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lunedì 28 marzo 2016

Dizionario del mare per lupi di terra

APPOPPARE: allattare

domenica 27 marzo 2016

Dizionario del mare per lupi di terra

APPONTARE: pepparare (Sicilia)

sabato 26 marzo 2016

Qualcosa è già realtà nei rapporti Cuba-USA

Non so e sia il primo caso, ma all'Avana è già attiva una piccola industria o forse meglio chiamarlo un grosso artigianato che si avvale della collaborazione di un'azienda nordamericana. Si della tratta "Adorgraf" che prepara confezioni con propaganda per altre aziende sia private che pubbliche, la maggior parte del loro lavoro, riguarda borse per acquisti in carta riciclabile in varie dimensioni e colori con il marchio e le scritte a scelta del cliente.
Questa collaborazione è possibile grazie ad una dell e modifiche decretate dal presidente Obama, tra le pieghe dell'embargo e che consente a entità statunitensi di operare con aziende private cubane.

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APPENELLARE: addipingere

giovedì 24 marzo 2016

Obama, Rolling Stones e Panfilo Epifanio

Come è ben noto proseguono le visite storiche, dopo quella a dir poco clamorosa del Presidente Barack Obama, adesso tocca ai Rolling Stones di cui devo confessare che gradisco solo “Satisfaction”, con tante scuse ai milioni di fans che hanno in tutto il pianeta.
Il noto, per chi segue i fatti di Cuba, programma televisivo “La mesa redonda” oggi è stato dedicato quasi completamente a loro e al concerto che terranno domani nella “Ciudad Deportiva” della capitale dove già iniziano i bivacchi per poter prendere i posti migliori. Sto scrivendo queste note alle 20.30 di giovedì, cioè esattamente 24 ore prima dell’inizio del concerto. I cancelli saranno aperti al pubblico alle 14 di domani, venerdì.
Dicevo che “La mesa redonda” è stata quasi tutta dedicata ai Rolling perché, a sorpresa, nei minuti finali hanno mostrato una scena della popolare casa di Panfilo Epifanio, il programma umoristico e satirico, “Vivir del cuento”, in onda ogni lunedì sera sul programma nazionale di Cubavisión, mentre il sabato va in onda sul canale Internazionale in orari diversi, secondo i continenti e viene ripetuto, come tutto il blocco del giorno per tre volte nele 24 ore.
Il presidente Obama in uno dei discorsi tenuti all’Avana aveva menzionato, sorprendentemente, il programma che dice molto seguito negli Stati Uniti, parlando in tema di mezzi di comunicazione multimediali in genere. Quello che ha veramente stupito è stata la sua comparsa come partecipante a uno sketch riguardante il gioco del domino, dove mancava il quarto...non ho veramente parole per apprezzare questa sua “verve”, oltre che da politico da uomo semplice e informato di quello che lo circonda, sia vicino o lontano.
Ma, tornando alle Pietre Rotolanti, ho avuto un’altra graditissima sorpresa, l’arrivo all’Avana dell’amica e grande critica musicale de La Stampa, Marinella Venegoni incaricata, in fretta e furia dal giornale, di “coprire” l’evento sicuramente di risonanza mondiale, non certo solo cubana. Abbiamo passato una bella mattinata assieme passeggiando per l’Avana vecchia che lei non vedeva da anni ed è rimasta piacevolmente colpita dalla ristrutturazione di gran parte di essa e dal “risveglio” della vita nelle strade invase, ormai, quasi più da turisti, almeno nel centro che da cubani. Alla passeggiata è seguito un buon pranzetto nell’ambiente gradevole de La Cocina de Lilia, già descritta tempo fa con dovizia di foto...
Nel tempo trascorso assieme e che non è ancora finito, era inevitabile di parlare di suo marito, altro grande giornalista de La Stampa, Mimmo Cándito, docente all’Università di Genova e sicuramente uno dei migliori inviati, in assoluto che ci siano stati nelle guerre e conflitti sparsi dappertutto. In particolare dal Libano, alla ex Jugoslavia e via dicendo passando per Medio Oriente e Africa. Queste sue corrispondenze in prima linea e l'esposizione all'uranio impoverito lo hanno, purtroppo, minato nella salute e di questo parla nel suo ultimo libro: 55 Vasche, pubblicato da Rizzoli. Purtroppo Mimmo non ha potuto venire con Marinella ed è rimasto a Miami, ma per l’occasione ci siamo scambiati mail e telefonate “di lavoro” per sua moglie, ma anche di piacere per tutti, compresa Cecilia che ha condiviso la tavola con Marinella e con me. Domani la accompagnerò all’entrata del concerto, ma siamo d’accordo che la andrò solo a riprendere. Son spiacente per Jagger & c., ma non potranno contare con la mia presenza.


