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venerdì 27 dicembre 2013

Intervista ad Alexis Valdés

Nello spirito del “disgelo culturale” fra le due sponde dello Stretto della Florida, mi sembra interessante pubblicare questa intervista della giornalista Susana Méndez Muñoz, apparsa sulla rivista OnCuba, con Alexis Valdés popolarissimo attore comico cubano, attualmente residente a Miami.



Alexis Valdés: Il pubblico, a Cuba, mi ha coccolato

OnCuba – di Susana Méndez Muñoz, pubblicato il 15 dicembre 2013

L'attore e umorista cubano Alexis Valdés, non ha mai smesso di essere notizia, ma in questi giorni i motivi per intervistarlo si risvegliano: ha in cartellone, dal mese di settembre, con grande successo il monologo El Cavernicola al Teatro Trail di Miami e ha appena presentato alla Fiera del Libro di quella città il suo primo libro intitolato Con todo mi umor.

Se fosse poco, corre di bocca in bocca e da messaggio a messaggio, un sentimento di incertezza sul suo ritorno, o meno, alla televisione, dopo la sospensione della messa in onda del suo programma Esta Noche Tu Night, del canale Mega TV.

Le interviste via posta elettronica, generalmente, sono molto fredde, ma con Alexis Valdés non c'è niente di freddo; con la compagnia immutabile della risata intelligente ha conversato con OnCuba -  con circa 10 risposte – di queste notizie e di altre cose ineludibili fra cubani.

A cosa attribuisce che Esa noche Tu Night sia giunto ad essere il programma umoristico con maggior audience nella televisione hispana?

Esta Noche Tu Night – che fu un seguito, migliorato, di Seguro que yes, fu un programma che portò ai cittadini di Miami una proposta fresca di umore, un miscuglio di quello che avevo imparato in Spagna, a Cuba e nel mondo. Fu una proposta audace e rinnovatrice nel contesto di Miami.
Sopratutto fummo onesti e non semplicisti. Cosa ha sempre fatto successo? Far umore con la politica cubana? Bene, non facciamolo. All'inizio I dirigenti non credevano fosse possibile. Io si ci credevo, perché penso che l'essere umano ha sempre l'istinto di migliorare e noi stavamo dicendo alla gente: “vi meritate qualcosa di meglio, di più elaborato”. Questo è piaciuto al pubblico.
Direi che il successo di entrambi I programmi, il momento di fulgore, si è estesa dal 2005 al 2010, più o meno. Dopo, noi stessi, abbiamo cominciato a ripeterci. La televisione quotidiana stanca molto, se vuoi farla con creatività.

Nelle sue attuazioni in Esta Noche Tu Night, frequentemente lei usava una specie di “imparzialità umoristica”; vorrebbe concettualizzare dal punto di vista dell’umorismo questa, diciamo, tendenza?

Non so cosa vuol dire con imparzialità umoristica, suppongo a che si riferisca a che si andava “contro tutte le bandiere”. Credo che un commediante – che è un questionante della società –  non debba tenere compromessi con tendenze politiche. Tutti abbiamo un’idea politica e sempre si fa qualcosa in cui appare, ma non sarebbe onesto usare l’umorismo per fare opportunismo politico, sì per questionare i politici, perché se non lo fanno i commedianti, chi lo fa? Diceva Martí: “L’umore è una frusta con campanelli sulla punta”.

Lei sa che questo programma è stato seguito a Cuba e nonostante non sia andato in onda si continua a vedere? Cosa le provoca questo?

Mi rende felice. È il mio Paese, è la mia gente e fu regalato. Non lo facemmo con questo proposito. Successe. Io lavoravo per il mercato in cui mi trovavo, Miami. Un giorno ci dissero: “Lo spettacolo è un successone a Cuba” e dicemmo, ebbene teniamo presente che stiamo lavorando anche per il pubblico a Cuba, così cominciammo a fare cose pensando anche alla gente dell’Isola.
Arrivò il momento in cui io sentivo una certa responsabilità con ciò. La gente di Cuba si spoglia della sua lotta quotidiana con noi, dobbiamo prosegure per loro, pensai anche a questo. Ogni volta che analizzo di tornare in televisione, penso anche al pubblico che a Cuba ha bisogno di ridere.

Ci sono, su entrambe le sponde, rumori sul suo ritorno, o meno, alla televisione. Potrebbe dire qualcosa in merito?

Cis stiamo pensando da molto, ah ah. È un anno che sto lottando per condizioni di lavoro che mi rendano un po’ più felice. La gente crede che è solo per soldi. Se fosse solo per soldi farei il banchiere, non il comico. Anche se conosco comici che dovrebbero essere banchieri e banchieri che dovrebbero essere comici. Siamo quasi al termine delle trattative. Forse in gennaio potrei essere in onda.

Nello scorso mese di settembre lei ha esordito al Teatro Trail di Miami il monologo El cavernicola, commedia scritta dall’attore nordamericano Rob Becker, nel 1991, premio Laurence Olivier alla miglior opera d’intrattenimento dell’anno. Per la prima volta lei sale al palco con un’opera non sua. Che elementi concettuali o formali le interessarono di questa piéce per volerla interpretare?

Mi è piaciuta l’argomentazione del testo, la sua intenzione di unire e non dividere, qualcosa che si muove sempre e il suo successo mondiale; ho pensato, “ se ha funzionato ovunque, chi sono io per non farla?”, pensandola così ho indovinato.
È un testo magico che tratta di spiegare in modo divertente le differenze e le inconformità di uomini e donne. Magari un giorno avessi la luce per scrivere qualcosa di simile, che unisca otto milioni di spettatori nel mondo.
Sta avendo un grande successo, probabilmente il successo più brillante del teatro a Miami e sono grato per questo. Sono tornato a sentirmi artista e attore facendo El Cavernicola.
Raccomando a chiunque legga questa intervista, se può, che veda l’opera. È qualcosa di umico, un treno di risate. Ringrazio il Teatro Trail, Nancio Novo, amico e attore spagnolo che la diresse, Claudia Valdés che mi ha aiutato e tutti coloro che hanno messo il loro sassolino. Se volete www.teatrotrail.com o 3054431009, non se ne pentiranno.

È un monologo molto utilizzato, si dice che lo hanno visto oltre otto milioni di persone in diversi Paesi, è stato tradotto in circa 30 lingue. Cosa ha apportato, lei, a questo libretto?

Io ho fatto il mio adattamento cubano-miamense; gli ho inserito le mie barzellette, le mie  battute, il mio modo di vivere. Ho lavorato sul testo per un paio di mesi. Il presidente della compagnia islandese padrona dei diritti mi disse: “durante i primi 10 minuti la gente non ride, ma non preoccuparti, l’opera è così”. Ma io non posso stare 10 minuti senza che la gente rida, mi deprimo. Così che i primi 10 minuti l’ho adattata “per scompisciarsi”, ah ah.

