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lunedì 20 gennaio 2014

55 anni fa (2 e fine) di Ciro Bianchi Ross, pubblicato su Juventud Rebelde del 19/1/14

NON si ripeterono nei giorni d’inizio del 1959, 55 anni fa, le scene macabre che l’Isola visse quando cadette la dittatura di Gerardo Machado. Le giornate trascorsero con una minima parte di eccessi. La moltitudine, con istinto sicuro,non si prese la giustizia con le proprie mani, come successe alla caduta del regime machadista e sfogò la sua collera contro i botteghini e i casinò, i parchimetri le macchinette mangiasoldi chiamate anche ladre con un braccio solo. Tiempo en Cuba, il giornale del senatore Rolando Masferrer, capo del gruppo paramilitare conosciuto come Le Tigri, fu saccheggiato così come le sale da gioco di alberghi come il Plaza e il Deauville. Furono rotte a sassate le vetrine  di alcuni esercizi commerciali. Così successe alla gioielleria El Gallo della calle San Rafael, peraltro, nessuno sottrasse alcuna delle gioie in esposizione.
La stampa riportava, uno dopo l’altro, l’apparizione di cimiteri clandestini con i quali, i sicari del batistato, privavano i famigliari delle loro vittime della consolazione di seppellire i loro morti e collocare fiori sulle loro tombe. Otto cadaveri vennero esumati nelle vicinanze di Consolación del Norte (l’attuale municipio di La Palma  occupa parte di quest’antica demarcazione), in provincia di Pínar del Río, mentre altri 15 si scoprivano a San Cristóbal, sempre in territorio pinareño, 57 in Santa Cruz del Norte, all’Avana. I resti di 11 persone si esumarono nel cortile della Guardia Rurale di Niquero, in Oriente; 25 apparvero in una stanza del Servizio Stradale di Manzanillo e 67 nel poligono del fortino dell’Esercito nella località di Estrada Palma, alle pendici della Sierra Maestra.
Solo uno degli sbirri catturati dalle milizie del Movimento 26 di Luglio confessò la sua partecipazione a 108 assassinii. Affermò col maggior cinismo: “Una sera impiccammo 31 contadini che erano d’accordo con la Rivoluzione”. Operava a Pínar del Río ed era agli ordini del comandante Jacinto Menocal. Veniva imprigionata l’accolita di assassini di questo spregevole ufficiale mentre a Manzanillo erano messi a disposizione dei tribunali rivoluzionari gli integranti delle tristemente celebri Tigri e intanto circa 800 persone erano detenute all’Avana. I soprannomi che avevano alcuni di loro manifestavano le loro “specialità”, come l’ufficiale di polizia che chiamavano Rompi Ossa e un’altro che si presentava come el Niño Valdés, come il pugile cubano famoso all’epoca per il suo pugno fuori dal comune e che, durante un allenamento, mise al tappeto Rocky Marciano campione mondiale dei massimi.
Il tentativo di catturare sbirri e spioni provocava disordini e seminava la morte attorno. Vari spioni, rifugiatisi in una casa della calle 70, a Marianao, si batterono a colpi di pistola con i miliziano che erano arrivati per arrestarli, scontro che lasciò morti in ambo le parti.

IL FRATELLO HERMELINDO 

In questa situazione, un personaggio curioso chiese protezione nel campo Libertad, l’antica Città Militare di Columbia, sede dello Stato Maggiore dell’Esercito Ribelle. Era nientemeno che Hermelindo Batista, uno dei fratelli del dittatore. Al crollo del regime batistiano cercò rifugio in una modesta casa del Cerro e la coppia che lo ospitava si recò a Columbia e chiese al Comandante Camilo Cienfuegos, capo dell’Esercito Ribelle, che lo ricevesse. Era una questione di gratitudine, i due figli della coppia erano stati detenuti dalla Polizia e Hermelindo, nonostante la scarsa influenza che aveva, li aveva strappati alla morte.
Camilo acconsentì che il fratello di Batista fosse trasferito al campo. Dispose, per quello, di uno dei suoi aiutanti con corrispondente scorta, nel dubbio che potesse essere una trappola.Non lo fu. Lo trovarono nella stanza più appartata della residenza, vicino a un altare di Santa Barbara. Magro dal viso affilato e pelle scura. Il viso non rasato con lo sguardo umile e la parola incoerente, Hermelindo era il ritratto della confusione e dell’abbandono, la sua presenza al campo suscitava la curiosità di tutti. La camicia semiaperta lasciava vedere una canottiera del Partito Áutentico e mostrava un braccialetto rosso e nero del Movimento 26 di Luglio. Aveva un messale romano e due bastoni verniciati con cui evidenziava la sua devozione a San Lázaro.
A differenza di Panchín, l’altro fratello di Batista che fu sindaco di Marianao e governatore dell’Avana, il dittatore vietò a suo fratello Hermelindo la presenza nella vita sociale, nonostante lo facesse eleggere in due occasioni, come rappresentante alla Camera della provincia di Pínar del Río. A causa della malattia incurabile di cui soffriva, il basso livello culturale e la sua vita sregolata, Martha Fernández, la Prima Dama, gli negò l’entrata al Palazzo. Hermelindo, che non partecipò mai a una sessione del Congresso, si lasciava andare a ogni tipo di eccesso nei bassifondi avaneri.

27 CESTI DI FIORI IN UN GIORNO

Il 10 gennaio, due giorni dopo dell’arrivo all’Avana del Comandante in Capo Fidel Castro, sparirono i gruppi armati dalle strade della capitale e cessò il costante passaggio di automobili irte di fucili e mitraglie. L’impegno pacificatore volse persuasiva l’analisi e la discussione serena dei problemi nazionali. Non si radicò l’anarchia e il cittadino si sentì tranquillo e sicuro. D’altra parte il leader della Rivoluzione allertava sui “rivoluzionari del 1° gennaio” che con la pistola calibro 45 alla cintura e il numero della Gazzetta Ufficiale che conteneva la legge del bilancio sotto il braccio, sembravano voler cominciare a spingere i paraventi negli uffici dei ministri.
Un giorno del gennaio 1959, Haidée Santamaria, eroina del Moncada e la Sierra Maestra a cui, nell’aprile dello stesso anno sarebbe toccato organizzare e presiedere la Casa de Las Américas, ricevette 27 cesti e caraffe di fiori. Il giorno seguente, quando gli omaggi floreali pareva superassero il record del giorno anteriore, Haidée chiamò per telefono una delle fiorerie da cui si inviavano e proibì che continuassero a farlo. Disse al commesso che le rispose: “Faccia mettere i fiori sulla tomba di Enrique Hart o di qualunque altro giovane assassinato durante la dittatura”. Un’altra volta la chiamarono da un giornale. Volevano una sua fotografia. “L’unica che ho, rispose Haidée, fu scattata sulla Sierra, porto un fucile, vesto l’uniforme rebelde e ho due granate alla cintura...Le va bene?” Il suo interlocutore all’altro estremo della linea rimase sbalordito. Alla fine disse: “È per la cronaca sociale, signora. Non potrebbe farsi una foto in uno studio?” Haidée rispose che non aveva tempo per quello.
Non tutti i detetenuti provenivano dalle file dell’Esercito e della Polizia. Si fermavano anche funzionari civili, come Joaquín Martínez Sáenz che convertì il Banco Nacional, che presiedette, nella succursale finanziaria del Palazzo Presidenziale e fu il responsabile numero uno del vandalismo economico del batistato. Lo arrestarono nel suo proprio ufficio del Banco, assieme al suo secondo, lo storico pinareño Emeterio Santovenia. Furono rimessi alla fortezza della Cabaña. Lì, Santovenia lamentò problemi di salute, reali o presunti, e il comandante Ernesto Che Guevara permise che sotto la sua parola, attendesse in casa il corso degli eventi, opportunità che sfruttò per rifugiarsi in un’ambasciata.
L’investigazione che si portò a termine nella sede della Confederazione dei Lavoratori di Cuba (che il popolo rinominò come CTK, per differenziarla dalla CTC) portò subito all’evidenza di affari scandalosi fatti con i soldi degli operai, fondi pensione defalcati e appropriazione di fondi delle quote sindacali obbligatorie. Tenute ed edifici edificati coi soldi e il sudore dei lavoratori. La tenuta di Eusebio Mujal, massimo personaggio della CTK, fu valutata in quattro milioni di pesos. In casa della vedova del brigadier generale Rafael Salas Cañizares, che fu capo della Polizia Nazionale si trovarono, con altri valori, mezzo milione di pesos in buoni al portatore di una compagnia immobiliare.

