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martedì 11 febbraio 2014

Dannata

DANNATA: vino eccezionale

lunedì 10 febbraio 2014

Coniato

CONIATO: marito de a sorea o frateo de la molie (veneto, appendice alla lettera C)

Sportive di Ciro Bianchi Ross, pubblicato su Juventud Rebelde del 9/2/14


Lo sport dei pugni o dei cavolfiori ha avuto un inizio tardivo a Cuba. La sua storia ufficiale inizia a partire dal 1921, quando si crea la Commissione Nazionale di Pugilato. Prima – e sembrerà incredibile – la pratica di questo sport era proibita nell’Isola. Così dispose la Segreteria di Governo del presidente José Miguel Gómez. Una proibizione aleatoria, come succede molte volte con le proposte, ebbene anche così si celebravano combattimenti e i risultati venivano anche pubblicati sui giornali. Bastava chiedere il permesso corrispondente o svolgerla in modo clandestino. In realtà non c’erano argomenti solidi contro questo sport. Fu come quando si disse che il gioco del calcio non si doveva permettere perché i giocatori scendevano in campo in mutande.
Non pochi combattimenti ebbero come scenario la soffitta dell’American Club in Prado angolo Virtudes, dove ha sede attualmente la Federazione delle Società Asturiane. Lì si celebrò, nel 1915, l’incontro tra Léster Johnson e Anastasio Peñalver, primo campione cubano dei pesi massimi che perse per la via breve, nel primo assalto. Ci furono anche incontri nella sede del Club Atlético di Cuba, pure in Prado, ma di quei tempi che i cronisti definiscono romantici, i più ricordati furono quelli del ring del giornale Cuba, il quotidiano dei fratelli José María e José Ramón Villaverde, nella calle Empedrado. Qualunque posto sembrava adeguato per un incontro di boxe, si parla di un campionato che si tenne in una casa col pavimento di cemento del vicolo di Cañongo.
Con proibizione e tutto,  il 5 di aprile del 1915 nell’ippodromo Oriental Park di Marianao, due nordamericani si contesero la cintura d’oro dei pesi massimi: il campione Jack Johnson, negro, e lo sfidante Jess Willard considerato, allora, la grande speranza bianca nello sport dei pugni. Era un incontro stabilito su 45 assalti e fu presenziata dallo stesso presidente della Repubblica, Mario García Menocal. All’altezza del 26° round, davanti alla costernazione generale, successe quello che senza dubbio era inconcepibile: Johnson cadde al tappeto senza possibilità di riprendere il combattimento e Willard si alzava col titolo dorato. La moltitudine non tardò a comprendere quello che era successo realmente.
Di tutti i combattimenti pugilistici celebrati a Cuba, è questa quella di cui si parla di più, nonostante i 99 anni trascorsi da allora. Il motivo è semplice: fu un aggiustamento. Johnson vendette la sua cintura di campione per 30.000 dollari. Pensò che gli consegnassero i soldi al momento del peso, ma gli dissero che lo avrebbero dato a sua moglie durante l’incontro. Quando la signora, dalle tribune, gli comunicò con un segnale convenuto che aveva i soldi, Johnson che stava facendo melina col suo rivale, cadde inaspettatamente per effetto di un destro inefficace. Il sole gli dava fastidio – l’incontro avvenne di giorno – e Johnson si coprì il viso con le braccia fino a che si mise tranquillamente prono. Il combattimento era durato un’ora e 44 minuti.

