sido de las
últimas en inaugurarse, pues no aparece
consignada en el Directorio
Telefónico de La Habana correspondiente a 1958 y
que asienta
informaciones anteriores al 31 de diciembre de
1957.
Contaba el banco con 3 000 accionistas. El
propietario principal, con
el 54 por ciento de las acciones, era Gastón
Godoy Loret de Mola, que
tras el golpe de Estado del 10 de marzo de 1952
presidió el Consejo
Consultivo batistiano; fue, en 1953, ministro de
Justicia y encabezó
la Cámara de Representantes entre 1954 y 1958.
En ese último año, en
las elecciones espurias del 3 de diciembre,
resultó electo
vicepresidente de la República, cargo que debía
asumir el 24 de
febrero de 1959. El triunfo de la Revolución le
cerró esa posibilidad.
Junto con su esposa y su hijo, salió del país
rumbo a la República
Dominicana en la misma aeronave en que lo hizo
el dictador Fulgencio
Batista.
Jiménez considera a Godoy como el más encumbrado
propietario entre los
altos dirigentes del Gobierno batistiano. Además
del banco, era dueño
de una compañía de seguros y de una empresa dedicada
al comercio de
grasas y aceites para uso en centrales
azucareros, ferrocarriles,
tractores y equipos agrícolas, así como de una
operadora de muelles y
almacenes que oficiaba asimismo como agencia de
vapores en Santiago de
Cuba. Era accionista del central azucarero
Andorra, donde Batista
también tenía intereses, y controlaba las dos
terceras partes de la
producción nacional de mieles.
Hijo de español, nació en Perú, y, junto con su
familia, no demoró en
radicarse en Santiago. Fue un abogado
prestigioso, especializado en
temas azucareros, pero en tiempos de Machado
defendió, como
criminalista, a antimachadistas presos y tras el
derrocamiento de la
dictadura asumió la defensa de machadistas
llevados ante los
Tribunales de Sanciones. Defendió, en 1941, al coronel
José Eleuterio
Pedraza en el juicio que se le siguió por su
intento de golpe de
Estado contra Batista.
Gastón Godoy Agostini, padre de Godoy Loret de
Mola, promovió la
fundación del banco en 1943. En Cuba se llamaba
colonos a los
cosecheros de caña. Cuarenta de ellos, de origen
canario en su
mayoría, se nuclearon en la empresa con el
propósito de refaccionar a
pequeños colonos. Pronto los accionistas
mayores, encabezados por
Godoy padre, empezaron a forzar a los
accionistas menores para que
vendieran su participación y, a partir de 1952,
el banco rehuyó su
propósito inicial de ayudar a los pequeños
colonos y se convirtió, en
lo esencial, en prestamista de dueños de
centrales azucareros. Así, en
esa fecha, el 80 por ciento de sus préstamos
beneficiaba a la
industria del azúcar, y solo el nueve por ciento
a los colonos. Sus
principales clientes eran la Asociación Nacional
de Colonos de Cuba,
la Nueva Compañía Azucarera de Gómez Mena, el
central Andorra, que
tenía dificultades de pago; el central Narcisa...
La situación financiera, la política crediticia
y la solvencia y las
utilidades, aunque estas no las declaraba, eran
buenas en el Banco de
los Colonos, escribe Guillermo Jiménez en Las
empresas de Cuba. 1958.
Su administración era segura y eficiente, aunque
comenzó a resentirse
bajo la presidencia de Gastón Godoy hijo.
Judíos en
Cuba
La publicación de Herejes, la más reciente
novela de Leonardo Padura,
ha despertado el interés por la presencia judía
en Cuba. Por el tema
se interesa el lector José Antonio Herrera Pita.
Los primeros judíos llegaron a Cuba con Colón.
En sus viajes a América
navegaron con el Almirante unos 160 judíos,
seguramente conversos o
que ocultaban su origen para escapar de la
Inquisición. De ellos se
recuerdan los nombres de Martín Alonso Pinzón,
Rodrigo de Jerez y Luis
de Torres, políglota consumado que fue el primer
terrateniente hebreo
en Cuba y el introductor del tabaco en Europa.