Com’è stata la reazione della critica e del pubblico?
Da qualche parte è uscita una critica che sembrava l’avessi pagata, ah ah...; dice che Rob Becker, senza saperlo, la scrisse per me. È un gran complimento e ringrazio il giornalista, mi ha fatto alzare l’autostima per tutta una settimana. Ma è il pubblico che ha fatto tutto, con le sue risate i suoi applausi e con questo passaparola che riempie il teatro ogni settimana. Non avevo mai fatto uno spettacolo nel cui finale, tutte le sere, si alzassero tutti in piedi, wow!

Quali sono le sue esperienze nello spagnolo Club de la Comedia? Di cosa si è impadronito lì?

El Club de la Comedia ha cambiato l’umorismo in Spagna, e io mi sento onorato di aver fatto parte di quel primo gruppo di comici che lo fece. Ho scritto molto per il Club e questo mi ha avvicinato al mestiere di scrittore umorista, grazie al Club esiste il libro Con todo mi humor.

È stato, precisamente, presentato solo da pochi giorni alla Fiera Internazionale del Libro di Miami questo volume, Con todo mi humor sul quale lei ha dichiarato: “Sicuramente, quando torneranno a vedermi in televisione, al cine o a teatro, sorrideranno in maniera più complice e diranno, “Questo tipo io lo conosco abbastanza bene”; è la sua autobiografia?

Ah ah. No, non è la mia autobiografia. Forse quella non autorizzata? Ah ah, è una barzelletta. Sono monologhi e spezzoni della mia vita che hanno a che vedere con questi monologhi; è come il retroscena dei monologhi. Mi è piaciuto molto il processo di scrittura, tante cose le ho raccontate fra amici che si sbellicavano dalle risate e le ho portate sulla carta. Alla gente sta piacendo molto. Anch’io rido, rileggendolo. Ha anche momenti d’emozione, dedicati a mio padre, mia nonna  América, a mia madre. Credo che ti piacerebbe molto leggerlo...mi conosceresti meglio, quasi non avresti bisogno di intervistarmi.

Che umorista predilige e da chi ha imparato di più?

I miei prediletti sono sempre stati Chaplin, forse il più grande del mondo; Cantinflas, certamente il più grande in lingua spagnola; Leopoldo Fernández*, a suo tempo il comico cubano di maggior successo e con una gran trascendenza in America Latina.
Poi ho conosciuto Gila** in Spagna e ho imparato molto vedendolo, l’ho anche frequentato, gli altri no, naturalmente ammiro molto anche Peter Sellers, l’attore de La Pantera Rosa, The Party, Dal giardino e altre genialità.
Guillermo Alvarez Guedes ha influito con quel suo modo unico di raccontare una barzelletta e di dire una parola, presumibilmente volgare, continuando ad essere elegante. Anche questa è maestria.
Inoltre, nella mia giovinezza, in certa maniera hanno avuto influenza i miei conterranei Alejandro García “Virulo”, nel fare canzioni umoristiche, carlos Ruíz de la Tejera nell’essere artista oltre che umorista e naturalmente, mio padre Leonel Valdés, mio maestro involontario: da lui ho imparato che il comico, prima di tutto è un attore, con vis comica.

Nella breve rassegna del libro che appare nel sito www.prisaediciones.com  si può leggere: “il penetrante commediante cubano ci invita a una riunione dove parla senza censura, raccontandoci tutto ciò che in televisione non ha potuto dire. È così?

In televisione c’è sempre censura, cominciando da quel fischio che mettono quando, presuntamente dici una parolaccia. Ma che ipocrisia. Parolaccia  è“guerra” e si dice quotidianamente, o “corruzione”; il nome di alcuni politici è già una parolaccia, di più, è un’offesa. Però la televisione è così. Troppa ipocrisia e interessi. Fa parte del gioco e giochiamo. Il libro è...libero, fino a che lo prende il correttore di stile, ah però è vero dico cose che non dirò mai in televisione, non sarebbe nel contesto.


Com’è stato accolto dal pubblico della Fiera? Come sono le vendite?

In Fiera, molto bene ho firmato molte copie, abbiamo fatto molte foto e si sta vendendo in tutti i negozi di Miami e anche al teatro. Non ho bisogno che sia un best-seller per essere felice...però non mi dispiacerebbe per niente, eh? Incrociamo le dita.

Quali considera, in coscienza, le chiavi del suo successo?

In primo luogo la costanza. Sono sempre stato ostinato. Ho un amico in Spagna, che me lo dice sempre “caspita Alex, sei un lottatore instancabile”, me lo dice quasi arrabbiato, ah ah.
Sono sempre stato dedicato al lavoro. Una volta dovevo fare riposo per la voce e sono stato un mese con un cartello appeso al collo che diceva: “non posso parlare, posso scrivere”. Mio fratello Nelson lo ricorda sempre e mi dice; “questo lo puoi fare solo tu”.
Ho la capacità di sopportare gli sforzi, come i ciclisti scalatori, però oggi lo faccio solo se vale la pena. Forse un’altra cosa è l’onestà, il massimo che posso; anche questo ti porta inimicizie, ma almeno non sei nemico di te stesso. Se qualcosa non mi piace, non mi piace. Cerco di dirlo nel migliore dei modi, ma per chi non accetta la critica non c’è modo migliore, allora mi arrabbio e lo dico come mi viene. Devo superare questo...o no?

Cosa ricorda di più della sua relazione col pubblico di Cuba?

Molte cose. Pensa che fu il mio primo pubblico e mi dette tante gioie. Grandi no, immense. Tutto è cominciato col personaggio di Bandurria e la gente cominciò ad amarmi e a ridere con me. Fu una storia d’amore: essi mi davano le risate e io mi sforzavo di farlo meglio, nell’imparare, nel sorprendere. Il pubblico di Cuba mi ha coccolato. Quando le istituzioni culturali non mi tenevano ancora in conto, perché per loro ero ancora un principiante, un avventizio, il pubblico mi aveva già elevato di categoria e molto.
A partire da lì, con questa collaborazione, puoi essere libero di creare, di rischiare, perfino di sbagliarti. Perché quando ti amano, ti perdonano, ti giustificano, ti danno un’altra opportunità e un’altra ancora. Ricordo anche gente semplice, in strada, darmi un consiglio saggio per la mia carriera. Alcune rappresentazioni che feci come Bandurria in teatri e cabarets, furono tanto apoteosiche nelle risate che sento – pur sapendo che il ricordo idealizza – che c’era una magia, uno stato di grazia che non ho rivissuto mai più; o forse sì, ma già in modo diverso, senza quell’incoscenza felice.

Vorrebbe tornare a presentarsi sull’Isola?