LA STANZA DEL TESORO

Batista faceva impallidire tutti i suoi seguaci. In Kuquine, la sua tenuta di riposo di 17 cavallerie, racchiusa tra l’Autopista del Mediodía il triangolo di comunicazione stradali che formano la Carretera Central, la carretera tra Cantarranas, l’incrocio del Guatao e la carretera di San Pedro a Punta Brava, rimasero 24 valigie che Batista e sua moglie non raccolsero al momento della loro fuga. All'incirca in 300 mila dollari si calcolarono, press’a poco, gli avori, cristalli, porcellane, vasellame e oggetti d’oro immagazzinati nella cosiddetta Stanza del Tesoro nell’edificio padronale della tenuta, inoltre nella biblioteca era esposto un esemplare de Vie politique et militaires de Napoleón, opera di A.V. Arnault, pubblicata nel 1822 ed anche il cannocchiale che l’imperatore usó a Sant Elena, così come due pistole che appartennero al vincitore di Austerlitz. Si distingueva una vetrina con le decorazioni che Batista ricevette durante la sua vita militare e una nutrita collezione di busti di celebrità dove Gandhi si alternava a Montgomery e Churchill, Stalin col maresciallo Rommel, Benjamin Franklin e Giovanna d’Arco con Dante e Omero; galleria dove non mancava un Batista di marmo con una camicia sportiva aperta.
Il meglio era ancora da vedere. In un ripostiglio, sepolte da una montagna di libri vecchi, c’erano cinque casse di legno dall’apparenza insignificante. Gli ispettori ci misero tre giorni a inventariare il contenuto di quei cassoni. Contenevano 800 gioielli, quasi tutte della moglie del dittatore, valutate due milioni di dollari. Teche d’oro con incrostazioni di brillanti e smeraldi, polvere d’oro, le armi delle nozze di Batista e Martha effettuate nella cappella della tenuta il 24 dicembre del 1948. L’indio era stato il simbolo del Governo di Batista. Ebbene tra quelle gioie c’era una spilla d’oro puro con l’effige di un indio con l’adorno del  pennacchio sulla sua testa con brillanti e pietre preziose. Con tutto ciò, questa non era che una piccola parte della fortuna del dittatore. Le cose di maggior valore, disse una impiegata della casa, era già da tempo a New York.

ATTENTATI

Alcuni dei primi attentati, pianificati contro la vita del Comandante in Capo, vennero alla luce precocemente come nel proprio mese di gennaio del 1959, 55 anni fa. Un soldato dell’esercito sconfitto, arrestato al Cobre, confessò che con altri militari si stava preparando un piano contro Fidel e per sconfiggere il Governo. Mescolato coi pellegrini che andavano al santuario, attendeva l’occasione per attaccare una macchina della Polizia e impadronirsi del suo armamento. Una granata che aveva con sé lo tradì esplodendo.

In quei giorni iniziali venne arrestato Allan Roberts Nye, un nordamericano di 32 anni. Pagato dalla dittatura, che gli offrì dieci mila dollari per la sua missione, salì sulla Sierra Maestra col pretesto di offrire ai ribelli la sua esperienza di pilota. Erano altri i fini che perseguiva. Non vide mai il Comandante in Capo. Fu catturato in montagna quando già Fidel si trovava da giorni all’Avana. Gli sequestrarono un fucile con mirino telescopico, un revolver 38 e un abbondante quantità di munizioni. Il Capo della Rivoluzione mise Nye nelle mani di sua madre, gli chiese che lo portasse via da Cuba e che non tornasse più.

Cincuenta y cinco años atrás (II y final)

Ciro Bianchi Ross • 
digital@juventudrebelde.cu
18 de Enero del 2014 19:54:02 CDT

No se repitieron en los días iniciales de enero de 1959, hace ahora 55
años, las escenas macabras que vivió la Isla a la caída de la
dictadura de Gerardo Machado. Las jornadas transcurrieron con una
cuota mínima de excesos. La muchedumbre, con certero instinto, no se
tomó la justicia por su mano, como sí sucedió tras el desplome del
régimen machadista, y desahogó su cólera contra los garitos y casinos
de juego, los parquímetros y las máquinas traganíqueles, llamadas
también ladronas de un solo brazo. Tiempo en Cuba, el periódico del
senador Rolando Masferrer, jefe del grupo paramilitar conocido como
Los Tigres, fue saqueado, al igual que las salas de juego de hoteles
como Plaza y Deauville. A pedradas fueron destrozadas las vidrieras de
algunos establecimientos comerciales. Así ocurrió en la joyería El
Gallo, de la calle San Rafael, sin embargo, nadie sustrajo ninguna de
las alhajas en exhibición.
La prensa reportaba la aparición, uno tras otro, de cementerios
clandestinos con los que los sicarios del batistato privaban a los
familiares de sus víctimas del consuelo de sepultar a sus muertos y
colocar flores sobre su tumba. Ocho cadáveres eran exhumados en las
cercanías de Consolación del Norte (el actual municipio de La Palma
ocupa parte de esa antigua demarcación), en la provincia de Pinar del
Río, mientras otros 15 se descubrían en San Cristóbal, también en
territorio pinareño, y 57 en Santa Cruz del Norte, en La Habana.
Restos de 11 personas se exhumaban en el patio del cuartel de la
Guardia Rural de Niquero, en Oriente; 25 aparecían en el cuartel del
Servicio de Carreteras de Manzanillo y 67 en el polígono del fortín
del Ejército en la localidad de Estrada Palma, en las estribaciones de
la Sierra Maestra.
Uno solo de los esbirros capturados por las milicias del Movimiento 26
de Julio confesó su participación en 108 asesinatos. Aseveró con el
mayor cinismo: «Una noche ahorcamos a 31 campesinos que estaban de
acuerdo con la Revolución». Operaba en Pinar del Río y estaba a las
órdenes del comandante Jacinto Menocal. Era apresada la gavilla de
asesinos de este despreciable oficial, y en Manzanillo eran puestos a
disposición de los tribunales revolucionarios integrantes de los
tristemente célebres Tigres, en tanto que unas 800 personas, entre
culpables y sospechosas, eran detenidas en la Habana. Los apodos que
merecían algunas de ellas ponían de manifiesto sus «especialidades»,
como el oficial de la Policía al que llamaban Rompe Huesos, y otro,
que se presentaba como el Niño Valdés, al igual que un boxeador cubano
famoso en la época por su pegada descomunal y que, durante un
entrenamiento, llegó a tirar a la lona a Rocky Marciano, campeón
mundial de los pesos completos.
El intento de capturar esbirros y soplones provocaba desórdenes y
sembraba la muerte a voleo. Varios chivatos, refugiados en una casa de
la calle 70, en Marianao, se batieron a tiros durante casi cinco horas
con los milicianos que llegaron para apresarlos, refriega que dejó
muertos de parte y parte.

