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martedì 10 maggio 2016
lunedì 9 maggio 2016
Quello che non ho detto della Cattedrale, di Ciro Bianchi Ross
Pubblicato su Juventud Rebelde dell' 8/5/16
Lo
sapevate che il giornale “della domenica” si ideò nella Plaza de la Catedral
quando il giornale La Discusión si installò in quello che fu il palazzo dei
Conti di casa Bayona? Che fu la prima volta che a Cuba si utilizzò la linotype
che rese possibile “comporre” i giornali in meno tempo e potessero aumentare il
numero delle pagine?
Sapevate
che il 20 gennaio del 1804 la cassaforte della Tesoreria Reale, installata
nella casa del marchese di Arcos, pure nella Plaza de la Catedral fu scassinata
dalla guardia incaricata della sua custodia che sottrasse il denaro contenuto,
cosa che mise i Tesoriere della Industria Reale nella disgiuntiva di riporre,
coi propri soldi, quano rubato o finire in carcere?
Un
altro scandalo ebbe luogo in questa casa quando Sebastián Calvo de la Puerta y
O’ Farrill rapì, col consenso della giovane, la figlia del Tesoriere Reale
dvanti al rifiuto di dargliela in sposa.
Nella
casa d’angolo del Callejón del Chorro, dove si può vedere la targa
commemorativa della Zanja Real si installarono, verso il 1840, i bagni pubblici
di Guiliasti, i primi del loro tipo che esistettero all’Avana, aprofittavano
l’antico scarico della Zanja. Non sarà fino alle decadi della fine del XIX
secolo quando i principali alberghi e pensioni cominciarono a includere quello
che si chiamava “il lusso del bagno”. Gli esercizi che non lo avevano si
limitavano a indicare ai loro clienti dove potevano lavarsi per un prezzo di
circa 30 centesimi.
Già che
si è alluso alla Zanja, diciamo rapidamente che fu l’opera di ingegneria più
importante del XVI secolo.
La sua
sorgente si prese dal río Almendares e le acque si fecero scendere dolcemente
per gravità, fino a quella che sarà la Plaza de la Catedral, la zona più bassa
della città. La vecchia lapide ricorda la costruzione del primo acquedotto
avanero.
Dice:
“Quest’acqua la portò il maresciallo di campo Juan de Tejada nell’anno 1592”.
Quello
che rende attraente questa casa senza portici e meno “palazzo” delle su vicine,
è la sua cattiva ombra. Come ha già detto lo scriba nella pagina corrispondente
alla settimana anteriore, due dei suoi proprietari finirono, in momenti
diversi, in carcere e vi morirono senza che la loro fortuna ed enorme prestigio
sociale si salvasse. Nel 1740, Antonio Palacín y Gatica, tenente governatore e
auditore di guerra – il secondo al comando nella difesa dell’Avana – che creò
inoltre una cattedra di Legge nell’Università avanera. Ebbene, questo soggetto,
in compagnia di Gabriel Beltrán de Santa Cruz, altro abitante importante della
città, presentò una denuncia contro il Capitano Generale Francisco Güemes de
Horcasitas, conte di Revillagigedo che processato dal governatore interinale,
fu a mettere le sue ossa nell’oscuro castello-prigione di san Juan de Ulúa, in
Messico, dove morì.
Nel
1571 la casa fu acquistata dal colonnello Sebastian Peñalver y Calvo de la
Puerta, reggente, tenente di capo di polizia maggiore e sindaco dell’Avana in
diverse occasioni. Si distinse nella difesa della città durante l’attacco
britannico del 1762, ma una volta che gli inglesi abbandonarono la città l’anno
seguente, le autorità spagnole lo accusarono di collaborazione col nemico e fu
recluso a Ceuta, da dove non tornò.
La
settimana scorsa abbiamo detto che il Plazzo di Lombillo ha due facciate. Una
guarda la Plaza de la catedral e l’altra a Empedrado.
Il 27
settembre del 1932, il dottor Ricardo Dolz, avvocato con studio e residenza in
questo immobile, salvò miracolosamente la vita peché, avvisato a tempo, uscì da
una porta mentre i sicari entravano da un’altra. Erano i giorni del Governo
dispotico di Gerardo Machado e il dittatore volle vendicare Clemente Vázquez
Bello, presidente del senato e massima figura del Partito Liberale, mnorto in
un attentato, con l’assassinio di vari oppositori.
Come
venne a sapere Dolz di cosa stava succedendo?Nello sparire il giornale La
Discusión, si mantenne nell’edificio che era occupato da un museo giornalistico
che passò opportunamente all’Associazione dei Reporters, in calle Zulueta, a
fianco della caserma dei pompieri, quando la casa de la Discusión fu comprata
dalla fabbrica di rum Arechabala. In questo immobile della casa Zulueta
funzionò, inoltre a partire dagli anni ’40, il Collegio Nazionale dei
Giornalisti, entità che scomparvero poco dopo la vittoria dell Rivoluzione.
Sorgeva, quindi, l’unione dei Giornalisti di Cuba che si installà nella magione
che fu del senatore liberale (e machadista) Agustín García Osuna, ampia e
confortevole come casa di abitazione, ma poco pratica per la sua nuova funzione.
Si era lasciato, dietro, un edificio costruito espressamente per il settore,
dotato di sale di riunione, biblioteca, ristorante, bar, barbiere, sala da
scherma, palestra...tutto quello che la sede
della UPEC (Unión de Periodistas y Escritores Cubanos, n.d.t.) Lo scriba
non vuole andare oltre nel pronunciarsi sulla convenienza del cambio, vuole
solo fare una domanda. Dove sono andati a finire i pezzi che conformavano il
Museo della Stampa?
La più bella
Ci fu
un epoca in cui i giornali si componevano a mano. Un operaio abile ed esperto –
il tipografo – univa velocemente una lettera con l’altra in unione
obbligatoria, così come fanno i muratori coi mattoni, fino a creare la
muraglia. Allora, i giornalisti consegnavano alle redazioni i loro lavori
scritti a mano, a volte con calligrafia infernale e le prime pagine si
riservavavno per annunci commerciali e di navigazione, perfino per annunci
funebri.