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ANTIVEGETATIVA: l'eutanasia

mercoledì 23 marzo 2016

Fantasmi in Jesús del Monte, di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud Rebelde del 20/3/16

Alla fine del XIX secolo e inizio del XX non figurava ancora, tra i personaggi avaneri popolari, lo strillone dei giornali. Non esisteva, semplicemente perché allora i giornali avevano una circolazione che raggiungeva solo i ricchi e potenti che per motivi culturali o per il desiderio di essere informati, appartenessero o meno a un’elite che fra i suoi privilegi aveva quello di godere dell’abbonamento a un giornale.
L’uomo che vendeva il giornale per strada e inoltre annunciava le notizie principali – diligente ausiliario della stampa, come qualcuno lo chiamò -, apparve più tardi come risultato delle crescenti tirature e le edizioni successive che durante la giornata, facevano i giornali e che necessitavano la loro distribuzione tra diversi settori del pubblico.

Fotografie e dettagli

Di uno di quei venditori di giornali – venditori sul serio – parlò José M. Muzaurieta, giornalista brillante, in una delle sue cronache. L’uomo nero, agile e scintillante, vendeva El Imparcial, lo stesso giornale che vendette Kid Chocolate e Muzaurieta che dirigeva tale giornale, ricordava che ogni giorno raccoglieva i primi pacchi, appena usciti dalla tipografia e con ansia scorreva un esemplare alla ricerca della notizia che avrebbe acclamato e che gli avrebbe permesso di muovere i compratori alla curiosità.
Se nella prima pagina non trovava niente che servisse per “l’attacco”, passava alle pagine interne, una a una, fino ad arrivare all’ultima. Se un giorno il giornale “non usciva buono”, esteriorizzava il suo disgusto, ma come venditore che era, tornava ad immergersi nelle sue pagine alla ricerca di un gancio per la vendita, come in quell’occasione, in cui stanco di cercare, tornò alla sezione della Polizia, dove un piccolo ritaglio dava conto della denuncia di un individuo nel cui domicilio, di notte, trascinavano catene e si produceva un rumore spaventoso che non lo lasciava dormire.
Lo strillone fece salti di gioia. Aveva trovato quello che cercava. Uscì come una freccia sulla strada. Gridava: “Come sono i fantasmi in Jesús del Monte! Maltrattano e tormentano una famiglia! El Imparcial con le ultime notizie! Fotografie e dettagli!”
A qualunque fatto, per insignificante che fosse, quello strillone strappava profitto e dopo aver venduto quattro o cinque pacchi, non era raro che tornasse al giornale per prenderne altri.
Il colmo, ricordava Muzaurieta, fu il giorno in cui non trovò nell’edizione del giorno niente, assolutamente niente che servisse per le sue declamazioni e “attacchi”. Protestò, si indignò, si rivolse malamente ai redattori fino a ricordare che era un venditore e il suo compito era vendere. Nell’uscire dal Reparto Vendite gridava: “El Imparcial! Figuratevi! El Imparcial con il crimine di domani!”