El hermano Hermelindo

En esa situación, un curioso personaje pedía protección en el

campamento Libertad, la antigua Ciudad Militar de Columbia, sede del
Estado Mayor del Ejército Rebelde. Era nada menos que Hermelindo
Batista, uno de los hermanos del dictador. Al desplomarse el régimen
batistiano buscó refugio en una modesta casa del Cerro y el matrimonio
que la ocupaba fue a Columbia y pidió al comandante Camilo Cienfuegos,
jefe del Ejército Rebelde, que lo recibiera. Era una cuestión de
agradecimiento. Los dos hijos de la pareja habían sido detenidos por
la Policía y Hermelindo, pese a lo escaso de su influencia, se los
había arrebatado a la muerte.
Accedió Camilo a que el hermano de Batista fuera trasladado al
campamento. Comisionó para ello a uno de sus ayudantes con su
correspondiente escolta, no sin apercibirlos de que podía tratarse de
una trampa. No lo fue. Lo encontraron en la habitación más apartada de
la residencia, junto a un altar de Santa Bárbara. Flaco, de rostro
afilado y tez oscura, sin afeitar, con la mirada humilde y palabra
incoherente, Hermelindo era la estampa de la confusión y el desamparo,
y su presencia en el campamento despertó la curiosidad de todos. La
camisa entreabierta dejaba ver una camiseta del Partido Auténtico y
lucía un brazalete rojinegro del Movimiento 26 de Julio. Portaba un
misal romano y dos cañas barnizadas con las que evidenciaba su
devoción por San Lázaro.
A diferencia de Panchín, el otro hermano de Batista, que fue alcalde
de Marianao y gobernador de La Habana, el dictador vedó a Hermelindo
presencia en la vida social, si bien lo hizo elegir en dos ocasiones
representante a la Cámara por la provincia de Pinar del Río. A causa
de la enfermedad incurable que padecía, el bajo nivel cultural y su
vida desenfrenada, Martha Fernández, la Primera Dama, le negó la
entrada a Palacio. Hermelindo, que nunca concurrió a una sesión del
Congreso, se entregaba a todo tipo de excesos en los barrios bajos
habaneros.
«Rogando pasaba el tiempo para que se acabara la sangre en Cuba»,
declaró, ya en Columbia, el hermano de Batista. Dijo simpatizar con
los «valientes revolucionarios» e invitó a los que lo rodeaban a que
visitasen el altar de santería que tenía en su casa. Temblaba como una
hoja. Un oficial rebelde le dijo: «No tenga miedo. Está entre personas
decentes y nada ha de pasarle». Camilo Cienfuegos no demoró en
devolverlo a su casa con escolta policial y todas las garantías.

27 corsages en un día

El 10 de enero, dos días después de la llegada a La Habana del
Comandante en Jefe Fidel Castro, desaparecieron los grupos armados de
las calles de la capital y cesó el constante ajetreo de los
automóviles erizados de fusiles y ametralladoras. El empeño
pacificador se impuso por la persuasión, el análisis y la discusión
serena de los problemas nacionales. No enraizó la anarquía y el
ciudadano se sintió tranquilo y seguro. Por otra parte, el líder de la
Revolución advertía sobre «los revolucionarios del 1ro. de enero» que,
con pistola calibre 45 al cinto y el número de la Gaceta Oficial que
contenía la ley de presupuesto bajo el brazo, parecían querer empezar
a empujar las mamparas de los despachos de los ministros.
Un día de enero de 1959, Haydée Santamaría, heroína del Moncada y la
Sierra Maestra a la que, en abril del propio año, le tocaría organizar
y presidir la Casa de las Américas, recibió 27 corsages y jarras de
flores. Al día siguiente, cuando la florida remesa parecía que
superaría la marca de la jornada precedente, Haydée se comunicó por
teléfono con una de las floristerías desde donde se enviaban y
prohibió que siguieran haciéndolo. Dijo al empleado que la atendió:
«Haga poner las flores en la tumba de Enrique Hart o en la de
cualquier otro joven asesinado durante la dictadura». Otra vez la
llamaron de un periódico. Querían su fotografía. «La única que tengo,
respondió Haydée, fue tomada en la Sierra, porto un fusil, visto el
uniforme rebelde y llevo dos granadas al cinto… ¿Le sirve?». Su
interlocutor, en la otra punta del teléfono, quedó estupefacto. Dijo
al fin: «Es para la crónica social, señora. ¿No podría hacerse la foto
en un estudio?». Haydée respondió que carecía de tiempo para eso.
No todos los detenidos provenían de las filas del Ejército y la
Policía. Se requería asimismo a funcionarios civiles, como a Joaquín
Martínez Sáenz que convirtió el Banco Nacional, que presidió, en la
sucursal financiera del Palacio Presidencial y fue el responsable
número uno del vandalismo económico del batistato. Lo apresaron en su
propia oficina del Banco, junto a su segundo, el historiador pinareño
Emeterio Santovenia. Fueron remitidos a la fortaleza de La Cabaña.
Allí, Santovenia alegó problemas de salud, reales o supuestos, y el
comandante Ernesto Che Guevara permitió que, bajo palabra, esperara en
su residencia el curso de los acontecimientos, oportunidad que
aprovechó para refugiarse en una Embajada.
La investigación que se llevó a cabo en la sede de la Confederación de
Trabajadores de Cuba (que el pueblo renombró como CTK, para
diferenciarla de la CTC) sacó pronto a relucir negocios escandalosos
hechos con los fondos de los obreros, cajas de retiro desfalcadas y
apropiación de las recaudaciones de la cuota sindical obligatoria.
Fincas y edificios levantados con la sangre y el sudor del trabajador.
La finca de Eusebio Mujal, máximo personero de la CTK, se valoró en
cuatro millones de pesos. En la casa de la viuda del brigadier general
Rafael Salas Cañizares, que fuera jefe de la Policía Nacional, se
encontraron, entre otros valores, medio millón de pesos en bonos al
portador de una compañía inmobiliaria.

