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lunedì 21 luglio 2014

Daniel Santos, l'inquieto diavoletto di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud Rebelde del 20/7/14


Pochi cantanti, come il portoricano Daniel Santos, contribuirono a fondere in un solo stile I modi di creare e cantare per Portorico e Cuba. Il suo lungo contatto col meglio della musica cubana degli anni ’40 e ’50 del secolo passato gli conferì un marchio di cubania bene percepibile in tutte le sue interpretazioni e composizioni, ciò che gli assicura un titolo di merito fra i grandi cantori della musica cubana del XX secolo. “El jefe”, come lo si chiama in Colombia e ricorda Gabriel García Márquez in alcuna delle sue cronache, fu un esponente eccezionale della musica popolare e ballabile del Caribe.
Fu alla fine del 1946 quando, il pure portoricano Bobby Capó lo presentó, all’Avana a Amado Trinidad, l’allora potente proprietario della RCH Cadena Azul. Da quell’incontro scaturì un contratto con Santos. Debuttò col piede giusto nel cosiddetto Palazzo della Radio, l’emittente di Prado 53. Il numero iniziale della trasmissione di quel giorno era Anacobero, del pure portoricano Andrés Tallada. Per errore, l’annunciatore presentò daniel come “l’anacobero”. A partire da questo momento lo identificarono con questo soprannome che si rese famoso nell’Isola e al quale si aggiunse quelo di “inquieto” che corrispondeva al carattere e alla personalità del cantante. Con il suo modo di cantare, l’Inquieto anacobero aveva impressionato l’Avana, tanto quanto questa città impressionava l’artista.
Che Avana abbagliò Daniel Santos? Josean Ramos nel suo libro sul musicista portoricano – Vengo a dire addio ai ragazzi, 1991 – dice che lo abbagliò “il delizioso camminare durante i tramonti per quell’Avana che allora aveva i migliori cabaret del mondo, con le donne più erotiche che abbiano visto occhi umani”. Aggiunge  di seguito che in questi centri notturni si presentavano “i migliori spettacoli del momento”, con Ester Borja e Jorge Negrete, Celia Cruz, il trio Los Panchos e la rumbera Ninon Sevilla, mentre la radio faceva ascoltare Miguelito Valdés, la Sonora Matancera, Panchito Riset, cascarita...” e tutti i cantanti “rumberos” e musicisti preferiti da un pubblico esigente.
E fu precisamente questo pubblico esigente di Cuba quello che modellò, poco a poco, modellarono Daniel Santos come uno dei grandi cantanti del mondo hispano dell’epoca, scrivono Olavo Alén e Ana Victoria Casanova nel loro saggio pDietro l’orma dei musicisti portoricani a Cuba. Precisano: “Durante 15 anni, Daniel Santos entrava e usciva da Cuba verso New york o altre città, del continente sudamericano, e ad ogni ingresso riconfermava la sua condizione di grande interprete della musica”.
Santos conservò sempre un buon ricordo di Amado Trinidad, “il primo imprenditore cubano – asseriva – che pagò un compenso decente alla radio”, ma quando i due uomini si incontrarono, il portoricano contava già anni di iniziazione nella musica cubana. Questa iniziazione fu nel 1941 quando, a causa di una discussione, il cantante cubano Miguelito Valdés abbandona l’orchestra di Xavier Cugat. Cugat allora chiede a Santos di cantare con la sua orchestra al Waldorf Astoria di New York. In quel momento, il portoricano cantava nel Cuban Casino e cominciava a farsi conoscere dal pubblico cubano.
Dopo il contratto con la RHC Cadena Azul, ci furono alti e bassi. In Radio Cadena Suaritos, dell’Avana, si alternò per un breve periodo con interpreti come Toña la Negra e in Radio Progreso cantò con l’accompagnamento di quello che alcuni considerano uno dei grandi gruppi musicali di tutti i tempi, la Sonora Matancera. Con questa formazione passa a CMQ e si presenta in “Cascabeles Candado”, forse il programma di maggior audience del momento. Lo stesso Daniel in un occasione disse: “C’è chi sostiene che io ho creato la Sonora Matancera. Altri che la Sonora ha creato me. Ci siamo beneficiati reciprocamente...” Certo è che col primo disco che ha inciso con questa orchestra, Daniel Santos, raggiunse il vertice della fama. Pezzi che poi portò all’acetato, con l’appoggio della Sonora Matancera, sono trascesi nel tempo e alla stessa vita dell’interprete. Tali sono gli esempi di Noche de ronda, di Agustín Lara: Cuidadito compay gallo, di Ñico Saquito e Dos gardenias di Isolina Carrillo: “gardenie che non appassiscono da che lui le ha coltivate col suo canto.