La
linotype è una macchina per comporre provvista di matrici e che fonde le
lettere per righe intere fino a comporre un solo blocco, si introdusse a Cuba,
nel giornale La Discusión – nel 1899 – e si impose non senza resistenza, fra
l’altro perché eliminava il tipografo che era l’anima del periodo classico. Non
tardarono a scoprirsi i suoi vantaggi: i giornali potevano aumentara la loro
impaginazione, si componevano in minor tempo e ammettevano maggior quantità di
testo.
Con la
linotype si instaurò l’uso della macchina da scrivere e su acordo del sindacato
dei linotipisti si decise che questi non lavorassero su originali che non gli
giungessero fra le mani scritti a macchian con doppia spaziatura.
Manuel
Márquez Sterling – ultimo romantico – fu l’unico giornalista che si negò a
utilizzare la macchina da scrivere. Continuò a scrivere a mano i suoi articoli
fino al 1934, quando morì.
Adesso
andiamo alla casa del marchese di Arcos.
Nel
1871, Ignacio de Peñalver y Cárdenas, tesoriere generale dell’Industria Reale e
dell’Esercito, si oppose alla richiesta di matrimonio di Sebastián Calvo de la
Puerta y O’ Farril con sua figlia Maria Luisa, considerata la più bella donna
della città.
Sebastián
decise di rapirla e portarla in altro luogo. Così. La marchesa di Jústiz e sua
figlia María Josefa, questa cognata del pretendente, pianificarono e portarono
a termine l’audace azione, nella chiesa di San Francesco, contando con la
complicità della ragazza che fu condotta alla residenza delle Jústiz.
Lo
scandaloso affronto del Tesoriere Reale contro la Marchesa, ciascuno col potere
dei suoi titoli e l’inviolabilità dei suoi spazi privati, dette motivo
all’intervento del Capitano Generale che affidò la custodia della giovane al
convento di Santa Teresafino a che si riuscì a portare a termine il matrimonio
senza il consenso del padre, poco prima che il contraente pertisse per una
campagna militare in Luisiana.
Entrato
il XIX secolo, il figlio di Ignacio Peñalver de Cárdenas, marchese di Arcos, fu
nominato tesoriere dell’Industria Reale, rimanendo installata la medesima, come da costume dell’epoca, nella stessa
residenza del responsabile.
Nella
notte del 20 gennaio del 1804, la guardia incaricata della custodia della
cassaforte del Real Tesoro, la scassinò e sottrasse i 150.000 pesos che vi si
trovavano. A Cuba esisteva, allora, la disposizione che stabiliva che il
funzionario pubblico a cui si sottraevano benefici a suo carico, aveva due
alternative: li rimetteva immediatamente dai suoi propri averi, anche se non
fosse responsabile della perdita, o finiva in carcere.
Il
Governatore Generale, marchese di Someruelos, venuto a conoscenza dell’atto
vandalico e senza sapere se il tesoriere potesse riporre il denaro, mandò un
messaggio a Peñalver. Gli offriva un prestito in contanti al fine che riponesse
quanto rubato.
Il
marchese di raco espresse il suo ringraziamento all’emissario del Governatore
Generale e nel rifiutare l’offerta gli mostrò le 9.500 once d’oro, tolte dalle
sue tasche con cui aveva già coperto l’ammanco.
Casa di due porte
Casa di
due porte, è cattiva da conservare, dice il refrain. Ma queste due porte furono
la salvezza di Ricardo Dolz.
L’avvocato
Carlos Manuel de la Cruz fermò la sua automobile e comprò l’Heraldo de Cuba,
giornale che serviva da portavoce al regime di Machado. In prima pagina si
rendeva conto della morte del senatore Vázquez Bello. Si diceva inoltre che per
mano di sconosciuti erano morti Dolz, Il rappresentante della Camera Miguel
Ángel Aguiar, i fratelli Gonzalo, Guillermo e Leopoldo Freire de Andrade e lo
stesso Carlos Manuel de la Cruz. Questi capì al volo che non c’era errore nella
redazione della notizia. Già nel suo studio della calle O’ Reilly, chiamò per
telefono Dolz che dallo stesso giornale aveva appena appreso della sua morte.
De la Cruz uscì dal retro dell’edificio e non si fermò fino all’Ambasciata
uruguayana, ubicata nell’appartamento 245 della Manzana de Gómez, mentre Dolz
trovava rifugio nell’Ambasciata del Brasile in 17 e A, nel Vedado.
Poterono
sfuggire a tempo gli avvocati Pedro Cue, Juan Marinello e Mayito García
Menocal, figlio dell’ex presidente che doveva essere eliminato “per dispetto a
suo padre”. Ad Aguiar i sicari lo fulminarono sulla porta del suo domicilio, in
19 angolo B, nel Vedado. Poco prima arrivarono alla casa di B numero 13, quasi
angolo a Calzada. Chiesero di Gonzalo Freire de Andrade che nella lista che avevano
era l’unico compromesso con l’opposizione. Ma già dentro alla residenza gli
assassini, non potendo identificarlo, ebbero eccesso di zelo ultimando tutti e
tre.
Lo que no dije de la Catedral
Ciro Bianchi
Ross • digital@juventudrebelde.cu
7 de Mayo del 2016 20:57:01 CDT
¿Sabía usted que el periódico «del
domingo» se ideó en la Plaza de la Catedral cuando el periódico La Discusión se
instaló en el que fue el palacio de los condes de Casa Bayona? ¿Que fue en ese
diario donde se utilizó por primera vez en Cuba el linotipo que posibilitó que
los periódicos se «compusieran» en menos tiempo y pudieran aumentar el número
de sus páginas?
¿Sabía que el 20 de enero de 1804 la
caja fuerte de la Real Tesorería, instalada en el palacio del marqués de Arcos,
también en la Plaza de la Catedral, fue violentada por la guardia encargada de
su custodia que sustrajo el dinero que había en ella, lo que situó al Tesorero
de la Real Hacienda en la disyuntiva de reponer de su peculio lo robado o ir
preso?
Otro escándalo tendría lugar en esta
casa cuando Sebastián Calvo de la Puerta y O’Farrill raptó, con el
consentimiento de la joven, a la hija del Tesorero Real ante la negativa de
este de dársela en matrimonio.
