A quel primo viaggio se ne aggiunsero, poi, una media di 5 o 6 per anno come accompagnatore e altri come invitato da Cubatur per eventi tipo Convenzione del Turismo che si teneva, allora, all’Habana Libre o i primi due Fotosub, organizzati dalla rivista Sesto Continente di Antonio Soccol, tutti con esperienze gratificanti che si univano ad altre, professionalmente parlando, meno entusiasmanti. Il primo Fotosub del 1981, in particolare, fu un grande successo: erano stati invitati i maggiori fotografi subacquei del mondo che alloggiarono con lo staff e gli altri invitati, all’hotel Colony dell’Isola della Gioventù, sede dell’evento. Per i turisti appassionati del genere, fu allestito un accampamento con tende. Nella fase preparatoria aiutai l’organizzazione e l’amico Manolo di Cubatur ad inviare molto materiale, grazie ai contatti che avevamo con le linee aeree. Il cubano arrivò a Milano a sorpresa nei primi giorni di novembre e si trattenne fino a metà gennaio lavorando spalla a spalla con Soccol per preparare la manifestazione che ebbe luogo in febbraio. Entrambi si diedero da fare per trovare partecipanti e sponsor, raccogliendo molto materiale utile. Si inviò una barca in alluminio, motori fuoribordo, stock di pellicole e un laboratorio ”da campo” per il trattamento delle diapositive, fra le altre cose. Oltre al lavoro con Antonio, Manolo, veniva con me a Malpensa a ogni partenza di voli per l’Avana, in particolare quelli di Interflug e Iberia che furono molto disponibili a farci inviare il carico senza aggravio di spese.
Il turismo cominciava ad aumentare e si era sulle 6000 presenze annue provenienti dall’Italia, cifre irrisorie, ma il Paese non era ancora pronto a ricevere un turismo internazionale con servizi almeno accettabili. Solo la grande simpatia e umanità della gente suppliva a certe carenze. Man mano che si allargava la cerchia dei viaggiatori a strati meno politicizzati, ci si trovava di fronte a difficoltà ”logistiche”. I turisti italiani si lamentavano perchè non potevano spendere soldi!!! Chi partiva per le vacanze aveva un certo budget per souvenir da riportare in patria da distribuire ad amici e parenti, ma a Cuba, all’epoca era difficile anche quello. Gli acquisti si riducevano ai classici rum e sigari che avevano un limite di importazione in Italia: 2 bottiglie ed altrettante scatole a testa. Per il resto c’erano, praticamente solo delle brutte e dozzinali bamboline raffiguranti negre e mulatte con cesti o cappelli pieni di frutta sulla testa. Non esistevano “Cadeca” e nemmeno i CUC, circolava solo la valuta locale che veniva cambiata a 0.80 per dollaro americano nelle casse degli alberghi. Nelle riunioni di informazione che si davano assieme al cocktail di benvenuto, si avvertivano i clienti di cambiare la minor quantità possibile in quanto non averbbero avuto grandi possibilità di shopping. Non si trovavano nemmeno le cartoline illustrate e le chiamate telefoniche costavano 18 dollari per tre minuti o frazione di tali, si consumassero completamente o meno. L’operazione “cambio” era più difficile da descrivere che da effettuare: intanto i clienti erano già preavvertiti che a Cuba bisognava venire coi dollari, non si cambiavano lire o altre valute. Alla cassa veniva consegnata una “carta de cambio” con l’importo della valuta versata e il corrispettivo di pesos ricevuti. Ad ogni acquisto si doveva presentare detto “documento” e veniva defalcata la spesa effettuata. Alla fine del soggiorno, in aeroporto e solo li, veniva fatta la somma di quanto speso e restituito il corrispettivo rimanente. Solo all’inizio degli anni ’80 vennero abilitate le principali “tiendas” di turismo a vendere con pagamento diretto in dollari, ma solo ed esclusivamente agli stranieri non residenti: ai cubani e residenti permanenti non era permesso detenere valuta estera. In quello stesso periodo si tenne il primo esperimento di vendita libera dei prodotti agricoli. Fino ad allora i contadini erano obbligati a vendere tutta la produzione allo Stato. Si stabilirono delle “quote” da raggiungere e se si superavano, l’eccedenza poteva essere venduta direttamente dai produttori in appositi mercati “agro”. L’esperienza durò un paio d’anni e quindi venne sospesa fino a molti anni dopo. Si aprirono anche alcuni “mercaditos” in moneta nazionale in cui si potevano comprare alcuni generi eccedenti o non compresi dalla “libreta”, la tessera annonaria. Non era “opulenza”, ma era una possibilità di comprare qualcosa in più da parte di gente che aveva qualche soldo e non il modo di spenderli. In genere si trattava di prodotti in conserva provenienti dall’Europa dell’Est. Con il razionamento sussidiato e i costi bassi dei servizi, gli stipendi erano più che sufficienti anche per avere dei risparmi forzati. Ricordo che in quegli anni, si trovava in vendita libera nei “puntos de leche” il burro, il “queso crema” e il latte in bottiglie di vetro da litro, per contro erano inesistenti o strettamente razionati generi come fiammiferi, sapone, dentifricio, detersivi e prodotti per la pulizia della casa e della cucina in particolare. Le creme e gel da bagno erano sconosciute.
