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martedì 15 luglio 2014

Perché a Cuba i beni di consumo sono limitati?

Conversando sulle reti sociali o  nelle chat mi capita di parlare di Cuba e trovo, naturalmente, poca o nessuna conoscenza della situazione reale del Paese. Tutti, o quasi, sono a conoscenza dell’embargo statunitense, ma nessuno sa quale sia la vera portata delle conseguenze. Non voglio entrare nel merito di come e perché sia sorto questo provvedimento, frutto del conflitto tra due Paesi, ciascuno con le proprie ragioni che hanno portato a questa determinazione. Non ne sono in grado e non è lo scopo di queste poche righe che vorrebbero, solo, spiegare in modo sicuramente incompleto, come si vive nella Cuba di oggi. Vorrei cercare di far capire quali sono i risultati concreti, dopo quasi 54 anni dalla sua applicazione, che in pratica non ha dato i risultati sperati dai Governi nordamericani (leggi caduta del regime di Fidel Castro, prima, e del fratello Raúl, dopo). Le conseguenze di questa situazione, alla fine le paga il consumatore finale, cittadino, la persona o come spesso si usa demagogicamente definire: il popolo.
Il primo effetto palese e pratico dell’embargo si ebbe negli anni '60, quando si dovette instaurare un’autarchia economica che mise fuori legge la circolazione e detenzione di valuta estera da parte dei cittadini. Una misura drastica che durò proprio fino all’inizio del cosiddetto “periodo especial”, nei primi anni '90. In quel trentennio si potevano, in pratica, acquistare solo gli scarsi e scadenti prodotti nazionali, supportati dalla “libreta”, la tessera annonaria, che forniva i generi di prima necessità a prezzi molto contenuti in quanto sovvenzionati dallo Stato. Oggi la “libreta” esiste ancora, ma con un ventaglio di prodotti, tra cui il pane (che però si trova anche a prezzo maggiorato sul mercato libero), estremamente ridotti. I prodotti d’importazione o quelli nazionali destinati all’esportazione erano solo alla portata di diplomatici o tecnici stranieri che potevano legalmente usare i dollari nei pochissimi esercizi riservati a loro. Dollari che poi lo Stato doveva convertire in altra valuta per fare acquisti all’estero. Subito dopo la depenalizzazione del possesso e uso della valuta estera, venne istituito il “peso cubano convertibile” o “CUC” con cui oggi chiunque può acquisire i prodotti più “pregiati” a disposizione o usufruire di servizi, all’origine, destinati solo agli stranieri. La situazione comunque ha reso molto difficile la convivenza di questo dualismo monetario o doppio mercato, per cui si sta lavorando per la riunificazione valutaria e riordinamento di prezzi e salari. L’istituzione del “CUC” non ha rimesso il divieto di possesso della valuta estera, ma ne ha vietato la circolazione. Chi ne è in possesso, se vuole fare acquisti in “valuta forte” deve cambiarla nei luoghi appositi e lo Stato raggranella il circolante pregiato.