En la casa de la esquina del
Callejón del Chorro, donde puede verse la tarja conmemorativa de la
construcción de la Zanja Real, se instalaron, alrededor de 1840, los baños públicos
de Guiliasti, los primeros en su clase que existieron en La Habana;
aprovechaban el antiguo desagüe de la Zanja. No sería hasta las décadas finales
del siglo XIX cuando los principales hoteles y casas de huéspedes empezaron a
incluir lo que entonces se llamaba «el lujo del baño». Los establecimientos que
carecían de ese servicio se limitaban a indicar a sus clientes dónde podían
bañarse por un precio que giraba en torno a los 30 centavos.
Ya que se aludió a la Zanja, digamos
de paso que fue la obra ingeniera más importante del siglo XVI. Su fuente se
buscó en el río Almendares y las aguas se hicieron descender suavemente, por
gravedad, hasta lo que sería la Plaza de la Catedral, la cota más baja de la
villa. La vieja lápida consigna la construcción del primer acueducto habanero.
Dice: «Esta agua la trajo el maese
de campo Juan de Tejada en el año de 1592».
Lo que hace llamativa esa casa sin
portales y menos palacial que sus vecinas, es su mala sombra. Como ya dijo el
escribidor en la página correspondiente a la semana anterior, dos de sus
propietarios fueron a parar, en diferentes momentos, a la cárcel y murieron en
ella sin que su fortuna y enorme prestigio social los salvara. En 1740, Antonio
Palacín y Gatica, teniente gobernador y auditor de guerra —el segundo al mando
en la defensa de La Habana— que creó además una cátedra de leyes en la
universidad habanera. Pues bien, este sujeto, en compañía de Gabriel Beltrán de
Santa Cruz, otro vecino principal de la ciudad, presentó una denuncia contra el
capitán general Francisco Güemes de Horcasitas, conde de Revillagigedo, y,
procesado por el gobernador interino, fue a dar con sus huesos al sombrío
castillo-presidio de San Juan de Ulúa, en México, donde murió.
En 1751 la casa fue adquirida por el
coronel Sebastián Peñalver y Calvo de la Puerta, regidor, teniente de alguacil
mayor y alcalde de La Habana en diferentes ocasiones. Se destacó en la defensa
de la ciudad cuando el ataque británico de 1762, pero una vez que los ingleses
abandonaron la villa al año siguiente, las autoridades españolas lo acusaron de
colaboración con el enemigo y fue recluido en Ceuta, de donde no volvió.
Dijimos la semana pasada que el
Palacio de Lombillo tiene dos fachadas. Una mira a la Plaza de la Catedral, y
la otra, a Empedrado.
El 27 de septiembre de 1932, el
doctor Ricardo Dolz, abogado con bufete y residencia en ese inmueble, salvó
milagrosamente la vida porque, avisado a tiempo, logró huir por una de las
puertas mientras los porristas entraban por la otra. Eran los días del Gobierno
despótico de Gerardo Machado y el dictador quiso vengar a Clemente Vázquez
Bello, presidente del Senado y máxima figura del Partido Liberal, muerto en un
atentado, con el asesinato de varios opositores.
¿Cómo se enteró Dolz de lo que
sucedería?
Al desaparecer el periódico La
Discusión, se mantuvo en el edificio que ocupaba un museo periodístico que
oportunamente pasó a la Asociación de Reporteros, en la calle Zulueta, al lado
del cuartel de bomberos, cuando la casa de La Discusión fue adquirida por la ronera
Arechabala. En ese inmueble de la calle Zulueta funcionó además, a partir de
los años 40, el Colegio Nacional de Periodistas, entidades que desaparecieron
poco después del triunfo de la Revolución. Surgía entonces la Unión de
Periodistas de Cuba que se instaló en la mansión que fuera del senador liberal
(y machadista) Agustín García Osuna, amplia y confortable como casa de
vivienda, pero poco práctica para su nueva función. Se dejaba atrás un
edificio, construido expresamente por y para el sector, dotado de salas de
reunión, biblioteca, restaurante, bar, barbería, sala de esgrima, gimnasio…
todo lo que la sede de la UPEC no tiene. No quiere el escribidor pronunciarse
sobre la conveniencia del cambio; quiere solo hacer una pregunta. ¿Dónde fueron
a parar las piezas que conformaron el museo de la prensa?
La más hermosa
Tiempo hubo en que los periódicos se
«paraban» a mano. Un operario hábil y experto —el tipógrafo— unía
aceleradamente una letra con otra en obligada familia, al igual que hacen los
albañiles con los ladrillos, hasta formar la galerada. Entonces los periodistas
entregaban a la redacción sus trabajos escritos a mano, a veces con caligrafía
infernal, y las primeras páginas se reservaban para anuncios comerciales y de
navegación y hasta para esquelas mortuorias.
El linotipo, que es una máquina de
componer provista de matrices y que funde las letras por líneas completas hasta
formar un solo bloque, se introdujo en Cuba —en el periódico La Discusión— en
1899 y se impuso no sin resistencia, entre otros motivos, porque eliminaba al
tipógrafo, que era el alma del periódico clásico. No tardaron en descubrirse
sus ventajas: los diarios podían aumentar su paginación, se componían en menos
tiempo y admitían una mayor cantidad de textos.
Con el linotipo se instauró el uso
de la máquina de escribir, y, por acuerdo del gremio de linotipistas, se
decidió que estos no trabajarían originales que no llegasen a sus manos
escritos a máquina y a dos espacios.
Manuel Márquez Sterling —último
romántico— fue el único periodista que se negó a utilizar la máquina de
escribir. Siguió haciendo sus artículos a mano hasta 1934, cuando murió.
Surgió también allí el periódico
«del domingo».
En los albores del siglo XX existía
en Cuba el criterio, generalizado entre los directores de publicaciones, que
los periódicos dominicales no funcionaban. De hecho, los diarios más
importantes de la época —La Discusión y La Lucha— no aparecían los domingos, y
los que lo hacían, aunque a veces daban cabida a folletines, en poco se
diferenciaban en su edición dominical de las del resto de la semana. Pero
Manuel María Coronado, director de La Discusión, tenía una idea opuesta.
Pensaba que un periódico elaborado especialmente para ser leído en la calma del
domingo, con temas variados y materiales extensos y bien escritos e
ilustraciones en colores, sería todo un éxito, y puso a su gente a trabajar. Su
idea marcó un paso de progreso en la prensa nacional y fue pronto imitada por
otras publicaciones. Llega hasta hoy.