El cuarto de los tesoros

Batista dejaría chiquitos a todos sus seguidores. En Kuquine, su finca

de recreo de 17 caballerías, enclavada al borde de la Autopista del
Mediodía y encerrada en el triángulo de comunicaciones viales que
forman la carretera Central, la carretera entre Cantarranas y el
entronque del Guatao y la carretera de San Pedro a Punta Brava,
quedaron 24 maletas que Batista y su esposa no cargaron en el momento
de la huida. En 300 000 dólares se calculó, a ojo de buen cubero, los
marfiles, cristales, porcelanas, platería y objetos de oro almacenados
en el llamado Cuarto de los Tesoros de la casa de vivienda de la
finca, en tanto que en un lugar destacado de la biblioteca se exhibía
un ejemplar de Vie Politique et Militaires de Napoleón, obra de A. V.
Arnault, publicada en 1822, y también el catalejo que usó el Emperador
en Santa Elena, así como dos pistolas que pertenecieron al vencedor de
Austerlitz. Sobresalía una vitrina con las condecoraciones que Batista
recibió a lo largo de su vida militar y una abigarrada colección de
bustos de celebridades en las que Ghandi alternaba con Montgomery y
Churchill, Stalin con el mariscal Rommell y Benjamín Franklin, y Juana
de Arco con Dante y Homero; galería en la que no faltaba un Batista de
mármol en abierta camisa deportiva.
Lo mejor estaba aún por ver. En un cuarto de desahogo, sepultadas por
una montaña de libros viejos, había cinco cajas de madera y apariencia
insignificante. Los auditores demoraron tres días en inventariar el
contenido de aquellos cajones. Guardaban 800 joyas, casi todas de la
esposa del dictador, valoradas en dos millones de dólares. Relicarios
de oro con incrustaciones de brillantes, abanicos de marfil, broches
de brillantes y esmeraldas, polveras de oro, las arras de la boda de
Batista y Martha efectuada en la capilla de la finca el 24 de
diciembre de 1948. El indio había sido el símbolo del Gobierno de
Batista. Pues entre esas alhajas había una sortija de oro puro con la
efigie de un indio que adorna el penacho de su cabeza con brillantes y
otras piedras preciosas. Con todo, esto no era más que una pequeña
parte de la fortuna del dictador. Aquello, sin embargo, no era lo
mejor. Lo más valioso, dijo una empleada de la casa, llevaba ya mucho
rato en Nueva York.

Atentados

Algunos de los primeros atentados planificados contra la vida del

Comandante en Jefe quedaron en claro en fecha tan temprana como el mes
de enero de 1959, hace 55 años. Un soldado del Ejército derrotado,
detenido en El Cobre, confesó que con otros ex militares se gestaba un
plan contra Fidel y para derrocar al Gobierno. Mezclado con los
peregrinos que se dirigían al santuario, acechaba la ocasión para
atacar un carro patrullero y apoderarse de su armamento. Una granada
que portaba lo delató al hacer explosión.
También en aquellos días iniciales era detenido Allan Roberts Nye, un
norteamericano de 32 años de edad. Pagado por la dictadura, que le
ofreció diez mil dólares por su misión, subió a la Sierra Maestra con
el pretexto de ofrecer a los rebeldes su experiencia de piloto. Eran
otros los fines que perseguía. Nunca vio al Comandante en Jefe. Fue
capturado en la montaña cuando ya Fidel llevaba semanas en La Habana.
Le ocuparon un rifle de mira telescópica, un revólver 38 y abundante
parque. El Jefe de la Revolución puso a Nye en manos de su madre y le
pidió que lo sacara de Cuba y nunca más regresara.
   

domenica 19 gennaio 2014

Cottimista

COTTIMISTA: assieme all'ottimista (Roma)

sabato 18 gennaio 2014

Asta di purosangue da salto



Per maggiori informazioni rivolgersi a: latitudcuba@mtc.co.cu http://www.latitudcuba.net

Costrutto

COSTRUTTO: con il grasso di maiale (Roma)

venerdì 17 gennaio 2014

Filatelia cubana

Premettendo che non mi intendo di francobolli da collezione, pertanto non sono in grado di pubblicare un "saggio" in materia, approfitto delle foto delle due piccole serie che mi ha mandato l'amico Luca Lombroso per dire che Cuba emette frequentemente serie di francobolli commemorativi, celebrativi o descrittivi di fatti, persone, animali, natura, eccetera che sono graditi dai collezionisti più dilettanti per la loro bellezza grafica, ma prive di valore filatelico vero e proprio. Naturalmente esisteranno francobolli cubani di valore per la loro anzianità, rarità o per qualche specifica ragione per cui vengono valutati, ma non credo vadano oltre la media internazionale.
Per l'occasione pubblico il francobollo emesso in occasione della visita pastorale di Benedetto XVI, in cui è raffigurato col presidente Raul Castro e che per lungo tempo è stato utilizzato per la normale corrispondenza e per cui è ancora valido oggi nonostante, da allora, siano state emesse numerose altre serie commemorative.



giovedì 16 gennaio 2014

Costanza

COSTANZA: con una camera (Roma)

mercoledì 15 gennaio 2014

Cosmopolita

COSMOPOLITA: politicante spaziale

Vendita auto, i conti dell'oste...non tornano

Doccia fredda su una delle riforme promosse recentemente dal Governo cubano. Delusione e inquietudine sono state sollevate dal nuovo sistema di “vendita libera” delle auto. Al di la delle modalità da seguire per l’acquisto: il venditore è solo l’Impresa Cimex, quello che sembra una beffa sono i prezzi. È stato stabilito un “coefficiente 8” per le auto nuove e uno 15 per quelle usate, vale a dire per esempio che una Kia Picanto nuova (valore 8.000 $) ne costa la bellezza di 64.000 (sessantaquattromila!!!!!). Una Moskvich degli anni ’80 del valore (ottimistico) di 2.000 $, ne costa 30.000, se acquistata alla Cimex, ammesso che ci sia.
A questo punto come reagirà il mercato di compravendita dell'usato tra privati? Certamente anche in questo caso ci sarà una forte spinta al rialzo dei prezzi già elevati.
Il presidente aveva detto che gli introiti di queste vendite sarebbero andati in un fondo dedicato al miglioramento del trasporto pubblico. Ma la domanda è: quali ingressi? Chi si può o vuole permettere l’acquisto di una macchina a questi prezzi? La risposta è ovvia e banale: nessuno. E in effetti dall’entrata in vigore dei questa disposizione le vendite sono paralizzate.
Altro motivo di delusione è, per chi era in possesso della famosa “carta de compra” che veniva data con tempi biblici a persone che potevano dimostrare di avere avuto, dallo Stato e non privatamente, i fondi in valuta convertibile per poter acquistare un’auto a prezzi ragionevoli. Adesso queste lettere sono vigenti solo come motivo di prelazione per l’eventuale acquisto, ma la disponibilità di questi fondi non è più in linea con i costi. In pratica le lettere sono prive di ogni valore. Ci sono persone che hanno sacrificato anni di vita, quasi sempre lontani dalla famiglia, anche con la speranza di poter comprare il tanto desiderato e molto utile veicolo. Attese e speranze frustrate.
Rimane da chiedersi chi e come ha elaborato questi “coefficienti” e se non sarà il caso di rivederli facendo qualche conto alla maniera delle buone donne di casa...l’oste questa volta ha portato un conto veramente salato e impagabile. 