Otto gol a zero

Il calcio si conosceva già, a Cuba, nel 1907. E prendete nota di quello che lo scriba dirà di seguito: uno dei primi incontri seri di questo sport ebbe carattere internazionale e finì con la vittoria dei cubani. Una squadra formata dall’equipaggio della nave inglese Cidra si confrontò, al Palatino, alla squadra locale che aveva il nome di Hatuey. Il punteggio di otto gol a zero a favore della squadra di casa fece si che gli inglesi, in transito o residenti all’Avana, cercassero di ottenere una rivincita.
Sorse così la squadra del Rovers che non poche volte affrontò l’Hatuey. C’era una specie di collaborazione tra le due formazioni: con gli inglesi giocavano gli uomini che avanzavano sulla panchina dei creoli. Non sarebbe stato fino al 1908 che Rovers e Hatuey si affrontarono nella prima partita formale nel poligono del campo militare di Columbia. Ciò nonostante, la prima partita di calcio che si riconosce in modo ufficiale, come prima nell’Isola, si effettuò nel Palatino l’11 dicembre del 1911. C’è una critica di Víctor Muñoz, del 7 gennaio del 1912. In quella descrive un gioco, nell’Almendares Park, tra il Rover e l’Hatuey. Muñoz fu quello che introdusse a Cuba il Giorno della Mamma, era un cronista sanguigno e instancabile, padrone di una vena umoristica straordinaria. Fu, tra noi, il creatore della cronaca sportiva descrivendo i giochi di foot ball e sopratutto di baseball in cui si affrontava una squadra cubana con una formazione straniera – generalmente nordamericana – come una gara con cui la Repubblica nascente giustificava il suo diritto di esistere. Esaltava la vittoria cubana come una questione di sovranità nazionale. Il lettore può immaginare il titolo di quella cronaca, pubblicato a piena pagina: L’Hatuey ha lasciato in bianco gli inglesi.
Già nel 1925 una squadra cubana, Fortuna, uscì all’estero vincendo i quattro incontri che tenne in Costa Rica. Era già in auge il calcio locale quando, nel 1926, giunse da New York una squadra conformata da spagnoli. Il risultato di questa visita fece si che non tardassero ad arrivarne altre dalla Spagna e dal Cile. Arrivò anche, dopo, il Nacional dall’Uruguay, in quel momento campione mondiale. Debuttò all’Avana di fronte all’Iberia uscendo vincitore per quattro a uno. Cadde di fronte alla squadra della Juventud Asturiana, quattro a due e umiliò l’Hispano con un commiato di otto gol.
Molti fatti si scrivono con lettere d’oro negli annali del calcio creolo. La vittoria contro il campione dell’Uruguay è uno di quelli. Un’altro fu la vittoria di Cuba di fronte alle selzioni di Giamaica, Honduras, El Salvador e Costa Rica durante i II Giochi Centroamericani e dei Caraibi dell’Avana nel 1930. E per ultimo la presenza cubana nella Coppa del mondo del 1938. Nella città francese di Tolosa, Cuba riuscì a pareggiare con tre gol con la Romania e poi la sconfisse per due a uno, per poi cadere con la Svezia per otto a zero.

La rete e le racchette

Se inglesi e cubani collaborarono all’avvio del calcio nell’Isola, non sembra che succedesse la stessa cosa col tennis. Nonostante non ci sia disponibile una data d’inizio della pratica dello sport della rete e delle racchette tra noi, gli specialisti garantiscono che si conosce, a Cuba, da prima che iniziasse il secolo XX°. Si dice che già nel 1886, inglesi residenti all’Avana lo praticavano di nascosto, per paura che i cubani imparassero a giocarlo. Altri, in cambio, dicono che furono i cubani i loro iniziatori. I cosiddetti vedadistas nel piccolo recinto giochi  che  loro stessi costruirono e che diventerà il Vedado Tennis Club. Al chiamato “club azzurro”, appartennero i primi campioni nazionali. Le gare ufficiali di questo sport si tennero a partire dal 1903 e si estesero alle donne l’anno successivo. Anteriormente al 1959, il tennis cubano partecipò in numerose gare internazionali, fra le quali la famosa Coppa Davis e in giochi centroamericani e dei Caraibi dove quelli di casa non offrirono mai esibizioni scialbe. L’Avana fu anche sede di competenze di carattere internazionale e molti assi mondiali incrociarono le racchette con i locali.
La pallacanestro giunse a Cuba nel 1905. Lo portarono, fra gli altri, i membri della Gioventù Cristiana (Y.M.C.A.), i fratelli Leopoldo e José Sixto de Sola, fondatori dell’importante rivista Cuba Contemporanea. José Sixto che morì prematuramente – il suo unico libro, Pensando a Cuba, una raccolta dei suoi scritti, apparve nel 1917 quando il suo autore era già morto – non solo formò la squadra del suo gruppo, ma incitò gli studenti dell’Università avanera, l’unica che ci fosse allora a Cuba, a che lo imitassero. Sorse così la squadra Caribe che si oppose a quella della Y.M.C.A. il 13 ottobre 1906, in quello che si considera il primo incontro serio di basket che si effettuò a Cuba e che vinsero gli universitari che non poterono, peraltro, ripetere il successo negli incontri seguenti per cui il trofeo rimase nelle mani della Y.M.C.A. Le gare tornarono nel 1907, stavolta con una squadra in più, in rappresentanza delle truppe nordamericane accantonate nel campo Columbia. Non sarà fino al 1915 che José Sixto fonderà la Lega Nazionale di Basket.
Si giunse a praticare molto, con ampia copertura di stampa, il tiro al piattello nel Club dei Cacciatori di Buena Vista. In quella stessa epoca, nel Parco dei Divertimenti di Palatino, c’erano raduni per proclamare l’uomo più forte dell’Avana, eventi che venivano accompagnati da giochi e fuochi artificiali. Si pattinava nello Skating Park del Vedado e le serate di gala del sabato in questa installazione ricreativa meritavano le cronache di tutti i giornali.