L’altalena della vita

“L’oligarchia avrebbe desiderato bruciarlo, alimentando la fiamma coi suoi dischi. I piccolo borghesi di sinistra lo trattarono come ‘oppio del popolo’. È che era il cantore dell’emarginazione, ovvero della maggioranza. Era un re per gli operai, negri, disoccupati, malviventi, donne di casa e prostitute. I suoi boleri, guarachas, mambo e son erano presenti in compleanni, nozze, feste popolari e bar di infimo grado, scrive il colombiano Hernando Calvo Ospina. Aggiunge che all’inquieto anacobero lo si venerava e non lo elevarono agli altari per puro miracolo.
Nacque nel 1916 a Santurce, Portorico, figlio di un falegname e di una sarta. Dovette lasciare presto la scuola elementare a andare per le strade a lucidare scarpe. Aveva nove anni quando la sua famiglia si installò a New York. Nonostante il cambio geografico, la situazione non migliorò e per aiutare il bilancio dei suoi, vendette ghiaccio e carbone, ramazzò strade e sturò cloache. Il suo ingresso nella musica fu casuale e fors c’è molta leggenda nella storia. Si dice che un pomeriggio cantasse sotto la doccia e la sua voce si sentisse in strada quando, capitò che passasse di lì il componente di un trio musicale. Il tipo, ammirato, volle conoscerlo. Insistette. Sulla porta di casa con un asciugamano allacciato in vita, Santos accettò di far parte di quel gruppo. Così cominciò la sua vita di cantante. Dopo, nel 1938, conobbe il suo compatriota e compositore Pedro Flores, incontro che risultò decisivo nella vita del futuro anacobero.
A partire da lì, si formò e girò per tutta l’America con uno stile unico lasciando al suo passaggio, dice Miguel López Ortíz, una sequela di leggende, ricordi incancellabili, un aneddotario monumentale, moltissime registrazioni e in non pochi casi, figli. Partecipa a films come Ángel caído, produzione cubano-messicana del regista José Ortega; Rtmos del Caribe e Rumba in televisione, quest’ultimo con la regia di Evelia Joffre e le interpretazioni di Rolando Ochoa e Lolita Berrios.
Cuba gli ispirò non pochi dei 400 pezzi che diceva di aver scritto. Fra questi il bolero L’altalena della vita, composta dopo una passeggiata sul Malecón, Lasciami vedere mio figlio, reclamo a sua moglie Eugenia che gli impediva l’incontro con Danielito e Vergine della carità che scrisse essendo prigioniero nel Castillo del Principe. Amicone è un’altra di queste composizioni e descrive, meglio che in qualunque altra delle sue, l’intensa vita di bar e osterie dell’artista.
Si è scritto molto su Daniel Santos. L’immensa maggioranza di articoli e cronache, compreso libri che gli si sono dedicati, si concentrano sul suo lavoro professionale e sopratutto sulla sua vita disordinata e piena di alcol, donne e risse.
Pochi di questi testi ricordano dichiarazioni come questa: “Io entro in qualunque quartiere del mondo, perché in tutti si parla una lingua comune, la lingua della povertà e anche ci siano assassini, malviventi, prostitute e contrabbandieri, mi rispettano sempre. Per altri sono bassifondi, per me no. Io so cos’ha passato questa gente perché sono nato così, e che cazzo. Sono nato povero e al povero danno la colpa di tutti i mali. C’è gente nobile in questi luoghi testimoni di dolore (...) io conosco tutti in questi quartieri dell’America Latina, sono stato in tutti i suoi bar, mi sono dato il cicchetto con tutti i suoi ubriaconi (...) In questi luoghi ci sono pochi soldi ee dove ci sono pochi soldi c’è delinquenza, c’è necessità, si deve rubare. Questa è la realtà di questi settori emarginati che tanto hanno contribuito allo sviluppo della musica popolare latinoamericana”.