Vayamos ahora hasta la casa del marqués
de Arcos.
En 1781, Ignacio de Peñalver y
Cárdenas, tesorero general de la Real Hacienda y del Ejército, se opuso a la
solicitud de matrimonio de Sebastián Calvo de la Puerta y O’Farrill con su hija
María Luisa, considerada como la mujer más hermosa de la ciudad.
Sebastián decidió raptarla y
llevarla en depósito a otro lugar. Así, la marquesa de Jústiz y su hija María
Josefa, cuñada esta del pretendiente, planearon y ejecutaron la audaz acción en
la iglesia de San Francisco, contando con la complicidad de la novia, que fue
conducida a la residencia de las Jústiz.
El escandaloso enfrentamiento del
Tesorero Real contra la Marquesa, cada uno con el poder de sus títulos y la
inviolabilidad de sus espacios privados, dio motivo a la intervención del
Capitán General, que confió la custodia de la joven al convento de Santa Teresa
hasta que se logró llevar a cabo el matrimonio sin consentimiento del padre,
poco antes de que el contrayente partiera hacia Luisiana en una campaña
militar.
Entrado el siglo XIX, el hijo de
Ignacio Peñalver y de Cárdenas, marqués de Arcos, fue nombrado tesorero de la
Real Hacienda, quedando instalada la Real Tesorería, como era costumbre en la
época, en la propia residencia de su responsable.
En la noche del 20 de enero de 1804,
la guardia encargada de la custodia de la caja fuerte del Real Tesoro la
violentó y sustrajo los 150 000 pesos que se guardaban en ella.
Existía en la Cuba de entonces una
disposición que establecía que el funcionario público al que se le sustrajesen
caudales a su cargo, tenía dos alternativas: los reponía de inmediato de su
propio peculio, aunque no fuese responsable de la pérdida, o iba preso.
El gobernador general, marqués de
Someruelos, enterado del hecho vandálico y sin saber si el Tesorero podía
reponer el dinero, envió un recado a Peñalver. Le ofrecía un préstamo en
efectivo a fin de que repusiese lo robado.
El marqués de Arcos expresó su
agradecimiento al emisario del Gobernador General y al rehusar el ofrecimiento
le mostró las 9 500 onzas de oro sacadas de su bolsillo con las que había ya cubierto el desfalco.
Casa de dos puertas
Casa de dos puertas, mala es de
guardar, dice el refrán. Pero esas dos puertas fueron la salvación de Ricardo
Dolz.
El abogado Carlos Manuel de la Cruz
detuvo su automóvil y compró el Heraldo de Cuba, diario que servía de vocero al
régimen de Machado. En la primera página se daba cuenta de la muerte del
senador Vázquez Bello. Se decía además que a manos de desconocidos habían
muerto los oposicionistas Dolz, el
representante a la Cámara Miguel Ángel Aguiar, los hermanos Gonzalo, Guillermo
y Leopoldo Freire de Andrade y el propio Carlos Manuel de la Cruz, Este
comprendió de golpe que no había error en la redacción de la noticia. Ya en su
bufete, en la calle O’Reilly, llamó por teléfono a Dolz, que por el mismo
periódico acababa de enterarse de su muerte. De la Cruz salió por el fondo del
edificio y no paró hasta la Embajada uruguaya, sita en el departamento245 de la
Manzana de Gómez, mientras Dolz hallaba refugio en la Embajada de Brasil, en 17
y A, en el Vedado.
Pudieron escabullirse a tiempo los
abogados Pedro Cue y Juan Marinello, y Mayito García Menocal, hijo del
expresidente, que debía ser eliminado «para escarmiento de su padre». A Aguiar
los porristas lo fulminaban en la puerta de su domicilio, en 19 esquina a B, en
el Vedado. Poco antes llegaron a la casa de B número 13 casi esquina a Calzada.
Preguntaron por Gonzalo Freire de Andrade que era el que llevaban en la lista porque de los
tres hermanos, era el único comprometido con la oposición. Pero ya en el
interior de la residencia los asesinos no pudieron identificarlo y extremando
su celo, los ultimaron a los tres.
Ciro Bianchi
Ross
domenica 8 maggio 2016
sabato 7 maggio 2016
giovedì 5 maggio 2016
English o "spanglish" alla cubana?
La mia
conoscenza della lingua inglese non è nemmeno elementare (nessuno è perfetto),
diciamo che è a livello di giardino d’infanzia, come oggi si chiama l’asilo
infantile, ma mi è sorto il dubbio visto
che qualcuno non la la conosca affatto, nonstante i compiti che svolge.
Come
già detto in queste note ho presentato la domanda di riaccredito all’Ufficio
Stampa Estera di Cuba, dove loro stessi mi hanno detto, oggi è possibile
accreditarsi come “freelance”. Dopo qualche tempo, giusto per sapere se la mia
richiesta venisse accolta o meno, mi sono presentato negli appositi uffici per
parlare con l’incaricata dei rapporti coi giornalisti italiani a cui avevo
indirizzato la mia sollecitudine.
Molto
amabilmente, direi tipicamente cubanamente, la suddetta e molto carina signora
o signorina mi ha detto che la mia richiesta è “stata elevata”, in Paradiso? E
che sì è possibile accreditarsi come “freelance”, ma ci vuole la richiesta di
una testata giornalistica che avalli la domanda. Ora, con le mie straminime
conoscenze dell’english language (si scriverà così?), credo di aver capito che
un giornalista “freelance” è uno che lavora per conto proprio e offre i suoi
servizi a chi interessano (magari) scegliendo il miglior offerente o non da
esclusive a nessuno e può darle a destra e anche a sinistra, se capita.
Credo
che con il ristabilimento delle relazioni diplomatiche e con le prospettive
(spinose) di affari convenga comunque, a chi di dovere, dare una rinfrescatina
all’albionico dizionario.
Se
sbalio mi corigerete.
mercoledì 4 maggio 2016
martedì 3 maggio 2016
Piazza della Cattedrale, di Ciro Bianchi Ross
Pubblicato su Juventud Rebelde del 1°/5/16
Tre
domeniche fa abbiamo fatto, in questa pagina, una rapida visita alla Plaza de
San Francísco per poi passare a quella de Armas e per ultima alla cosiddetta
Plaza Vieja. Allora si era detto che per ragioni di spazio, la Plaza de la
Catedral sarebbe stata rimandata ad altra occasione. Quello che faremo adesso.