Malolo

Si dice, anche se non è provato che lo sport ippico, a Cuba, cominciò nella città matanzera di Colón. Correvano i tempi della colonia e l’esercito spagnolo aveva una scuola di equitazione in detta località. Gli ufficiali distaccati in loco, forse per ammazzare la noia, tracciarono una pista e cominciarono  le gare. Poco dopo si svegliava, a Camagüey, uno straordinario interesse per le corse dei cavalli. Un sentiero rettilineo serviva da pista e si costruirono diverse tribune che erano occupate dai militari spagnoli, con le loro famiglie e da alcuni cubani invitati. Fu allora che si effettuarono per la prima volta le scommesse. In realtà non c’erano allibratori come tali, ma la gente si lanciava piccole borse che contenevano once d’oro, d’accordo alla quantità stipulata in ogni scommessa.
L’ippodromo Oriental Park, inaugurato il 14 gennaio del 1915 fu, a suo tempo, l’orgoglio di Cuba e d’America. Nel 1927 vi furono lì gare memorabili. I premi istituiti nelle corse ordinarie non erano appetitosi.Ma i dirigenti dell’azienda organizzarono una serie di eventi straordinari con ricompense altissime. Ciò fece che molti proprietari delle scuderie di Hialeah Park e Tropical Park portassero i loro cavalli e l’ippodromo avanero alloggiasse un nutrito gruppo di esemplari di alta classe, incluso Extreme, già famosissimo tra la tifoseria cubana.
Fra questi cavalli ce n’era uno, cubano, di proprietà del giornalista Manuel Braña. Si chiamava Malolo. Non aveva le condizioni per misurarsi con quel gruppo di purosangue. Ciò nonostante li sconfisse in tutte le gare straordinarie grazie alla forma in cui si mantenne durante tutte le competizioni e ciò comportò, per il suo proprietario, una discreta somma di denaro.
Già negli anni ’40 l’Oriental Park entra in crisi. La mancanza di stabilità nella sua programmazione, il bilancio gonfiato e la grandezza delle cosiddette spese segrete, cominciano a corrodere la pratica dell’ippica. Mancavano cavalli purosangue cubani. Erano pochi, gli allevatori di casa, che si avventuravano su un cavallo per il quale, come minimo, dovevano aspettare tre anni per vederne i frutti. Nel 1957 i proprietari dell’ippodromo volevano vendere i loro terreni a scopo di urbanizzazione. L’affare non si concretizzò perché chiedevano due milioni di pesos per la proprietà. Ciò avrebbe dato luogo alla costruzione di un nuovo ippodromo.