Durante i miei frequenti viaggi ebbi modo di stringere sempre più relazioni con il personale di Cubatur, in particolare con due guide: Marcelo Gorajuria e Manuel Rico, purtroppo scomparso, che divennero poi funzionari e li ricevetti in Italia con l’Associazione Lombarda di Amicizia Italia-Cuba, di cui facevo parte come membro del Consiglio Direttivo. Eravamo una delle sedi più attive nei rapporti con Cuba e organizzavamo diverse attività di scambio culturale, ricevendo artisti e intellettuali cubani. Partecipavamo anche con loro nell’aiuto al disbrigo di formalità quando venivano per lavoro e fummo con lo stand di Cuba, fra i primi clienti della nascente BIT che si svolgeva nel Palazzo delle Sport di piazza Sei Febbraio, dove si introdusse il concetto di “musica e spettacolo” nella manifestazione che era impostata nel classico concetto di “mostra-mercato” asettica. Alle feste dell’Unità avevamo il nostro stand con vendita di dischi e cassette di musica cubana.
Arrivò quindi il 1983, e sul finire dell’estate ricevetti la visita, inaspettata, delle due ex guide di Cubatur, divenuti responsabili delle vendite, Marcelo per il turismo tradizionale e Manolo per quello specializzato. Con quest’ultimo avevo collaborato per l’organizzazione del Fotosub un paio d’anni prima. Facevano parte di una delegazione, guidata dal direttore di Cubatur, Jorge Debasa e da quello della recentemente nata compagnia aerea “Aerocaribbean” Miguel Nasser, già direttore commerciale di Cubatur. Erano venuti a Milano con l’ambizioso progetto di lanciare una catena di voli charter per l’Avana con inizio dall’ottobre successivo. La presentazione avvenne in un noto locale della Piazza del Duomo di Milano, patrocinata da Mondadori Viaggi e Italturist che formavano il “pool” incaricato della promozione e vendita del “prodotto” e pagavano il noleggio del volo “vuoto/per pieno. Per l’occasione mi venne conferito l’incarico di responasabile per il pool all’Avana con un contratto per i primi sei mesi dell’operazione. Finiva così l’epoca dei viaggi “accompagnat”, i clienti venivano assistiti alla partenza ed all’arrivo. Il volo doveva essere diretto e comunque senza cambio di aeromobile, qundi non si necesitava di spostamenti in altri aeroporti. (continua)
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lunedì 17 giugno 2013
domenica 16 giugno 2013
Cuba e il turismo (2)
Sono passati quasi 35 anni e molti dettagli, nomi, volti, si sono persi nei ricordi, ma l’essenza di quel mio primo viaggio a Cuba è ancora fresca e presente nel suo complesso. All’epoca collaboravo con Italturist in veste di accompagnatore turistico, in particolare per i viaggi nell’URSS, ma un bel giorno mi proposero di accompagnare un viaggio a Cuba, sapendo che parlavo già un po’ di spagnolo. Del gruppo di “cubani” facevano già parte Elio Borgonovo, Luciano Colombi, Sandro Perugino, Mirella Villa e altri di cui purtroppo ho dimenticato i nomi. Non me lo feci ripetere due volte ed accettai l’incarico con entusiasmo, era il dicembre del 1978. Partenza da Linate nel primo mattino via Ginevra/Madrid (non c'erano i posti sul volo diretto alla capitale spagnola), il volo per l’Avana era previsto alle 02.30 ma venne ritardato un paio d’ore per problemi tecnici. La comitiva era di 80 persone, divise in 2 gruppi da 40, ciascuno con un accompagnatore. Una volta imbarcati, ci venne comunicato che il personale viaggiante era in agitazione e non vi sarebbe stato servizio a bordo. In pratica occupavamo quasi metà dell’aereo con due file di tre sedili per lato. Non c’erano schermi né pellicole da guardare, solo musica con gli auricolari. Consegnarono a ciascuno un sacchetto con un panino che aveva conosciuto tempi migliori, un arancio, un pacchetto di biscotti e una bibita. Era il primo “sciopero” dell’era post-franchista. Pochi istanti prima del decollo, il comandante ci informò che in seguito a una perturbazione sull’Atlantico avrebbe dovuto seguire una rotta più settentrionale che comportava uno scalo tecnico a Montreal. Gelo fra i passeggeri, seguito da mormorii di commento non certo entusiastici. A Montreal c’erano -10 gradi e fortunatamente non ci fecero uscire dall’aereo, il personale in pista lavorava anche in maniche di camicia...di flanella, ma sempre camicia. Dopo un volo di oltre sette ore e una sosta di quasi una, riprendemmo il viaggio verso Cuba che durò 5 ore e mezza.