In un bar di Maracaibo

Nel 1957, in un bar di Maracaibo Venezuela, Daniel Santos scrisse su un tovagliolo la sua canzone Sierra Maestra. Nessuno volle inciderla a Caracas e dovette inciderla a New York. Ricevette come pagamento le prime mille copie del disco. Poco a poco le vendette e mandò a Cuba pochi esemplari. Una di queste copie venne in potere della guerriglia fidelista che cominciò a trasmetterla con la sua emittente, Radio Rebelde, che trasmetteva dalle montagne orientali. Ciò fece in modo che Daniel Santos venisse accusato di essere comunista e amico personale dei barbudos.
Nei giorni iniziali del 1959, Daniel Santos vide l’ingresso trionfale dell’Esercito Ribelle all’Avana. Nel mese di febbraio si presenta al cabaret Venecia della città di Santa Clara e successivamente nel cabaret Nacional di Prado e San Rafael. Non è più necessario ascoltare la sua canzone Sierra Maestra attraverso la radio clandestina. Assieme a questa, altre melodie salutano la Rivoluzione vittoriosa. Sono i tempi di Fidel è arrivato, interpretata da Rolando Laserie: Come lo sognò Martí, di Juan Arrondo con la voce di Orlando Vallejo: Insalata ribelle e Lettera a Fidel, incise dai popolarissimi Pototo e Filomeno per il marchio Puchíto. Fajardo e le sue  Le stelle impongono Los Barbudos e Pablo del Río “l’Usignolo di Spagna” presenta, a tempo di pasodoble, Ali di libertà, Miguel Ángel Ortíz da a conoscere la bellissima Canzone di libertà, di cui lo scriba ricorda alcune strofe.
Tornò all’Isola nell’agosto del 1960, quando fu espulso dal Costarica. Si celebrava a San José, capitale di questo paese del Centro America, la VI Riunione della Consulta degli Stati Americani dei Ministri degli Esteri dell’Organizzazione degli Stati Americani (OEA). Washington preparava il terreno per espellere Cuba da questo organismo continentale e circoli ufficiali costaricensi non nascondevano la loro ostilità verso la delegazione cubana che era capeggiata dal cancelliere Raúl Roa e il gruppo dei giornalisti di Prensa Latina, capitanato dal suo direttore Jorge Masetti. La polizia aveva cercato di evitare, levando bandiere e cartelloni, che i simpatizzanti con la Rivoluzione Cubana salutassero i suoi delegati, all’aeroporto. Le autorità avevano dato il permesso per un atto di solidarietà con Cuba in cui avrebbe partecipato Roa, ma al giungervi il ministro e la sua comitiva trovarono un cordone di polizia che impediva loro l’accesso. Roa volle superare l’assedio e fu al punto di essere vittima di un’aggressione. Mancò poco perché fossero sfoderate le armi dei custodi di Roa e del gruppo di poliziotti costaricensi. Daniel santos avrebbe cantato in questo atto. Non solo gli si impedì di farlo, ma decisero di espellerlo dal Paese. L’ambasciata cubana, allora, gli offrì ospitalità e il giorno seguente partì per l’Avana.
Lo scriba non può precisare se questa fu proprio la sua ultima visita. Ma quella città non era già più quella che conosceva e rimpiangeva. Si rese conto che la svolta sociale che prendeva l’Isola si allontanava sempre più dai suoi interessi. Se ne andò di nuovo e non tornò mai al Paese che gli dette tanta fama. Morì a Ocala, Florida, nel 1992.


Daniel Santos, “el Inquieto anacobero”
Ciro Bianchi Ross * 
digital@juventudrebelde.cu
19 de Julio del 2014 22:14:13 CDT

