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giovedì 17 luglio 2014
mercoledì 16 luglio 2014
Nuovo albergo a Varadero
È ufficiale: Un nuovo albergo a cinque stelle nasce a Cuba
Cuba possiede attualmente 64 contratti di gestione alberghiera con 20 marchi internazionali.
L’azienda britannica Esencia Hotel sta sviluppando a Cuba un progetto turistico-alberghiero per un valore di circa 350 milioni dollari. Si tratta del risultato di una collaborazione con la ditta cubana Palmares SA (prima joint venture del suo genere da quando l’isola di Cuba ha adottato una nuova legge sugli investimenti esteri all’inizio del 2014).
Il progetto, a cinque stelle, si chiama Carbonera Club (un complesso alberghiero che sorge vicino alla famosa spiaggia di Varadero). La proprietà è un’interessante combinazione fra: struttura alberghiera, centro benessere, tennis club, campo da golf e attività immobiliare. La società ha confermato sul suo sito web che che Carbonera Club è il risultato di tre anni di lavoro con Palmares.
Il progetto è stato elaborato dallo studio di architettura Rafael de la Hoz, Conran & Partners e One Works, insieme all’architetto di campi da golf della PGADC.
Cuba possiede attualmente 64 contratti di gestione alberghiera con 20 marchi internazionali, e ha intenzione di espandere il numero a 70 entro la fine del 2014.
Il Ministero del Turismo di Cuba ha dichiarato che l’Isola ha ricevuto poco meno di 1,3 milioni di turisti nel primo trimestre del 2014 (un miglioramento del 5% rispetto allo stesso periodo nel 2013).
Fonte: Caribbean Journal
Punto di vista, piccola impresa a Cuba
Punto di vista: le piccole imprese private sono fiorite a Cuba
Quando gli americani pensano al mondo degli affari a Cuba, pensano alle imprese statali. Ma la stragrande maggioranza dei cubani non lavora per lo Stato.
Negli ultimi anni, i proprietari di aziende private, noti come lavoratori autonomi, o “cuentaspropistas” sono aumentati sull’isola.
Il “Cuentapropismo” significa letteralmente “per proprio conto”. Già nel 1970, Fidel Castro parlava di come il socialismo e le piccole imprese private potessero coesistere. Oggi, più che mai è realtà.. Tra il 2010 e il 2013, il governo Cubano ha ampliato il numero di categorie di imprese private che sono legali sull’isola, come l’edilizia, i ristoranti e le sartorie.
Circa 1 milione di persone – o il 20 per cento della forza lavoro cubana – ora può essere classificato come appartenente esclusivamente al settore privato, secondo un rapporto di Richard Feinberg della Brookings Institution.
Barbara Fernández Franco ricorda di essersi emozionata quando l’elenco delle società ammesse dal governo è venuto alla luce per la prima volta. Ha consultato l’elenco dei circa 200 lavori possibili e ha pensato attentamente a quello che poteva fare. Ha deciso di scegliere la categoria di “sartoria e confezioni”.
Abbiamo incontrato Barbara, 28 anni, in uno degli edifici antichi ma belli che costeggiano le strette strade coloniali di L’Avana, capitale di Cuba. Seduta sulle scale, ci dice che è stato un percorso difficile, pieno di ostacoli.
E ‘iniziato con la rivendita di abiti realizzati da un’amica, ma i margini di profitto erano minimi. Ha iniziato a comprare vestiti dall’estero, portati da paesi come Repubblica Dominicana, Perù, Ecuador e Messico, che poi rivendeva.
Inizialmente, il progetto era incerto come ogni nuova impresa. Ma dopo pochi mesi di lavoro, dice, i guadagni erano eccezionali. Barbara era in grado di risparmiare un sacco di soldi – che attualmente la stanno aiutando ad acquistare una nuova casa con il suo fidanzato, Michel Pérez Casanova.
Ma il boom nel business ben presto si è concluso quando il governo ha annunciato che l’importazione di capi di abbigliamento per la rivendita sull’isola sarebbe stata illegale dal 31 dicembre 2013.
Barbara è stata devastata dalla notizia, dice, ma mentre altre aziende hanno chiuso, ha scelto di continuare nel modo migliore che poteva: Ha imparato a cucire e ha creato la sua linea di abbigliamento per bambino e zanzariere per lettini.
In un piccolo ristorante nella città portuale di Mariel, il proprietario, Onil Lemus, ci ha detto che tutti quelli che conosce sono assolutamente entusiasti per la crescente portata raggiunta dalle imprese private legali. Scherza che gli piaceva di più quando c’erano meno imprenditori – perché aveva meno concorrenza.