Ai suoi
inizi si chiamò Plaza de la Cienaga (Palude, n.d.t.). Passò il tempo. L’Isola
si divise in due diocesi e il vescovo José de Tres Palacios che reggeva la
parte occidentale, ricostruì coi suoi soldi e con quelli dei suoi fedeli, la
Santa Casa Lauretana, edificata dall’ordine gesuita, già espulsa dai domini
spagnoli e la trasformò nella Santa Iglesia Catedral. Allo stesso tempo, il
collegio che avevano costruito i gesuiti si ampliò per convertirsi in quello
che doveva essere il famoso seminario di San Carlos y San Ambrosio.
Con
l’apertura del nuovo tempio, il carattere e l’aspetto della piazza cambiarono.
Nella zona esistevano già case di bello stile, ma a partire da allora si
trasformarono tutte in magioni signorili di figure che ostentavano titoli di
Castiglia e lo spazio cessò di essere conosciuto col suo vecchio nome
dispregiativo, per cominciare ad essere la Plaza de la Catedral.
“L’antico
pantano utilizzato come mercato e recinto del bestiame che fu sito di riunioni
di pescatori, scrive lo storico Emilio Roig, si convertì in uno dei posti più
eleganti della capitale, scenario di feste fastuose e cerimonie che cominciò a
disputare la supremazia de la Plaza de Armas”.
Oggi
continua ad essere la parte più bella e armoniosa della capitale. “La zona del
primo incantesimo avanero”, la chiamò il grande scrittore cubano José Lezama
Lima. E Alejo Carpentier, altro avanero irriducibile pur essendo nato a
Losanna, in Svizzera, affermava che la facciata della Cattedrale era nientemeno
che “musica trasformata in pietra”.
Recinto per muli e immondezzaio
Quella
che sarebbe stata la Plaza de la Catedral prima fu, come si rileva dal suo nome
originario, un posto pantanoso, malsano. Lì nel 1857, il governatore Gabriel de
Luján, aprofittando delle sorgenti che sgorgavano in quel posto, fece costruire
un contenitore o cisterna che manteneva sempre una quantità d’acqua sufficiente
per rifornire le imbarcazioni in porto e la popolazione della città. Il flusso
abbondante di queste sorgenti si
mantenne per lunghi anni, tanto che ancora nel secolo XIX, riforniva una
installazione che col nome di “Bagni della Cattedrale” si installò all’angolo
del Callejon del Chorro, dove apre le sue porte la galleria Víctor Manuel.
L’atto
del Cabildo (antenato coloniale del municipio, n.d.t.) dell’Avana
corrispondente al 23 agosto del 1577 rende conto che la palude impedisce il
passaggio degli abitanti che vivono “all’altro lato della città, verso la
vecchia fortezza” e li ostacola ad assistere alla messa. Da qui il Cabildo
raccomanda la costruzione di un ponte e chiede che il fatto si comunichi ai
pergiudicati e con loro si veda “le giornate che potrebbero dare per fare un
ponte come si conviene”.
Nalla
stessa data in cui si costruiva la cisterna, il governatore Luján incitava gli
abitanti a costruire le loro case nell’area. Si erano già edificate alcune
belle case e se ne costruivano altre per cui, affermava il governatore, “questo luogo si va
nobilitando”.
La
terra si asciugava poco a poco e già nel 1623 si parlava della piazzetta della
Palude. Nel 1625 il Cabildo proibiva negoziare parcelle nel centro dello
spazio, “al fine che da ora in poi serva da piazza e da ornamento di quel
quartiere e non si spiani né si conceda per edificio a nessuna persona”. E una Bolla
Reale riaffermava, nel 1632, “che non si venda né si ceda per mercede, ma che
si conservi per la città nello stato originale in cui si trova”.
Gli
abitanti che si sentivano pregiudicati dalla misura protestarono.Uno di loro, a
cui si negò il terreno per edificare la sua casa si lamentava, nel 1636, dello
stato deplorevole dal quale la località non ne usciva, diceva, recinto di muli
e immondezzaio con acqua che imputridiva; Il
danneggiato aggiungeva che si trattava di un’area molto brutta in una
città che si stava abbellendo e costruendo begli edifici.
Una
piazzetta deserta che causa solo inconvenienti e che si manteneva sopratutto
per ricoverare il bestiame destinato al mattatoio.
Già dal
1597 la Zanja Real sboccava nel cosiddetto
Callejón del Chorro.
Sul
posto c’è lapide che ricorda il fatto.
Pericolo di crollo
Nel
secolo XVII, la futura Plaza de la Catedral era un luogo poco considerato dagli
avaneri. La situazione cambiò col tempo. Già nel 1704 il Procuratore Generale della
città si opponeva al proposito dei gesuiti di costruire lì la loro chiesa. Il
Procuratore asseriva che non aveva un’altra piazza per lo svago degli abitanti,
l’esercito aveva alienato al pubblico la Plaza de Armas. Quella della Ciénaga,
in cambio, serviva per feste, esercitazioni e sfilate militari e poteva essere
utilizzata anche come mercato. Aggiungeva che la città disponeva di poche
marine e in quella della Ciénaga si poteva prestare un grande servizio alla
Flotta in quanto a cucire vele, torcere cordami e immagazzinare l’acqua
necessaria.
Siccome
già allora la legge si rispettava, ma non si compiva, ci fu chi fece orecchie
da mercante alla disposizione del Re, agli accordi del Cabildo e commerciò terreni
che non pregiudicavano il tracciato della piazza. Il vescovo Compostela
acquistò per 10.000 pesos la parcella dove si eleverà la missione e il collegio
dei padri gesuiti che è lo stesso spazio che col tempo occuperà la Cattedrale.
Sarebbe, da principio, un umile oratorio di travi e tetto di foglie, molto
simile alle capanne dei pescatori erette in luogo. Muore Compostela, suo
protettore e la Compagnia di Gesù convertirà la cappella in un edificio ampio
che potesse ospitare la chiesa, il convento e il collegio. Il Procuratore tornò
a occuparsene. Ai suoi vecchi argomenti aggiungeva, forse a ragione che la zona
era conveniente e magari imprescindibile per la difesa dell’Avana.