Pocos cantantes como el puertorriqueño Daniel Santos contribuyeron a
fundir en un solo estilo los modos de crear y cantar por Puerto Rico y
Cuba. Su largo contacto con lo mejor de la música cubana de los años
40 y 50 de la centuria pasada le confirió un sello de cubanía bien
perceptible en todas sus interpretaciones y composiciones, lo que le
asegura un sitial meritorio entre los grandes cantores de la música
cubana del siglo XX. “El Jefe”, como se le llama en Colombia y
recuerda Gabriel García Márquez en alguna de sus crónicas, fue un
exponente excepcional de la música popular bailable del Caribe.
Fue a finales de 1946 cuando el también puertorriqueño Bobby Capó lo
presentó en La Habana a Amado Trinidad, el entonces poderoso
propietario de la RHC Cadena Azul. De aquel encuentro surgió un
contrato para Santos. Debutó con el pie de la buena suerte en el
llamado Palacio de la Radio, la emisora de Prado 53. El número inicial
de la emisión de ese día era la canción Anacobero, del también
puertorriqueño Andrés Tallada. Por una equivocación, el locutor
presentó a Daniel como “el anacobero”. A partir de ese momento lo
identificaron por ese mote, que se hizo famoso en la Isla y al que se
le añadió el de “inquieto”, que correspondía con el carácter y la
personalidad del cantante. Con su modo de cantar el Inquieto anacobero
había impresionado a La Habana, tanto como esta ciudad impresionaba al
artista.
¿Qué Habana deslumbró a Daniel Santos? Josean Ramos en su libro sobre
el músico puertorriqueño --Vengo a decirle adiós a los muchachos, 1991--
dice que lo deslumbró el “delicioso caminar durante los atardeceres
por aquella Habana que entonces poseía los mejores cabarés del mundo
con las mujeres más eróticas que hayan visto ojos humanos”. Añade a
renglón seguido que en esos centros nocturnos se presentaban “los
mejores espectáculos del momento”, con Esther Borja y Jorge Negrete,
Celia Cruz, el trío Los Pancho y la rumbera Ninón Sevilla, mientras
que la radio dejaba escuchar a Miguelito Valdés, la Sonora Matancera,
Panchito Riset, Cascarita... “y todos los cantantes, rumberos y músicos
preferidos por los públicos exigentes”.
Y fueron precisamente esos públicos exigentes de Cuba los que poco a
poco moldearon a Daniel Santos como uno de los grandes cantantes del
mundo hispano de la época, escriben Olavo Alén y Ana Victoria Casanova
en su ensayo Tras la huella de los músicos puertorriqueños en Cuba.
Precisan: “Durante 15 años, Daniel Santos estuvo entrando y saliendo
de Cuba hacia Nueva York o hacia otras ciudades del continente
sudamericano y en cada entrada reafirmaba su condición de gran
intérprete de la música”.
Santos guardó siempre un buen recuerdo de Amado Trinidad, “el primer
empresario cubano --aseguraba-- que pagó un sueldo decente en la radio”,
pero cuando ambos hombres se encontraron, ya el puertorriqueño llevaba
años de iniciado en la música cubana. Ese inicio ocurrió en 1941
cuando, a causa de una discusión, el cantante cubano Miguelito Valdés
abandona la orquesta de Xavier Cugat. Cugat pide entonces a Santos que
cante con su orquesta en el hotel Waldorf Astoria, de Nueva York. Para
entonces, el puertorriqueño cantaba en el Cuban Casino y empezaba a
darse a conocer por el público cubano.
Después del contrato con la RHC Cadena Azul vinieron altas y bajas. En
Radio Cadena Suaritos, de La Habana, alternó durante una corta
temporada con intérpretes como Toña la Negra, y en Radio Progreso
cantó con el acompañamiento de la que algunos consideran una de las
grandes agrupaciones musicales de todos los tiempos, la Sonora
Matancera. Con esta agrupación pasa a CMQ y se presenta en Cascabeles
Candado, quizá el programa de mayor audiencia en ese momento. El mismo
Daniel dijo en una ocasión: “Hay quienes sostienen que yo hice a la
Sonora Matancera. Otros, que la Sonora me hizo. Nos beneficiamos
mutuamente...”. Lo cierto es que con el primer disco que grabó con esa
orquesta alcanzó Daniel Santos la cúspide de la fama. Piezas que
entonces llevó al acetato, con el respaldo de la Sonora Matancera,
trascendieron en el tiempo a la propia vida del intérprete. Tales son
los casos de Noche de ronda, de Agustín Lara; Cuidadito compay gallo,
de Ñico Saquito, y Dos gardenias, de Isolina Carrillo; “gardenias que
no se marchitan desde que él las cultivó con su canto”.