Anche se per Onil gli affari vanno bene, si è fatto portavoce di quanto altri proprietari di piccole imprese ci hanno detto: Una delle maggiori sfide è stata la mancanza di materie prime. Al Mariel, per esempio, ha detto Onil, non vi è accesso ai mercati alimentari all’ingrosso, che sono così importanti per il settore della ristorazione.
Indicando il delizioso stufato di agnello, che è stato preparato per noi, ci ha spiegato che deve andare in una fattoria a comprare la carne, ma i prodotti alimentari come riso e fagioli – basilari per la cucina cubana – sono difficili da acquistare in grandi quantità a prezzi buoni.
Allo stesso modo, Barbara ha detto che alcuni tipi di tessuti e decorazioni sono così costosi che sarebbe impossibile per lei ottenere dei guadagni se li utilizzasse.
La sensazione generale è che l’embargo degli Stati Uniti – Che è in vigore da oltre 50 anni ed è conosciuto come il “blocco” sull’isola – è in gran parte responsabile di questo tipo di difficoltà.
Onyl si è detto fiducioso visto che se il numero di imprenditori privati cresce, il governo dovrà risolvere questi problemi.
A cura di TTC
A cura di TTC
martedì 15 luglio 2014
Scritti allo scriba, di Ciro Bianchi Ross
Pubblicato su Juventud rebelde del 13/7/14
(Dovuto a difficoltà di connessione dell'autore ho potuto pubblicarlo solo oggi e con l'originale tratto dall'edizione digitale del giornale)
(Dovuto a difficoltà di connessione dell'autore ho potuto pubblicarlo solo oggi e con l'originale tratto dall'edizione digitale del giornale)
Diversi lettori si sono rivolti allo scriba in merito alla sua pagina intitolata Orme francesi a Cuba, pubblicata su questo quotidiano lo scorso 22 giugno. Mentre alcuni, come la dottoressa Uva de Aragón, dell’Università Internazionale della Florida, elogiano la cronaca per il suo contributo a un tema che, a suo giudizio, non si è enfatizzato abbastanza, altri si lamentano per l’omissione, nel testo, della città di Cienfuegos.
È certo che Cienfuegosè la città più “francesizzata” di Cuba. È l’unica in America che, sotto il dominio della corona spagnola, fu fondata da francesi. Infatti, dopo alcuni tentativi infruttuosi, il 22 aprile del 1819, Juan Luís Lorenzo D’Clouet, colonnello dei Reali Eserciti, al fronte di 45 coloni francesi provenienti da Boredaux, Luisiana e Filadelfia, si accingeva alla fondazione di questa città alla quale si dette il nome di Fernandina de Jagua, nonostante fosse di origine francese, D’ Clouet, era suddito spagnolo per essere nato a Nuova Orleáns appartenente, all’epoca, alla Spagna.
È lì, affermano gli specialisti, dove si materializzano concezioni moderne e illustri per quel tempo, in quanto all’integrazione di architettura e urbanistica. Emerge, nella cosiddetta Perla del Sud, il suo perfetto tracciato neoclassico a forma di scacchiera al quale si aggiunge la ricchezza monumentale dei suoi spazi pubblici e i suoi edifici neoclassici, eclettici e Art Decò.
Detto sia però, in tutta intimità, Cienfuegos non fu l’unica omissione nella pagina del 22 di giugno. Il lettore comprenderà che non tutto quello che si vorrebbe e si potrebbe scrivere su un tema, trova lo spazio di cui si dispone in un giornale. Avrei dovuto, allora, citare altre città.
Più di 60 famiglie con cognomi francesi, oggi, risiedono a Baracoa. I loro antenati giunsero a questa città nei giorni della Rivoluzione haitiana. La giusta ira dei loro antichi schiavi li aveva privati di quasi tutto ciò che possedevano nella vita, però poterono fuggire da Haiti con la testa sulle spalle e, una volta a Baracoa, diffusero la loro moda e costumi, la loro filosofia e letteratura e si dedicarono a controllare l’economia della regione. Rivitalizzarono l’industria zuccheriera locale che poi scomparve e introdussero nuovi metodi e varietà nella semina del caffè.
Crogiolo di culture, somma di incontri e scontri – catalani al centro dell’emigrazione spagnola, africani di diverse etnie, francesi, haitiani, antillani in generale – il meticciato è, a Santiago de Cuba, più aperto che nel resto del Paese e l’influenza negra risulta essere un elemento fondamentale.