In quel periodo Iberia aveva due voli settimanali all’Avana, il lunedì e il giovedì. Uno proseguiva per Managua (Nicaragua) e l’altro per San José (Costa Rica) e il giorno di Natale non operava con nessun volo in partenza dagli aeroporti spagnoli.
Arrivammo all’Avana che era già pomeriggio inoltrato ci condussero all’Hotel Nacional che era uno dei pochi riaperti al turismo internazionale, gli altri erano: Riviera, Habana Libre (ex Hilton), Capri, Deauville e Sevilla. I primi due, col Nacional, erano considerati 5 stelle di classificazione locale, gli altri due di stelle ne avevano 4. C’erano anche il Saint John, il Vedado e il Colina che di stelle ne avevano tre, ma non venivano offerti al “nuovo” turismo europeo. Bisogna dire che, all’epoca, il Nacional le sue stelle non le aveva nemmeno sulla carta...La costruzione, integra nelle strutture esterne, era estremamente deteriorata all’interno a tutti i livelli: dalle porte d’ingresso alle camere, ai serramenti, i bagni e le stesse camere dalle pareti ricoperte di tappezzeria sbrecciata e ciondolante, ai soffitti con le strutture interne a vista, con letti matrimoniali arredati con due lenzuola singole messe di traverso...le prese e interruttori elettrici pericolosamente volanti, le lampadine spesso mancanti o bruciate. Non fu facile placare i malumori, nonostante lo “zoccolo duro” dei compagni presenti nel gruppo cercasse di giustificare la situazione, aiutando anche il lavoro delle guide cubane e quello di noi accompagnatori.
Ricordo però un particolare significativo di quei tempi: all'epoca fumavo e la prima sera cenammo al ristorante "di lusso" dell'albergo, l'Arboleda, la stanchezza ed il fuso orario mi fecero dimenticare sul tavolo un accendino d'argento che era un regalo di mia moglie. La mattina dopo, cercandolo e non trovandolo, lo detti per perduto, ma sceso allo stesso ristorante per la colazione, un cameriere me lo consegnò con un grande sorriso...e le mance non erano nemmeno accettate.
Passammo due notti all’Avana per poi raggiungere Santa Clara via Guamà, Cienfuegos e Trinidad. Il tempo era abbastanza buono e a Cienfuegos festeggiammo il capodanno...doppio: alle 18 si brindò per quello italiano e la sera festa in piscina per quello cubano. Nei tavoli vicini, c’erano solo cubani con invito a passare la serata per meriti lavorativi e un gruppetto di ingegneri e tecnici sovietici che stavano gettando le basi della futura centrale nucleare, mai terminata...Dopo santa Clara, tornammo verso occidente con una sosta di tre giorni a Varadero, prima di rientrare per una notte all’Avana in attesa del successivo ritorno in Italia. La fortuna non fu benigna con noi...durante il soggiorno a Varadero entrò un “frente frío” che portò vento e mare mosso. La permanenza all’hotel Internacional che con Kawama, Arenas Blancas, Villa Cuba e Oasis erano gli unici esistenti allora, non fu facile data la mancanza di qualsiasi intrattenimento diurno. C’era un solo tavolo da ping pong nel terrazzo posteriore, ma era impossibile giocare a causa del vento. Una delle alternative era di sdraiarsi nel prato antistante l’albergo, protetto dal vento e quindi senza vista mare...per raccontarsi barzellette o altre amenità che facessero trascorrere il tempo. In realtà si potevano prendere a noleggio delle biciclette made in URSS...terrificanti, pesavano moltissimo ed a avevano il freno a contropedale, la direzione del vento da nord-ovest poi favoriva una direzione e penalizzava l’opposta, in una località con un’unica strada come era allora Varadero, ricca di saliscendi non era facile, per tutti, montare in bicicletta a quelle condizioni.