martedì 14 gennaio 2014

La riforma migratoria compie un anno

Oggi è esattamente un anno da quando è entrata in vigore la nuova legge migratoria che permette alla stragrande maggioranza dei cubani di poter uscire dal Paese senza più doverne richiedere il permesso alle autorità migratorie. Solo nei primi 10 mesi ne hanno usufruito oltre 200 mila persone, di cui 32 mila si sono recate negli USA per "turismo" oltre ai 20 mila della quota migratoria annuale. Gli altri sono andati in Paesi diversi, spesso approfittando di un passaporto della Comunità Europea che li esonera dal richiedere il visto in buona parte del mondo. Per uscire da Cuba devono comunque esibire il passaporto domestico che poi viene riposto per l'ingresso e spostamento in altri Paesi, Stati Uniti compresi. Non sono noti i dati dei cubani residenti all'estero che sono rientrati per visitare le famiglie dal momento che anche a loro non è più richiesto il chiesto il visto di reingresso al Paese. Sta di fatto che i voli da e per gli Stati Uniti sono in continuo aumento, così come gli aeroporti di quel Paese autorizzati ad operare su Cuba, questo grazie anche a una certa flessibilità auspicata dal presidente Obama. Per chi non è dotato di un doppio passaporto, però, l'espatrio è difficile per le restrizioni, sempre maggiori, poste dalle ambasciate estere nel rilascio dei visti. Non va nemmeno trascurato il potere di acquisto per i passaggi aerei che spesso, però, vengono suffragati da parenti e amici residenti nei possibili Paesi di destinazione.

Nebbia in val...Avana

Se non fosse per la temperatura sopra i 20 gradi, sembrerebbe quasi la Bassa Lombarda...



Cosmesi

COSMESI: durata di un "breve" viaggio nello spazio

lunedì 13 gennaio 2014

Il turismo italiano a Cuba e altre storie

Per chi non avesse letto i "post" relativi alla nascita del turismo post rivoluzionario a Cuba ed avesse la curiosità di sapere come e quando è iniziato, ricordo che sul sito http://www.ilvecchioeilmare2002.com si può scaricare un breve concentrato della storia relativa oltre al testo (in spagnolo) di Larry Morales, historiador di Morón, "Más allá de los sueños" e il romanzo "Profumo di Avana", oltre ad altre cose. Il tutto è completamente gratuito e libero per un uso personale.

Coscritto

COSCRITTO: ma cosa ho scritto (Roma)

55 anni fa di Ciro Bianchi Ross, pubblicato su Juventud rebelde del 12/1/14

Credo che tutti quelli che, a Cuba, abbiano gli anni sufficienti, ricordino come seppero della fuga di Batista. Lo scriba, allora di 10 anni compiuti, ha ancora vivo questo dettaglio, come conserva nella memoria altri avvenimenti di quei giorni iniziali della Rivoluzione: l’appello di Fidel per lo sciopero generale; i tentativi del generale Cantillo per garantire il batistato senza Batista; l’effimera e inutile gestione al comando dell’esercito del colonnello Ramón Barquin; la fuga dei prigionieri dal Castillo del Principe; le milizie del Movimento 26 di Luglio che pattugliavano le strade; la cattura di sbirri e spioni; l’ingresso del Comandante Camilo Cienfuegos nella città militare di Columbia; l’arrivo del Che a la Cabaña; l’avanzata, da Oriente della Carovana della Libertà e la presenza del Comandante in Capo all’Avana...
È incredibile come, a volte, si memorizzano fatti insignificanti, completamente prescindibili e si associano ad avvenimenti rilevanti. Questo giorno del 1° gennaio, mio padre uscì presto da casa per comprare la carne per il pranzo e tornò con la notizia del crollo della dittatura. Non tardammo a sederci davanti al televisore. La CMQ (Canale 6) parlava dei fatti trascendentali, che stavano succedendo in quei momenti e dei quali, prometteva informazioni più avanti mentre come sottofondo musicale a quei commenti si faceva ascoltare la versione strumentale di un danzón reso popolare da Barbarito Diéz:  Se fué (Se ne andò). “Se ne andò per non tornare, se ne andò senza dire addio...”.
Per certo quando, quasi alle 10 del mattino, la CMQ affrontò i fatti trascendentali annunciati, si riferiva ancora a Batista come “L’Onorevole Signor Presidente della Repubblica” e parlava della sua fuga vergognosa e precipitata, come se si trattasse di un viaggio di piacere all’estero. Prima, in Tele-Mundo (Canale 2), Carlos Lechuga metteva da parte il protocollo e chiamava ladro e assassino Batista e poco dopo, il notiziario del Canale 12, diretto da Lisandro Otero, cominciava ad offrire un eccezionale servizio informativo.
In una fila interminabile sfilarono davanti alle telecamere madri che cercavano i loro figli scomparsi, ragazze che mostravano le fotografie dei loro fidanzati o fratelli assassinati, uomini distrutti dalle torture e dalla reclusione che riferivano storie raccapriccianti accusando pubblicamente i loro carnefici.
L’ultima notte del 1958, alle 12, molti cubani gettarono in strada il tradizionale secchio d’acqua per far si che l’anno portasse via con sé il brutto. L’anno aveva portato via Batista e con sé tutta la sua confraternita, tutto un regime sociale. Per la prima volta nella storia, la frase “Anno nuovo, vita nuova” era una realtà per i cubani.
L’arrivo di Fidel alla capitale il giorno 8, fu un’apoteosi. I corrispondenti stranieri, accreditati all’Avana, non uscivano dallo stupore. Nonostante ci fosse fra loro gente sperimentata, con lunghi percorsi, nessuno ricordava di aver visto qualcosa di simile nella sua vita professionale. Il cronista della Columbia Broadcasting System lo riconosceva esplicitamente con ciò che presenziò all’arrivo dei generali Eisenhower e Mc Arthur alla fine della Seconda Guerra Mondiale, molto inferiori in pubblico e calore umano. Jules Dubois a cui toccò “coprire” la caduta di juan Dominhgo Perón in Argentina; Gustavo Rojas Pinillas in Colombia e Marcos Pérez Jiménez in Venezuela; era stupefatto: “È lo spettacolo più straordinario che abbia visto nei miei 30 anni da giornalista”, asseriva e un altro giornalista nordamericano diceva che ciò che stava vedendo era superiore al ricevimento del Generale De Gaulle, a Parigi, dopo la liberazione.