El columpio de la vida

“La oligarquía hubiera deseado quemarlo, atizando la candela con sus
discos. Los pequeños burgueses de izquierda lo trataron como otro
<opio del pueblo>. Es que era un cantor de la marginalidad, o sea, de
las mayorías. Era rey para obreros, negros, desempleados, matones,
amas de casa y putas. Sus boleros, guarachas, mambos y sones
estuvieron en cumpleaños, bodas, fiestas de pueblo y bares de "mala
muerte", escribe el colombiano Hernando Calvo Ospina. Añade que al
inquieto anacobero se le veneraba y de puro milagro no lo elevaron a
los altares.
Nació en 1916, en Santurce, Puerto Rico, hijo de un carpintero y de
una costurera. Pronto tuvo que abandonar los estudios primarios y
salir a la calle a limpiar zapatos. Tenía nueve años cuando su familia
se instaló en Nueva York. Pese al cambio de geografía, la situación no
mejoró y, para ayudar al sustento de los suyos vendió hielo y carbón,
barrió calles y destupió cloacas. Su entrada en la música fue casual y
quizá haya mucho de leyenda en la historia. Se dice que una tarde
cantaba bajo la ducha y su voz se oía en la calle cuando acertó a
pasar por allí el integrante de un trío musical. El tipo, admirado,
quiso conocerlo. Insistió. En la puerta de la casa, con una toalla
enrollada en la cintura, Santos aceptó ser parte de ese grupo. Así
empezó su vida de cantante. Luego, en 1938, conoció a su compatriota y
compositor Pedro Flores, encuentro que resultaría decisivo en la vida
del futuro anacobero.
A partir de ahí se labró y paseó por toda América con un estilo único,
dejando a su paso, dice Miguel López Ortiz, una estela de leyenda,
recuerdos imborrables, un anecdotario monumental, muchísimas
grabaciones e hijos en no pocos casos. Interviene en filmes como Ángel
caído, producción cubano-mexicana del director José Ortega; Ritmos del
Caribe y Rumba en televisión, con dirección este último de Evelia
Joffre y las actuaciones de Rolando Ochoa y Lolita Berrios.
Cuba le inspiró no pocas de las 400 piezas que decía haber escrito.
Entre estas, el bolero El columpio de la vida, compuesta tras una
caminata por el Malecón, Déjame ver a mi hijo, reclamo a su esposa
Eugenia que le impedía el encuentro con Danielito, y Virgen de la
Caridad, que escribió estando preso en el Castillo del Príncipe.
Amigote es otra de esas composiciones y describe, mejor que en
cualquier otra de las suyas, la intensa vida de bares y cantinas del
artista.
Mucho se ha escrito acerca de Daniel Santos. La inmensa mayoría de los
artículos y crónicas, incluso libros que se le han dedicado, se
centran en su quehacer profesional y sobre todo en su vida desordenada
y repleta de alcohol, mujeres y riñas.
Pocos de esos textos recuerdan declaraciones como esta: “Yo entro a
cualquier barrio del mundo, porque en todos se habla un idioma común,
el idioma de la pobreza, y aunque haya matones, tecatos, putas y
contrabandistas, siempre me respetan. Para otros, son barrios malos,
para mí, no. Yo sé lo que ha pasado esa gente porque yo nací así, qué
carajo. Nací pobre y al pobre le echan la culpa de todo lo malo. Hay
gente noble en esos lugares atestados de dolor (...) Yo conozco todos
esos barrios de Latinoamérica, he estado en todas sus barras, me he
dado el trago con todos sus borrachos (...) En estos lugares hay poco
dinero, y donde hay poco dinero, hay delincuencia, hay necesidad, hay
que robar. Esa es la realidad de esos sectores marginados que tanto
han contribuido al desarrollo de la música popular latinoamericana”.