Deportivas

Ciro Bianchi Ross * digital@juventudrebelde.cu
8 de Febrero del 2014 20:01:55 CDT

El deporte de los puños o de las coliflores tuvo en Cuba un comienzo relativamente tardío. Su historia oficial se inicia a partir de 1921, cuando se crea la Comisión Nacional de Boxeo. Antes --y parecerá
increíble-- la práctica de dicho deporte se prohibió en la Isla. Así lo dispuso en 1912 la Secretaría de Gobernación del presidente José Miguel Gómez. Una prohibición aleatoria, como ocurre muchas veces con las proscripciones, pues aun así se celebraban peleas y sus resultados se publicaban incluso en los periódicos. Bastaba con pedir el permiso correspondiente o celebrarla de manera clandestina. No había, en realidad, argumentos sólidos contra ese deporte. Fue como cuando se dijo que los juegos de fútbol no debían permitirse porque los jugadores salían al terreno en calzoncillos.
No pocos combates tuvieron por escenario en la época, la azotea del American Club, en Prado esquina a Virtudes, donde radica en la actualidad la Federación de Sociedades Asturianas. Allí se celebró en
1915 el encuentro entre Léster Johnson y Anastasio Peñalver, primer campeón cubano de los pesos pesados, quien perdió, y por la vía rápida, en el primer asalto. Hubo además, peleas en la sede del Club Atlético de Cuba, también en Prado, pero de aquellos tiempos, que los cronistas insisten en calificar como románticos, las más recordadas fueron las del ring del periódico Cuba, el cotidiano de los hermanos José María y José Ramón Villaverde, en la calle Empedrado. Cualquier sitio parecía apropiado para un match de boxeo, y se habla de un campeonato que se dirimió en la sala de una casa con piso de cemento del callejón de Cañongo.
Con prohibición y todo, el 5 de abril de 1915, en el hipódromo Oriental Park, de Marianao, dos norteamericanos contendieron por la faja de oro de los pesos completos: el campeón Jack Johnson, negro, y el retador Jess Willard, considerado entonces la gran esperanza blanca del deporte de los puños. Era una pelea pactada a 45 asaltos y que fue
presenciada por unos   20 000 espectadores, entre ellos el mismísimo
presidente de la República, Mario García Menocal. A la altura del round 26 y ante la consternación general sucedía, sin embargo, lo
inconcebible: Johnson caía a la lona sin posibilidades de reanudar el combate, y Willard se alzaba con el título de oro. No demoró aquella multitud en comprender lo que sucedió realmente.
De todas las peleas de boxeo celebradas en Cuba, es de esta de la que más se habla pese a los 99 años transcurridos desde entonces. La razón es simple: fue una pala. Johnson vendió su faja de campeón por 30 000 dólares. Pensó que le entregarían el dinero en el momento del pesaje, pero le dijeron que se lo darían a su esposa en el transcurso del combate. Cuando la señora, desde las gradas, con una señal convenida, le comunicó que tenía el dinero, Johnson, que había estado dándole largas a su rival, cayó sorpresivamente ante un derechazo ineficaz. El sol le molestaba --la pelea se celebró de día-- y Johnson se cubrió el rostro con los brazos hasta que tranquilamente se puso bocabajo. El combate había durado una hora con 44 minutos.