C’è l’ascendente francese nel suo folclore. La “Tumba Francesa” (ballo con tamburi, n.d.t.) uno dei fuochi culturali della città la compongono discendenti di schiavi africani che ebbero padroni francesi e utilizzano elementi tradizionali di provenienza dahomeyana, mentre altri gruppi folkloristici danno un proprio tocco alle radici haitiane e franco-haitiane.
Alla periferia della città sono visibili le rovine delle aziende caffettiere francesi. Il riscatto di una di queste – La Isabelica, nei pressi della Gran Piedra, roccia granitica che si eleva a più di 1200 metri – permette di vedere come viveva la famiglia proprietaria e come si ottenevano i raccolti. In questa regione si installarono molti francesi che fuggirono da Haiti dopo la vittoria della Rivoluzione e si dedicarono alla coltivazione del caffè Il museo descrive la vita in queste aziende agricole e gli strumenti utilizzati per la coltivazione. Fuori dall’edificio del museo sono ubicati gli essiccatoi, la tahona (ruota di mulino mossa da cavalli) e un acquedotto.
Fondamentali in questo riepilogo, risultano essere vari edifici della città di Matanzas. Il teatro sauto è uno dei gioielli dell’architettura cubana e la chiesa di San Pietro Apostolo è considerata come la costruzione neoclassica più bella del Paese. Niente uguaglia, nel continente, la farmacia francese del dottor Triolet, convertita in museo. Questo esercizio aprì al pubblico il 1° gennaio del 1882. Fondato dai dottori Emilio triolet, nato a Lissy, in Francia, e Juan Fermín Figueroa, il cosiddetto re delle farmacie di Cuba, raggiunse rapidamente la fama meritata. Durante il finale del XIX secolo e inizio del XX mantenne legami commerciali con i laboratori più importanti del mondo. Triolet partecipò alla Esposizione Universale di Parigi nel 1900 e ottenne la Medaglia di Bronzo.
Diciamo, per finire, che a Trinidad si conserva la Casa del Corsaro, costruita nel 1754 dal capitano dei corsari Carlos Merlín, di origine francese. Gilberto Girón, il corsaro di Espejo de Paciencia – il monumento più antico della letteratura cubana – dette il nome a una spiaggia della Baia dei Porci, Playa Girón, scritta a colpi di sangue ed eroismo nella storia della Rivoluzione Cubana.
Altre voci, altri ambiti
Tempo fa sono salito al Castello di Atarés e sono rimasto abbagliato dalla veduta che regala all’Avana. Questa è una delle volte che la realtà imita l’immaginazione, ebbene quando il pomeriggio comincia a declinare, per dirlo con le parole del trovatore Eduardo Sosa, il paesaggio urbano reale che si apprezza dalla sua altezza ricorda l’Avana sognata da René Portocarrero e plasmata dall’artista nella sua serie Ciudades. Peccato che non sia ancora un’istituzione aperta al pubblico.
Una lettrice che si firma col solo nome di battesimo chiede informazioni su questa fortezza e in merito alla caserma di San Ambrosio, chiede Miguel Álvarez, abitante nel reparto San Agustín.
La costruzione del Castello di Atarés, sulla collina di Soto, in fondo alla baia avanera, venne motivata dalla presa dell’Avana da parte degli inglesi (1762), che evidenziò la necessità di proteggere i percorsi che comunicavano la città con le campagne vicine. Così tra il 1763 e 1767, dopo altre opere provvisorie, si iniziò l’edificazione di questa fortezza a 1500 braccia (poco più di 1200 metri) al sud del recinto murato. Ai tempi di Machado, l’installazione era sotto il comando del tristemente celebre capitano Manuel Crespo Moreno ed era la sede del 5to Squadrone della Guardia Rurale, unità eccellentemente addestrata che copriva, coi suoi uomini, la scorta del Presidente della Repubblica.
Al crollo del machadato, Crespo Moreno uscì da Cuba nello stesso aereo del dittatore e ad Atarés apparvero, allora, le tombe clandestine di diversi lottatori antimachadisti, sottomessi a terribili torture prima di essere assassinati. In questo luogo l’8 e 9 di novembre del 1933, cercarono rifugio fra i mille e i 1500 civili, molti di loro militanti dell ABC, ex ufficiali e militari attivi, tutti opposti al Governo di Ramón Grau San Martín. Venivano fuggendo dalle caserme di Dragones, di Zanja tra Escobar y Lealtad e di San Ambrosio, molto vicino a lì, nelle immediatezze della centrale elettrica di Tallapiedra. Si misero in una topaia.
