Pubblicato su Juventud Rebelde del 12/7/15
Antonio Maceo torna in Costa
Rica proveniente da Cuba entrando col passaporto di Ramón Cabrales, suo
cognato, muovendosi sempre in modo clandestino, subito lo informano che
Mariana è morta in Giamaica. Ancora sotto
l’effetto della terribile notizia, gli arriva un esemplare del giornale Patria
che è diretto, a New York, da José Martí e nelle sue pagine trova l’articolo
dove il suo amico rende omaggio “alla cara vecchietta”. Legge il testo in un
lampo e torna a rileggerlo per soffermarsi in quei paragrafi che evocano i
giorni della guerra:
“E amava, come i migliori
della sua vita, i tempi di fame e sete nei quali ogni uomo che giungeva alla
sua porta di frasche poteva portarle la notizia della morte di uno dei suoi
figli”.
Inoltre giunge una lettera
di Martí. Anche lì parla della madre morta e dice: “Ho visto due volte
l’anziana, mi ha acarezzato e guardato come un figlio, la ricorderò con amore
per tutta la vita”.
Quando Maceo è rianimato,
scrive a Martì:
“Ah che tre fatti! Mio
padre, il Patto del Zanjón e mia madre che voi, per mia fortuna, venite a
calmarmi con la vostra lettera consolatrice. Magari possiate voi, col vostro
lavoro rialzarmi la testa e togliere dal mio viso la vergogna dell’espatrio dei
cubani e la sottomissione al governo coloniale”.
Se
la formica nasce libera
Mariana Grajales ebbe un
primo matrimonio con Fructuoso Regüeyferos. Si sposarono nel 1831. Lei aveva 16
anni d’età e lui 30. Rimasero assieme fino alla morte del marito, nove anni
dopo. Da questa unione, rimasero quattro figli.
Quando si unisce a Marcos
Maceo non è un’adolescente inesperta. Ha un carattere vigoroso, ha già sofferto
i dolori della vedovanza e sa cosa significa assumere da sola la cura di
quattro ragazzi, cosa che la obbliga a tornare a casa dei suoi genitori.
Da questa nuova unione
nascono altri dieci figli. I primi cinque di loro, compreso Antonio de la
Caridad, quello successivamente chiamato Titano di Bronzo, furono battezzati
col cognome di Grajales, come figli naturali di Mariana. La situazione di
coppia cambia quando muore la moglie di Marcos, dalla quale era separato, così
Marcos e Mariana possono contrarre matrimonio.
Mariana sarà per Marcos un
formidabile aiuto nello sviluppo della tenuta di sua proprietà. Inclinerà i
figli a cooperare nel lavoro agricolo, inculcandogli un profondo
senso di rispetto e obbedienza al padre. Ognuno di loro, secondo l’età, aveva
prevista la sua occupazione nel luogo, mentre Mariana consolidava, poco a poco,
una posizione reggente nel focolare, anche se non tralasciava di consultare con
Marcos tutti i problemi al fine di pronunciarsi di comune accordo su di essi.
Quelli che li conobbero ricordavano la coppia “consultandosi nelle difficoltà,
felici dell’espansione del focolare, uniti nel dolore e la felicità”.
I suoi biografi la
descrivono come una madre tenera e bonaria, ma anche inflessibile in quello
che riguardava la disciplina. Era una casa in cui si mangiava e si dormiva a
ore fisse e dalle quali nessuno poteva rimanere fuori oltre le dieci di sera.
Una casa ordinata e pulita della quale Mariana vigilava la pulcritudine nei
vestiti di chi l’abitava.
Figlia di mulatti liberi,
Mariana deve aver ricevuto qualche istruzione dov’era possibile nella Cuba
coloniale per persone nela sua condizione, con indipendenza e della sua posizione
economica: la cosiddetta istruzione primaria. È evidente che ebbe dai suoi
genitori una formazione etica rigorosa che seppe trasmettere ai suoi figli. Una
formazione che si complementerà con la lettura ad alta voce che al tramonto,
dopo la cena, faceva una delle figlie per tutti quelli della casa, di quei libri
che Marcos mandava a comprare a Santiago de Cuba nei quali si parlava di
Bolívar y Louverture e fra i quali non mancavano i romanzi di Dumas.