I
gesuiti vinsero la partita e nel 1748 conseguirono, non senza altri ostacoli, di
collocare la prima pietra del loro edificio che avrebbero messo sotto la
protezione di Nostra Signora di Loreto. Quasi 20 anni dopo terminarono la
costruzione del collegio, non la chiesa né il convento, ma Carlos III li
espulse dai loro domini.
Nel
1772 la Chiesa Parrocchiale Maggiore, situata di fronte alla Plaza de Armas –occupava
parte di quello che sarà il Palazzo dei Capitani Generali, oggi Museo della
Città-, presentava pericolo di crollo. Si determinò il suo trasloco per
l’oratorio di San Felipe Neri, nella calle Aguiar e il 9 dicembre del 1977 i
trasferì solennemente nell’edificio costruito dai gesuiti. Come si è già detto,
il vescovo Tres Palacios gli fece modifiche per adeguarlo a Santa Chiesa
Cattedrale, dedicata alla Santissima Concezione, mentre il collegio dei gesuiti
fu ampliato e convertito nel Seminario di San Carlos y San Ambrosio.
Ritorno alla piazza
Quando
lo scriba cominciò a percorrere l’Avana Vecchia, verso il 1963, l’Ufficio dello
Storico dell’Avana era installato nel Palazzo di Lombillo. Si trova all’angolo
di Empedrado, alla sinistra uscendo dalla Cattedrale. Ha due facciate e
nonostante essere molto bella, la meno importante è quella che guarda alla
Plaza. Si tratta di un edificio che esisteva già nel 1739. Appartenne
originariamente alla famiglia Pedroso e poi a quella dei Lombillo, sposato con
una Pedroso.
Già
nella Repubblica, fu acquistato da un avvocato e politico, Ricardo Dolz;
risiedeva in quell’edificio con la sua famiglia e lì aveva il suo studio.
Nel
1932, quando per vendicare il suo amico e correligionario Clemenete Vázquez
Bello, morto in un attentato, il dittatore Gerardo Machado ordinò di
assassinare varie figure dell’opposizione, Dolz che era anche lui nella lista,
salvò miracolosamente la vita perché, avvisato in tempo, riuscì a uscire da una
porta mentre i sicari entravano da un’altra.
Nel
1937, vi funzionò il Ministero della Difesa Nazionale fino al suo trasferimento
a Empedrado e Monserrate, allora lo occuparono diversi uffici del Municipio.
Già in questo secolo, lo Storico vi installò un’altra volta il suo Ufficio e
oggi è essenzialmente una sala da esposizioni.
Il
palazzo del Marchese di Arcos confina con quello di Lombillo. Esisteva già nel
1739. Due anni dopo veniva acquisito da Diego Peñalver y Angulo, Tesoriere
dell’Industria Reale.
Suo figlio Ignacio fu nominato Marchese di
Arcos nel 1792 come pagamento ai servigi prestati alla Corona, durante la presa
dell’Avana degli inglesi, nel 1762. Si chiamò la Tesoreria quando la occuparono
i Peñalver. Poi l’affittarono all’amministrazione delle poste e ricevette il
nome di Casa delle Poste.
Fu, a
partire dal 1844, sede del Liceo Artistico dell’Avana. Da lì il murale che
ricorda grandi figure della cultura cubana e che si apprezza nella calle
Mercaderes, perché questa casa ha due fronti, quello che guarda la Cattedrale e
quello che guarda alla calle citata che è sempre stata quella principale.
A
parere di specialisti, il Palazzo del Marchese di Arcos è il tipo più perfetto
di casa coloniale che ci resta. Non c'è niente di più tipicamente avanero che
l’atrio e la scala di questo edificio. La scala è quella dei grandi palazzi del
Rinascimento. L’impressione che si ha nel salirvi è di grandezza. È la scala di
un palazzo.
Al
fondo della Plaza, al lato opposto, e di fronte alla Cattedrale, si eleva l’amabile
casa dei conti di Casa Bayona. Anch’essa è anteriore alla Cattedrale; data dal
1720. La si considera uno dei nostri palazzi più tipici nell’aspetto esterno,
per la simmetria dei suoi interni, per i materiali che si impiegarono per la
sua costruzione...”Grande casa di vita all’interno, fatta per godere l’intimità
e che offre solo, al passante, un freddo ermetismo. Che distinzione il suo
interno! Le stanze sono ampie e accoglienti, i cortili chiusi, ombreggiati,
pieni di rumori di fronde e dell’acqua delle fonti. Le gallerie, ridenti; i
saloni vastissimi...” dice uno specialista.
Già nel
XX secolo fu acquisita dal Collegio degli Scrivani. Poi vi ebbe sede il
giornale La Discusión e più tardi gli uffici della distilleria di rum
Arechabala. Oggi è il Museo dell’Arte Coloniale.
Il
Palazzo del Marchese di Aguas Claras è l’attuale ristorante El Patio, Francisco
Filomeno Ponce de León, lo costruì nel XVIII secolo e i suoi discendenti lo
vendettero nel 1870 al Conte di Peñalver. In uno degli appartamenti superiori
di questo edificio, visse Victor Manuel, iniziatore della pittura moderna a
Cuba.
Completa
la piazza un’altra stupenda magione, senza portici, molto meno palazzo e molto
meno tipica delle sue vicine. In una delle sue pareti c’è la targa
commemorativa della costruzione della prima Zanja (Fossato, n.d.t.)
Merita
di essere citata per il destino disgraziato di due dei suoi principali
abitanti. Nonostante le loro ricchezze e importanza sociale, entrambi finirono
in carcere e vi morirono, in differenti periodi del XVIII secolo. Uno per
opporsi al governatore Güemes de Horcasitas, Conte di Revillagigedo; l’altro
per aver collaborato con l’occupante britannico nel 1762.
Plaza de la Catedral
Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
30 de Abril del 2016 21:41:18 CDT
Hace tres domingos hicimos en esta
página una rápida visita a la Plaza de San Francisco para pasar después a la de
Armas y, por último, a la llamada Plaza Vieja. Consignamos entonces que, por
razones de espacio, la Plaza de la Catedral quedaría para otra ocasión. Lo
haremos ahora.