Operazione verità

In questi giorni di anniversario, lo scriba, ha guardato alcune pubblicazioni di 55 anni or sono cercando i fatti che hanno segnato il polso dell’epoca.
Aveva fatto impressione allora, nell’opinione pubblica, il funerale di 19 spedizionari del Granma, caduti in combattimento o assassinati dopo la loro cattura, dopo lo sbarco. Gli si è reso tributo postumo nel Salone dei Passi Perduti del Capitolio prima di inumarli nella fossa che il Governo Rivoluzionario acquisì nella necropoli di Colón. Sono arrivati da Niquero in piccoli feretri bianchi, coperti dall’insegna nazionale; quattro di loro non identificati e, all’Avana, li aspettavano Fidel, Raul, Camilo e il Che. Ognuno di essi, promosso alla memoria, si meritò gli onori da comandante morto in campagna, così la Rivoluzione li affratellò, anche nel grado, con le principali figure dell’Esercito Ribelle.
I processi dei tribunali rivoluzionari contro sbirri e criminali di guerra della dittatura batistiana provocarono, all’estero, nonostante la loro giustezza ed esemplarità, una campagna di discredito contro la Rivoluzione Cubana. Cominciarono le manovre e pressioni degli Stati Uniti verso Cuba e il congresso nordamericano da una parte e l’Organizzazione degli Stati Americani dall’altra, pretesero di arrogarsi il diritto di supervedere gli affari interni della nazione, inquieti davanti al cammino inusitato che presero gli avvenimenti e preoccupati, dicevano; “per l’esercizio della democrazia nei Caraibi”.
La risposta di Fidel non si fece attendere. Convocò giornalisti internazionali perché venissero a Cuba a presenziare i giudizi in corso. Fu l’Operazione Verità. Come risposta all’invito del Capo Ribelle, circa 300 giornalisti del continente vennero nella capitale cubana e si ospitarono, per la maggior parte, nell’hotel Habana Riviera. A ognuno dei visitatori venne consegnata una cartella con foto di omicidi e torture commessi dai sicari della dittatura da poco abbattuta.
Le sessioni dell’Operazione Verità si tennero principalmente nel Copa Room del Riviera, i giorni 21 e 22 di gennaio del 1959. Fidel tenne una conferenza stampa nell’hotel Habana Hilton (oggi Habana Libre) e rispose alle domande dei visitatori che poterono, inoltre, assistere ai processi contro i criminali di guerra e conversare con la popolazione nelle strade.
Il giorno 21 il popolo si concentrò di fronte al palazzo presidenziale. Fu un avvenimento senza precedenti, affermò la stampa. La rivista Bohemia puntualizzava: “Oltre un milione di cubani ha ratificato tutto l’appoggio della patria al Governo della Rivoluzione”.

Plebiscito colossale

Il grido “Al palazzo!” riempì la città, inondò la provincia e si estese per i luoghi più lontani dell’Isola. Non ci fu organizzazione né propaganda. Fu tutto spontaneo, senza commissioni, senza leaders, senza itinerario prestabilito. Ciascuno rispose all’appuntamento come volle o come poté. Ci fu gente, e non è un’esagerazione, che arrivò a piedi da Pínar del Río e da Matanzas perché non c’erano veicoli disponibili. A partire dal mezzogiorno la capitale sembrava un deserto, con i negozi chiusi e le strade vuote. In molti quartieri si spargeva la sensazione quieta di una città morta. In cambio, per le rotte che conducono al Palazzo, si muoveva l’enorme carovana popolare. In mezzo alla moltitudine, venditori ambulanti si ingegnavano per vendere le loro merci, sopratutto foto di Fidel, berretti, spille e distintivi del 26 di Luglio e baschi come quelli che usavano il Che e Raul.
La tribuna presidenziale si installò di fronte alla terrazza nord del Palazzo, a un livello più basso. I giornalisti stranieri occuparono le tribune laterali. Molti non poterono farlo perché il popolo traboccò su di esse, avvolgendo i reporter che si videro imprigionati da quell’onda di calore umano.
Prese la parola il rappresentante della Centrale dei Lavoratori di Cuba (allora Confederazione). Anche il rappresentante della Federazione Studentesca Universitaria e altri di diverse organizzazioni politiche; i rappresentanti dei giornalisti. Quando si annunciò che avrebbe parlato Fidel, la moltitudine, in un moto ondoso, ruppe la barriera che formavano i miliziani giungendo fino al bordo della tribuna. Il Capo della rivoluzione cominciò il suo discorso, ma poco dopo scuoteva gli intervenuti l’arrivo di nuovi contingenti, nelle vicinanze del castello de la Punta, a diversi isolati di distanza. La pressione, come un’ondata di espansione, si infranse contro la tribuna. Più in la, l’armatura che sosteneva la piattaforma delle telecamere oscillò come sferzata da un colpo di vento. Ci furono donne e uomini svenuti. Le ambulanze facevano suonare le loro sirene in uno sforzo per aprirsi il passaggio. Caddero al suolo le barriere di legno e il cordone di miliziani venne diluito in un mare di gente.
Fidel interruppe il filo del suo pensiero. Si rese conto che ogni minuto in più che rimaneva sulla tribuna poteva costare delle vite. Allora sintetizzò le sue idee. Affermò che a Cuba si rispettavano i diritti umani e che il cubano non era un popolo barbaro, ma il più nobile e sensibile di tutti. Se qua si commettesse un’ingiustizia, tutto il popolo sarebbe contro di questa ingiustizia. Se intellettuali, operai e contadini sono stati d’accordo col castigo dei colpevoli della dittatura è perché il castigo era giusto e meritato. Fece una pausa e scambiò alcune frasi col Comandante Camilo Cienfuegos. Volle convertire quella massa di oltre un milione di persone in un immensa giuria. Disse che voleva fare una consultazione e la moltitudine fece un silenzio assoluto, carico di phatos.
“Quelli che siano d’accordo con la giustizia che si sta applicando; quelli che sono d’accordo che questi sbirri siano fucilati, alzino la mano...”
Scriveva Enrique de la Osa nella sua sezione En Cuba della rivista Bohemia: “Prima che terminasse la frase si alzava già, all’unisono, la risposta affermativa. Erano centinaia di migliaia di mani, non solo nel campo visivo della terrazza nord, ma sul Malecón e Prado, nel parco Zayas, nel Parco Centrale, di fronte al Capitolio. Per tutta l’Isola, davanti agli schermi della televisione o vicino alle radio, altri cinque milioni di cubani, simbolicamente, dissero di si”.
Fu un plebiscito colossale che rese inutili le parole.
Fidel proseguì: “Da quando sono sceso dalla Sierra ho sentito molte volte una frase. Migliaia di persone mi hanno avvicinato per dirmi: ‘Grazie Fidel, grazie Fidel’. Oggi, dopo questa straordinaria dimostrazione, oggi dopo la soddisfazione che proviamo tutti noi nel vedere questo appoggio del popolo, oggi nel sentirci tanto orgogliosi di essere cubani e appartenere a questo popolo che è uno dei popoli più degni del mondo, oggi sono io che a nome del Governo Rivoluzionario e di tutti i compatrioti dell’Esercito Ribelle, voglio dire al mio popolo: Molte grazie, molte grazie...”
(continua) 