Le canzoni con le quali
avvolgeva i suoi figli erano impregnate di cubanía che a quel tempo equivaleva
a un vero anti spagnolismo. Cinquant’anni dopo, Antonio Maceo ricorderà una
delle decime con le quali Mariana cullava il suo sonno. Forse Il Titano, dice
lo scrittore Raúl Aparicio nella sua Hombradía
de Antonio Maceo, per il tempo trascorso, tergiversava un poco il testo.
Se la formica nasce libera,
la cavalletta e il grillo,
senza questioni di tasca
ne spagnolo che li
perseguiti,
nessuna legge li obbliga
ad andare alla scrivania
a comprae la libertà,
e io con la mia dignità
non sarò libera un giorno?
Liberare
la patria o morire per essa
Il 10 di ottobre del 1868,
Carlos Manuel de Céspedes si alza in armi contro la Spagna. Due giorni dopo,
Marcos Maceo manda suo figlio Miguel a una tenda vicina dove si è concentrata
una truppa insorta. Il suo capo è un vecchio amico dei Maceo Grajales e
all’incontrarsi con Marcos e Mariana, riceve dalla famiglia una generosa
dotazione di armi, cavalli e denaro indirizzate alla lotta appena iniziata. Il
capo della truppa inoltre domandò quale dei figli di Marcos e Mariana sarebbe
stato disposto a marciare per la guerra.
Senza pensarci due volte
fecero un passo avanti Antonio, José e Justo. Mariana allora chiede ai suoi
figli che si inginocchino davanti a un’immagine di Cristo e gli fa giurare che
libereranno la Patria o moriranno per essa.
Alla fine andranno tutti
alla macchia. Mariana che superava già i 50 anni, va in guerra e porta con se i
figli più piccoli. Presta servizi improvvisati in ospedali e in essi si prodiga
nella cure e l’affetto ai mambises
feriti. “Quella santa donna suppliva una madre assente”, sciveva il patriota
Fernando Figueredo e aggiungeva che comminava a María Cabrales, la sposa di
Maceo che occupava in quegli ospedali “il luogo che la distanza impediva fosse
occupato da una sorella”.
Sono numerosi i passaggi
della sua vita che illustrano il patriottismo di questa donna, di cui
celebriamo il bicentenario della su nascita. È il 7 di agosto del 1877 e suo
figlio Antonio risulta gravemente ferito nel combattimento del Potrero de
Mejia. Nell’ospedale del sangue, un gruppo di donne si lamentano e piangono per
lo stato del ferito. Mariana dice:”Fuori, fuori di qua le sottane. Non sopporto
le lacrime!”
E prima, quando Antonio
ricevette la sua prima ferita di guerra nel combattimento di Armonia, il 20
maggio del 1869, dice a Marcos, il più piccolo della prole: “E tu cresci,
perché possa anche tu combattere per la tua patria”.
Solo quattro dei suoi figli
videro la fine della dominazione coloniale spagnola.
L’esilio
Spraggiunge il patto del
Zanjón (1878) che mette fine alla Guerra dei Dieci Anni e Mariana deve uscire
da Cuba. Antonio sa quanto potrebbe essere preziosa sua madre come trofeo di
guerra per gli spagnoli e prepara cautamente la sua partenza. Assieme a María
Cabrales partí dall’Isola con destinazione Giamaica, in maggio, a bordo di una
nave francese. Non tornerà mai più a Cuba.
Martí che la visitò a
Kingston, si riferì alle sue “mani da bambina per accarezzare che le parlasse
della patria” e la ricordò sempre vestita di nero, ma era “come se la vestisse
la bandiera”. La descriveva “con un fazzoletto da anziana in testa, con gli
occhi di madre amorosa per il cubano sconosciuto, con un fuoco inestinguibile
nello sguardo e sul viso, quando si parlava delle glorie di ieri e le speranze
di oggi”.
Mariana è già molto anziana
e Antonio vuole che vada a vivere con lui in Costa Rica. L’anziana si rifiuta.