Cuba è la mia terra. Li vive un sacco di gente che ha le mie stesse radici, la stessa infanzia, che è fondamentale. Quando i comici raccontano al pubblico la propria infanzia al pubblico della loro terra, questa stessa infanzia è condivisa con le sue tenerezze, le sue miserie, questo a volte è insuperabile.
Io, molti anni fa ho imparato a recitare per quelli che non erano della mia terra, a tradurre, a cercare quello che è così difficile come essere un comico generico, che può essere allo stesso modo a Madrid, New York o Santo Domingo. Questo fu qualcosa che ho cercato e ho percorso un buon pezzo di strada, credo.
Esci lì sulla scena come un torero e ti conquisti il pubblico affrontandolo e a volte tagli due orecchie. Ma col pubblico della tua terra entri già con un’orecchia in mano. Grazie a dio per avermi lasciato iniziare con un toro così buono.




*Leopoldo Augusto Fernández Salgado (Jagüey Grande, 26/12/1904 – Miami, 11/11/1985); umorista cubano, creatore e interprete del personaggio José Candelario Tres Patines, del programma di radio e telvisione La tremenda Corte.

**Miguel Gila Cuesta (Madrid, 12/3/12919 – Barcelona 13/7/2001) importante umorista spagnolo.


Alexis Valdés: El público en Cuba me mimó
OnCuba--Susana Méndez Muñoz 15 diciembre, 2013 Cultura
voEl actor y humorista  cubano Alexis Valdés, nunca  ha dejado de ser noticia, pero por estos días las razones para entrevistarlo se reaniman: tiene en cartelera desde el mes de septiembre con éxito rotundo, el monólogo El Cavernícola, en el Teatro Trail de Miami, y acaba de presentar en la recién finalizada Feria  Internacional del Libro de esa ciudad, su primer libro titulado Con todo mi humor.
Por si fuera poco corre de boca en boca, y de correo en correo, un sentimiento de incertidumbre ante su regreso o no a la televisión, luego de la suspensión de la salida al aire de su popular programa Esta Noche Tu Night, del canal Mega TV.
Las entrevistas vía correo electrónico, generalmente son muy frías, pero con Alexis Valdés, nada es frío; con la compañía invariable de la risa inteligente, conversó con OnCuba,-en aproximadamente diez mensajes-, de estas noticias y de otras cosas ineludibles entre cubanos. 
 ¿A qué atribuye que Esta Noche Tu Night, haya llegado a ser el programa de humor con mayor audiencia de la televisión hispana? 
Esta Noche Tu Night,- que fue una continuación mejorada de Seguro que Yes-, fue un programa que le llevó a la gente de Miami una propuesta fresca de humor, una mezcla de lo que yo había aprendido en España, en Cuba y en el mundo. Fue una proposición atrevida y renovadora en el contexto de Miami.
Sobre todo fuimos honestos y no facilistas. ¿Qué es lo que ha triunfado siempre?,  ¿Hacer humor con la política cubana? Pues no hagamos eso. Al principio los ejecutivos no creían que fuera posible. Yo sí creía, porque pienso que el ser humano siempre tiene el afán de mejorar, y le estábamos diciendo a la gente, “usted se merece ver algo mejor, más elaborado”. Eso le gustó a la gente.
Diría que el éxito de ambos programas, la época luminosa,  se extendió desde el 2005 hasta el 2010, más o menos. Después nosotros mismos comenzamos a autocopiarnos. Cansa mucho la televisión diaria si quieres hacerla con creatividad.
En sus actuaciones en Esta Noche Tu Night, frecuentemente usted utilizaba una especie de “imparcialidad humorística”; ¿quisiera conceptualizar desde el punto de vista del humor esta, digamos, tendencia?
No sé qué quiere decir imparcialidad humorística, supongo que se refiere a que íbamos “contra todas las banderas”. Creo que un comediante, -que es un cuestionador de la sociedad-, no debe tener compromisos con tendencias políticas. Todos tenemos un pensamiento político, y siempre sale algo en lo que haces, pero no sería honesto usar el humor para hacer oportunismo político, sí para cuestionar a los políticos, porque si no lo hacen los comediantes ¿quién lo va  hacer? Decía Martí, “El humor es un látigo con cascabeles en la punta”.
¿Usted conoce que este programa ha sido seguido en Cuba y a  pesar de no estar en el aire se sigue viendo? ¿Qué le hace sentir esto?
Me hace feliz. Es mi país, es mi gente y fue regalado. No lo hicimos con ese propósito. Sucedió. Yo actuaba para el mercado en que estaba, Miami. Un día nos dijeron “el show es un súper éxito en Cuba” y dijimos, pues tengamos en cuenta que además estamos trabajando para la gente de Cuba, y así empezamos a hacer cosas pensando también en la gente de la isla.
Llegó un momento en que yo sentía una cierta responsabilidad  con ello. La gente de Cuba se despeja de su lucha diaria con nosotros, tenemos que seguir por ellos, hasta eso pensé. Cada vez que analizo regresar a la televisión, pienso también en el público que necesita reír en Cuba.
¿Existen muchos rumores en ambas orillas sobre su regreso o no a la televisión. ¿Quisiera anunciar algo al respecto? 
Estamos en ello hace mucho, ja ja. Llevo un año peleando unas condiciones de trabajo y de contrato que me hagan un poco más feliz. La gente cree que es solo por dinero. Si solo me interesara el dinero sería banquero, no cómico. Aunque conozco cómicos que deberían ser banqueros y banqueros que deberían ser cómicos. Casi estamos a punto con las negociaciones .Tal vez en enero esté al aire.
En el pasado mes de septiembre usted estrenó en el Teatro Trail de Miami el monólogo El Cavernícola, comedia escrita por el actor norteamericano Rob Becker en 1991, premio Laurence Olivier a la mejor obra de entretenimiento, ese año. Por primera vez usted sube a las tablas con un texto ajeno. ¿Qué elementos conceptuales o formales le interesaron de esta pieza para querer interpretarla?
Me gustó el planteamiento del texto, su intención de unir y no dividir, algo que siempre me mueve, y su éxito mundial; pensé, “si ha funcionado en todas partes, ¿quién soy para negarme a hacerlo?”, y acerté pensando así.
Es un texto mágico que trata de explicar de manera divertida e inteligente las diferencias y desavenencias de hombres y mujeres. Ojala algún día tenga la luz para escribir algo parecido, que conecte con ocho millones de espectadores en el mundo.
Está siendo un gran éxito, tal vez el éxito reciente más sonado del teatro en Miami, y agradezco por ello. Me he vuelto a sentir artista y actor haciendo El Cavernícola.
Recomiendo a todo el que lea esta entrevista que, si puede, vea  la obra. Es algo único, un tren de risas. Agradezco al Teatro Trail, a Nancho Novo, amigo y actor español que la dirigió, a Claudia Valdés que tanto me ayudó,  y a todos los que han puesto su granito de arena. Si quieren www.teatrotrail.com o 3054431009, no se arrepentirán.
Este es un monólogo muy versionado, se dice que lo han visto  más de ocho millones de personas en diversos países, y ha sido llevado a cerca de 30 idiomas. ¿Qué aportó usted a este libreto?
Yo hice mi adaptación cubano-miamera; le puse mis chistes, mis ocurrencias, mis vivencias. Trabajé en el texto un par de meses. El presidente de la compañía islandesa dueña de los derechos me dijo, “durante los diez primeros minutos la gente no ríe, pero no te preocupes que la obra es así”. Pero yo no puedo estar diez minutos sin que la gente ría, me deprimo. Así que los primeros diez minutos los adapté: “pa mearse “, ja ja.
¿Cuál ha sido la reacción de la crítica y del público?
Por ahí salió una crítica que parece que yo la hubiera pagado ja ja…; dice que Rob Becker, sin saberlo, la escribió para mí. Es un gran piropo, y se lo agradezco al periodista, me subió la autoestima una semana entera. Pero el público lo ha hecho todo, con sus risas, sus aplausos, y con ese boca a boca que nos llena el teatro cada semana. Jamás hice un espectáculo en el que cada noche al terminar todos se pusieran de pie, cada noche, wow!