Fueron judíos
portugueses, por otra parte, los que trajeron la
caña de azúcar.
Aun así fue ardua la tarea de los judíos en su
afán de echar raíces en
Cuba y en todo el nuevo continente, pues
cuando se autorizó la venida
de los hijos de los quemados por la Inquisición,
se les impuso la
restricción de que no ocupasen cargos públicos.
Se les obstaculizaba
su movilidad social y no fructificaban sus
expedientes de <<limpieza de
sangre>>. Carlos V, en 1552, prohibió la
venta de hidalguías a los que
tuviesen un antepasado condenado por
<<pública infamia>>, a los
descendientes de los comuneros y a los sospechosos
de herejía o de
descender de judíos. Los sucesores del
Emperador, a partir del siglo
XVII, flexibilizaron la venta de ese privilegio.
De todas formas, era
judía conversa Isabel de Bobadilla, que
sustituyó a su esposo,
Hernando de Soto, como gobernadora de la Isla, e
inspiró al artista
que esculpió La Giraldilla.
No fue hasta 1881 cuando el Gobierno de Madrid
autorizó la migración
de los judíos. Es a partir de entonces que puede
hablarse de una
comunidad judía en Cuba, si bien no existía la
libertad de cultos.
Martí tuvo judíos entre sus colaboradores
cercanos y fue valioso el
aporte de la comunidad judía de Cayo Hueso a la
Guerra de
Independencia, en la que sobresalieron
combatientes judíos.
En 1906 sumaban unos mil los judíos radicados en
Cuba. Eran en lo
esencial hombres de negocios y fundaron una
institución social y una
sinagoga en La Habana y un cementerio en
Guanabacoa. Entre 1910 y 1917
arribaron unos 4 000 judíos sefarditas
procedentes de Marruecos y
Turquía. En 1919, llegaban 2 000 hebreos askenazis
provenientes de
Polonia, Rusia y Lituania, y esa cifra se
duplicaría hacia 1924.
Los sefarditas buscaban zonas suburbanas o
rurales. Eran vendedores
ambulantes e introdujeron los créditos en su
práctica comercial. Al
comercio y a la pequeña industria se dedicarían
en La Habana los
askenazis, sobre todo durante la II Guerra
Mundial y después. En 1945
se contaban unos 25 000 judíos en Cuba. Las más
nutridas migraciones
habían tenido lugar en las décadas de los 20 y
los 30 y en La Habana
Vieja, sobre todo, establecieron escuelas,
bodegas, cafés,
restaurantes, tiendas para la venta de tejidos y
retazos... e
introdujeron la industria de la talla de
diamantes. Dos periódicos,
uno en yiddish y otro en español, se editaban
para esa comunidad, que
desplegaba una activa vida cultural y social
tanto en la capital como
en las provincias. Muchos de esos judíos, con el
fin de la Guerra,
volvieron a Europa o pasaron a radicarse en
Estados Unidos o Canadá.
Esa comunidad entró en crisis a partir de 1960,
cuando la
nacionalización de comercios e industrias
provocó la emigración de la
mayoría de sus componentes, por lo general
comerciantes y
profesionales. ¿De qué fuentes se nutriría? El
Patronato Hebreo de La
Habana convocó a todo el que tuviera briznas de
judaísmo en su
estirpe. Eran contadas en Cuba las parejas que
tenían ascendencia
directa y desde 1965 las uniones matrimoniales
eran mixtas, pues casi
nunca un judío o una judía podían casarse con
alguien de su misma
creencia. El Patronato adoptó el rito
conservador, que es mucho más
moderno y acorde con los tiempos que el rito
ortodoxo. En este último,
enquistado en tradiciones antiguas, es la madre
la que otorga
legitimidad a sus descendientes. Ahora se
trataba de que todas las
familias, mixtas o no, se asumieran como judías.
¿Cuál será el destino de esta comunidad en Cuba?