San Ambrosio – rispondo adesso al lettore Miguel Álvarez – era la sede del Dipartimento di Amministrazione dell’Esercito. C’erano magazzini di munizioni, uniformi eccetera. In questo casermone enorme funzionò, in tempi del tabacco, la cosiddetta fabbrica del sigaro. Qunado cessò di esserlo si diedro diversi usi all’immobile. In una delle sue aree funzionò, ai tempi della Spagna, un ospedale militare fino a che le sue condizioni igieniche o meglio, anti igieniche, suggerirono la costruzione dell’ospedale Alfonso XIII, che oggi è il Calíxto García. In una parte dell’edificio esistette una scuola elementare. Lo scriba non conosce che utilizzazione si da oggigiorno a questo stabile.
Da Varadero
Scrivono con marcata insistenza da Varadero. Qualcuno si interessa per sapere della vita e i miracoli di un soggetto che, a metà del secolo scorso, aveva la sua residenza nella calle 56 della spiaggia. Si tratta del colonnello Gonzalo García Pedroso. Il richiedente sa che fu direttore del Patrimonio della Lotteria Nazionale e che aveva terre a San José de las Lajas. Richiede le ragioni della sua amicizia con il dittatore Fulgencio Batista che lo visitava, a casa sua, durante i soggiorni nella cittadina balneare. Il lettore domanda se García Pedroso fu militare e come giunse ad essere direttore della Lotteria.
La risposta non è molto complessa. Batista e García Pedroso si conoscevano da tempo. Senza far parte della giunta di Columbia o degli otto, che organizza il colpo di stato del 1933, l’allora sergente García Pedroso si aggiunge ai cospiratori prima del 4 settembre, data in cui Batista effettua il golpe contro il Governo di Céspedes. Figura fra quelli che cospirano nel campo di Columbia e prosegue nella cospirazione quando il suo epicentro si sposta all’edificio della Gran Loggia di Cuba. A questo punto si era allargato il circolo dei cospiratori. Si trovano, fra loro, i sergenti Jaime Mariné e Ulsiceno Franco Granero, entrambi di origine spagnola e distintisi nella caserma San Ambrosio; Urbano Soler, stenografo del settimo distretto (La cabaña), Ignacio Galindez e García Pedroso, entrambi di Columbia. Il giorno del golpe García è con Batista. Lo accompagnano molti sergenti, caporali, soldati e ufficiali come Francisco Tabernilla, Manuel Benítez, Raymundo Ferrer e Gregorio Querejeta.
Avanza il Governo dei Cento Giorni che capeggia il presidente Grau. Il 7 novembre del 1933, Franco Granero cessa come capo della Polizia Nazionale e García Pedroso occupa l’incarico su proposta del colonnello Batista, capo dell’Esercito, Guiteras, allepoca ministro del Governo, Guerra e Marina, aveva proposto Luis Felipe Masferrer per questo comando, ma Grau mette il veto e appoggia il candidato di Batista perché vuole far dimenticare al colonnello l’occorso giorni prima, quando Guiteras voleva destituirlo e fucilarlo come traditore.
Durante la già citata ribellione dell’8 e 9 novembre, contro il Governo di Grau, i ribelli occuparono anche diverse stazioni della Polizia. In una di queste, la Decima, sita in uno dei vertici del ponte sul fiume Almendares, nell’Avenida 23, cadde prigioniero García Pedroso. Fu liberato da forze al comando di Belisario Hernández, aiutante di Batista, che bombardarono l’unità della Polizia dal cabaret La Verbena, nell’altra sponda del fiume.
Lo scriba non sa quando García Pedroso ascese a colonnello e in che data passò alla riserva militare. Nel Libro d’Oro della società avanera corrispondente al 1958 lo si nomina come direttore del patrimonio della Lotteria Nazionale, con residenza nella calle 32 angolo Terza a Miramar e nella tenuta Nena. In San José de las Lajas.
Escritos al escribidor
De Ciro Bianchi Ross
Varios lectores escribieron al escribidor con motivo de su página titulada Huellas francesas en Cuba, publicada en este diario el pasado 22 de junio. Mientras que algunos, como la doctora Uva de Aragón, de la Universidad Internacional de la Florida, elogian la crónica por su contribución a un tema en el que, a su juicio, no se ha enfatizado lo suficiente, otros protestan por la omisión en el texto de la ciudad de Cienfuegos.