Il letto e il seggiolone

Attorno al 1830, non c’erano ancora alberghi all’Avana, ma nel 1828 si riportavano 1.157 “stanze interne da affittare”. L’arredamento di queste stanze era sconcertante, d’acchito però gli stranieri che le affittavano finivano per gradire sopratutto il letto.
Sui letti dell’epoca, afferma Robert Francis Jamesson, ufficiale della Marina britannica, nelle sue Cartas habaneras (Letters from the Havana, 1820):
La più comunemente usata è un semplice incrocio di legno sul quale si stende un pezzo di tela. Su di essa si collocano un paio di lenzuola fra le quali uno si stende, mentre un’armatura delicata sostiene una rete che lo avvolge per proteggerlo dalle zanzare. Questo è quello che si chiama giaciglio. Ci vuole un po’ di abitudine per riconciliare le ossa con lui, ma la freschezza che offre induce a preferirlo al materasso”.
Jamesson che fu il primo rappresentante dell’Inghilterra davanti alla Commissione Mista per l’abolizione della tratta dei negri – da lì il motivo del suo soggiorno sull’Isola – descrive la giornata tipo dell’uomo con risorse nell’Avana di allora.
Cosa fa l’avanero quando non ha niente da fare? Anche su  questo Jamesson si pronuncia nelle sue Cartas habaneras. Si fa un bagno, si veste per il pranzo che quasi sempre è verso le tre del pomeriggio, dorme la siesta..., dice. E indica in modo esplicito: “Quando non c’è niente da fare si dondola su un seggiolone...”
Nei suoi commenti al libro di Jamesson, l’erudito Juan Pérez de la Riva precisa che questo è uno dei riferimenti più antichi al seggiolone a dondolo che si trovano nella letteratura. Dondoli che secondo quello che crediamo, afferma Pérez de la Riva, fu inventato da qualche cubano alla fine del XVIII secolo.

La via della morte

Al principio, i condannati a morte all’Avana, compivano la loro sanzione sulla forca, Questa macchina per uccidere era installata nella piazza delle Orsoline, che sbocca nella calle di Egido, la Calle Bernaza la si chiamava la via della forca perché conduceva fino al luogo del patibolo. Nel 1810, quando non si era costruita ancora alla fine del Paseo del Prado il Carcere di Tacón, la forca si mise nella spianata della Punta. Nel 1834, Fernando VII, il re fellone, abolì l’uso della forca in Spagna e in tutti i suoi domini. Sarebbe sostituita per la garrota. Per decine di anni le esecuzioni erano state pubbliche, Poi, la garrota si mise all’interno dl recinto carcerario. In questa spianata morirono alla garrota vil Narciso López, Eduardo Facciolo e Ramon Pintó, fra gli altri. Anche Domingo Goicuría gardò prigione in quel luogo, ma fu giustiziato, sempre con la garrota, alla Loma del Príncipe, fortezza convertita in prigione politica dal 1976, quando la inaugurò come tale, Antonio Nariño, precursore dell’indipendenza della Colombia.
La Audiencia Pretorial ebbe sede e celebrò le sue riunioni nel piano principale del carcere di Tacón, dall’apertura di questa installazione penitenziaria. Rimase in quel posto già come Audiencia de La Habana, fino al 1938.
Nel 1930, eccetto la parte occupata dall’Audiencia, il Carcere Nuovo che per quella data era già vecchio, vecchissimo, rimase vuoto. Nel vetusto edificio allora si installarono gli uffici del Municipio e del Sindaco dell’Avana e lì rimasero, mentre si faceva il restauro del palazzo municipale – antico Palazzo dei Capitani Generali, oggi Museo della Città -, secondo quanto disposto dal sindaco Miguel Mariano Gómez.
Nove anni dopo, l’edificio del Carcere era smantellato. Sul terreno dove si ergeva si costruì il Parco dei Martiri, in ricordo di quanti soffrirono la prigione o la morte in quel luogo. Non furono demolite, e come reliquie storiche formano parte del parco, due celle di rigore dove si rinchiudevano i prigionieri più contumaci o quelli che si volevano castigare con maggiore durezza. Inoltre rimase in piedi la cappella dove numerosi eroi e martiri passarono le ultime ore della loro vita.