Decía hace varios
años el escritor judío Jaime Sarusky: “En Cuba,
los hebreos enfrentan
la dramática disyuntiva de disolverse o intentar
reencontrarse y
conseguir una cohesión, por precaria que sea. Es
imposible vaticinar
cómo será la comunidad hebrea en Cuba en el 2025
o en el 2050. Pero si
aún entonces permanece viva y activa,
seguramente tendrá
características muy propias, en las que estarán
fundidas, en una
entidad singularmente caribeña, dos tradiciones:
la hebrea y la
cubana”.
Ferrara
Varias interrogantes formula en su mensaje el
lector Miguel A. López
Fernández, abogado de Unión de Reyes, Matanzas.
Imposible dar
respuestas a todas. La muerte de Gonzalo
Castañón la abordó el
escribidor hace ya mucho tiempo y es imposible
referir ahora los
detalles por cuestión de espacio. Por otra
parte, desconozco si el
político machadista camagüeyano Rogerio
Zayas Bazán, muerto en 1932
en un duelo irregular, era familia de Carmen, la
esposa de José Martí,
también camagüeyana. Zayas Bazán fue secretario
(ministro) de
Gobernación (Interior) en el primer gabinete de
Machado y desde ese
cargo fue el brazo visible de la pretendida
política de regeneración
moral de la vida cubana orquestada por Machado.
Persiguió con saña a
prostitutas y proxenetas, lo que le valió
aplausos y denuestos y su
nombre se asocia a la construcción del Presidio
Modelo, en Isla de
Pinos. En ese tiempo, la prensa le dedicaba
tanto espacio como el que
le dedicaba a Machado. Renunció a su puesto de
ministro en mayo de
1928 y en abril de 1931 el Partido Liberal lo
llevó al Senado de la
República. Vivía en la esquina de L y 21, en el
Vedado, donde ahora
hay un parqueo.
Sobre el italiano Orestes Ferrara (1876-1972) ha
escrito el escribidor
hasta decir no quiero más. Pregunta López
Fernández cómo llegó a Cuba
y cuándo y dónde se graduó de abogado. Era
estudiante y se entusiasmó
con la guerra que los cubanos libraban contra
España. Un día, sin dar
cuenta a los suyos, salió de su casa, en
Nápoles, y llegó a Nueva
York. Vino a Cuba como miembro de la expedición
del sexto viaje del
vapor Daunteless, que desembarcó en la provincia
de Oriente. Pasó un
tiempo en esa provincia y en la de Camagüey
hasta que cruzó la trocha
de Júcaro a Morón y se incorporó como comandante
auditor a la primera
división del cuarto cuerpo del Ejército
Libertador que operaba en Las
Villas a las órdenes del general José Miguel
Gómez, con quien
participó en los combates de Bacuino y Peña y en
la toma de Arroyo
Blanco, entre otras acciones.
Al concluir la guerra, con grados de coronel,
volvió a Italia y
terminó sus estudios de Derecho. Regresó a la
Isla y se dedicó al
Derecho Penal hasta que se percató de que era
más productivo dedicarse
a representar los intereses en Cuba de las grandes
compañías
norteamericanas.
Fue Representante a la Cámara, el máximo cargo
elegible al que podía
aspirar dada su condición de extranjero, y ocupó
la presidencia de ese
cuerpo colegislador. Fue embajador en EE.UU. y
canciller en tiempos de
Machado. Huyó a la caída de la dictadura (1933)
y regresó en 1937. A
finales de los años 40 se le nombró embajador
ante la Unesco y en ese
cargo permaneció hasta que el Gobierno cubano lo
cesanteó en los
primeros días de enero de 1959.
Impartió en la Universidad de La Habana la
asignatura de Derecho
Romano. Fue un buen profesor. Se dice que jamás
suspendió a alumno
alguno por incapaz que se mostrara en el examen.
Cuando sus compañeros
de tribunal le reprochaban aquellos aprobados,
Ferrara tenía una frase
invariable: “Aprobémoslo ahora, que ya lo
suspenderá la vida”.
Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
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