Cierto es que Cienfuegos es la ciudad más afrancesada de Cuba. Es la única urbe de América que, bajo el dominio de la corona española, fue fundada por franceses. En efecto, luego de intentos infructuosos, el 22 de abril de 1819, Juan Luis Lorenzo D’Clouet, coronel de los Reales Ejércitos, al frente de un grupo de 45 colonos franceses procedentes de Burdeos, Luisiana y Filadelfia, acometía la fundación de esa ciudad a la que se dio entonces el nombre de Fernandina de Jagua. Aunque de origen francés, D’Clouet era súbdito español por haber nacido en Nueva Orleáns, perteneciente a España en la época.
Es allí, afirman especialistas, donde se materializan concepciones modernas e ilustradas para su tiempo en cuanto a la integración de arquitectura y urbanismo. Llama la atención en la llamada Perla del Sur su perfecto trazado neoclásico en forma de tablero de ajedrez, a lo que se suma la riqueza monumental de sus espacios públicos y sus edificaciones neoclásicas, eclécticas y de Art Decó.
Pero, y dicho sea a toda intimidad, Cienfuegos no fue la única omisión en la página del 22 de junio. Ya comprenderá el lector que no todo lo que se quiere y se puede escribir acerca de un tema cabe en el espacio de que se dispone en un periódico. Habría que haber mencionado entonces otras ciudades.
Más de 60 familias con apellidos franceses radican hoy en Baracoa. Sus antecesores llegaron a esta villa en los días de la Revolución haitiana. La justa ira de sus antiguos esclavos los había privado de casi todo lo que poseían en la vida, pero pudieron escapar de Haití con la cabeza sobre los hombros, y ya en Baracoa propagaron sus modas y costumbres, su filosofía y su literatura y se dedicaron a controlar la economía de la región. Revitalizaron la industria azucarera local, que desapareció luego, e introdujeron nuevos métodos y variedades en la siembra del café.
Crisol de culturas, suma de encuentros y desencuentros —catalanes en el centro de la emigración española, africanos de etnias diversas, franceses, haitianos, antillanos en general— el mestizaje es en Santiago de Cuba más abierto que en el resto del país y la influencia negra resulta un elemento insoslayable.
Hay ascendencia francesa en su folclor. La Tumba Francesa —Patrimonio de la Humanidad— uno de los focos culturales de la villa, la componen descendientes de esclavos africanos que tuvieron amos franceses y utilizan elementos tradicionales de procedencia dahomeyana, mientras que otros grupos folclóricos dan un toque propio a las raíces haitianas y franco-haitianas.
En las afueras de la ciudad son visibles ruinas de cafetales franceses. El rescate de uno de estos —La Isabelica, en la cercanía de La Gran Piedra, roca granítica que se eleva a más de 1 200 metros— permite ver cómo vivía la familia propietaria y cómo se obtenían las cosechas. En esa región se instalaron muchos franceses que huyeron de Haití tras el triunfo de la revolución y se dedicaron al cultivo del café. El museo describe la vida en esas haciendas y los instrumentos utilizados en los cultivos. Fuera del edificio del museo están situados los secaderos, la tahona (molino de harina movido por caballería) y un acueducto.
Insoslayables en este recuento resultan varias de las edificaciones de la ciudad de Matanzas. El teatro Sauto es una de las joyas de la arquitectura cubana, y la iglesia de San Pedro Apóstol está considerada como la construcción neoclásica más bella del país. Nada iguala en el continente a la farmacia francesa del doctor Triolet, convertida en museo. Este establecimiento abrió al público el 1ro. de enero de 1882. Fundada por los doctores Emilio Triolet, nacido en Lissy, Francia, y Juan Fermín Figueroa, el llamado Rey de las boticas de Cuba, ganó rápidamente merecida fama. Durante los finales del siglo XIX y comienzos del XX mantuvo nexos comerciales con los laboratorios más importantes del mundo. Triolet participó en la Exposición Universal de París en 1900 y obtuvo Medalla de Bronce.
Digamos, para finalizar, que en Trinidad se conserva la Casa del Corsario, construida en 1754 para el capitán de corsarios Carlos Merlin, de origen francés. Gilberto Girón, el corsario de Espejo de paciencia —el monumento más antiguo de la literatura cubana— dio nombre a una playa de la bahía de Cochinos, Playa Girón, escrita a golpe de sangre y heroísmo en la historia de la Revolución Cubana.
Otras voces, otros ámbitos
Hace tiempo subí al Castillo de Atarés y quedé deslumbrado por la vista que regala de La Habana. Esta es una de las veces en que la realidad imita a lo imaginado, pues cuando la tarde comienza a declinar, para decirlo con las palabras del trovador Eduardo Sosa, el paisaje urbano real que se aprecia desde su altura remeda La Habana soñada por René Portocarrero y plasmada por el artista en su serie Ciudades. Lástima que no sea todavía una instalación abierta al público.