En un bar de Maracaibo

En 1957, en un bar de Maracaibo, Venezuela, escribió Daniel Santos,
sobre una servilleta, su canción Sierra Maestra. Nadie quiso grabarla
en Caracas y tuvo que grabarla en Nueva York. Recibió como pago las
primeras mil copias del disco. Poco a poco las fue vendiendo y mandó a
Cuba unos escasos ejemplares. Una de esas copias llegó a poder de la
guerrilla fidelista que comenzó a pasarla por su emisora, Radio
Rebelde, que transmitía desde las montañas orientales. Eso hizo que
Daniel Santos fuera acusado de comunista y de amigo personal de los
barbudos.
En los días iniciales de enero de 1959, Daniel Santos vio la entrada
triunfal del Ejército Rebelde en La Habana. En el mes de febrero se
presenta en el cabaré Venecia, de la ciudad de Santa Clara, y está
después en el cabaré Nacional, de Prado y San Rafael. Ya no se hace
necesario escuchar su canción Sierra Maestra a través de la radio
clandestina. Junto con esta, otras melodías saludan la Revolución
victoriosa. Son los tiempos de Fidel ya llegó, interpretada por
Rolando Laserie; Como lo soñó Martí, de Juan Arrondo en la voz de
Orlando Vallejo; Ensalada rebelde y Carta a Fidel, grabadas por los
popularísimos Pototo y Filomeno para el sello Puchito. Fajardo y sus
estrellas imponen Los barbudos, y Pablo del Río, “el Ruiseñor de
España”, acomete, en tiempo de pasodoble, Alas de libertad. Miguel
Ángel Ortiz da a conocer la bellísima Canción de Libertad, algunas de
cuyas estrofas recuerda todavía el escribidor.
Volvió a la Isla en agosto de 1960 cuando lo expulsaron de Costa Rica.
Se celebraba en San José, capital de ese país centroamericano, la VI
Reunión de Consulta de los Ministros de Relaciones Exteriores de la
Organización de Estados Americanos (OEA). Washington abonaba el
terreno para conseguir la expulsión de Cuba de ese organismo
hemisférico y círculos oficiales ticos no ocultaban su hostilidad
hacia la delegación cubana, que encabezaba el canciller Raúl Roa y el
grupo de periodistas de Prensa Latina,  capitaneado por su director,
Jorge Ricardo Masetti. La Policía había intentado evitar, quitándoles
banderas y pancartas, que los simpatizantes con la Revolución Cubana
saludaran a sus delegados en el aeropuerto. Las autoridades habían
dado el permiso para un acto de solidaridad con Cuba, en el que
participaría Roa, pero al llegar allí el Ministro y su comitiva
encontraron que un cordón policial les vedaba el acceso. Quiso Roa
traspasar el cerco y estuvo a punto de ser víctima de una agresión.
Poco faltó para que quedaran desenfundadas las armas de los custodios
de Roa y del grupo de policías costarricenses. Daniel Santos cantaría
en ese acto. No solo se le impidió hacerlo, sino que decidieron
expulsarlo del país. La Embajada cubana le ofreció entonces
hospitalidad y al día siguiente viajó a La Habana.
No puede precisar el escribidor si esa fue su última visita. Pero ya
aquella ciudad no era la que él conocía y añoraba. Se percató de que
el giro social que tomaba la Isla se alejaba cada vez más de sus
intereses. Se fue de nuevo y nunca más regresó al país que le dio
tanta fama. Falleció en Ocala, Florida, en 1992.
     
Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu




Indire

INDIRE: parlare come gli amerindi o asiatici

domenica 20 luglio 2014

Indigesti

INDIGESTI: linguaggio dei pellerossa

sabato 19 luglio 2014

Indigente

INDIGENTE: popoli nativi delle Americhe o del sud dell'Asia

venerdì 18 luglio 2014

Prossimo un nuovo, centralissimo, albergo all'Avana


Fonte: TTC


La catena alberghiera svizzera Kempinski gestirà a Cuba l’hotel che aprirà il Gruppo Turistico Gaviota SA nella conosciuta Manzana de Gómez a L’Avana Vecchia. 
Secondo le dichiarazioni del Vice Presidente del dipartimento di Marketing di Gaviota SA, Frank País Oltuski, l’installazione categoria cinque stelle, la cui inaugurazione è prevista per il 2016, disporrà di oltre 200 camere e sarà dedicata ad un segmento di alto livello.
Kempinski commercializzerà l’hotel, che non ha ancora un nome, attraverso i suoi canali di distribuzione. L’investimento, che comprende un grande centro commerciale, è al cento per cento dello Stato cubano.
Nell’ambito dei piani di Gaviota SA per espandere la propria capacità alberghiera a L’Avana, figura anche la costruzione di un hotel tra Prado e Malecón, con 210 camere e l’Hotel Packard con 261, mentre alcune strutture emblematiche saranno restaurate, quali il Grand Hotel, il Regis e il Metropolitan.