Se le llamó en sus comienzos Plaza
de la Ciénaga. Pasó el tiempo. La Isla se dividió en dos diócesis, y el obispo
José de Tres Palacios, que regía en su parte occidental, reconstruyó con su
dinero y con los de su prelacía, la Santa Casa Lauretana, edificada por la
orden jesuita, expulsada ya de los dominios españoles, y la transformó en Santa
Iglesia Catedral. Al mismo tiempo, el colegio que construyeron los jesuitas se
amplió para convertirse en lo que habría de ser el famoso seminario de San
Carlos y San Ambrosio.
Con la apertura del nuevo templo
cambió el aspecto y el carácter de la plaza. Existían ya en la zona casas de
buen estilo, pero a partir de ahí todas se convirtieron en mansiones señoriales
de figuras que ostentaban títulos de Castilla, y el espacio dejó de ser
conocido por su nombre viejo y despectivo, para empezar a ser la Plaza de la
Catedral.
«El antiguo desaguadero utilizado
como mercado y corral de ganado que fue sitio de reunión de pescadores, escribe
el historiador Emilio Roig, se convirtió en uno de los lugares más elegantes de
la capital, escenario de fiestas fastuosas y ceremonias, que comenzó a
disputarle la primacía a la Plaza de Armas».
Hoy sigue siendo la parte más bella
y armoniosa de la capital. «La zona del primer hechizo habanero», la llamó el
gran escritor cubano José Lezama Lima. Y Alejo Carpentier, otro habanero
irreductible aunque nació en Lausana, Suiza, afirmaba que la fachada de la
Catedral era nada más y nada menos que «música convertida en piedra».
Muladar y basurero
Lo que sería la Plaza de la Catedral
fue antes, como se desprende de su nombre original, un sitio anegadizo, un
lugar malsano. Allí, en 1587, el gobernador Gabriel de Luján, aprovechando los
manantiales que brotaban en ese sitio, hizo construir un aljibe o cisterna que
mantenía siempre una cantidad de agua suficiente para abastecer las
embarcaciones en puerto y a la población de la villa. El abundante caudal de
esos manantiales se mantendría durante largos años, tantos que todavía en el
siglo XIX surtía un establecimiento que, con el nombre de «Baños de la
Catedral», se instaló en la esquina del Callejón del Chorro, donde abre sus
puertas la galería Víctor Manuel.
El acta del Cabildo de La Habana
correspondiente a 23 de agosto de 1577 da cuenta de que la ciénaga impide el
paso de los vecinos que viven «en la otra banda de la villa, hacia la fortaleza
vieja», y les obstaculiza asistir a misa. De ahí que el Cabildo recomiende la
construcción de un puente y pide que el asunto se comunique a los perjudicados
y se vea con ellos «los jornales que podrán dar para hacer un puente como conviene».
En la misma fecha en que se
construía el aljibe, el gobernador Luján instaba a los vecinos a que
construyesen sus viviendas en el área. Ya se han edificado algunas buenas casas
y se levantan otras con lo que, afirmaba el Gobernador, «este lugar se va
ennobleciendo».
La tierra se secaba poco a poco y ya
en 1623 se hablaba de la plazuela de la Ciénaga. En 1625 el Cabildo prohibía
mercedar solares en el centro del espacio, «a fin de que ahora y para todo el
tiempo sirva de plaza y adorno de aquel barrio, y no se labre ni conceda para
edificio a ninguna persona». Y una Real Cédula reafirmaba en 1632 «que no se
venda ni enajene por vía de la merced, sino que se conserve para la ciudad en
el antiguo estado en que se encuentra».
Protestaban los vecinos que se
sentían perjudicados por la medida. Uno de ellos, al que se le negó el terreno
para levantar su vivienda, se quejaba, en 1636, del deplorable estado del lugar
que no pasaba de ser, expresaba, muladar y basurero, con un agua que se pudre e
infecta la ciudad. Añadía el perjudicado que se trataba de un área de mucha
fealdad en una urbe que se va ilustrando y hermoseando de edificios.
Una plazuela desierta que solo causa
perjuicios y que se utilizaba sobre todo para sustentar el ganado destinado al
matadero.
Ya desde 1597 la Zanja Real vertía
en el llamado Callejón del Chorro.
Hay en el lugar una lápida que
conmemora el suceso.
Peligro de derrumbe
En el siglo XVII la futura Plaza de
la Catedral era un lugar poco estimado por los habaneros. La situación varió con
el tiempo. Ya en 1704 el Procurador General de la ciudad se oponía al propósito
de los jesuitas de construir allí su iglesia. Aducía el Procurador que La
Habana no contaba con otra plaza para el esparcimiento de los vecinos, pues el
Ejército había enajenado al pueblo la de Armas. La de la Ciénaga, en cambio,
servía para fiestas, ejercicios y desfiles militares y hasta podía utilizarse
como mercado. Añadía que la ciudad disponía de pocas marinas, y en la de la
Ciénaga se podía prestar un gran servicio a la Armada en cuanto a coser velas,
torcer jarcias y almacenar el agua necesaria.
Como ya entonces la ley se
respetaba, pero no se cumplía, hubo quien hizo caso omiso a la disposición del
Rey y a los acuerdos del Cabildo y mercedó terrenos que no perjudicaban el
trazado de la plaza. El obispo Compostela adquiere por 10 000 pesos la parcela
donde se levantaría la misión y el colegio de los padres jesuitas, que es el
mismo espacio que con el tiempo ocuparían la Catedral. Sería, de entrada, un
humilde oratorio de horcones y techo de guano, muy parecido a las chozas de
pescadores erigidas en el lugar. Muere Compostela, su protector, y quiere la
Compañía de Jesús convertir la ermita en un edificio amplio que albergase
iglesia, convento y colegio. Volvió a oponérsele el Procurador. A sus viejos
argumentos añadía quizá con razón que la zona era conveniente y acaso
imprescindible para la defensa de La Habana.
Ganaron los jesuitas la partida y en
1748 consiguieron, no sin otros obstáculos, colocar la primera piedra de su
edificio, que pondrían bajo la advocación de Nuestra Señora de Loreto. Casi 20
años después terminaron la construcción del colegio, no la iglesia ni el
convento, pero Carlos III los expulsó de sus dominios.