Información sobre esa fortaleza colonial reclama una lectora que firma solo con su nombre de pila, y acerca del cuartel de San Ambrosio inquiere Miguel Álvarez, vecino del reparto San Agustín.
La construcción del Castillo de Atarés, en la loma de Soto, al fondo de la bahía habanera, fue motivada por la toma de La Habana por los ingleses (1762), que evidenció la necesidad de resguardar y defender los caminos que comunicaban a la ciudad con los campos vecinos. Así, entre 1763 y 1767, luego de varias obras provisionales, se acometió la edificación de esa fortaleza, a 1 500 varas (poco más de 1 200 metros) al sur del recinto amurallado. En tiempos de Machado, la instalación estuvo bajo el mando del tristemente célebre capitán Manuel Crespo Moreno, y era la sede del Escuadrón 5 de la Guardia Rural, unidad excelentemente adiestrada que cubría con sus hombres la escolta del Presidente de la República.
Al derrumbarse el machadato, Crespo Moreno salió de Cuba en el mismo avión que el dictador, y en Atarés aparecieron entonces los enterramientos clandestinos de varios luchadores antimachadistas, sometidos a terribles torturas antes de ser asesinados. En ese lugar, durante el 8 y el 9 de noviembre de 1933 buscaron refugio entre mil y 1 500 civiles, muchos de ellos militantes del ABC, ex oficiales y militares en activo, opuestos todos al Gobierno de Ramón Grau San Martín. Venían huyendo de los cuarteles de Dragones, en Zanja entre Escobar y Lealtad, y de San Ambrosio, muy cerca de allí, en las inmediaciones de la central eléctrica de Tallapiedra. Se metieron en una ratonera.
San Ambrosio —respondo ahora al lector Miguel Álvarez— era la sede del Departamento de Administración del Ejército. Había allí almacenes de municiones, uniformes, etc. En ese caserón enorme funcionó, en tiempos del estanco, la llamada factoría del tabaco. Cuando dejó de serlo se le dio diversos usos al inmueble. En una de sus áreas funcionó, en tiempos de España, un hospital militar hasta que sus condiciones higiénicas o, mejor, antihigiénicas, recomendaron la construcción del hospital Alfonso XIII, que es hoy el Calixto García. En parte del edificio existió una escuela primaria. Desconoce el escribidor qué utilidad se le da hoy a ese edificio.
Desde Varadero
Escriben con marcada insistencia desde Varadero. Alguien se interesa por saber la vida y los milagros de un sujeto que, a mediados del siglo pasado, tenía su residencia en la calle 56 de la playa. Se trata del coronel Gonzalo García Pedroso. Conoce el solicitante que fue director de la Renta de la Lotería Nacional y que tenía tierras en San José de las Lajas e inquiere las razones de su amistad con el dictador Fulgencio Batista, que lo visitaba en su casa durante sus estancias en el balneario. Pregunta el lector si García Pedroso fue militar y cómo llegó a director de la Lotería.
La respuesta no es muy compleja. Batista y García Pedroso se conocían de atrás. Sin ser parte de la junta de Columbia o de los ocho, que organiza el golpe de Estado de 1933, el entonces sargento García Pedroso se suma a los conspiradores antes del 4 de septiembre, fecha en que Batista ejecuta el cuartelazo contra el Gobierno de Céspedes. Figura entre los que conspiran en el campamento de Columbia y sigue en la conspiración cuando su foco se traslada al edificio de la Gran Logia de Cuba. A esas alturas se había ensanchado el círculo de conspiradores. Se cuentan entre ellos los sargentos Jaime Mariné y Ulsiceno Franco Granero, ambos de origen español y destacados en el cuartel de San Ambrosio; Urbano Soler, taquígrafo del Séptimo Distrito (La Cabaña), e Ignacio Galíndez y García Pedroso, ambos de Columbia. El día del golpe, García Pedroso está con Batista. Lo acompañan numerosos sargentos, cabos y soldados y oficiales como Francisco Tabernilla, Manuel Benítez, Raymundo Ferrer y Gregorio Querejeta.
Avanza el Gobierno de los Cien Díaz que encabeza el presidente Grau. El 7 de noviembre de 1933, Franco Granero cesa como jefe de la Policía Nacional y García Pedroso ocupa el cargo a propuesta del coronel Batista, jefe del Ejército. Guiteras, a la sazón ministro de Gobernación, Guerra y Marina, había propuesto a Luis Felipe Masferrer para esa jefatura, pero Grau lo veta y apoya al candidato de Batista porque quiere hacerle olvidar al Coronel lo acaecido días antes, cuando Guiteras quiso destituirlo y fusilarlo por traidor.