¿Cuáles son sus experiencias en el español  Club de la Comedia?, ¿de qué se apropió allí?
El Club de la Comedia cambió el humor en España, y yo me siento honrado de haber formado parte de aquel primer grupo de cómicos que lo hizo. Escribí mucho para el Club eso me acercó al oficio de escritor de humor, gracias al Club existe el libro Con todo mi humor.
Precisamente hace solo unos días se presentó en la Feria Internacional del Libro de Miami, este volumen, Con todo mi humor, del cual usted ha expresado: “Seguramente, cuando me vuelvan a ver en televisión, en el cine, en el teatro, sonreirán de otra manera, más cómplice, y dirán: «A este tipo yo lo conozco bastante bien»; ¿es su autobiografía?
Ja ja. No, no es mi autobiografía, tal vez mi autobiografía no autorizada? ja ja. Es un chiste. Son monólogos y pedazos de mi vida que tienen que ver con esos monólogos; es como el making of de los monólogos. Me gustó mucho el proceso de escribirlo,  tantas cosas que he contado entre amigos que se rompían de risa, las pude llevar al papel. A la gente le está gustando mucho. Hasta yo me rio releyéndolo. Tiene momentos de emoción también, dedicados a mi padre, a mi abuela América, a mi madre. Creo que te gustaría mucho leerlo…y me conocerías mejor,  casi ni tendrías que entrevistarme.
¿A qué humoristas reverencia, y de cuáles aprendió más?
Mis referentes siempre fueron Chaplin, quizás el más grande del mundo; Cantinflas, seguramente el más grande en español; Leopoldo Fernández*, en su época el más exitoso cómico cubano, y con una gran trascendencia en la radio latinoamericana.
Después conocí a Gila**,  en España, y aprendí mucho viéndole, incluso le traté, a los demás no, claro, y también admiro mucho a Peter Sellers, el actor de La Pantera Rosa, The Party, Desde el jardín, y de otras genialidades.
Guillermo Alvarez Guedes me influyó con esa  manera única de contar un chiste y de decir una palabra, que es supuestamente grosera, y seguir siendo elegante. Eso también es maestría.
En mi juventud además, de cierto modo me influyeron mis coterráneos Alejandro García, Virulo, en eso de hacer canciones de humor; Carlos Ruíz de la Tejera, en eso de ser artista además de humorista, y por supuesto mi padre, Leonel Valdés, mi maestro involuntario; de él aprendí que el cómico ante todo era actor, un actor con vis cómica.
En la breve reseña del libro que aparece en el sitio www.prisaediciones.com  se  puede leer: “el entrañable comediante cubano nos invita a una tertulia en la que habla sin censura, contándonos todo lo que en televisión no ha podido decir”. ¿Es así?
En la televisión siempre hay censuras, empezando por ese pito que te ponen cuando dices una supuesta mala palabra. Vaya hipocresía. Mala palabra “guerra”, y se dice a diario, o “corrupción”; el nombre de algunos políticos es ya un mala palabra, es más, una ofensa. Pero la televisión es así. Demasiada hipocresía e intereses. Es el juego y lo jugamos. El libro es libre…, hasta que lo coge el corrector de estilo ja, pero es verdad, digo cosas que jamás diré en la televisión, no sería el contexto.
¿Cómo fue la acogida por parte del público en la feria? ¿Qué tal las ventas?
En la feria, muy bien, firmé muchos ejemplares, nos hicimos fotos y se está vendiendo en todas las tiendas de Miami, y también en el teatro. No necesito que sea un bestseller para ser feliz…, pero tampoco me disgustaría nada ¿eh? Es más, crucemos los dedos.
¿Cuáles considera, concientemente, que son las claves de sus éxitos? 
La constancia el primero. Siempre fui un testarudo. Tengo un amigo en España que siempre me dice “joder Alex, eres un luchador incansable”, casi me lo dice cabreado, ja ja.
Siempre fui dedicado. Una vez tenía que hacer reposo de voz y estuve un mes sin hablar con un cartel colgado al cuello que decía ” no puedo hablar, puedo escribir”. Mi hermano Nelson siempre lo recuerda, y me dice, “eso solo lo haces tú”.
Tengo  la capacidad  de soportar esfuerzo, como los ciclistas de alta montaña, pero hoy en día solo lo hago si vale la pena. Tal vez la otra cosa es la honestidad, la máxima que puedo; esto también te trae enemigos, pero al menos no eres enemigo de ti mismo. Si algo no me gusta, no me gusta. Trato de decirlo de la mejor manera, pero para los que no aceptan las críticas no hay mejor manera, entonces me encabrono y lo digo de cualquier manera. He de superar eso…, o no.
¿Qué es lo que más recuerda de su relación con el público  en Cuba? 
Muchas cosas. Piensa que fue mi primer público y me dio grandes alegrías. Grandes no, inmensas. Todo empezó con el personaje de Bandurria y la gente empezó a quererme,  a reír conmigo. Fue una historia de amor: ellos me daban risas y yo me esforzaba en hacerlo mejor, en aprender, en sorprender. El público en Cuba me mimó. Cuando todavía las instituciones culturales no me tenían en cuenta, porque aún yo era para ellos un novato, un advenedizo, ya el público me había subido de categoría y mucho.
A partir de ahí, con esa colaboración, puedes ser libre para crear, para arriesgarte, hasta para equivocarte. Porque cuando te quieren, te perdonan, te justifican, te dan otra oportunidad y otra. Recuerdo hasta a gente simple en la calle, darme un consejo sabio para mi carrera. Algunas presentaciones que hice como Bandurria en teatros y cabarets, fueron tan apoteósicas en risas que siento, -aun sabiendo que el recuerdo idealiza-, que había una magia, un estado de gracia, que no volví a vivir jamás; o tal vez sí, pero ya de otra manera, sin aquella inocencia o inconciencia feliz.
 ¿Quisiera volver a presentarse en la Isla? 
Cuba es mi tierra. Ahí vive un montón de gente que tiene las mismas raíces que yo,  la misma infancia, que es fundamental. Cuando los cómicos cuentan su infancia al público de su tierra, esa infancia compartida con sus ternuras y sus miserias, eso a veces es insuperable.
Yo hace muchos años aprendí a actuar para los que no eran de mi tierra, a traducir, a intentar eso tan difícil que es ser un cómico genérico, que lo mismo se puede parar en Madrid, Nueva York o en Santo Domingo. Eso sí fue algo que busqué, y trabajé y he logrado un buen trecho del camino, creo.
Y sales ahí al ruedo como un torero, y te ganas al público, jugando el tipo y a veces hasta cortas dos orejas. Pero con el público de tu tierra ya entras con una oreja en la mano. Gracias Dios por haberme dejado empezar con un toro tan bueno.