Ocho golpes por cero

Ya en 1907 se conocía el balompié en Cuba. Y tomen nota de lo que el escribidor dirá enseguida: uno de los primeros encuentros serios de ese deporte tuvo carácter internacional y terminó con victoria para los cubanos. Un equipo conformado por los tripulantes del buque inglés Cidra se enfrentó, en Palatino, al equipo local que llevaba el nombre de Hatuey. El marcador de ocho goles por cero a favor de los del patio hizo que ingleses residentes y en tránsito por La Habana fueran por el desquite.
Surgió así el equipo Rovers, que no pocas veces se enfrentó al Hatuey.
Había una especie de colaboración entre ambas agrupaciones: jugaban con los ingleses los hombres que sobraban en el banco de los criollos.
No sería hasta 1908 en que el Rovers y el Hatuey se enfrentaron en el primer partido formal, en el polígono del campamento militar de Columbia. No obstante, el partido de balompié que, de manera oficial, se reconoce como el primero en la Isla se efectuó en Palatino, el 11 de diciembre de 1911.
Hay una crónica de Víctor Muñoz, de 7 de enero de 1912. En ella reseña un juego, en el Almendares Park, entre el Rovers y el Hatuey. Muñoz, que fue el introductor en Cuba del Día de las Madres, era un cronista proteico e incansable, dueño de una vena humorística extraordinaria.
Fue, entre nosotros, el creador de la crónica deportiva, y reseñaba los juegos de fútbol y, sobre todo, de béisbol, en los que se enfrentaba un equipo cubano contra una agrupación  foránea --norteamericana por lo general-- como una competición en que la naciente República justificaba su derecho a la vida. Alentaba el triunfo cubano como una cuestión de soberanía nacional. Ya imaginará el lector el título de aquella crónica, publicada a plana completa: El Hatuey dejó en blanco a los ingleses.
Ya en 1925 un equipo cubano, Fortuna, salía al extranjero, y ganaba los cuatro partidos que celebró en Costa Rica. Sonaba ya el balompié local cuando, en 1926, llegó desde Nueva York un equipo conformado por españoles. El éxito de esa visita hizo que no demoraran en arribar otros de España y Chile. Llegó además el Nacional, de Uruguay, campeón mundial en aquel momento. Debutó en La Habana frente al Iberia y salió vencedor cuatro por uno. Cayó frente al equipo de la Juventud Asturiana, cuatro por dos, y humilló al Hispano con una despedida de ocho goles.
Varios hechos se inscriben con letras de oro en los anales balompédicos criollos. El triunfo frente al equipo campeón del Uruguay es uno de ellos. Otro, las victorias de Cuba frente a las selecciones de Jamaica, Honduras, El Salvador y Costa Rica durante los II Juegos Centroamericanos y del Caribe de La Habana, en 1930. Y por último, la presencia cubana en la Copa del Mundo, en 1938. En la ciudad francesa de Toulouse, Cuba logró empate a tres goles con Rumania y la derrotó luego dos por uno, para caer ante Suecia ocho por cero.

La red y las raquetas

Si ingleses y cubanos colaboraron en la arrancada del balompié en la Isla, no parece que sucediera lo mismo con el tenis. Aunque no hay fecha disponible en cuanto a los inicios de la práctica del deporte de la red y las raquetas entre nosotros, especialistas aseguran que se conoce en Cuba desde antes de que comenzara el siglo XX. Se dice que
ya en 1886 ingleses avecindados en La Habana lo   practicaban a
escondidas, temerosos de que los cubanos aprendieran a jugarlo. Otros, en cambio, aseveran que fueron cubanos sus iniciadores. Los llamados vedadistas, en el pequeño court que ellos mismos construyeron y que sería el del Vedado Tennis Club. Al llamado <<club azul>> pertenecieron los primeros campeones nacionales. Las competencias oficiales de este deporte se registraron a partir de 1903, y se abrieron para las féminas desde el año siguiente.
Con anterioridad a 1959, el tenis cubano participó en numerosas series internacionales, entre ellas la famosísima Copa Davis y en olimpiadas centroamericanas y caribes, donde los del patio jamás ofrecieron exhibiciones pálidas. La Habana fue asimismo sede de lides de carácter internacional y muchos ases mundiales cruzaron sus raquetas con los del patio.
El basket ball llegó a Cuba en 1905. Lo trajeron, entre otros miembros de la Juventud Cristiana (Y.M.C.A.), los hermanos Leopoldo y José Sixto de Sola, fundadores de la importante revista Cuba Contemporánea.
José Sixto, que falleció prematuramente --su único libro, Pensando en Cuba, una compilación de sus escritos, apareció, ya muerto el autor, en 1917-- no solo formó el equipo de su agrupación, sino que instó a estudiantes de la Universidad habanera, la única que había entonces en Cuba, a que lo imitaran. Surgió así el equipo Caribe, que se enfrentó al de la Y.M.C.A., el 13 de octubre de 1906, en lo que se considera el primer partido serio de basket ball que se efectuó en Cuba y que ganaron los universitarios que no pudieron, sin embargo, repetir la victoria en encuentros sucesivos, quedando el trofeo en manos de la Y.M.C.A. Volvieron las competencias en 1907, esa vez con un equipo más, en representación de las tropas norteamericanas acantonadas en el campamento de Columbia. No sería hasta 1915 cuando José Sixto fundó la Liga Nacional de Basket Ball.
Llegó a practicarse mucho, y con amplia cobertura de prensa, el tiro al platillo en el Club de Cazadores de Buena Vista. Por esa misma época, en el Parque de Diversiones de Palatino tenían lugar certámenes para proclamar al hombre más fuerte de La Habana, eventos que solían acompañarse de retretas y fuegos artificiales. Se patinaba en el Skating Park del Vedado y las galas del sábado por la noche en esa instalación recreativa merecían reseñas en todos los periódicos.