Tornati all’Avana il tempo si era ristabilito e l’ultima sera ci fu la chiusura in bellezza al Cabaret Tropicana. Il pomeriggio seguente partenza per Milano via Madrid, ma... giunti nello spazio aereo spagnolo, il comandante avvertì che l’aeroporto di Madrid era chiuso per ragioni di sicurezza: si segnalavano bombe in varie parti della città, aeroporto compreso. Il pilota proseguì dicendo che per ragioni di autonomia, l’unico scalo che poteva raggiungere, in alternativa era quello di Alicante...nell’estremo sud della Spagna. Sbarcati in Andalusia ci montarono su autobus con destinazione Barcellona da dove dovevamo proseguire in volo per Milano, ma...durante il cammino ci informarono che gli aeroporti di Milano erano chiusi per neve. Dopo aver viaggiato una giornata intera sui bus, arrivammo a Barcellona la sera dove ci ospitarono in albergo, sperando che il giorno successivo riaprissero gli aeroporti milanesi. Così fu infatti e nonostante la nebbia in agguato, dopo la neve, si poté viaggiare nelle ore centrali e giungere a Malpensa nel primo pomeriggio. Linate invece che era la nostra destinazione prevista, era chiuso comunque.
Non fu una prima esperienza totalmente felice, ma...il tarlo rimase. (continua)
In quel periodo Iberia aveva due voli settimanali all’Avana, il lunedì e il giovedì. Uno proseguiva per Managua (Nicaragua) e l’altro per San José (Costa Rica) e il giorno di Natale non operava con nessun volo in partenza dagli aeroporti spagnoli.
Arrivammo all’Avana che era già pomeriggio inoltrato ci condussero all’Hotel Nacional che era uno dei pochi riaperti al turismo internazionale, gli altri erano: Riviera, Habana Libre (ex Hilton), Capri, Deauville e Sevilla. I primi due, col Nacional, erano considerati 5 stelle di classificazione locale, gli altri due di stelle ne avevano 4. C’erano anche il Saint John, il Vedado e il Colina che di stelle ne avevano tre, ma non venivano offerti al “nuovo” turismo europeo. Bisogna dire che, all’epoca, il Nacional le sue stelle non le aveva nemmeno sulla carta...La costruzione, integra nelle strutture esterne, era estremamente deteriorata all’interno a tutti i livelli: dalle porte d’ingresso alle camere, ai serramenti, i bagni e le stesse camere dalle pareti ricoperte di tappezzeria sbrecciata e ciondolante, ai soffitti con le strutture interne a vista, con letti matrimoniali arredati con due lenzuola singole messe di traverso...le prese e interruttori elettrici pericolosamente volanti, le lampadine spesso mancanti o bruciate. Non fu facile placare i malumori, nonostante lo “zoccolo duro” dei compagni presenti nel gruppo cercasse di giustificare la situazione, aiutando anche il lavoro delle guide cubane e quello di noi accompagnatori.
Ricordo però un particolare significativo di quei tempi: all'epoca fumavo e la prima sera cenammo al ristorante "di lusso" dell'albergo, l'Arboleda, la stanchezza ed il fuso orario mi fecero dimenticare sul tavolo un accendino d'argento che era un regalo di mia moglie. La mattina dopo, cercandolo e non trovandolo, lo detti per perduto, ma sceso allo stesso ristorante per la colazione, un cameriere me lo consegnò con un grande sorriso...e le mance non erano nemmeno accettate.