Aumenta il turismo della salute a Cuba


FONTE: TTC





Sempre più turisti abbinano alle vacanze sull’Isola specifici trattamenti per il proprio benessere. 
L’atmosfera di Cuba è rigenerante e questo è ben noto a chi ha la fortuna di visitare le sue spiagge e le sue città. Non molti sanno però che sull’Isola molti turisti scelgono di abbinare l’effetto salutare di una bella vacanza a specifici trattamenti di cui è possibile disporre all’interno di valide strutture medico-specialistiche dedicate sia al benessere psicofisico, sia alla salute nel senso più “clinico” del termine.
La scelta è davvero molto varia e sempre ad alto livello. A cominciare dai trattamenti nelle sorgenti minerali (che a Cuba abbondano: circa 30 sorgenti minerali del Paese hanno dimostrato proprietà curative), che possono essere incorporati in qualsiasi soggiorno (lavorativo o turistico).
Molti alberghi permettono, fra l’altro, di combinare direttamente vacanza e cure legate al benessere della persona. Club Vida, per esempio, propone programmi che prevedono trattamenti di salute, esperienze culturali ed escursioni naturalistiche.
Per chi necessita di cure mediche specifiche, l’intero Paese offre una vasta rete di strutture sanitarie dotate delle più moderne tecnologie e gestite da professionisti altamente qualificati (alcuni dei quali propongono trattamenti specializzati unici al mondo).
A seconda di ogni singola esigenza, la scelta di strutture è ampia e diversificata. Per le terme: San Diego de los Baños e Horizontes Rancho San Vicente Hotel (Pinar del Río), Horizontes Elguea Hotel (Villa Clara); per trattamenti antistress: La Pradera Centro di Salute Internazionale, Horizontes Casa del Valle Hotel (Matanzas), Kurhotel Escambray (Sancti Spiritus), Club Vida El Saltón (Santiago de Cuba); per trattamenti medici e riabilitativi specifici: l Quinque y El Cocal comunità terapeutiche (Holguín); per problemi di natura oftalmologica: Camilo Cienfuegos internazionale oftalmologico Clinic (Havana); per vitiligine, psoriasi e alopecia: Centro Histotherapy placentare (Havana); per il morbo Parkinson: Centro di Restauro Neurological International (Havana); per la chirurgia ortopedica: Frank País internazionale Ortopedico Complex (Havana).
Programmi di viaggio Salute specifici sono disponibili da Turismo y Salud, una divisione del gruppo aziendale Cubanacán SA; la catena Hoteles Horizontes e il gruppo turistico Gaviota S.A.


Indiavolare

INDIAVOLARE: prendere un aereo per il sub-continente asiatico

giovedì 17 luglio 2014

Le "case dei visitanti" statali aperte al pubblico

Fonte: France Presse/El Nuevo Herald

Per vedere il testo completo della risoluzione: www.gacetaoficial.cu N° 32 del 15/7/14

Cubanos y turistas podrán hospedarse en ‘casas de visita’ del Estado

AGENCE FRANCE PRESSE
LA HABANA -- Los cubanos y turistas ahora podrán hospedarse en las “casa de visita” del Estado, que estaban reservadas para funcionarios en viaje de trabajo o premio vacacional, según una resolución publicada este miércoles.
Esta medida aumenta las posibilidades de alojamiento en la isla, a precios menores que hoteles de turismo, a la vez que permite un mejor aprovechamiento de esos inmuebles.
“Las reservaciones pueden efectuarse por personas naturales o jurídicas en los buroes (oficinas) de reservación provinciales (…), en los propio establecimientos de alojamiento”, señala el nuevo Reglamento publicado en la Gaceta Oficial.
Conocidos popularmente como “casas de visita”, esos inmuebles pertenecientes a organismos estatales eran usados hasta ahora exclusivamente para alojar a funcionarios en viaje de trabajo o como premio vacacional.
Una de las primeras medidas del gobernante Raúl Castro, tras sustituir en el mando a su hermano enfermo Fidel en el 2006, fue pasar el control de esos inmuebles a los gobiernos municipales, buscando una mayor eficiencia en su uso, pues muchas veces estaban subutilizados.
La nueva disposición da prioridad a las entidades estatales para hacer reservas, pero permite a cualquier persona utilizar las casas de visita, “con fines de trabajo, descanso y recreación”.
El pago será en pesos cubanos, a precios fijados por los gobiernos provinciales, pero algunas casas estarán autorizadas a cobrar en divisas.
El reglamento distingue dos tipos de casas de visita, las de “alojamiento”, para más de una noche, y las de “tránsito”, por algunas horas.
Hasta la década de 1990 en la isla existían “posadas” del Estado que servían de casas de citas por horas para parejas, pero desaparecieron con la crisis económica. En años recientes resurgieron, autorizadas por la ley, pero ahora son privadas.
El nuevo reglamento aparentemente abriría esa modalidad en las casas de visita de “tránsito” del Estado.