Quadrati del Malecón

Edoardo Robreño dice nel suo libro Cualquier tiempo pasado fue… che quando sucede un penetrazione del mare, è nella calle Galiano, dove l’acqua penetra per prima, dovuto a un dislivello abastanza profondo esistente in tale luogo. Senza dubbio, quando il ciclone del ’26, l’acqua arrivò per Prado, fino alla calle Colón. E quando il ciclone del ’19, giunse per Campanario fino alla calle Ánimas, con conseguente allarme degli abitanti.
Dei quadrati che ha il Malecón, quello compreso fra le calli San Nicolás e Manrique è dove battono più forte le onde a causa del basso muro e del piccolo spazio occupato dagli scogli. Il muro del Malecón che comincia in calle Lealtád è più basso del resto.

Plaza de Armas

Alla fine del XVI secolo, José Maria de la Torre, annota nel suo libro La Habana antigua y moderna, questo luogo, di piazza aveva solo il nome. Ma fu “il centro da dove si irradiò” la città. Le rialzarono le edificazioni dove, nel finale del XVIII secolo, si eressero attorno ad essa: il Palazzo dei Capitani Generali e la Casa dell’Intendente o del Secondo Capo. Governatori come il marchese de la Torre y de Someruelos, Juan Ruiz de Apodaca e Francisco Dionisio Vives fecero opere che la abbellirono. Indubbiamente la Plaza de Armas cadde in un abbandono totale negli anni finali della dominazione spagnola a Cuba. Cessarono di avere luogo lì, per la guerra, le frequentate riunioni serali e gli avaneri la frequentavano meno come luogo di svago.
La situazione si acutizzò negli anni della prima occupazione militare nordamericana. Leonard Wood, uno dei governatori intervenzionisti, fece togliere le panchine.
Occorreva che i giornalieri del porto e gli impiegati delle aziende vicine, aspettavano lì l’ora di iniziare il lavoro. Le loro conversazioni impedivano il sonno del proconsole, a cui piaceva dormire la mattina. E la Plaza de Armas perse, con le sue panchine, la sua condizione di bell’angolo coloniale.
Diciamo brevemente che fra il 1899 e il 1902, il tempo che durò il primo intervento, all’Avana si costruì un solo edificio pubblico, quello destinato alla Scuola di Arti e Mestieri, nella calle Belascoaín.
Si dovette aspettare il 1926 perché si facesse il restauro del Palazzo del Secondo Capo. L’anno successivo si restaurò il Tempietto e nel 1930 il Palazzo dei Capitani Generali.

In quella data, il Palazzo del Secondo Capo ospitava il Senato della Repubblica e quando questi si installò nel Capitolio, in questo edificio funzionò il Tribunale Supremo di Giustizia.

Fantasmas en Jesús del Monte
Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
19 de Marzo del 2016 21:11:58 CDT

A fines del siglo XIX y a comienzos del XX no figuraba aún entre los personajes populares habaneros el voceador de periódicos. No existía, sencillamente, porque los diarios de entonces tenían una circulación que solo alcanzaba a los adinerados y pudientes, quienes, por afanes culturales o por el deseo de estar informados, pertenecían o aspiraban a pertenecer a una élite que, entre sus privilegios, tenía el de gozar de la suscripción a un periódico.
El hombre que vendía el periódico por la calle y además pregonaba las noticias principales —diligente auxiliar de la prensa, como le llamó alguien—, apareció más tarde como resultado de las tiradas crecientes y las sucesivas ediciones que, a lo largo del día, hacían los diarios y que exigían su distribución entre sectores dispersos del público.