Passammo due notti all’Avana per poi raggiungere Santa Clara via Guamà, Cienfuegos e Trinidad. Il tempo era abbastanza buono e a Cienfuegos festeggiammo il capodanno...doppio: alle 18 si brindò per quello italiano e la sera festa in piscina per quello cubano. Nei tavoli vicini, c’erano solo cubani con invito a passare la serata per meriti lavorativi e un gruppetto di ingegneri e tecnici sovietici che stavano gettando le basi della futura centrale nucleare, mai terminata...Dopo santa Clara, tornammo verso occidente con una sosta di tre giorni a Varadero, prima di rientrare per una notte all’Avana in attesa del successivo ritorno in Italia. La fortuna non fu benigna con noi...durante il soggiorno a Varadero entrò un “frente frío” che portò vento e mare mosso. La permanenza all’hotel Internacional che con Kawama, Arenas Blancas, Villa Cuba e Oasis erano gli unici esistenti allora, non fu facile data la mancanza di qualsiasi intrattenimento diurno. C’era un solo tavolo da ping pong nel terrazzo posteriore, ma era impossibile giocare a causa del vento. Una delle alternative era di sdraiarsi nel prato antistante l’albergo, protetto dal vento e quindi senza vista mare...per raccontarsi barzellette o altre amenità che facessero trascorrere il tempo. In realtà si potevano prendere a noleggio delle biciclette made in URSS...terrificanti, pesavano moltissimo ed a avevano il freno a contropedale, la direzione del vento da nord-ovest poi favoriva una direzione e penalizzava l’opposta, in una località con un’unica strada come era allora Varadero, ricca di saliscendi non era facile, per tutti, montare in bicicletta a quelle condizioni.
Tornati all’Avana il tempo si era ristabilito e l’ultima sera ci fu la chiusura in bellezza al Cabaret Tropicana. Il pomeriggio seguente partenza per Milano via Madrid, ma... giunti nello spazio aereo spagnolo, il comandante avvertì che l’aeroporto di Madrid era chiuso per ragioni di sicurezza: si segnalavano bombe in varie parti della città, aeroporto compreso. Il pilota proseguì dicendo che per ragioni di autonomia, l’unico scalo che poteva raggiungere, in alternativa era quello di Alicante...nell’estremo sud della Spagna. Sbarcati in Andalusia ci montarono su autobus con destinazione Barcellona da dove dovevamo proseguire in volo per Milano, ma...durante il cammino ci informarono che gli aeroporti di Milano erano chiusi per neve. Dopo aver viaggiato una giornata intera sui bus, arrivammo a Barcellona la sera dove ci ospitarono in albergo, sperando che il giorno successivo riaprissero gli aeroporti milanesi. Così fu infatti e nonostante la nebbia in agguato, dopo la neve, si poté viaggiare nelle ore centrali e giungere a Malpensa nel primo pomeriggio. Linate invece che era la nostra destinazione prevista, era chiuso comunque.
Non fu una prima esperienza totalmente felice, ma...il tarlo rimase. (continua)
sabato 15 giugno 2013
Cuba e il turismo (1)
Prima del 1959, il turismo verso Cuba era monopolio degli statunitensi che vi si recavano, maggiormente, per soddisfare i propri vizi: gioco, alcol, sesso. Questi fattori ebbero un grande impulso specialmente con il 2° governo di Fulgencio Batista Zaldívar dopo il colpo di stato del marzo 1952. I suoi legami con le cosche mafiose si fecero sempre più stretti, fino alla sua capitolazione. Era anche logico questo monopolio, dal momento che l’Europa è lontana ed all'epoca non esistevano mezzi di locomozione rapidi ed efficienti che permettessero, come più tardi avvenne, delle visite di media e corta durata.
Negli anni ’60 il termine “turismo” fu completamente dimenticato perché le priorità di un Paese in cambiamento radicale erano ben altre e vi erano anche motivi di sicurezza interna e per eventuali visitatori. Erano attive sacche controrivoluzionarie armate, attentati e sabotaggi erano frequenti, l’opposizione radicata in Florida non aveva rinunciato ai suoi piani, nonostante la sconfitta della Baia dei Porci. Cuba era anche isolata internazionalmente a causa delle pressioni degli Stati Uniti: in America solo Canada e Messico avevano mantenuto qualche relazione e in Europa Occidentale solo la Spagna; fu inevitabile rafforzare i legami col campo socialista. Soltanto nella decade successiva si riaprì l’ingresso ai visitatori “non di affari” o di carattere non strettamente politico, riutilizzando strutture che stavano diventando ormai quasi inutilizzabili per gli anni di abbandono. Non si volle comunque, allora, un turismo indiscriminato, ma un turismo con basi sociopolitiche e culturali, pertanto avveniva già una “selezione” all’origine sconsigliando la meta a chi sognava il classico viaggio di divertimento ai Caraibi.