Suo figlio Marcos l’accompagna e si è adattata alla Giamaica, nonostante avervi
sofferto i sussulti della povertà e la vigilanza costante dello spionaggio
spagnolo.
È malata. Soffre di quello
che a quel tempo era conosciuto come il Male di Bright, termine già in disuso
che indicava una malattia renale e che equivarrebbe a una nefrite
degenerativa, caratterizzata da dolori,
febbre e vomito.
Questa sofferenza si
complicò con una congestione polmonare. Morì il 27 novembre del 1893 a 78 anni
d’età.
Chiese, negli ultimi
istanti, che quando Cuba fosse libera i suoi resti si portassero sull’Isola.
Il
ritorno
Trent’anni dopo la morte di
Mariana Grajales, il 15 marzo 1923, José Palomino, vice presidente del Municipio
di Santiago di Cuba, propose alla Camera Municipale il trasferimento dei resti
della madre dei Maceo. La mozione fu approvata e il 18 aprile salpava verso la
Giamaica la cannoniera Baire, della Marina da Guerra cubana. Per prendere i preziosi resti c’era a bordo
una commissione integrata da veterani dell’indipendenza e personalità
santiaguere. Viaggiavano inoltre, il citato Palomino e Dominga Maceo Grajales,
figlia di Mariana.
La mattina del 22 aprile si
esumavano i resti nel cimitero cattolico di Saint Andrews di Kingston. Questo
stesso giorno, alle 4 del pomeriggio, il Baire ripartiva con destinazione
Santiago portando le preziose reliquie. Una forte vento durò circa otto ore
sferzando l’imbarcazione all’attraversare il Paso de los Vientos.
Già in terra cubana, le
ceneri furono esposte, in una urna, nel Municipio, dove ricevettero gli omaggi
della popolazione, prima di essere depositate in una nicchia provvisoria. Fu,
si dice, la maggior dimostrazione di dolore che si abbia tributato a qualunque
patriota in questa città. Attualmente i resti riposano nel cortile D del
cimitero di Santa Ifigenia, vicino a quelli di Dominga Maceo e María Cabrales.
“È la donna che più ha commosso
il mio cuore”, scrisse Martí quando seppe della sua morte. Di Antonio aveva
detto: “Dalla madre, più che dal padre, viene il figlio...Maceo fu felice
perché venne da leone e leonessa”.
Regresa Antonio Maceo a Costa Rica procedente de Cuba, donde entró con el
pasaporte de Ramón Cabrales, su cuñado, y se movió siempre de manera
clandestina, y enseguida le informan que Mariana ha muerto en Jamaica. Aún bajo
el efecto de la terrible noticia le llega un ejemplar del periódico Patria, que
en Nueva York dirige José Martí, y halla en sus páginas el artículo donde su amigo
rinde homenaje a la «viejecita querida». Lee el texto de un tirón y vuelve
luego sobre lo leído para detenerse en aquellos párrafos que evocan los días de
la guerra:
«Y amaba, como los mejores de su vida, los tiempos de hambre y sed, en los
que cada hombre que llegaba a su puerta de yaguas podía traerle la noticia de
la muerte de uno de sus hijos».
Llega además una carta de Martí. Habla también sobre la madre muerta y
dice: «Vi a la anciana dos veces y me acarició y me miró como a un hijo, y la
recordaré con amor toda mi vida».
Cuando Maceo tiene ánimo, escribe a Martí:
«¡Ah, qué tres cosas! Mi padre, el Pacto del Zanjón y mi madre que usted,
por suerte mía, viene a calmar un tanto con su consoladora carta. Ojalá pueda
usted con sus trabajos levantar mi cabeza y quitar de mi rostro la vergüenza de
la expatriación de los cubanos y de la sumisión al gobierno colonial».
Si nace libre la hormiga
Tuvo Mariana Grajales un primer matrimonio con Fructuoso Regüeyferos. Se
casaron en 1831. Ella tenía 16 años de edad, y él 30. Permanecieron juntos
hasta la muerte del marido, nueve años después. De esa unión quedaron cuatro
hijos.
Cuando se une a Marcos Maceo no era una adolescente inexperta. Tiene un
carácter vigoroso, ha sufrido ya los dolores de la viudez y sabe lo que
significa asumir sola el cuidado de cuatro muchachos, lo que la obligó a volver
a la casa de sus padres.