Fotografías y detalles

De uno de aquellos vendedores de periódicos —vendedores de verdad— habló José M. Muzaurieta, periodista de anjá, en una de sus crónicas. El hombre, negro y ágil y chispeante, vendía El Imparcial, el mismo periódico que vendió Kid Chocolate, y Muzaurieta, que dirigía dicho diario, recordaba que en cada jornada recogía los primeros los paquetes recién salidos de la imprenta y con afán revisaba un ejemplar en busca de la noticia que vocearía y que le permitiría mover la curiosidad de los compradores.
Si no encontraba en la primera página nada que le sirviera para el «ataque», pasaba a las páginas interiores, una a una hasta llegar a la última. Si un día el periódico «no venía bueno», exteriorizaba su desagrado, pero como vendedor que era volvía a sumergirse en sus páginas en busca de un gancho para la venta, como en aquella ocasión, en que cansado de buscar, volvió sobre la sección de Policía, donde un pequeño suelto daba cuenta de la denuncia de un individuo en cuyo domicilio arrastraban cadenas por la noche y se producía un ruido espantoso que le impedía dormir.
El voceador dio saltos de júbilo. Había encontrado lo buscado. Como una flecha salió a la calle. Gritaba: «¡Cómo están los espíritus en Jesús del Monte! ¡Maltratan y atormentan a una familia! ¡El Imparcial con las últimas noticias! ¡Fotografías y detalles!».
A cualquier suceso, por insignificante que fuera, aquel voceador le sacaba lascas y luego de vender cuatro o cinco paquetes, no era raro que volviera por más al periódico.
El colmo, recordaba Muzaurieta, fue la ocasión en que no encontró en el periódico del día nada, absolutamente nada que le sirviera para sus pregones y «ataques». Protestó, se indignó, despotricó contra los redactores hasta que recordó que él era un vendedor y lo suyo era vender. Al salir del Departamento de Ventas, gritaba: «¡El Imparcial! ¡Vaya! ¡El Imparcial con el crimen de mañana!».

La cama y el sillón

Hacia 1830 no existían aún hoteles en La Habana, pero, en 1828, se reportaban 1 157 «cuartos interiores» para alquilar. El mobiliario de esas habitaciones desconcertaba, de entrada, a los extranjeros que las rentaban, pero terminaban agradeciendo, sobre todo, la cama.
Sobre las camas de la época afirma Robert Francis Jamesson, oficial de la Marina británica, en sus Cartas habaneras (Letters from The Havana, 1820):
«La más comúnmente usada es una simple cruceta de madera en la que se extiende un pedazo de lona. Sobre ella se coloca un par de sábanas finas entre las cuales uno se acuesta, mientras una delicada armazón sostiene una red que lo envuelve a uno protegiéndolo de los mosquitos. Es lo que se llama catre. Hace falta un poco de hábito para reconciliar los huesos con él, pero la frescura que ofrece induce a uno a preferirlo al colchón».
Jamesson, que fue el primer representante de Inglaterra ante la Comisión Mixta para la abolición de la trata negrera —de ahí el motivo de su estancia en la Isla— describe el día tipo de un hombre con recursos en La Habana de entonces.
¿Qué hace el habanero cuando no tiene nada que hacer? Sobre ello también se pronuncia Jamesson en sus Cartas habaneras. Toma un baño, se viste para el almuerzo, que casi siempre es sobre las tres de la tarde, duerme la siesta…, dice. Apunta de manera explícita: «Cuando no hay nada que hacer, puede mecerse uno en un amplio sillón…».
En sus comentarios al libro de Jamesson, el erudito Juan Pérez de la Riva precisa que esa es una de las referencias más antiguas al sillón de balance que se hallan en la literatura. Balance que según creemos, afirma Pérez de la Riva, fue inventado por algún cubano a fines del siglo XVIII.