Cincuenta y cinco años atrás

Ciro Bianchi Ross • 
digital@juventudrebelde.cu
11 de Enero del 2014 18:38:12 CDT

Creo que todos los que tienen en Cuba edad suficiente para ello
recuerdan cómo supieron de la fuga de Batista. El escribidor, con diez
años cumplidos entonces, tiene vivo ese detalle, al igual que guarda
memoria de otros acontecimientos de aquellos días iniciales de la
Revolución: el llamado de Fidel a la huelga general; la componenda del
general Cantillo para garantizar el batistato sin Batista; la efímera
e inútil gestión, al frente del Ejército, del coronel Ramón Barquín;
la fuga de los presos del castillo del Príncipe; las milicias del
Movimiento 26 de Julio que patrullaban las calles; la captura de
esbirros y soplones; la entrada del Comandante Camilo Cienfuegos en la
Ciudad Militar de Columbia; la llegada del Che a la Cabaña; el avance
desde Oriente de la Caravana de la Libertad y la presencia del
Comandante en Jefe en La Habana…
Es increíble cómo a veces se memorizan hechos insignificantes,
totalmente prescindibles, que se asocian a acontecimientos de relieve.
Ese día 1ro. de enero mi padre salió temprano de la casa para buscar
la carne del almuerzo y regresó con la noticia del desplome de la
dictadura. No demoramos en sentarnos frente al televisor. La CMQ
(Canal 6) hablaba sobre los sucesos trascendentales que ocurrían en
esos momentos y de los que prometía información para más adelante,
mientras que como fondo musical de aquella nota dejaba escuchar la
versión instrumental de un danzón popularizado por Barbarito Diez: Se
fue. «Se fue para no volver; se fue sin decir adiós…».
Por cierto, cuando casi a las diez de la mañana, la CMQ abordó los
sucesos trascendentales anunciados, se refería todavía a Batista como
al «Honorable Señor Presidente de la República» y hablaba de su fuga
vergonzosa y precipitada como si se tratara de un viaje de vacaciones
al exterior. Antes, en Tele-Mundo (Canal 2) Carlos Lechuga ponía a un
lado el cauteloso protocolo y llamaba ladrón y asesino a Batista, y
poco después el noticiero del Canal 12, dirigido por Lisandro Otero,
empezaba a ofrecer un excepcional servicio informativo.
En una hilera interminable desfilaron ante las cámaras de la
televisión madres que clamaban por sus hijos desaparecidos, muchachas
que portaban los retratos de sus hermanos o novios asesinados, hombres
destruidos por la tortura y el encierro que referían una historia
espeluznante y acusaban públicamente a sus verdugos.
La noche vieja de 1958, a las 12, muchos cubanos tiraron a la calle el
tradicional cubo de agua para que el año que se iba arrastrara consigo
lo malo. El año se había llevado a Batista y, junto con él y su
camarilla, a todo un régimen social. Por primera vez en la historia,
la frase «Año nuevo. Vida nueva» era una realidad para los cubanos.
La llegada de Fidel a la capital, el ocho, fue apoteósica. Los
corresponsales extranjeros acreditados en La Habana no salían de su
asombro. Pese a que había entre ellos gente muy avezada, que había
caminado mucho, ninguno recordaba haber visto nada similar en el
ejercicio de su vida profesional. El reportero de la Columbia
Broadcasting System lo reconocía explícitamente y eso que él presenció
la bienvenida a los generales Eisenhower y McArthur al final de la II
Guerra Mundial, muy inferior en público y en calor humano. Jules
Dubois, a quien le tocó «cubrir» los derrocamientos de Juan Domingo
Perón, en la Argentina; Gustavo Rojas Pinillas, en Colombia; y Marcos
Pérez Jiménez, en Venezuela; estaba estupefacto. «Es el espectáculo
más extraordinario que he visto en mis 30 años de periodista»,
aseguraba, y otro periodista norteamericano decía que lo que estaba
viendo era muy superior al recibimiento del general De Gaulle en París
tras la liberación.

Operación verdad

En estos días de aniversario, el escribidor revisó algunas

publicaciones de hace 55 años en busca del acontecer que marcó el
pulso de la época.
Impactó entonces a la opinión pública el entierro de los restos de 19
expedicionarios del Granma, caídos en combate o asesinados tras su
captura después del desembarco. Se les rindió postrer tributo en el
Salón de los Pasos Perdidos del Capitolio antes de que se les inhumara
en la fosa que el Gobierno Revolucionario adquirió expresamente para
eso en la zona suroeste de la necrópolis de Colón. Llegaron desde
Niquero en pequeños féretros blancos cubiertos por la enseña nacional;
cuatro de ellos sin identificar, y en La Habana los esperaban Fidel y
Raúl, Camilo y el Che. Cada uno de ellos, ascendido de manera póstuma,
mereció honores de comandante muerto en campaña, con lo que la
Revolución los hermanó, también en grado, con las figuras principales
del Ejército Rebelde.
Los procesos de los tribunales revolucionarios contra esbirros y
criminales de guerra de la dictadura batistiana provocaron en el
exterior, pese a su justeza y ejemplaridad, una campaña de descrédito
contra la Revolución Cubana. Comenzaron las maniobras y presiones de
Estados Unidos sobre Cuba, y el Congreso norteamericano, por un lado,
y la Organización de Estados Americanos por otro, pretendieron
arrogarse el derecho de supervisar los asuntos internos de la nación,
inquietos ante el sesgo inusitado que tomaron los acontecimientos y
preocupados, decían, «por el ejercicio de la democracia en el Caribe».
La respuesta de Fidel no se hizo esperar. Convocó a periodistas
internacionales para que viajaran a Cuba y presenciaran los procesos
judiciales. Fue la Operación Verdad. En respuesta a la invitación del
Jefe Rebelde unos 300 periodistas del continente vinieron a la capital
cubana y se hospedaron en su mayoría en el hotel Habana Riviera. A
cada uno de los visitantes se le entregó una carpeta con fotos de
asesinatos y torturas cometidos por sicarios de la dictadura recién
derrocada.
Las sesiones de la Operación Verdad transcurrieron principalmente en
el Copa Room del Riviera, los días 21 y 22 de enero de 1959. Fidel
ofreció una conferencia de prensa en el hotel Habana Hilton (hoy
Habana Libre) y respondió a las preguntas de los visitantes, que
pudieron además asistir a los juicios contra los criminales de guerra
y conversar con la población en la calle.
El día 21 el pueblo se concentró frente al Palacio Presidencial. Fue
un acto sin precedentes, aseguró la prensa. Precisaba la revista
Bohemia: «Más de un millón de cubanos ratificaron todo el apoyo de la
patria al Gobierno de la Revolución».