De esa nueva unión nacen otros diez hijos. Los primeros cinco de ellos,
incluido Antonio de la Caridad, el después llamado Titán de Bronce, fueron
bautizados con el apellido Grajales y como hijos naturales de Mariana. La
situación de la pareja cambia cuando muere la esposa de Marcos, de la que se
encontraba separado, y pueden Marcos y Mariana contraer matrimonio.
Mariana sería para Marcos una formidable ayuda en el fomento de la finca de
su propiedad. Inclinará a los hijos a cooperar con el trabajo agrícola,
inculcándoles un profundo sentido de respeto y de obediencia al padre. Cada uno
de ellos, según la edad, tenía señalada su ocupación en el predio, mientras que
Mariana, poco a poco, consolidaba una posición rectora en el hogar, aunque no
dejaba de consultar con Marcos todos los problemas a fin de pronunciarse sobre
ellos de mutuo acuerdo. Los que los conocieron recordarían a la pareja «consultándose
las dificultades, felices en expansión hogareña, juntos sobre el dolor y la
felicidad».
Sus biógrafos la describen como una madre tierna y bondadosa, pero también
inflexible en todo lo relativo a la disciplina. Era una casa en la que se comía
y se dormía a horas fijas y de la que nadie podía estar fuera pasadas las diez
de la noche. Una casa ordenada y limpia en la que Mariana vigilaba la pulcritud
en la vestimenta de los que la vivían.
Hija de mulatos libres, Mariana debe haber recibido alguna instrucción
hasta donde era posible en la Cuba colonial para seres de su condición, con
independencia de su posición económica: las llamadas primeras letras. Es
evidente que tuvo de sus padres una rigurosa formación ética que supo
transmitir a sus hijos. Una formación que se complementaría con la lectura en
voz alta que en el atardecer, después de las comidas, hacía una de las hijas,
para todos los de la casa, de aquellos libros que Marcos mandaba a comprar en
Santiago de Cuba y en los que se hablaba de Bolívar y Louverture, y entre los
que no faltaban las novelas de Dumas.
Las canciones con que ella arrullaba a sus hijos estaban impregnadas de
cubanía, que equivalía en ese tiempo a un verdadero antiespañolismo. Cincuenta
años después, Antonio Maceo recordaría una de las décimas con las que Mariana
mecía su sueño. Tal vez el Titán, dice el escritor Raúl Aparicio en su Hombradía de Antonio Maceo, por el tiempo
transcurrido, tergiversara un poco la letra.
Si nace libre la hormiga,
La bibijagua y el grillo,
Sin cuestiones de bolsillo
Ni español que los persiga,
Ninguna ley los obliga
A ir a la escribanía
A comprar la libertad,
Y yo con mi dignidad
¿No seré libre algún día?
Liberar a la patria o morir por ella
El 10 de octubre de 1868, Carlos Manuel de Céspedes se alza en armas contra
España. Dos días más tarde, Marcos Maceo manda a su hijo Miguel a una tienda
cercana donde se ha concentrado una tropa insurrecta. Su jefe es un viejo amigo
de los Maceo Grajales y al encontrarse con Marcos y Mariana recibe de la
familia una valiosa donación en armas, caballos y dinero con destino a la
contienda recién iniciada. Preguntó entonces el jefe de la tropa cuál de los
hijos de Marcos y Mariana estaría dispuesto a marchar a la guerra.
Sin pensarlo dos veces dieron el paso al frente Antonio, José y Justo.
Mariana pide entonces a sus hijos que se arrodillen ante una imagen de Cristo y
les hace jurar que liberarán a la Patria o morirán por ella.
Al fin se irían todos a la manigua. Mariana, que pasaba ya de los 50 años,
se va a la guerra y lleva con ella a sus hijos más pequeños. Presta servicio en
improvisados hospitales y prodiga en ellos cuidados y cariños a los mambises
heridos. «Aquella santa mujer suplía el puesto de una madre ausente», escribía
el patriota Fernando Figueredo, y añadía que conminaba a María Cabrales, la
esposa de Maceo, a que ocupara en aquellos hospitales «el lugar que la
distancia impedía fuera ocupado por una hermana».