* Leopoldo Augusto Fernández Salgado (Jagüey Grande, 26 de diciembre de 1904 – Miami, 11 de noviembre de 1985); humorista cubano, creador e intérprete del personaje José Candelario Tres Patines, del programa radial y televisivo La tremenda corte.
** Miguel Gila Cuesta (Madrid, 12 de marzo de 1919 – Barcelona, 13 de julio de 2001); importante humorista español.






Consorteria

CONSORTERIA: sfortunato

Le foto di Franco 3





giovedì 26 dicembre 2013

Consorte

CONSORTE: fortunato

Le foto di Franco 2





mercoledì 25 dicembre 2013

Consorella

CONSORELLA: assieme a una figlia dei medesimi genitori

martedì 24 dicembre 2013

Italiani a Cuba: Franco Oriot, fotografo




Milanese di nascita, Franco Oriot, come molti suoi concittadini ha la passione per girare il mondo. A questa passione si è unita quella, grande, per la fotografia che da hobby è diventata ormai il suo lavoro principale. Ha lasciato un’attività imprenditoriale nella ristorazione per conoscere e immortalare nuovi orizzonti. Adesso la sua sfida è a Cuba, dove si è introdotto con energia nel campo della fotografia commerciale con risultati di tutta soddisfazione, introducendo un modo nuovo di concepire le classiche fotografie da cerimonia. Coi suoi 50 anni portati con disinvoltura, un fisico asciutto da chi non indugia negli ozi, nel suo “vagabondaggio” ha vissuto diversi anni in Africa dove ha realizzato una impressionante serie di immagini d’ambiente e, naturalmente, di animali. Il suo ricco archivio oltre a raccogliere immagini di praticamente tutti, o quasi, i Paesi dell’Africa Australe, contiene anche fotografie fatte in Asia, particolarmente Cambogia e Vietnam. La qualità delle immagini parla da sola, eccellente la composizione, l'illuminazione, l’accostamento cromatico e un’impeccabile messa a fuoco, spesso effettuata in condizioni non proprio ideali. Franco mi ha autorizzato a pubblicare una parte delle sue immagini, lasciandomi la discrezione e l’imbarazzo di scegliere i soggetti. Credo che avrò materiale in abbondanza da sottoporre ai lettori, non senza un ringraziamento all’autore.

La prima immagine selezionata ha ottenuto il 4° premio al Foto Contest Internazionale 2013, indetto dalla rivista Oasis per la categoria Gente e Popoli, le altre appartengono a una serie sui battesimi nelle chiese cubane.










Conserva

CONSERVA: avere una collaboratrice familiare (termine in disuso da molti anni in quanto "unpolitically correct")

lunedì 23 dicembre 2013

Congegno

CONGEGNO: accompagnarsi a una mente brillante

Le carte private di Clavelito, di Ciro Bianchi Ross pubblicato su Juventud Rebelde del 22/12/13