Durante la ya aludida rebelión del 8 y 9 de noviembre contra el Gobierno de Grau, los sublevados ocuparon también varias estaciones de Policía. En una de estas, la Décima, situada en una de las cabezas del puente sobre el río Almendares, en la Avenida 23, cayó prisionero García Pedroso. Fue liberado por fuerzas al mando de Belisario Hernández, ayudante de Batista, que bombardearon la unidad policial desde el cabaret La Verbena, en la otra orilla del río.
Desconoce el escribidor cuándo García Pedroso ascendió a coronel y en qué fecha pasó a la reserva militar. En el Libro de oro de la sociedad habanera correspondiente a 1958 se le consigna como director de la Renta de la Lotería Nacional, con residencia en la calle 32 esquina a Tercera, en Miramar, y en la finca Nena, en San José de las Lajas.
Perché a Cuba i beni di consumo sono limitati?
Conversando sulle reti
sociali o nelle chat mi capita di
parlare di Cuba e trovo, naturalmente, poca o nessuna conoscenza della
situazione reale del Paese. Tutti, o quasi, sono a conoscenza dell’embargo
statunitense, ma nessuno sa quale sia la vera portata delle conseguenze. Non
voglio entrare nel merito di come e perché sia sorto questo provvedimento,
frutto del conflitto tra due Paesi, ciascuno con le proprie ragioni che hanno
portato a questa determinazione. Non ne sono in grado e non è lo scopo di
queste poche righe che vorrebbero, solo, spiegare in modo sicuramente
incompleto, come si vive nella Cuba di oggi. Vorrei cercare di far capire quali
sono i risultati concreti, dopo quasi 54 anni dalla sua applicazione, che in
pratica non ha dato i risultati sperati dai Governi nordamericani (leggi caduta
del regime di Fidel Castro, prima, e del fratello Raúl, dopo). Le conseguenze
di questa situazione, alla fine le paga il consumatore finale, cittadino, la
persona o come spesso si usa demagogicamente definire: il popolo.
Il primo effetto
palese e pratico dell’embargo si ebbe negli anni '60, quando si dovette instaurare un’autarchia
economica che mise fuori legge la circolazione e detenzione di valuta estera da
parte dei cittadini. Una misura drastica che durò proprio fino all’inizio del
cosiddetto “periodo especial”, nei primi anni '90. In quel trentennio si
potevano, in pratica, acquistare solo gli scarsi e scadenti prodotti nazionali,
supportati dalla “libreta”, la tessera annonaria, che forniva i generi di prima
necessità a prezzi molto contenuti in quanto sovvenzionati dallo Stato. Oggi la
“libreta” esiste ancora, ma con un ventaglio di prodotti, tra cui il pane (che
però si trova anche a prezzo maggiorato sul mercato libero), estremamente
ridotti. I prodotti d’importazione o quelli nazionali destinati
all’esportazione erano solo alla portata di diplomatici o tecnici stranieri che
potevano legalmente usare i dollari nei pochissimi esercizi riservati a loro.
Dollari che poi lo Stato doveva convertire in altra valuta per fare acquisti
all’estero. Subito dopo la depenalizzazione del possesso e uso della valuta
estera, venne istituito il “peso cubano convertibile” o “CUC” con cui oggi
chiunque può acquisire i prodotti più “pregiati” a disposizione o usufruire di
servizi, all’origine, destinati solo agli stranieri. La situazione comunque ha
reso molto difficile la convivenza di questo dualismo monetario o doppio
mercato, per cui si sta lavorando per la riunificazione valutaria e
riordinamento di prezzi e salari. L’istituzione del “CUC” non ha rimesso il
divieto di possesso della valuta estera, ma ne ha vietato la circolazione. Chi
ne è in possesso, se vuole fare acquisti in “valuta forte” deve cambiarla nei
luoghi appositi e lo Stato raggranella il circolante pregiato.
L’effetto maggiore dell’embargo,
penso si debba trovare nella parte economico finanziaria che in particolare vieta a Cuba di effettuare
transazioni in dollari USA e ha impedito a Istituti di Credito e Finanziari, anche
di Paesi terzi, di installarsi a Cuba per sostenere la fragile economia locale.