Malolo

Se dice, aunque no se ha probado, que el deporte hípico, en Cuba, se inició en la ciudad matancera de Colón. Corrían los tiempos de la colonia y el ejército español mantenía una escuela de aplicación en dicha localidad. Los oficiales allí destacados, quizá para matar el aburrimiento, trazaron una pista y empezaron las competencias. Poco después se despertaba en Camagüey extraordinario interés por las carreras de caballos. Un camino recto sirvió de pista y se construyeron unos cuantos palcos que eran ocupados por militares españoles, sus familiares y algunos cubanos invitados. Fue entonces que, por primera vez, se efectuaron apuestas entre los espectadores.
Apostadores como tales, en realidad, no había, pero la gente se lanzaba de un palco a otro bolsitas que contenían, en onzas de oro, la cantidad estipulada en cada postura.
El hipódromo Oriental Park, inaugurado el 14 de enero de 1915, fue, en su momento, orgullo de Cuba y de América. En 1927 tuvieron lugar allí competencias memorables. Los premios instituidos para las carreras ordinarias no eran apetitosos. Pero los directivos de la empresa convocaron a una serie de eventos extraordinarios con recompensas altísimas. Eso hizo que muchos propietarios de las cuadras de Hialeah Park y Tropical Park trajeran sus caballos y el hipódromo habanero alojara a un nutrido grupo de ejemplares de alta clase, incluyendo a Extreme, ya muy famoso entre la afición cubana.
Entre esos caballos había uno, cubano, propiedad del periodista Manuel Braña. Se llamaba Malolo. No tenía condiciones para medirse con aquel grupo de pura sangre. Sin embargo, los derrotó a todos en los eventos extraordinarios gracias a la forma en que se mantuvo durante todas las competencias, lo que reportó a su propietario una bonita suma de dinero.
Ya en los años 40 el Oriental Park entra en crisis. La falta de estabilidad en su programación, el inflado presupuesto y la magnitud de los llamados gastos secretos empiezan a corroer la práctica del hipismo. Faltaban caballos cubanos pura sangre. Eran pocos los criadores del patio que se aventuraban con un caballo por el que, como mínimo, tendrían que esperar tres años para que empezara a dar sus frutos. En 1957 los propietarios del hipódromo querían vender sus terrenos a fin de que se urbanizaran. El negocio no llegó a concretarse porque pedían dos millones y medio de pesos por la propiedad. Eso hubiera dado lugar a la construcción de un nuevo hipódromo.

Ciro Bianchi Ross



domenica 9 febbraio 2014

È morto José Massíp

All'età di 88 anni, dopo lunga malattia è mancato "Pepe" Massíp, un'altro dei grandi del cinema cubano se n'è andato. Autore di diverse pellicole e gratificato da molti premi nella sua lunga carriera, ho potuto seguirlo da vicino nell'86 durante le riprese del suo film-odissea "Baraguá". Grande intellettuale e studioso, nei suoi lavori era sempre presente, sotto diversi aspetti e diverse epoche, la storia.