La “nascita” del turismo moderno a Cuba, almeno per quello che riguarda la parte italiana, in un certo senso trainante per l’Europa, si deve a un gruppetto di compagni comunisti legati all’impresa Interexpo che negli anni della “guerra fredda” si occupava di scambi commerciali con l’allora Unione Sovietica. A Franco Lucchetta e Arnaldo Cambiaghi in particolare, con altri, venne l’idea di creare un flusso turistico verso Cuba attraverso l’Agenzia Italturist, di proprietà della Lega delle Cooperative ed alla metà degli anni ’70 del secolo scorso parteciparono ad un “seminario” nell’Isola indetto dall’INIT che fu l’ente predecessore dell’INTUR e poi MINTUR. A loro, si erano aggiunti, nel frattempo, Alfredo Bassani e Vando Martinelli come settore operativo. La tecnologia aeronautica era ormai data dai motori a reazione e le distanze si riducevano in termini di tempo.
Giunti all’Avana, conobbero gli incaricati di sviluppare il settore turistico, affidato all’Agenzia Cubatur, unico organismo ricettivo e gettarono le basi per iniziare un turismo “selezionato” attraverso Italturist e poi con la consociata Unità Vacanze.
I primi viaggi furono quasi rocamboleschi, dal momento che Cuba era una meta molto “seguita” dai servizi di sicurezza italiani e “alleati”. Le partenze avvenivano da Milano con “destinazione” Praga. In qualche caso, per motivi di operatività aerea si dovette raggiungere la capitale ceca in treno. Fortunatamente questo periodo di “discrezione” non durò molto, era ridicolo veder sbarcare a Malpensa dei turisti provenienti dall’Europa centro settentrionale con cappelli di paglia, sigari e vistose abbronzature. In seguito si aprirono altre vie come Berlino Est e Madrid. I voli via Paesi socialisti erano costretti, oltre al cambio di aereo nelle rispettive capitali, ad uno scalo tecnico in Canada (Montreal o Gander, nell’isola di Terranova), si effettuavano con aerei del tipo TU134, apparecchi di evidente derivazione militare, nella tratta europea e IL62 in quella transatlantica. La poca autonomia degli IL62 li costringeva, in caso di forti venti contrari, ad effettuare uno scalo tecnico anche a Shannon (Irlanda) prima di affrontare la traversata atlantica. La via più “comoda” era ovviamente da Madrid che si raggiungeva con un Boeing 727 di Iberia e poi, dapprima con un Mac Donnel Douglas DC8 e successivamente DC10 della stessa compagnia che non aveva mai cessato di volare a Cuba nonostante il regime franchista. A questo proposito, alle pressioni degli USA perché sospendesse i voli, Franco rispose che “Cuba era un’affare di famiglia”. Non erano comunque viaggi confortevoli, le coincidenze non erano quasi immediate come oggi, per esempio da Milano si partiva il mattino e si doveva attendere a Madrid fino a notte fonda per proseguire verso l’Avana. Fortunatamente per gli italiani non era un problema uscire e rientrare dall’aeroporto e passare la giornata e parte della serata in città. In questi primi anni, tutti i partecipanti a viaggi a Cuba erano fotografati da camere occulte in aeroporto e schedati dalla DIGOS. La maggior parte di questi primi turisti era, naturalmente, di matrice se non comunista almeno di sinistra, però non proprio tutti, c’era chi era comunque curioso di conoscere un Paese così “isolato” dal resto del mondo. Le cifre erano irrisorie, i primi anni si parlava di 1500/2000 partenze l’anno. Per un accordo sottoscritto fra i partiti comunisti dei due Paesi, gli italiani potevano entrare a Cuba per 90 giorni senza necessità di visto per ragioni turistiche. Non c’era però reciprocità da parte de Governo italiano che richiedeva il visto per l’ingresso dei cubani in Italia.
All’epoca gli stranieri in giro per Cuba erano per la stragrande maggioranza cittadini dei paesi del COMECON, perlopiù sovietici e i pochi italiani che circolavano per le strade venivano avvicinati dai cubani con un approccio tipo: “tovarich, tu soviet?” L’unico turismo di un certo rilievo economico e di presenze era quello canadese, ma era diretto alle spiagge. Non facevano turismo “culturale” nelle città.