Camino de la muerte

En un comienzo los condenados a muerte en La Habana cumplían su sanción en la horca. Esa máquina de matar estaba instalada en la plaza de las Ursulinas, que se aboca sobre la calle de Egido. A la calle de Bernaza se le llamaba el camino de la horca, porque conducía hasta el lugar del patíbulo. En 1810, cuando aún no se había construido al final del Paseo del Prado la Cárcel de Tacón, la horca se situó en la explanada de la Punta. En 1834, Fernando VII, el rey felón, abolió el uso de la horca en España y en todos sus dominios. Sería sustituida por el garrote. Durante decenas de años las ejecuciones habían sido públicas. Luego el garrote se ubicó en el interior del recinto carcelario. En esa explanada murieron en garrote vil Narciso López, Eduardo Facciolo y Ramón Pintó, entre otros. Domingo Goicuría también guardó prisión en el lugar, pero fue ejecutado, igualmente en garrote, en la loma del Príncipe, fortaleza convertida en prisión política desde 1796, cuando la estrenó como tal Antonio Nariño, precursor de la independencia de Colombia.
La Audiencia Pretorial radicó y celebró sus reuniones en el piso principal de la Cárcel de Tacón desde la apertura de esa instalación penitenciaria. Y permaneció en ese sitio, ya como Audiencia de La Habana, hasta 1938.
En 1930, salvo la parte ocupada por la Audiencia, la Cárcel Nueva que en esa fecha era ya vieja, viejísima, quedó vacía. En el vetusto edificio se instalaron entonces las oficinas del Ayuntamiento y de la Alcaldía de La Habana, y allí estuvieron mientras se efectuaba la restauración del palacio municipal —antiguo Palacio de los Capitanes Generales, hoy Museo de la Ciudad—, según lo dispuesto por el alcalde Miguel Mariano Gómez.
Nueve años después el edificio de la Cárcel era desmantelado. Sobre el terreno donde se asentó se construyó el Parque de los Mártires en recuerdo de cuantos sufrieron prisión o muerte en ese lugar. No fueron demolidas y, como reliquias históricas, forman parte del parque dos celdas bartolinas donde se encerraban a los presos más contumaces o a aquellos a quienes se quería castigar con mayor dureza. Quedó en pie además la capilla donde numerosos héroes y mártires pasaron las últimas horas de su vida.
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Cuadrados del malecón
Dice Eduardo Robreño en su libro Cualquier tiempo pasado fue…, que cuando ocurre un ras de mar es por la calle Galiano donde primero penetra el agua, debido a un desnivel bastante profundo existente en dicho lugar. Sin embargo, cuando el ciclón del 26, el agua llegó por Prado hasta la calle Colón. Y cuando el ciclón del 19, llegó por Campanario hasta la calle Ánimas, con la alarma consiguiente del vecindario.
De los cuadrados que tiene el Malecón, el comprendido entre las calles San Nicolás y Manrique es por donde más fuerte baten las olas, a causa de lo bajo del muro y del pequeño espacio ocupado por los arrecifes.
El muro del Malecón que empieza en la calle Lealtad es más bajo que el resto.

Plaza de armas

A fines del siglo XVI, anota José María de la Torre en su libro La Habana antigua y moderna, ese sitio, de plaza, solo tenía el nombre. Pero fue «el centro de donde irradió» la ciudad. La realzaron las edificaciones donde en las postrimerías del XVIII se alzaron en torno a ella: el Palacio de los Capitanes Generales y la Casa del Intendente o del Segundo Cabo. Gobernadores como los marqueses de la Torre y de Someruelos, y Juan Ruiz de Apodaca y Francisco Dionisio Vives, acometieron obras que la embellecieron.
La Plaza de Armas, sin embargo, cayó en un total abandono en los años finales de la dominación española en Cuba. Dejaron de tener lugar allí, por la guerra, las concurridas retretas nocturnas, y los habaneros la frecuentaban menos como lugar para el esparcimiento.
La situación se agudizó en los años de la primera ocupación militar norteamericana. Leonard Wood, uno de los gobernadores intervencionistas, mandó a retirarle los bancos. Sucedía que los jornaleros del puerto y empleados de establecimientos cercanos esperaban allí la hora de empezar a trabajar. Sus conversaciones impedían el sueño del procónsul, que gustaba de dormir la mañana. Y la Plaza de Armas perdió con sus bancos su condición de bello rincón colonial.
Digamos de paso que entre 1899 y 1902, el tiempo que duró la primera intervención, solo se construyó en La Habana un edificio público, el destinado a la Escuela de Artes y Oficios, en la calle Belascoaín.
Hubo que esperar a 1926 para que se acometiera la restauración del Palacio del Segundo Cabo. Al año siguiente se restauró el Templete y, en 1930, el Palacio de los Capitanes Generales.
En esa fecha el Palacio del Segundo Cabo daba albergue al Senado de la República, y cuando este se instaló en el Capitolio, funcionó en ese edificio el Tribunal Supremo de Justicia.