L’effetto maggiore dell’embargo, penso si debba trovare nella parte economico finanziaria  che in particolare vieta a Cuba di effettuare transazioni in dollari USA e ha impedito a Istituti di Credito e Finanziari, anche di Paesi terzi, di installarsi a Cuba per sostenere la fragile economia locale. Naturalmente non è questo l’unico aspetto fortemente negativo, un’altro è dato dall’impossibilità di scambi commerciali paritari. È vero che negli ultimi anni Cuba può rifornirsi di generi alimentari sul mercato statunitense, previo pagamento anticipato ai fornitori privati di alcuni Stati del sud, ma la norma principale ancora vigente, fra le altre è quella che impedisce ad aziende e privati di acquistare qualunque cosa prodotta a Cuba. Un’arma potentissima che vieta l’ingresso dell’Isola al mercato statunitense con i suoi prodotti più pregiati: rum, tabacco, nickel e sopratutto, turismo. Lo zucchero ormai non è più competitivo. I danni dal mancato afflusso di turisti nordamericani sono incalcolabili, per non parlare del divieto di sbarco delle ricche navi da crociera, provenienti anche da altre parti del mondo, che solcano i mari adiacenti. Uno degli aspetti extra-territoriali di questa legge stabilisce che una nave che tocchi un porto cubano non può toccare porti statunitensi per i sei mesi successivi. Sono fior di milioni di dollari che non arrivano a soccorrere le finanze in agonia.
Certo ci sono anche degli errori di valutazione da parte cubana. Con i pochi capitali a disposizione lo Stato cerca di fare acquisti per tutto il Paese e per tutti i fabbisogni. Se questo aveva una sua logica nei tempi di un egualitarismo, peraltro mai realmente raggiunto, oggi in vista delle “aperture” avvenute o che avverranno, ciò non ha più nessun senso. Credo sia ora di aprire la possibilità di importazione anche ai settori privati. Forse Cina e Vietnam, hanno visto cadere i loro Governi dopo le aperture all’iniziativa privata? Certo che no e sono diventati, inoltre, Paesi “favoriti” del commercio nordamericano.
Questo insieme di fattori, porta alla carenza sul mercato di beni od oggetti dall’uso quotidiano, specialmente non strettamente indispensabile alla sussistenza e magari di valore commerciale relativamente basso. È vero che rispetto anche agli anni precedenti il “periodo especial” della decade del ’90, oggi ci sono più oggetti di consumo sul mercato, ma molti di loro appaiono e scompaiono per l’instabilità delle importazioni e l’accaparramento che alcuni ne fanno appena presenti sul mercato.
Molti si stupiscono del fatto che se non si trovano sul mercato interno, certi prodotti si “possono comprare per internet”. Il fatto è che internet a Cuba è limitatissimo e che non essendoci Istituti di Credito internazionali...non ci sono carte di credito a disposizione per poter effettuare, eventualmente, acquisti sul web. Inoltre le consegne per piccoli quantitativi individuali non sono convenienti. Le maggiori società che operano nella logistica sono a capitale statunitense e quindi non possono operare a Cuba. L’unico “corriere” internazionale presente è DHL, con costi elevati. I fornitori di servizi commerciali sul web hanno una loro struttura, ormai automatizzata, per la distribuzione e nessuna azienda si prende la briga di mandare un incaricato a un ufficio postale per mandare un pacchetto del valore di pochi dollari a Cuba con una spesa che spesso supera anche il valore della merce.
Qualcuno mi ha mandato dei “link” di società che si occupano dell’invio a Cuba...vero, ma i prodotti da inviare devono essere comperati all’estero e consegnati a queste società che si occupano solo ed esclusivamente della spedizione. Per quello ci sarebbero anche le Poste.
Ci sono almeno un paio di siti canadesi, con sede anche in Spagna che sono in pratica dei supermercati virtuali ed offrono un ventaglio di offerte, sempre da pagare all’estero, per l’invio a Cuba. Ma  non sono certo la soluzione del problema perché comunque la loro offerta è forzatamente limitata e non omnia. Capita così, frequentemente, di non trovare le cose più semplici, dalle lampadine alla schiuma da bagno, dalla carta igienica agli interruttori, dalle spugnette e articoli per la pulizia di casa e stoviglie al lucido per le scarpe, ricambi e accessori per le auto, chiodi, viti e articoli di ferramenta varie, eccetera. Di tutto un po’, insomma, la lista sarebbe interminabile.

Questa è la situazione reale di Cuba oggi. Sarebbe, credo, opportuno che fra i capi di Stato e di Governo, ognuno si prendesse le proprie responsabilità e facesse un esame di coscienza per vedere se è proprio necessario rimanere rigidi nelle proprie posizioni e non fare i passi necessari per eliminare un ostacolo alla vita normale di tante persone.

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