En 1772 la Iglesia Parroquial Mayor,
situada frente a la Plaza de Armas —ocupaba parte de lo que sería el Palacio de
los Capitanes Generales, hoy Museo de la Ciudad—, presentaba peligro de
derrumbe. Se determinó su traslado para el oratorio de San Felipe de Neri, en
la calle Aguiar, y el 9 de diciembre de 1777 se trasladó solemnemente para el
edificio construido por los jesuitas. Como ya se dijo, el obispo Tres Palacios
le hizo modificaciones para adecuarlo a la Santa Iglesia Catedral, dedicada a
la Santísima Concepción, en tanto que el colegio establecido por los jesuitas
fue ampliado y convertido en el Seminario de San Carlos y San Ambrosio.
Vuelta a la plaza
Cuando el escribidor comenzó a
recorrer La Habana Vieja, allá por 1963, la Oficina del Historiador de La
Habana estaba instalada en el Palacio de Lombillo. Se halla en la esquina de
Empedrado, a la izquierda según se sale de la Catedral. Tiene dos fachadas y
pese a ser muy bella, la menos importante es la que mira a la Plaza. Se trata
de un edificio que existía ya en 1739. Perteneció originalmente a la familia
Pedroso y luego a la de Lombillo, casado con una Pedroso.
Ya en la República fue adquirido por
el abogado y político Ricardo Dolz; residía en ese inmueble con su familia y
tenía allí su bufete.
En 1932, cuando para vengar a su
amigo y correligionario Clemente Vázquez Bello, muerto en un atentado, el
dictador Gerardo Machado ordenó asesinar a varias figuras de la oposición,
Dolz, que estaba también en la lista, salvó la vida milagrosamente porque
avisado a tiempo, logró huir por una de las puertas mientras los sicarios
entraban por la otra.
En 1937 funcionó allí el Ministerio
de Defensa Nacional hasta su traslado a Empedrado y Monserrate, y lo ocuparon
entonces diversas dependencias del Ayuntamiento. Ya en este siglo, el
Historiador instaló otra vez allí su Oficina y hoy es esencialmente una sala de
exposiciones.
El Palacio del Marqués de Arcos
colinda con el de Lombillo. Existía ya en 1739. Dos años después era adquirido
por Diego Peñalver y Angulo, Tesorero de la Real Hacienda. Su hijo Ignacio fue
nombrado Marqués de Arcos en 1792, en pago a los servicios prestados a la
Corona cuando la toma de La Habana por los ingleses, en 1762. Se le llamó de la
Tesorería cuando la ocuparon los dos Peñalver. Luego la arrendaron a la
administración de correos y recibió el nombre de Casa de Correos.
Fue, a partir de 1844, sede del
Liceo Artístico Literario de La Habana. De ahí el mural que recuerda a grandes
figuras de la cultura cubana y que se aprecia en la calle Mercaderes, porque
esta casa tiene dos frentes, el que mira a la Catedral y el que da a la calle
mencionada, que siempre se ha tenido como el principal.
En opinión de especialistas, el
Palacio del Marqués de Arcos es el tipo más perfecto de casa colonial que nos
queda. No hay nada más típicamente habanero que el zaguán y la escalera de este
edificio. La escalera es la de los grandes palacios del Renacimiento. La
impresión que se recibe al ascenderla es de grandeza. Es la escalera de un
palacio.
En el fondo de la Plaza, en el lado
opuesto y frente por frente a la Catedral, se alza la amable casona de los
condes de Casa Bayona. Es también anterior a la Catedral; data de 1720. Se le
considera una de nuestros palacios más típicos por su aspecto exterior, por la
simetría de sus interiores, por los materiales que se emplearon en su
construcción… «Casona de vida dentro, hecha para gozar de lo íntimo, que solo
brinda al transeúnte un frío hermetismo. ¡Qué distinto su interior! Las
habitaciones son amplias y acogedoras, los patios cerrados, umbrosos, pleno de rumores
de fronda y del agua de las fuentes. Las galerías rientes; los salones,
vastísimos…», dice un especialista.
Ya en el siglo XX fue adquirida por
el Colegio de Escribanos. Radicó después allí el periódico La Discusión, y más
tarde las oficinas de la ronera Arechabala. Hoy es el Museo de Arte Colonial.
El Palacio del Marqués de Aguas
Claras es el actual restaurante El Patio. Francisco Filomeno Ponce de León lo
construyó en el siglo XVIII y sus descendientes lo vendieron, en 1870, al Conde
de Peñalver. En uno de los apartamentos superiores de este edificio vivió
Víctor Manuel, iniciador de la pintura moderna en Cuba.
Completa la Plaza otra hermosa
mansión, sin portales, mucho menos palacial y mucho menos típica que sus
vecinas. En una de sus paredes está la tarja conmemorativa de la construcción
de la Zanja primitiva.
Merece mención por el desgraciado
destino de dos de sus moradores principales. Pese a sus riquezas e importancia
social, ambos fueron a parar a la cárcel y murieron en ella, en diferentes etapas
del siglo XVIII. Uno, por oponerse al gobernador Güemes de Horcasitas, Conde de
Revillagigedo; el otro por haber colaborado con el ocupante británico en 1762.
Ciro Bianchi
Ross
lunedì 2 maggio 2016
Dopo oltre 50 anni una nave statunitense attracca al porto dell'Avana
Dopo la "prima volta" di un presidente, è venuta la "prima volta di una nave statunitense dopo le rotture avvenute oltre 50 anni fa. Questa mattina è passata davanti al faro dei Tres Reyes del Morro, per scivolare lungo il canale costeggiato dalla fortezza di San Carlos de la Cabaña e dominato dal Cristo dell'Avana, la nave Adonia, appartenente al gruppo Carnival, leader mondiale delle crociere e che avrà una cadenza bisettimanale nei porti cubani di l'Avana, Cienfuegos e Santiago de Cuba per proseguire la sua crociera nei Caraibi con rientro a Miami, da dove ha origine.
Sulla nave c'erano 12 cittadini dal doppio passaporto, cubano e statunitense che però sono obbligati a rientrare esibendo il cubano e che fino ad ora non potevano fare viaggi in mare, autorizzati.
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