Nonostante, forse qualcuno lo metta in dubbio, il vero nome di Miguel Alfonso Pozo, meglio conosciuto con l’appellativo di Clavelito, era proprio Clavelito. Così almeno lo fu dal 18 agosto del 1954 fino alla sua morte il 21 giugno del 1975. Vuol dire che ci furono due soggetti in una sola persona. Uno di essi si chiamò Miguel Alfonso Pozo da quando nacque a Ranchuelo, attuale provincia di Villa Clara, il 29 settembre del 1908 e un altro che a partire dal 1954 si chiamerà Clavelito Miguel Alfonso Pozo fino al termine della vita.
Il cambio si effettuò in virtù di quanto disposto dal Ministro della Giustizia che era a sua volta protetto dal Decreto Legge n. 1951 del 1954 che obbligava l’annotazione d’ufficio di detta modifica nel libro del Registro Civile. Così consta al foglio 361 del tomo 17 del Registro Speciale di Cambio, Aggiunta e Modifica di Nomi e Cognomi del Ufficio del Registro e Notariato del Ministero di Giustizia.
Perché questo cambio? Il secondo cognome della madre di Miguel Alfonso Pozo era Clavero. Come succede molte volte, il cognome più sonoro è quello che predomina per identificare una famiglia. Non importa che sia del padre o della madre, nemmeno che sia il primo o secondo cognome. A Ranchuelo la famiglia di Miguel era la famiglia Clavero o i Claveros e come lui era il più piccolo dei fratelli, la gente lo conosceva come Clavelito. Fin da bambino trascinò con sé questo soprannome che divenne il suo nome d’arte e quello proprio.
Era un buon poeta di stornelli. Le rime che scrisse per la serie radiofonica di Pepe Cortés – un bandito romantico come Manuel García rubava ai ricchi per dividere il bottino fra i poveri – gli valsero la celebrità e la sua popolarità fu enorme grazie a quelle controversie tra le bionde e le more, le magre e le grasse, le nubili e le sposate...che sostenne con La Calandría ne El Rincón Críollo, spazio trasmesso dalla CMQ.
Però Miguel Alfonso Pozo – Clavelito – animato, diceva, dal desiderio fervente di aiutare il prossimo, un giorno cominciò a farlo a mezzo del suo programma radiofonico e la sua fama crebbe come la schiuma. La gente allora lo vide come un “preoccupato e attento consigliere” a chi si poteva chiedere la soluzione di un problema pratico o di un problema sentimentale e anche la cura della salute malmessa, cosa che lo convertì “nel primo ciarlatano del Paese, appoggiato a un microfono dalla lontana e profonda risonanza”.
Questa celebrità, già nella decade del ’50, gli fece pensare alla possibilità di dedicarsi alla politica. Poteva candidarsi a un posto come rappresentante alla Camera. C’era un solo inconveniente: il Codice Elettorale esigeva che il candidato a qualunque incarico elettivo, utilizzasse il nome con cui era iscritto al Registro di Stato Civile. Non erano validi appellativi, pseudonimi o soprannomi. Non si potevano utilizzare nemmeno, nel caso che il candidato lo avesse, il secondo nome al posto del primo. Il nome di Miguel Alfonso Pozo non diceva niente a nessuno. Quello di Clavelito trascinava un popolo.
Lo scriba non può precisare, adesso, se giunse a candidarsi. Il figlio minore, Narciso, crede che lo fece. Non è sicuro, non era ancora nato a quel tempo. In ogni modo, se lo fece non venne eletto. Sua figlia Rosita mi disse, tempo fa in un messaggio elettronico: “In realtà egli non era un politico, ma i politici dell’epoca lo scelsero perché era famoso e aveva molti seguaci”.
Se ami la vita, non perdere il tempo
Fu proprio Narciso che mise nelle mie mani il documento sul cambio di nome, fra le altre carte private di suo padre. Fra queste ci sono due documenti firmati das Alejo Carpentíer, allora vice presidente del già scomparso Consiglio Nazionale della Cultura. Sono del 29 marzo del 1962 e ciascuno certifica la pubblicazione di cui l’autore è Clavelito: Clarivel, romanzo d’amore e dolore apparsa nel 1961 con il marchio di Cárdenas e Compagnia e una tiratura di mille copie; l’altro, dello stesso anno e lo stesso marchio, con cinquemila copie, si intitola Verso la felicità (Un viaggio attraverso gli astri).
Altri titoli suoi sono: L’uomo del destino e I miracoli. Inoltre: I canti di Clavelito e Controversie. È anche autore di una Enciclopedia della felicità.
Nelle pagine di questo ultimo titolo mise molteplici consigli scritti, con gran uso di sintesi. Massime concise che condensano un pensiero maturato a lungo ed esprimono tutta una filosofia di vita.
Eccone alcuni esempi:
Non usiamo mai nessun cammino contorto. La semplicità e la giustizia devono essere sempre presenti nel nostro pensiero”.
La felicità è uno stato d’animo e come tale si crtea e risiede in noi stessi, dentro di ciascuno”.
Nel matrimonio, che la legge sia uguale per entrambi”.
Se ami la vita, non perdere tempo”.
Non c’è sole che duri tutto il giorno”.
Se vuoi sapere quanto vale il denaro, chiedilo in prestito”.
Chi vive di illusioni, muore di fame”.
Un altro documento, un “Foglio di dichiarazioni di opere”, svela il letterato e compositore. È autore di oltre 25 “pezzi” tra sones montunos, guajiras, danzones, guarachas, canciones, tonadas e rumbas (ritmi cubani. n.d.t.), alcuni di loro molto popolari come El caballo y la montura e La guayabera, entrambe con musica di Eduardo Saborít, altre volte la musica è di Miguel Ojeda, in altre la musica è del proprio Clavelito e le parole di Saborít, anche se non mancano quelle in cui Clavelito è autore della musica e dei testi.
Si conserva anche un contratto firmato fra l’artista e l’emittente Unión Radio per il periodo compreso fra il 1° di luglio del 1953 e il 30 giugno dell’anno successivo. L’azienda si impegna a pagargli un salario di 500 pesos mensili più 45 pesos e 45 centavos corrispondenti al 9,09 del riposo retribuito. In cambio, l’artista “a carattere esclusivo di 100 prestazioni mensili nei programmi di radio determinati dalla medesima, considerando come prestazione l’incisione di un disco o un corto pubblicitario”.
Più avanti il documento stipula che l’artista si impoegna a non realizzare, nel territorio nazionale, nessun’altra attività in radio e in nessuna altro mezzo senza preventiva autorizzazione dell’azienda e non potrà realizzare attività che potranno essere trasmesse posteriormente per radio o televisione. Si dice: “L’artista potrà effettuare comparizioni televisive negli studi di Radio-Televisione El Mundo e Unión Radio-Televisión”. E prosegue: “L’artista col suo carattere di cantante, attore, compositore e autore interpreterà le opere e spettacoli scelti dall’azienda e si atterrà, in ogni caso, alle istruzioni che riceva dai registi dei programmi o persone delegate dall’azienda”.
Prosegue con una clausola sulla quale vale la pena di meditare: “L’azienda concederà, d’accordo con quanto previsto dalla legge, la licenza pagata di un giorno di riposo nel caso di morte del padre, madre, figlio o figlia, fratello o sorella, moglie o marito dell’artista; e anche tale licenza in caso di parto della moglie del medesimo; per non oltre tre giorni al mese e senza che possano eccedere i 9 giorni all’anno nel caso di malattia dell’artista che sia impossibilitato allo svolgimento del suo lavoro, previa giustificazione con il corrispondente certificato medico”.
Il documento stabilisce che senza l’espressa autorizzazione di Unión Radio l’artista non potrà uscire dall’Isola per compiere attività artistiche o altri affari e pur autorizzandolo, l’azienda si riserva di prorogare i termini del contratto per lo stesso tempo che l’artista sia stato assente, mantenendo in completa efficenza e vigore questo contratto al suo ritorno.
Alla fine, l’artista, si impegna a non prestare il suo nome, fotografie o testimonoanze scritte o verbali a faviore di nessun prodotto, industria, commercio o persona di qualunque indole, senza la preventiva autorizzazione scritta di Uniòn Radio che a mezzo di questo contratto resta autorizzata a utilizzare il nome, le fotografie, le testimonianze scritte o verbali dell’artista a proprio beneficio e dei suoi clienti senza che per questo debba pagare nessun compenso.
Metti il tuo pensiero in me
Una ben combinata musica di “claves” e ghitarre apriva El buzón de Clavelito che andava in onda da Unión Radio-TV e servì da sottofondo per la voce del trovatore:
Metti il tuo pensiero in me/e farai che in questo momento/la forza del mio pensiero/eserciti il bene su di te”. La musica si andava sviluppando ed entrava il presentatore dicendo: “Un miracolo della natura nella delizia di una canzone contadina. Manifesto degli elementi che contribuiscono al successo, alla salute, all’amore, alla felicità. Poeta, interprete dei cuori incompresi. Messaggero di buona fortuna, Se non siete felici, se avete qualche problema, se non avete salute, se non avete un lavoro, se il denaro non vi rende, se non avete l’amore...Ascoltate Clavelito in silenzio, in silenzio, per favore...”.
Il programma proseguì col vento in poppa fino a che Unión Radio decise di creare una parentesi lungo tutta la sua programmazione per, oltre allo spazio di Clavelito, dare risposta a quelli che avevano chiesto consigli al cantante che obbligava gli interessati a mantenersi collegati all’emittente per tutto il giorno. E questo sì che non lo tollerò la concorrenza che sapeva – afferma il saggista Reynaldo González – che l’utenza preferiva sentire la soluzione del proprio romanzo che seguire i lamentosi argomenti altrui. Fu così che la Commissione di Etica Radiofonica, l’Associazione degli Annunciatori di Cuba e il Blocco Cubano di Stampa si scagliano contro il programma e riescono a farlo sospendere il 5 agosto del 1952.
I suoi figli dicono che lo accusarono di “miracolista” e “truffatore” e che la polizia irruppe violentemente nello studio nel mome nel momento in cui il programma andava in onda, lo sospese e si portò via Clavelito agli arresti. Aggiungono che alcuni giorni dopo, davanti alle proteste popolari, il programma riapparse “con lo stesso successo”. Però ormai non fu la stessa cosa.
Suo figlio minore riferisce che Gaspar Pumarejo, lo scaltro impresario di radio e TV, fu quello dell’idea del bicchiere d’acqua sopra l’apparecchio radio (segno di scongiuro, n.d.t.). Smentisce che suo padre facesse soldi con i consigli. Aveva, questo sì, un buon ingresso. Fu, d’altra parte, proprietario del laboratorio che elaborava i cosmetici “Mapclavé”, nome che è una combinazione delle iniziali dell’artista e la contrazione di Clavelito, così come il negozio dove si vendevano al pubblico i prodotti del laboratorio. Clavelito tornò ai suoi versi bucolici. Lavorò come annunciatore. Tra le sue carte private c’è un tesserino del Collegio Nazionale degli Annunciatori che lo accredita. Lavorò anche come ventriloquo. Di fatto questo fu il suo ultimo lavoro. Si presentava travestito da negretto nel circo di Iris Torres, la sorella di Roberto, il pagliaccio Chorizo. Andò in pensione nel 1964.