Non esistevano strutture per il “turismo individuale” che non veniva accettato, ma si doveva arrivare in gruppi precostituiti e con un itinerario prestabilito. Il servizio era di pensione completa e tutte le visite erano incluse nel “pacchetto”, compreso il celeberrimo cabaret Tropicana. Naturalmente, una volta giunti al luogo di destinazione, nel tempo libero, si aveva la possibilità di girare per conto proprio, ma...l’offerta di servizi o beni non era proprio allettante o soddisfacente la domanda...(continua)
Negli anni ’60 il termine “turismo” fu completamente dimenticato perché le priorità di un Paese in cambiamento radicale erano ben altre e vi erano anche motivi di sicurezza interna e per eventuali visitatori. Erano attive sacche controrivoluzionarie armate, attentati e sabotaggi erano frequenti, l’opposizione radicata in Florida non aveva rinunciato ai suoi piani, nonostante la sconfitta della Baia dei Porci. Cuba era anche isolata internazionalmente a causa delle pressioni degli Stati Uniti: in America solo Canada e Messico avevano mantenuto qualche relazione e in Europa Occidentale solo la Spagna; fu inevitabile rafforzare i legami col campo socialista. Soltanto nella decade successiva si riaprì l’ingresso ai visitatori “non di affari” o di carattere non strettamente politico, riutilizzando strutture che stavano diventando ormai quasi inutilizzabili per gli anni di abbandono. Non si volle comunque, allora, un turismo indiscriminato, ma un turismo con basi sociopolitiche e culturali, pertanto avveniva già una “selezione” all’origine sconsigliando la meta a chi sognava il classico viaggio di divertimento ai Caraibi.
La “nascita” del turismo moderno a Cuba, almeno per quello che riguarda la parte italiana, in un certo senso trainante per l’Europa, si deve a un gruppetto di compagni comunisti legati all’impresa Interexpo che negli anni della “guerra fredda” si occupava di scambi commerciali con l’allora Unione Sovietica. A Franco Lucchetta e Arnaldo Cambiaghi in particolare, con altri, venne l’idea di creare un flusso turistico verso Cuba attraverso l’Agenzia Italturist, di proprietà della Lega delle Cooperative ed alla metà degli anni ’70 del secolo scorso parteciparono ad un “seminario” nell’Isola indetto dall’INIT che fu l’ente predecessore dell’INTUR e poi MINTUR. A loro, si erano aggiunti, nel frattempo, Alfredo Bassani e Vando Martinelli come settore operativo. La tecnologia aeronautica era ormai data dai motori a reazione e le distanze si riducevano in termini di tempo.
Giunti all’Avana, conobbero gli incaricati di sviluppare il settore turistico, affidato all’Agenzia Cubatur, unico organismo ricettivo e gettarono le basi per iniziare un turismo “selezionato” attraverso Italturist e poi con la consociata Unità Vacanze.
I primi viaggi furono quasi rocamboleschi, dal momento che Cuba era una meta molto “seguita” dai servizi di sicurezza italiani e “alleati”. Le partenze avvenivano da Milano con “destinazione” Praga. In qualche caso, per motivi di operatività aerea si dovette raggiungere la capitale ceca in treno. Fortunatamente questo periodo di “discrezione” non durò molto, era ridicolo veder sbarcare a Malpensa dei turisti provenienti dall’Europa centro settentrionale con cappelli di paglia, sigari e vistose abbronzature. In seguito si aprirono altre vie come Berlino Est e Madrid. I voli via Paesi socialisti erano costretti, oltre al cambio di aereo nelle rispettive capitali, ad uno scalo tecnico in Canada (Montreal o Gander, nell’isola di Terranova), si effettuavano con aerei del tipo TU134, apparecchi di evidente derivazione militare, nella tratta europea e IL62 in quella transatlantica. La poca autonomia degli IL62 li costringeva, in caso di forti venti contrari, ad effettuare uno scalo tecnico anche a Shannon (Irlanda) prima di affrontare la traversata atlantica. La via più “comoda” era ovviamente da Madrid che si raggiungeva con un Boeing 727 di Iberia e poi, dapprima con un Mac Donnel Douglas DC8 e successivamente DC10 della stessa compagnia che non aveva mai cessato di volare a Cuba nonostante il regime franchista. A questo proposito, alle pressioni degli USA perché sospendesse i voli, Franco rispose che “Cuba era un’affare di famiglia”. Non erano comunque viaggi confortevoli, le coincidenze non erano quasi immediate come oggi, per esempio da Milano si partiva il mattino e si doveva attendere a Madrid fino a notte fonda per proseguire verso l’Avana. Fortunatamente per gli italiani non era un problema uscire e rientrare dall’aeroporto e passare la giornata e parte della serata in città. In questi primi anni, tutti i partecipanti a viaggi a Cuba erano fotografati da camere occulte in aeroporto e schedati dalla DIGOS. La maggior parte di questi primi turisti era, naturalmente, di matrice se non comunista almeno di sinistra, però non proprio tutti, c’era chi era comunque curioso di conoscere un Paese così “isolato” dal resto del mondo. Le cifre erano irrisorie, i primi anni si parlava di 1500/2000 partenze l’anno. Per un accordo sottoscritto fra i partiti comunisti dei due Paesi, gli italiani potevano entrare a Cuba per 90 giorni senza necessità di visto per ragioni turistiche. Non c’era però reciprocità da parte de Governo italiano che richiedeva il visto per l’ingresso dei cubani in Italia.