Naturalmente non è questo l’unico aspetto fortemente negativo, un’altro è dato
dall’impossibilità di scambi commerciali paritari. È vero che negli ultimi anni
Cuba può rifornirsi di generi alimentari sul mercato statunitense, previo
pagamento anticipato ai fornitori privati di alcuni Stati del sud, ma la norma
principale ancora vigente, fra le altre è quella che impedisce ad aziende e
privati di acquistare qualunque cosa prodotta a Cuba. Un’arma potentissima che
vieta l’ingresso dell’Isola al mercato statunitense con i suoi prodotti più
pregiati: rum, tabacco, nickel e sopratutto, turismo. Lo zucchero ormai non è
più competitivo. I danni dal mancato afflusso di turisti nordamericani sono
incalcolabili, per non parlare del divieto di sbarco delle ricche navi da
crociera, provenienti anche da altre parti del mondo, che solcano i mari
adiacenti. Uno degli aspetti extra-territoriali di questa legge stabilisce che
una nave che tocchi un porto cubano non può toccare porti statunitensi per i
sei mesi successivi. Sono fior di milioni di dollari che non arrivano a
soccorrere le finanze in agonia.
Certo ci sono anche degli
errori di valutazione da parte cubana. Con i pochi capitali a disposizione lo
Stato cerca di fare acquisti per tutto il Paese e per tutti i fabbisogni. Se
questo aveva una sua logica nei tempi di un egualitarismo, peraltro mai
realmente raggiunto, oggi in vista delle “aperture” avvenute o che avverranno, ciò
non ha più nessun senso. Credo sia ora di aprire la possibilità di importazione
anche ai settori privati. Forse Cina e Vietnam, hanno visto cadere i loro
Governi dopo le aperture all’iniziativa privata? Certo che no e sono diventati,
inoltre, Paesi “favoriti” del commercio nordamericano.
Questo insieme di fattori,
porta alla carenza sul mercato di beni od oggetti dall’uso quotidiano,
specialmente non strettamente indispensabile alla sussistenza e magari di
valore commerciale relativamente basso. È vero che rispetto anche agli anni
precedenti il “periodo especial” della decade del ’90, oggi ci sono più oggetti
di consumo sul mercato, ma molti di loro appaiono e scompaiono per
l’instabilità delle importazioni e l’accaparramento che alcuni ne fanno appena
presenti sul mercato.
Molti si stupiscono del
fatto che se non si trovano sul mercato interno, certi prodotti si “possono
comprare per internet”. Il fatto è che internet a Cuba è limitatissimo e che
non essendoci Istituti di Credito internazionali...non ci sono carte di credito
a disposizione per poter effettuare, eventualmente, acquisti sul web. Inoltre
le consegne per piccoli quantitativi individuali non sono convenienti. Le
maggiori società che operano nella logistica sono a capitale statunitense e
quindi non possono operare a Cuba. L’unico “corriere” internazionale presente è
DHL, con costi elevati. I fornitori di servizi commerciali sul web hanno una
loro struttura, ormai automatizzata, per la distribuzione e nessuna azienda si
prende la briga di mandare un incaricato a un ufficio postale per mandare un
pacchetto del valore di pochi dollari a Cuba con una spesa che spesso supera
anche il valore della merce.
Qualcuno mi ha mandato dei
“link” di società che si occupano dell’invio a Cuba...vero, ma i prodotti da
inviare devono essere comperati all’estero e consegnati a queste società che si
occupano solo ed esclusivamente della spedizione. Per quello ci sarebbero anche
le Poste.
Ci sono almeno un paio di
siti canadesi, con sede anche in Spagna che sono in pratica dei supermercati
virtuali ed offrono un ventaglio di offerte, sempre da pagare all’estero, per
l’invio a Cuba. Ma non sono certo la
soluzione del problema perché comunque la loro offerta è forzatamente limitata
e non omnia. Capita così, frequentemente, di non trovare le cose più semplici,
dalle lampadine alla schiuma da bagno, dalla carta igienica agli interruttori,
dalle spugnette e articoli per la pulizia di casa e stoviglie al lucido per le
scarpe, ricambi e accessori per le auto, chiodi, viti e articoli di ferramenta varie, eccetera. Di tutto un po’, insomma, la lista sarebbe interminabile.
Questa è la situazione reale
di Cuba oggi. Sarebbe, credo, opportuno che fra i capi di Stato e di Governo,
ognuno si prendesse le proprie responsabilità e facesse un esame di coscienza
per vedere se è proprio necessario rimanere rigidi nelle proprie posizioni e
non fare i passi necessari per eliminare un ostacolo alla vita normale di tante
persone.
lunedì 14 luglio 2014
domenica 13 luglio 2014
sabato 12 luglio 2014
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