Cultura

CULTURA: ostruisce il deretano

sabato 8 febbraio 2014

Culmine

CULMINE: parte bassa di artefatti esplosivi

venerdì 7 febbraio 2014

Culminato

CULMINATO: deretano a rischio di esplosioni

giovedì 6 febbraio 2014

Ricevo e pubblico...

nuovo post con Franco Fondriest
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/02/05/da-cortina-a-modena-la-nostra-civilta-perfetta-alla-prova-di-un-blackout/869650/

Da Cortina a Modena, la nostra civiltà perfetta alla prova di un blackout

Spingi l’interruttore ed ecco si accende la luce; attacchi la presa ed ecco, frigo, freezer, lavatrice, lavastoviglie, televisione, computer, tutto funziona a meraviglia. Giri una levetta ed ecco la casa è calda alla temperatura giusta. Apri un rubinetto ed ecco che esce acqua potabile pronta da bere, ma volendo, anche calda per fare una doccia.

Scendi di casa, giri la chiave ed ecco l’ automobile, ruggente, pronta a partire.

Nella nostra civiltà (ma non in tutto il mondo, ricordiamocelo) queste sono certezze quotidiane di cui nemmeno ci rendiamo conto. Diamo per scontato che una cosa funziona, spesso senza neanche sapere come è fatta e cosa c’è dietro. Non pensiamo, per esempio quando facciamo il pieno, da dove viene la benzina, come è estratto il petrolio, men che meno come si è formato o se qualche militare in “missione di pace” fa la guardia per consentirci di girare in auto.

E nemmeno quando accendiamo la luce o uno dei tanti, ed a volte inutili elettrodomestici, ci chiediamo da dove venga l’energia e come sia stata prodotta. Per esempio, chi sa che per ogni kWh consumato ( una carica di lavatrice) indirettamente si bruciano 150 g di petrolio o quasi mezzo kg di inquinante carbone?

L’ importante è che acqua, elettricità e benzina siano sempre disponibili. Ma sarà sempre così? La nostra civiltà così perfetta, non è altrettanto fragile ed attaccabile?

Ma vediamo cosa sta accadendo in Italia; sì in Italia, non in Bangladesh.

Cortina, la perla delle Alpi e buona parte del Cadore, per giorni sono stati senza corrente elettrica a causa di una intensa nevicata; e in questi giorni la situazione si è ripetuta. Cosa ha voluto dire per i residenti ed i turisti?

Gli impianti di riscaldamento non funzionano, buio, frigo e freezer spenti, niente radio, televisioni, computer, niente ricarica dei cellulari (pare fosse questo il problema maggiore per molti, più che il freddo, luci spente a casa e fuori). Poi cose quasi buffe, emblema della nostra dipendenza dall’elettricità anche laddove non è necessario, per comodità (o pigrizia?) o per moda, dagli apriporta e cancello elettrici (senza un valido meccanismo alternativo manuale) alle tapparelle elettriche, per non parlare delle “ecologiche” moderne stufe a pellets, che funzionano solo con la corrente elettrica!

Insomma, tutti al freddo, al buio e senza comunicazioni. Con caccia a fiammiferi, torce, batterie, candele e perfino ceri da chiesa o lumini da cimitero.

Zona a nord di Modena, colpita da un’alluvione causato da intense piogge che hanno provocato il cedimento di un argine, una situazione che pochi si aspettavano, anche se le previsioni annunciavano la pioggia. Nessuno poi ha spiegato prima, alla popolazione, cosa è successo in passato nei nostri territori e i pochi che mettevano in allarme erano tacciati di cassandre catastrofiste.

Cosa ha voluto dire?

Per quanto riguarda l’energia elettrica, le stesse cose che a Cortina, con in più il singolare via vai di gommoni dei VVF per ritirare i cellulari, caricarli e restituirli; insomma, il freddo si sopporta, ma senza cellulare, SMS, facebook non si vive, perché è da lì che arrivano le notizie. Ma mentre là le auto erano solo coperte di neve e le strade bloccate, qui, molte auto sono state messe fuori uso anche definitivamente dall’ acqua e dal fango.