Son numerosos los pasajes de su vida que ilustran el patriotismo de esta
mujer, de quien celebramos el bicentenario de su natalicio. Es el 7 de agosto
de 1877 y su hijo Antonio resulta gravemente herido en el combate del Potrero
de Mejía. En el hospital de sangre, un grupo de mujeres se lamentan y lloran
por el estado del herido. Dice Mariana: «Fuera, fuera faldas de aquí. ¡No
aguanto lágrimas!».
Y antes, a raíz de recibir Antonio su primera herida de guerra en el
combate de Armonía, el 20 de mayo de 1869, dice a Marcos, el más pequeño de la
prole: «Y tú, empínate para que también puedas pelear por tu patria».
Solo cuatro de sus hijos vieron el fin de la dominación colonial española.
El exilio
Sobreviene el Pacto del Zanjón (1878), que pone fin a la Guerra de los Diez
Años, y Mariana debe salir de Cuba. Sabe Antonio cuán valiosa podía ser su
madre como trofeo de guerra para los españoles y prepara cuidadosamente su
salida. Junto con María Cabrales salió de la Isla, con destino a Jamaica, en
mayo, a bordo de un barco francés. Nunca más volvería a Cuba.
Martí, que la visitó en Kingston, se refirió a sus «manos de niña para
acariciar a quien le hable de la patria», y la evocó vestida siempre de negro,
pero era «como si la bandera la vistiese». La describía «con un pañuelo de
anciana a la cabeza, con los ojos de madre amorosa para el cubano desconocido,
con fuego inextinguible en la mirada y en el rostro, cuando se hablaba de las
glorias de ayer y las esperanzas de hoy».
Está Mariana ya muy mayor y quiere Antonio que se vaya a vivir con él a
Costa Rica. La anciana se niega. Su hijo Marcos la acompaña y se ha adaptado a
Jamaica, pese a haber sufrido allí los sobresaltos de la pobreza y la
vigilancia constante del espionaje español. Está enferma. Sufre de lo que en la
época se conocía como Mal de Bright, término ya en desuso que designaba a una
enfermedad renal y que equivaldría a una nefritis degenerativa, caracterizada
por dolores, fiebre y vómitos. Ese padecimiento se complicó con una congestión
pulmonar. Murió el 27 de noviembre de 1893, a los 78 años de edad.
Pidió, en los momentos postreros, que cuando Cuba fuese libre sus restos se
llevaran a la Isla.
El regreso
Treinta años después de la muerte de Mariana Grajales, el 15 de marzo de
1923, José Palomino, vicepresidente del Ayuntamiento de Santiago de Cuba,
propuso a la Cámara Municipal el traslado de los restos de la madre de los
Maceo. La moción fue aprobada y el 18 de abril salía rumbo a Jamaica el
cañonero Baire, de la Marina de Guerra cubana. En busca de los preciados restos
iba a bordo una comisión que integraban veteranos de la independencia y personalidades
santiagueras. Viajaban además el ya aludido Palomino y Dominga Maceo Grajales,
hija de Mariana.
En la mañana del 22 de abril se exhumaban los restos en el cementerio
católico de Saint Andrew’s, de Kingston. Ese mismo día, a las 4 de la tarde,
partía el Baire con destino a Santiago llevando las preciadas reliquias. Una
fuerte ventolera que duró unas ocho horas azotó la embarcación al atravesar el
Paso de los Vientos.
Ya en tierra cubana, las cenizas en una urna fueron expuestas en el
Ayuntamiento, donde recibieron el homenaje de la población, antes de que fueran
depositadas en una bóveda provisional. Fue, se dice, la mayor demostración de
dolor que se le haya tributado a patriota alguno en esa ciudad. Actualmente los
restos descansan en el patio D del cementerio de Santa Ifigenia, junto a los de
Dominga Maceo y María Cabrales.
«Es la mujer que más ha conmovido mi corazón», escribió Martí cuando supo
de su muerte. De Antonio había dicho: «De la madre más que del padre
viene el hijo… Maceo fue feliz porque vino de león y de leona».