Papeles privados de Clavelito

Ciro Bianchi Ross •
digital@juventudrebelde.cu
21 de Diciembre del 2013 17:15:54 CDT

Aunque algunos lectores tal vez lo pongan en duda, el nombre verdadero
de Miguel Alfonso Pozo, más conocido por el apelativo de Clavelito,
era precisamente Clavelito. Al menos, así lo fue desde el 18 de agosto
de 1954 hasta su muerte, el 21 de junio de 1975. Quiere decir que hubo
dos sujetos que fueron una sola persona. Uno de ellos se llamó Miguel
Alfonso Pozo desde que nació en Ranchuelo, actual provincia de Villa
Clara, el 29 de septiembre de 1908, y otro que a partir de 1954 va a
nombrarse Clavelito Miguel Alfonso Pozo hasta el final.
El cambio se llevó a cabo en virtud de lo dispuesto en un decreto del
Ministro de Justicia, que se amparaba a su vez en la Ley-Decreto 1951
de 1954, lo que obligaba a la anotación de oficio de dicha
modificación en los libros del Registro Civil. Así consta en el folio
361 del tomo 17 del Registro Especial de Cambio, Adición y
Modificación de Nombres y Apellidos del Negociado de Registros y
Notariados del Ministerio de Justicia.
¿Por qué ese cambio? El segundo apellido de la madre de Miguel Alfonso
Pozo era Clavero. Como ocurre muchas veces, el apellido más sonoro es
el que predomina para identificar a una familia. No importa que sea el
del padre o el de la madre, tampoco que sea el primero o el segundo
apellido. En Ranchuelo, la familia de Miguel era la familia Clavero o
los Claveros, y como él fue el más pequeño de los hermanos, la gente
lo identificó como Clavelito. Desde niño arrastró ese sobrenombre que
terminó siendo su nombre artístico y su nombre propio.
Era un buen poeta repentista. Las espinelas que escribió para la serie
radial de Pepe Cortés —un bandolero romántico que como Manuel García
robaba a los ricos para repartir el botín entre los pobres— le
valieron celebridad, y su popularidad fue enorme gracias a aquellas
controversias entre las rubias y las morenas, las flacas y las gordas,
las solteras y las casadas… que sostuvo con La Calandria en El Rincón
Criollo, espacio que transmitía CMQ.
Pero Miguel Alfonso Pozo —Clavelito— animado, decía, por el deseo
ferviente de ayudar a los demás, comenzó un día a hacerlo a través de
su programa de radio y su fama creció como la espuma. La gente lo vio
entonces como «un preocupado y atento consejero» al que podía
pedírsele la solución de un problema práctico o de un asunto amoroso,
e incluso la cura de la salud quebrantada, lo que lo convirtió en «el
primer curandero del país apoyado en un micrófono de profundas y
lejanas resonancias».
Esa celebridad, ya en la década de los 50, le hizo pensar en la
posibilidad de dedicarse a la política. Podía postular un acta de
representante a la Cámara. Solo había un inconveniente. El Código
Electoral exigía que el candidato a cualquier cargo electivo utilizara
el nombre con que había sido inscrito en el Registro Civil. No valían
apodos, seudónimos ni sobrenombres. Tampoco podía utilizarse, en caso
de que el aspirante lo tuviera, el segundo nombre en suplantación del
primero. El nombre de Miguel Alfonso Pozo no decía nada a nadie. El de
Clavelito arrastraba a un pueblo.
No puede precisar ahora el escribidor si llegó a postularse. El hijo
menor, Narciso, cree que sí lo hizo. No está seguro, pues no había
nacido entonces. De cualquier manera, si lo hizo no resultó electo. Me
dijo hace algún tiempo su hija Rosita en un mensaje electrónico: «En
realidad, él no era político, pero los políticos de la época lo
escogieron porque era famoso y tenía muchos seguidores».