Quindi, sia a Cortina che nella bassa modenese si è sperimentato cosa vuol dire vivere senza auto: niente lavoro, niente spesa, niente figli accompagnati a scuola, niente visite mediche; insomma immobilità quasi totale in un paese che ha ridotto al minimo il trasporto pubblico a favore della mobilità automobilistica privata.

Va detto che la popolazione, gli emiliani che tengono botta, si è attivata e arrangiata, per sopperire alle mancanze delle istituzioni. Il car pooling è nato senza bisogno di essere finanziato da progetti europei, senza APP che fanno incontrare esigenze di sconosciuti, senza consigli di amministrazione e consulenze che si mangiano buona parte dei finanziamenti, ma semplicemente, come si è sempre fatto, dallo spirito di comunità e dall’amicizia. Qualcuno è tornato all’autostop, altri si sono resi disponibili nel tempo libero. Non un amministratore pubblico che abbia proposto di istituire, nell’urgenza, servizi di navette o bus. Eppure, si fa ai convegni, agli eventi sportivi, perfino alle conferenze del clima in poco tempo si organizzano reti di bus per i delegati. Ma non si fa per gli alluvionati o i colpiti dalle catastrofi. E neppure nessun amministratore che abbia messo a disposizione di chi ne aveva bisogno la propria auto blu, mentre le si vedono bellamente parcheggiata in piazza Mazzini, in piazza Grande e davanti al duomo.

E’ positivo che la gente si auto-organizzi, ed anche necessario, ma è penoso vedere anche in questo campo l’assenza delle istituzioni.

Comunque, i recenti fatti di Cortina e della bassa modenese sono stati una piccola ma significa prova per dimostrare quanto la nostra società sia tanto perfetta quanto fragile. Qualcuno dirà che l’Italia è allo sfascio, e forse è vero, ma situazioni simili sono successe con una grossa alluvione a Toronto o con le tempeste di neve o gli uragani a New York.

Insomma, tenere in casa qualche pila, qualche candela, torcia, batterie, una radio portatile e qualche scorta di viveri, compreso qualche bottiglia d’acqua, non è poi una cattiva idea. Del resto black out elettrici, di gas o acqua sono sempre possibili, non solo nelle catastrofi ma anche per guasti, per tensioni sociopolitiche magari lontane, per la mancanza di manutenzione delle reti, tipica delle società in declino.

Anche nella nostra perfetta società può succedere di tutto, ma dobbiamo e possiamo aumentare la nostra “resilienza” ovvero la capacità di subire shock senza (possibilmente) collassare come capitò all’impero Romano o ai Maya. E questo è ancora in mano ai cittadini.

luca lombroso
www.lombroso.it


Quasi ai nastri di partenza la Fiera Internazionale del Libro n° 23

Dal 13 al 26 prossimi si terrà, nel tradizionale spazio del complesso Morro-Cabaña, la 23ma edizione della Fiera del Libro che come sempre avrà appendici in tutte le province fino al 9 di marzo e manifestazioni collaterali in altre sedi come quella abituale del Pabellón Cuba de La Rampa.
Il Paese invitato d’onore quest’anno è l’Ecuador con la presenza del presidente Correa che lancerà il suo libro: “De banana republic a la no República” e terrà una conferenza magistrale all’Università dell’Avana il giorno 14 sul tema “El buen vivir en Ecuador”.
Da parte italiana è prevista la presenza degli editori Luciana Castellina, Ginevra Bompiani e Luca Formenton accompagnati da David Riondino.
Parteciperà anche Claudio Machetti che con Gianluca Mengozzi e Luca Spitoni, triade di architetti, è autore del libro: “Cuba, Scuole Nazionali d’Arte” (Edizioni Schirà) che verrà presentato il giorno 22, si spera anche col DVD di Francesco Apolloni, sempre sulle scuole di Cubanacan, nella cui spianata fra l’altro, si era esibito Zucchero Fornaciari.

Culinaria

CULINARIA: posteriore innalzato