Proprio ieri ho pubblicato uno scorcio di ricordo della
settimana che ho, in parte condiviso con Dario Fo e famiglia. Oggi mi è
arrivata la notizia della sua scomparsa o che è “andato avanti” come suol dire
il mio ex collega Gianfranco Peletti, con un’espressione che alleggerisce la
drammaticità dell’evento.
Immagino che fonti e persone molto più autorevoli abbiano, o stiano per farlo, pubblicato “il coccodrillo” riguardante la vita e opera del grande
artista e Premio Nobel per la Letteratura. Da parte mia, oltre al grande
piacere e onore di averlo conosciuto, ricordo quando ero bambino e ascoltavo un
programma radiofonico, di cui non ricordo il nome, nel quale faceva sketch con
il suo collega e amico Franco Parenti altro grande, col quale ha condiviso
lunghi anni di attività teatrale. Ricordo vagamente anche qualche film
vagamente neorealista e di “bocca buona” interpretato assieme alla sua adorata
Franca e sinceramente, almeno dal punto di vista fisico, mi sembrava fosse
davvero una strana coppia. Evidentemente, invece, c’erano cose ben più profonde
e importanti che legavano quel tipo bruttino, magro, allampanato e con i denti
da coniglio a quella bionda esplosiva, la “Marilyn Monroe dei poveri”,
naturalmente di allora.
Nella sua lunga vita dopo aver scelto di percorrere una
propria strada, senza peraltro terminare l’amicizia, affetto e stima personale
con Franco. Cominciò a scrivere e interpretare testi sempre più impegnati. Ebbe
anche un lungo periodo di collaborazione con Enzo Jannacci, col quale compose
molte canzoni milanesi, interpretate, fra i tanti, anche da Cochi e Renato coi
quali collaborò anche nei loro testi surreali e strampalati.
A lui si deve anche il salvataggio e la riutilizzazione della Palazzina Liberty dell'ex Ortomercato, guarda caso, diventata poi roccaforte della destra che a suo tempo voleva abbatterla.
A lui si deve anche il salvataggio e la riutilizzazione della Palazzina Liberty dell'ex Ortomercato, guarda caso, diventata poi roccaforte della destra che a suo tempo voleva abbatterla.
Senza dubbio la sua opera maggiore rimane il “Mistero
buffo”, portato sulle scene di tutto il mondo e sempre aggiornato col passare
dei tempi. Parte del testo era in legnanese abbastanza stretto, per cui alcuni
dettagli erano difficili da capire anche per i milanesi. Ma erano proprio
dettagli. La mimica e il “gramelot” utilizzato, rendevano comprensibile
l’insieme dell’opera anche a chi parla lingue distanti dalle radici latine.
Anche lui, come molti grandi, fra i quali il principe
Antonio De Curtis iniziò dalla gavetta e dalla fame, con un tipo di comicità
molto semplice e ingenua, probabilmente adatta ai tempi.
Poi fu maturando sempre più, nella sua arte e nella sua
vita rivolta all’aiuto dei più sfortunati con scelte, a volte estremiste che
non condividevo, ma che segnano il profilo della sua grande umanità.
Non mi resta che salutarlo con una frase storica che era
il tormentone del suo duetto radiofonico con Franco Parenti, ciao Dario: “poer
nanu”.