Si amas la vida, no pierdas el tiempo

Fue precisamente Narciso quien puso en mis manos el documento sobre el
cambio de nombre, entre otros papeles privados de su padre. Entre
ellos hay dos documentos firmados por Alejo Carpentier, vicepresidente
entonces del ya desaparecido Consejo Nacional de Cultura. Son del 29
de marzo de 1962 y cada uno de ellos certifica la publicación de un
libro de la autoría de Clavelito: Clarivel, novela de amor y dolor
aparecida en 1961 con el sello de Cárdenas y Compañía, y una tirada de
mil ejemplares; el otro, también del mismo año y el mismo sello, y
cinco mil ejemplares, se titula Hacia la felicidad (Un viaje de través
de los astros).
Otros títulos suyos son: El hombre del destino y Los milagros. También
Los cantos de Clavelito y Controversias. Es autor asimismo de una
Enciclopedia de la felicidad.
En las páginas de este último título legó múltiples consejos, escritos
con gran poder de síntesis. Máximas concisas que condensan un
pensamiento largamente madurado y expresan toda una filosofía de la
vida.
Vayan algunos ejemplos:
«No empleemos nunca ningún camino torcido. La sencillez y la justicia
deben presidir siempre nuestros pensamientos».
«La felicidad es un estado de ánimo y como tal se crea y reside en
nosotros mismos, dentro de cada uno».
«En el matrimonio, que la ley sea igual para los dos».
«Si amas la vida no pierdas el tiempo».
«No hay sol que dure todo el día».
«Si quieres saber lo que vale el dinero, pídelo prestado».
«El que vive de ilusiones se muere de hambre».
Otro documento, una «Hoja de declaración de obras», revela al letrista
y compositor. Es autor de más de 25 piezas entre sones montunos,
guajiras, danzones, guarachas, canciones, tonadas y rumbas, algunas de
ellas muy populares como El caballo y la montura y La guayabera, ambas
con música de Eduardo Saborit. Otras veces la música es de Miguel
Ojeda, y en otras, la música es del propio Clavelito y la letra, de
Saborit, aunque no faltan aquellas en las que Clavelito es el autor de
la música y la letra.
Se conserva además un contrato suscrito entre el artista y la emisora
Unión Radio para el período comprendido entre el 1ro. de julio de 1953
y el 30 de junio del año siguiente. La empresa se compromete a pagarle
un salario mensual de 500 pesos más 45 pesos con 45 centavos
correspondientes al 9,09 del descanso retribuido. A cambio contrata al
artista «con carácter exclusivo en 100 actuaciones mensuales en los
programas de radio que la misma determina, considerando como una
actuación la grabación de un disco o corto comercial».
Estipula más adelante el documento que el artista se compromete a no
realizar en el territorio nacional ninguna otra actuación en radio ni
en ningún otro medio sin previa autorización de la empresa, ni podrá
realizar actuaciones que posteriormente puedan transmitirse por radio
o televisión. Expresa: «El artista únicamente podrá efectuar
actuaciones de televisión en las plantas de Radio-Televisión El Mundo
y Unión Radio-Televisión». Consigna a renglón seguido: «El artista en
su carácter de cantante, actor, compositor y autor interpretará las
obras y espectáculos que la empresa seleccione y se ajustará en cada
caso a las instrucciones que reciba de los directores de programas o
personas en quienes la empresa delegue».
Sigue una cláusula sobre la que vale la pena meditar: «La empresa
concederá al artista, de acuerdo con lo que estipula la ley, una
licencia retribuida de un día de descanso en el caso del fallecimiento
del padre, madre, hijo o hija, hermano o hermana, esposa o esposo del
artista; y también igual licencia en el caso del alumbramiento de la
esposa del mismo; y por no más de tres días al mes, sin que pueda
exceder de nueve días en el año en el caso de enfermedad del artista
que lo imposibilite para el desempeño de su trabajo, previa
justificación de enfermedad con el correspondiente certificado
médico».
Establece el documento que sin la autorización expresa de Unión Radio,
el artista no podrá salir de la Isla a cumplir actuaciones o para
asuntos de cualquier otro género, y aun autorizándolo la empresa se
reserva el derecho de prorrogar el término del contrato por el mismo
tiempo que haya estado ausente el artista, manteniendo en todo su
vigor y fuerza este contrato a su regreso.
Por último, el artista se compromete a no prestar su nombre,
fotografías o testimonios escritos o verbales a favor de ningún
producto, industria, comercio o persona de cualquier índole, sin la
previa autorización por escrito de Unión Radio, que por medio de este
contrato queda autorizada a utilizar el nombre, las fotografías o
testimonios escritos o verbales del artista en beneficio propio o de
sus anunciantes, sin que por ello tenga que pagar cantidad alguna.

Pon tu pensamiento en m
Una bien acoplada música de claves y guitarras abría El Buzón de
Clavelito, que salía al aire por Unión Radio-TV y servía de fondo a la
voz del trovador:
«Pon tu pensamiento en mí/ y harás que en ese momento/ mi fuerza de
pensamiento/ ejerza el bien sobre ti». La música iba desenvolviéndose
y entraba entonces el locutor y decía: «Un milagro de la naturaleza en
el deleite de una canción guajira. Manifiesto de los elementos que
contribuyen al éxito, a la salud, al amor, a la felicidad. Poeta,
intérprete de los corazones incomprendidos. Mensajero de la buena
suerte. Si usted no es feliz, si tiene algún problema, si no tiene
salud, si no tiene empleo, si el dinero no le rinde, si no tiene amor…
Oiga a Clavelito en silencio, en silencio, por favor…».
El programa avanzó viento en popa hasta que Unión Radio decidió crear
paréntesis a lo largo de toda su programación para, más allá del
espacio de Clavelito, dar respuesta a los que habían pedido consejo al
cantante, lo que obligaba a los interesados a mantenerse atados a esa
emisora durante todo el día. Y eso sí que no lo toleró la competencia
que sabía —afirma el ensayista Reynaldo González— que la audiencia
prefería oír la solución de su propia novela a seguir los lagrimeantes
argumentos ajenos. Es así que la Comisión de Ética Radial, la
Asociación de Anunciantes de Cuba y el Bloque Cubano de Prensa
arremeten contra el programa y logran que sea suspendido el 5 de
agosto de 1952.
Dicen sus hijos que lo acusaron de «milagrero» y «estafador», y que la
policía irrumpió de manera abrupta en el estudio en el momento en que
el programa salía al aire, lo suspendió y se llevó detenido a
Clavelito. Añaden que días después, ante el reclamo popular,
reapareció el programa «con el mismo éxito». Pero ya nada fue igual.
Refiere su hijo menor que Gaspar Pumarejo, el avispado empresario de
la radio y la TV, fue el de la idea del vaso de agua sobre el aparato
de radio. Y desmienten que su padre hiciera dinero con los consejos.
Tenía, eso sí, una buena entrada. Fue, por otra parte, propietario del
laboratorio que elaboraba los cosméticos «Mapclavé», nombre que es una
combinación de las iniciales del artista y la contracción de
Clavelito, así como de un establecimiento donde se vendían al por
menor las producciones del laboratorio. Clavelito volvió a sus versos
bucólicos. Y trabajó como locutor. Hay entre sus papeles privados un
carné del Colegio Nacional de Locutores que lo acredita. Trabajó
también como ventrílocuo. De hecho, ese fue su último empleo. Se
presentaba disfrazado de negrito en el circo de Iris Torres, la
hermana de Roberto, el payaso Chorizo.
Se jubiló en 1964.
Ciro Bianchi Ross
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