All’epoca gli stranieri in giro per Cuba erano per la stragrande maggioranza cittadini dei paesi del COMECON, perlopiù sovietici e i pochi italiani che circolavano per le strade venivano avvicinati dai cubani con un approccio tipo: “tovarich, tu soviet?” L’unico turismo di un certo rilievo economico e di presenze era quello canadese, ma era diretto alle spiagge. Non facevano turismo “culturale” nelle città.
Non esistevano strutture per il “turismo individuale” che non veniva accettato, ma si doveva arrivare in gruppi precostituiti e con un itinerario prestabilito. Il servizio era di pensione completa e tutte le visite erano incluse nel “pacchetto”, compreso il celeberrimo cabaret Tropicana. Naturalmente, una volta giunti al luogo di destinazione, nel tempo libero, si aveva la possibilità di girare per conto proprio, ma...l’offerta di servizi o beni non era proprio allettante o soddisfacente la domanda...(continua)
venerdì 14 giugno 2013
Ricorrenze celebri: 14 giugno
Il 14 di giugno ha visto la nascita, in epoche diverse, di due personaggi essenziali nella storia di Cuba: Antonio Maceo Grajales (Santiago de Cuba 1845 - Punta Brava 07/12/1896) e Ernesto Guevara de la Serna, universalmente conosciuto come "Che Guevara" (Rosario, Argentina 1928 - La Higuera, Bolivia 07/10/1967). Questo "fil rouge" della nascita li ha anche visti morire, uno stesso giorno di mesi e anni diversi, come combattenti in circostanze abbastanza simili. Il generale, caduto in una imboscata da parte di una colonna spagnola e il "Che" in una dell'esercito boliviano che dopo averlo catturato, ferito e in preda a una forte crisi di asma, di cui soffriva, lo trasferì in una piccola scuola dove venne ucciso a sangue freddo.
Il soprannome di Ernesto Guevara gli venne dato dai compagni di lotta cubani che lo sentivano frequentemente intercalare il "che" tipico degli argentini, un po' come il "ciò" dei veneti.
Il soprannome di Ernesto Guevara gli venne dato dai compagni di lotta cubani che lo sentivano frequentemente intercalare il "che" tipico degli argentini, un po' come il "ciò" dei veneti.
giovedì 13 giugno 2013
Cuba e il professionismo nello sport
Continuano i brevi e timidi, ma costanti, passi per il riavvicinamento di Cuba allo sport professionistico. Dopo l'annunciata partecipazione di pugili cubani a un torneo in cui partecipano professionisti della boxe, adesso c'è l'annuncio che anche lo sport nazionale tornerà a misurarsi con squadre professionistiche partecipando alla "Serie del Caribe 2014", dopo 53 anni di assenza da questo torneo.
Sempre nel campo del baseball, è stato concesso al giocatore cubano Michel Enriquez di firmare un contratto per la squadra messicana "Los Piratas de Campeche". Dopo il "Niño" Linares che fu autorizzato a giocare per "I Dragoni di Cunichi" in Giappone e altri tre atleti della specialità che furono autorizzati a firmare contratti professionistici nel passato: Luis Pedro Lazo, German e Victor Mesa (attuale allenatore della Nazionale), ma solo dopo il ritiro dallo sport attivo, sembra essere un altro segnale di una lenta volontà di effettuare "aperture" in questo campo.
Sempre nel campo del baseball, è stato concesso al giocatore cubano Michel Enriquez di firmare un contratto per la squadra messicana "Los Piratas de Campeche". Dopo il "Niño" Linares che fu autorizzato a giocare per "I Dragoni di Cunichi" in Giappone e altri tre atleti della specialità che furono autorizzati a firmare contratti professionistici nel passato: Luis Pedro Lazo, German e Victor Mesa (attuale allenatore della Nazionale), ma solo dopo il ritiro dallo sport attivo, sembra essere un altro segnale di una lenta volontà di effettuare "aperture" in questo campo.
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