Sul finire degli anni '50, era venuto in Italia, con la moglie, un fratello di mio nonno Joseph che viveva negli Stati Uniti. Vennero a stare da noi per il periodo del soggiorno e si "innamorarono" di me insistendo con mia madre perché mi mandasse a vivere a New York dove avrei potuto avere un futuro brillante dato che lui lavorava nel prestigioso albergo Waldorf Astoria ed aveva molte conoscenze. Gli ospiti partirono e la richiesta rimase nell'aria fino a che nel 1961, si decise per la mia partenza. Il viaggio aereo era impensabile per i costi di allora quindi si decise, non senza sacrifici, il trasferimento via mare. Il 23 maggio del 1961, mi imbarcai sull'ammiraglia della flotta italiana: la Turbonave "Leonardo da Vinci" che era tornata a Genova dal suo viaggio inaugurale in America dopo essere subentrata all'"Andrea Doria" tragicamente naufragata. La "Raffaello" e la "Michelangelo" erano ancora di là da venire.
Dopo una settimana di navigazione, di cui 5 giorni senza vedere terra, all'alba del 1° giugno entrammo nell'imponente porto di New York, attraccando al Pier 44, a un isolato dal 42 da dove si scorgeva l'Empire State Building. Sbrigate le formalità doganali, allora abbastanza severe specialmente riguardo ai generi alimentari, venni preso in consegna dallo zio Morris. Ci recammo a Brooklyn, dove abitava e cominciò la mia breve avventura americana. La sera andammo all'imponente Luna Park di Coney Island che era a due fermate di metropolitana dalla casa degli zii. Furono molto premurosi e attenti e ci capivamo col mio rudimentale spagnolo dato che era la loro lingua madre dal momento che in Turchia gli ebrei provenivano quasi tutti dall' Inquisizione spagnola e avevano conservato la madre lingua per diverse generazioni.
Oggi quando vedo circolare gli "almendrones" a
Cuba mi ricordo di quei tempi quando però i veicoli erano praticamente nuovi.
Venne il
giorno in cui lo zio mi portò al Waldorf Astoria e scoprii che il suo lavoro
consisteva nella supervisione dei bagni comuni dell'albergo. Non era certo quello
che avevamo immaginato quando parlava del suo lavoro in Italia.
Questo
fatto indubbiamente mi lasciò un'impressione negativa che si unì alla mancanza
di amici, la convivenza con due anziani, la non padronanza della lingua e la
differenza di abitudini, non ultime quelle alimentari.
Quello
che risultava abbastanza facile era muoversi a New York, specialmente dopo aver
raggiunto Manhattan con la Metropolitana che in Italia era ancora sconosciuta.
Un bel
giorno lo zio mi fece conoscere un suo "cliente", era un ex giocatore
del Livorno quando militava in Serie A, si chiamava Magnozzi. Non ricordo il nome.
Questi era titolare di un'impresa di costruzioni che mi avrebbe dato lavoro e
nel contempo aveva fondato una squadra di "Soccer" che aveva chiamato
Inter di New York. Al contrario di quella di Miami (ancora inesistente), questa ricordava nei colori
l'Internazionale di Milano col nero e l'azzurro. Cominciai così la
"carriera" di apprendista muratore alternandola ad allenamenti e
partitelle amichevoli al Central Park. A quei tempi il "Soccer" negli
Stati uniti aveva la popolarità paragonabile (forse) al ping-pong in Italia.
Non esistevano stadi dedicati e le rarissime partite ufficiali si giocavano su
terreni del Football americano o spesso anche del Baseball con i dislivelli del
caso.
Questo
insieme di cose unito alla mia formazione che pur ancora "verde" era
di sinistra mi spinsero a tornare in Italia e con gran dispiacere degli zii (e
di Magnozzi) mi trovarono un imbarco sulla "Constitution", gemella
dell'"Indipendence" che coprivano la rotta per l'Europa meridionale.
Con tutta
la prosopopea con cui venivano propagandate queste navi erano ben lontane dalla
modernità e il comfort della "Leonardo" e dopo una traversata meno
piacevole che all'andata sbarcai a Genova il 21 luglio.
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