martedì 22 marzo 2016

Ultimo atto ufficiale (?!) di Obama all'Avana, la diplomazia del Baseball


Dopo una lunga e paziente attesa davanti allo stadio Latinoamericano, ho avuto la magra consolazione di poter dire; “quel giorno c’ero anch’io”. Il servizio di sicurezza sempre vigile, era meno opprimente che sulla Plaza e non poteva essere diversamente. Credo che tutto sia andato liscio con la predisposizione della viabilità per l’interminabile corteo che precedeva e seguiva l’auto presidenziale. Prima del suo arrivo si sono succedute altre file di veicoli di tutte le ambasciate accreditate a Cuba e di molti personaggi di spicco invitati all’incontro che non era accessibile ad un pubblico pagante.

L’attesa non è stata completamente vana dal momento che, almeno, sono riuscito a riprendere l’auto presidenziale e in un dettaglio si intravede un’ombra che mi da tutta l’impressione che si tratti proprio di lui.

Dopo la "diplomazia del Ping pong" inaugurata da Nixon è arrivata l'ora della "diplomazia del Baseball"...






Ricevo e pubblico dall'amico Luca Lombroso

ciao Aldo
come va, hai incontrato Obama?

ti giro questo articolo, l’idea è veramente bella, possibilità di realizzarsi, credo prossime allo zero assoluto…. ma chissà…. magari, se vedi Obama, proponilo :-) !
saluti,
Luca Lombroso

R.: per Obama ne parlo in altri post, per il resto, sognare non costa niente, comunque sarebbe bello e possibile.