Plebiscito colosal

El grito de «¡A Palacio!» llenó la ciudad, inundó la provincia y se

extendió por los parajes más distantes de la Isla. No hubo
organización ni propaganda. Todo fue espontáneo, sin comisiones, sin
líderes, sin itinerario. Cada cual respondió a la cita como quiso o
como pudo. Hubo gente, y no es una exageración, que llegó a pie desde
Pinar del Río y desde Matanzas porque no había vehículos disponibles.
A partir del mediodía la capital semejaba un desierto con los
comercios cerrados y las calles vacías. En muchos barrios se expandía
una quieta sensación de ciudad muerta. Por las rutas que conducen a
Palacio, en cambio, se movía la enorme caravana popular. En medio de
la multitud, vendedores ambulantes se las arreglaban para ofertar su
mercancía, sobre todo retratos de Fidel, gorras, pasadores y
distintivos del 26 de Julio y boinas como las que usaban el Che y
Raúl.
La tribuna presidencial se instaló frente a la terraza norte del
Palacio, a un nivel más bajo. Los periodistas extranjeros ocuparon las
tribunas laterales. Muchos no pudieron hacerlo porque el pueblo se
desbordó sobre estas, envolviendo a los reporteros, que se vieron
aprisionados en una ola contagiosa de calor humano.
Habló el representante de la Central de Trabajadores de Cuba (entonces
Confederación). También el representante de la Federación Estudiantil
Universitaria y otros de organizaciones políticas; los representantes
de los periodistas. Cuando se anunció que hablaría Fidel, la multitud,
en un movimiento de oleaje, rompió la barrera que formaban los
milicianos y llegó hasta el borde mismo de la tribuna. Comenzó su
discurso el Jefe de la Revolución, pero poco después sacudía a los
congregados el arribo a las inmediaciones del castillo de La Punta, a
varias cuadras de distancia, de nuevos contingentes. La presión, como
una onda expansiva, se estrelló contra la tribuna. Más allá, la
armazón que sostenía la plataforma de las cámaras de la televisión,
osciló como si la azotara un vendaval. Hubo mujeres y hombres
desmayados. Las ambulancias hacían sonar sus sirenas en un esfuerzo
por abrirse paso. Se vinieron al suelo las barreras de madera y el
cordón de milicianos quedó diluido en medio de un mar de gente.
Fidel interrumpió el hilo de su pensamiento. Se percató de que cada
minuto que permaneciera en la tribuna podía costar vidas. Sintetizaría
entonces sus ideas. Afirmó que en Cuba se respetaban los derechos
humanos y que el cubano no era un pueblo bárbaro, sino el más noble y
sensible de todos. Si aquí se comete una injusticia, todo el pueblo
estaría en contra de esa injusticia. Si intelectuales, obreros y
campesinos han estado de acuerdo con el castigo de los culpables de la
dictadura, es porque el castigo es justo y merecido. Hizo una pausa e
intercambió algunas frases con el Comandante Camilo Cienfuegos. Quiso
convertir aquella multitud de más de un millón de personas en un
inmenso jurado. Dijo que quería hacer una consulta y la multitud hizo
un silencio absoluto, cuajado de dramatismo.
«Los que estén de acuerdo con la justicia que se está aplicando; los
que estén de acuerdo con que los esbirros sean fusilados, que levanten
la mano…».
Escribía Enrique de la Osa en su sección En Cuba, de la revista
Bohemia: «Antes de que terminara la frase ya se alzaba, como un
resorte, la respuesta afirmativa. Eran cientos de miles de manos no
solo dentro del campo visual de la terraza norte, sino por Malecón y
Prado, en el parque Zayas, en el Parque Central, frente al Capitolio.
A lo largo de la Isla, ante las pantallas de televisión o junto a la
radio, otros cinco millones de cubanos, simbólicamente, también
dijeron sí».
Fue un plebiscito colosal que hizo innecesarias las palabras.
Prosiguió Fidel: «Desde que bajé de la Sierra he escuchado muchas
veces una frase. Miles de personas se han acercado a mí para decirme:
«Gracias, Fidel, gracias, Fidel». Hoy, después de esta extraordinaria
demostración, hoy, después de la satisfacción que experimentamos todos
nosotros al ver este respaldo del pueblo, hoy al sentirnos tan
orgullosos de ser cubanos y pertenecer a este pueblo que es uno de los
pueblos más dignos del mundo, hoy soy yo, quien a nombre del Gobierno
Revolucionario y de todos los compatriotas del Ejército Rebelde,
quiero decir a mi pueblo: Muchas gracias, muchas gracias…».
(Continuará)
        
Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
http://wwwcirobianchi.blogia.com/
http://cbianchiross.blogia.com/




domenica 12 gennaio 2014

Corrompere

CORROMPERE: danneggiare,spezzare correndo

sabato 11 gennaio 2014

Trinidad compie 500 anni

La città de "La Santísima Trinidad", in provincia di Sancti Spíritus, una delle gioie del patrimonio coloniale rimaste nell'America Latina, con Antigua Guatemala, domani festeggia i suoi primi 500 anni dalla fondazione come terza città costruita a Cuba dagli spagnoli, dopo Baracoa e Bayamo e che servì a Diego Velázquez come base per la conquista del Messico.
Auguri e tanti altri 500.

Correggia

CORREGGIA: rumore sospetto

venerdì 10 gennaio 2014

Corollario

COROLLARIO: gruppo vocale comasco

Le foto di Franco





Terremoto a Cuba

Sicuramente è arrivata anche in Italia la notizia del terremoto sviluppatosi al largo della costa nord di Cuba a est di Varadero ed a qualche km dalla costa di fronte ala provincia di Villa Clara, della magnitudo di circa 5 gradi della scala Richter. Indubbiamente non si ricordava un fenomeno sismico in quella zona, al contrario della parte orientale dell'Isola dove i movimenti tellurici si ripetono con frequenza e solo negli ultimi tempi sono stati almeno 3 dell'ordine di poco più di 4 gradi. Il fenomeno è stato avvertito anche a Key West, nell'estrmo sud della Florida ed il punto più vicino a Cuba.
Personalmente non me ne sono accorto e non ho sentito nessuno che lo abbia avvertito, nonostante il notiziario televisivo della sera abbia detto che le scosse si sono sentite anche all'Avana. A quell'ora (circa due minuti prima delle 16) mi trovavo proprio nel centro della capitale dove i fenomeni meteorologici e geologici, sono più avvertibili, è invece probabile che sia stato avvertito, maggiormente, nella parte orientale della città. Bisogna comunque dire che, per fortuna, nessuno di questi ultimi eventi sismici ha lasciato danni materiali e men che meno fisici alle persone. Si ha notizia, comunque di momentanee evacuazioni di edifici nel nucleo storico della città che non hanno avuto seguito.

giovedì 9 gennaio 2014

Rally di auto d'epoca in Messico



Dal 6 all'11 maggio, nello splendido scenario del Golfo di Campeche, nella penisola dello Yucatan (Messico) si terrà un rally di regolarità per automobili d'epoca che abbiano 43 o più anni di vita. La partecipazione è consentita con la propria vettura o con vetture messe a disposizione dell'organizzazione. Per maggiori informazioni e/o iscrizioni vedere il sito: http://rallymayamexico.com/2014/index.pmp

Le foto di Franco 16





Cornuto

CORNUTO: arbitro

mercoledì 8 gennaio 2014

Le foto di Franco 15






Coretto

CORETTO: il caffè con grappa o cognac (Roma)