Trasformiamo Guantanamo in un ponte ecologico di pace
Trasformiamo Guantanamo nella “Woods Hole dei Caraibi”: in un grande centro di ricerca specializzato in biologia ed ecologia del mare, con annesso parco della pace e un’ampia area di conservazione della biodiversità.
Barack H. Obama si accingeva a partire per Cuba, primo presidente degli Stati Uniti a mettere piede sull’isola 88 anni dopo la visita effettuata da Calvin Coolidge nel 1928, quando venerdì 18 marzo Science, la rivista dell’American Association for the Advancement of Science (AAAS), la più grande associazione scientifica del mondo,
pubblicava la proposta – o meglio, l’appello – con cui Joe Roman, del Gund Institute for Ecological Economics, della University of Vermont di Burlington, e di James Kraska, dello Stockton Center for the Study of International Law, dello U.S. Naval War College di Newport, gli ricordava l’impegno, riproposto di recente, di chiudere la controversa prigione aperta dopo l’11 settembre 2001 presso la U.S. Naval Station Guantánamo Bay. Trasformiamo questo impegno e il nuovo clima nei rapporti tra Stati Uniti e Cuba in un’opportunità. Usiamo l’ecologia come ponte di pace.
L’analisi di Roman e Kraska è, insieme, storica, politica e scientifica. I due ricercatori ricordano che gli Stati Uniti sono a Guantanamo da oltre cento anni, che il loro avamposto di 117 km2 è sopravvissuto, anzi, si è consolidato nel corso della guerra fredda ed è stato trasformato in una base della marina militare. All’interno di questa base dopo l’11 settembre è stata allestita una prigione in cui le leggi vigenti negli Stati Uniti sono sospese. Barack Obama vuole chiudere la prigione. Ma Cuba rivendica la piena sovranità sulla baia e gli Stati Uniti sanno che, prima o poi, dovranno lasciarla.
Di qui la proposta: trasformiamola subito in un centro di ricerca ecologica e in un luogo di collaborazione scientifica, che è il modo migliore per sviluppare la diplomazia della pace. Non sarebbe, dicono i due ricercatori americani, una forzatura. Ci sono molti presupposti.
Intanto una certa attitudine dei cubani. Fin dalla Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente e lo Sviluppo (UNCED) di Rio de Janeiro il governo dell’Avana ha iniziato a prestare molta attenzione ai temi ambientali, con un’attenzione particolare non solo ai cambiamenti climatici ma anche alla biodiversità.
Sull’isola sono molte, ormai, le zone protette. E, dunque, non desta meraviglia se il Jardines de la Reina (il Giardino della Regina), creato da Cuba nei mari che la circondano sia il più grande parco marino dei Caraibi.
C’è poi una comune condivisione del ruolo dell’ecologia. Non è neppure un caso, infatti, se tra i primi momenti di collaborazione tra Stati Uniti e Cuba ci sia la creazione, decisa alla fine del 2015, di luoghi di protezione e conservazione ecologiche comuni, che includono lo statunitense Florida Keys National Marine Sanctuary e il cubano Parque Nacional Península de Guanahacabibes.
Infine ci sono dei motivi scientifici diretti. La baia di Guantanamo è un ricco scrigno di biodiversità.
Se la base navale viene rimossa, le ricchezze contenute in questo scrigno possono essere non solo conservate ma anche arricchite.
L’area, ricordano Roman e Kraska, ospita molte specie endemiche, a iniziare dall’iguana cubana (Cyclura nubila); è un rifugio ideale per il manato delle Indie occidentali (Trichechus manatus); è un’area di nidificazione di una tartaruga (Chelonia mydas) in via di estinzione e un ottimo base per la Eretmochelys imbricata, un’altra tartaruga a rischio; sulla terraferma c’è un tipo di foresta, la tropicale secca, piuttosto rara a Cuba, mentre le spiagge sabbiose e le acque marine si trovano foreste di mangrovia, coralli e alghe di vario genere. Di particolare rilievo il granadillo (Brya ebenus, un albero tipico di Cuba e della Giamaica) e l’aragosta Panulirus argus. Tutte specie da difendere. Ma, sostengono i due ricercatori americani, ci sono anche specie aliene da cui difendersi: come il pesce leone (genere Pterois), il pesce gatto africano (Clarius gariepinus) o il marabou (Dichrostachys cinerea). Sono pesci che minacciano gli ecosistemi marini di entrambi i paesi e Stati Uniti e Cuba potrebbero iniziare a contrastarne l’invadenza insieme, partendo da Guantanamo.
La proposta di Roman e Kraska va, probabilmente, meglio formulata. Come ha notato Ferdinando Boero, biologo marino dell’università del Salento e dell’Istituto di scienze marine del Cnr, nonché presidente del consiglio scientifico di quella Stazione zoologica Anton Dohrn di Napoli che ha ispirato la creazione dei laboratori di Woods Hole, si parla di parco marino, di genetica, di sorveglianza via satellite, ma non si parla di ricerca sul campo. Ma, per ora questi sono dettagli.
Il messaggio forte è che la ripresa dei rapporti tra Stati Uniti e Cuba può essere facilitata dalla scienza e dalla consapevolezza ecologica. E, ancora una volta non a caso, i due ricercatori americani fanno appello a papa Francesco perché sponsorizzi la proposta che è in linea sia con la “riconversione ecologica” auspicata con l’enciclica Laudato si sia con la mediazione politica risultata determinante per il riavvicinamento tra l’Avana e Washington, dopo quasi sessant’anni di incomunicabilità.

luca lombroso


Dizionario del mare per lupi di terra

ANTEMURALE: marciapiedi prospiciente la pittura di un "writer"