Incuria

INCURIA: nei locali della chiesa

mercoledì 16 luglio 2014

Nuovo albergo a Varadero

È ufficiale: Un nuovo albergo a cinque stelle nasce a Cuba


Pubblicato da Redazione TTC in Affari luglio 3, 2014 
Cuba possiede attualmente 64 contratti di gestione alberghiera con 20 marchi internazionali.
L’azienda britannica Esencia Hotel sta sviluppando a Cuba un progetto turistico-alberghiero per un valore di circa 350 milioni dollari. Si tratta del risultato di una collaborazione con la ditta cubana Palmares SA (prima joint venture del suo genere da quando l’isola di Cuba ha adottato una nuova legge sugli investimenti esteri all’inizio del 2014).
Il progetto, a cinque stelle, si chiama Carbonera Club (un complesso alberghiero che sorge vicino alla famosa spiaggia di Varadero). La proprietà è un’interessante combinazione fra: struttura alberghiera, centro benessere, tennis club, campo da golf e attività immobiliare. La società ha confermato sul suo sito web che che Carbonera Club è il risultato di tre anni di lavoro con Palmares.
Il progetto è stato elaborato dallo studio di architettura Rafael de la Hoz, Conran & Partners e One Works, insieme all’architetto di campi da golf della PGADC.
Cuba possiede attualmente 64 contratti di gestione alberghiera con 20 marchi internazionali, e ha intenzione di espandere il numero a 70 entro la fine del 2014.
Il Ministero del Turismo di Cuba ha dichiarato che l’Isola ha ricevuto poco meno di 1,3 milioni di turisti nel primo trimestre del 2014 (un miglioramento del 5% rispetto allo stesso periodo nel 2013).
Fonte: Caribbean Journal


Punto di vista, piccola impresa a Cuba

Punto di vista: le piccole imprese private sono fiorite a Cuba


Pubblicato da Redazione TTC in Turismo luglio 9, 2014 

David Greene / NPR
Quando gli americani pensano al mondo degli affari a Cuba, pensano alle imprese statali. Ma la stragrande maggioranza dei cubani non lavora per lo Stato.
Negli ultimi anni, i proprietari di aziende private, noti come lavoratori autonomi, o “cuentaspropistas” sono aumentati sull’isola.
Il “Cuentapropismo” significa letteralmente “per proprio conto”. Già nel 1970, Fidel Castro parlava di come il socialismo e le piccole imprese private potessero coesistere. Oggi, più che mai è realtà.. Tra il 2010 e il 2013, il governo Cubano ha ampliato il numero di categorie di imprese private che sono legali sull’isola, come l’edilizia, i ristoranti e le sartorie.
Circa 1 milione di persone – o il 20 per cento della forza lavoro cubana – ora può essere classificato come appartenente esclusivamente al settore privato, secondo un rapporto di Richard Feinberg della Brookings Institution.
Barbara Fernández Franco ricorda di essersi emozionata quando l’elenco delle società ammesse dal governo è venuto alla luce per la prima volta. Ha consultato l’elenco dei circa 200 lavori possibili e ha pensato attentamente a quello che poteva fare. Ha deciso di scegliere la categoria di “sartoria e confezioni”.
Abbiamo incontrato Barbara, 28 anni, in uno degli edifici antichi ma belli che costeggiano le strette strade coloniali di L’Avana, capitale di Cuba. Seduta sulle scale, ci dice che è stato un percorso difficile, pieno di ostacoli.
E ‘iniziato con la rivendita di abiti realizzati da un’amica, ma i margini di profitto erano minimi. Ha iniziato a comprare vestiti dall’estero, portati da paesi come Repubblica Dominicana, Perù, Ecuador e Messico, che poi rivendeva.
Inizialmente, il progetto era incerto come ogni nuova impresa. Ma dopo pochi mesi di lavoro, dice, i guadagni erano eccezionali. Barbara era in grado di risparmiare un sacco di soldi – che attualmente la stanno aiutando ad acquistare una nuova casa con il suo fidanzato, Michel Pérez Casanova.
Ma il boom nel business ben presto si è concluso quando il governo ha annunciato che l’importazione di capi di abbigliamento per la rivendita sull’isola sarebbe stata illegale dal 31 dicembre 2013.
Barbara è stata devastata dalla notizia, dice, ma mentre altre aziende hanno chiuso, ha scelto di continuare nel modo migliore che poteva: Ha imparato a cucire e ha creato la sua linea di abbigliamento per bambino e zanzariere per lettini.
In un piccolo ristorante nella città portuale di Mariel, il proprietario, Onil Lemus, ci ha detto che tutti quelli che conosce sono assolutamente entusiasti per la crescente portata raggiunta dalle imprese private legali. Scherza che gli piaceva di più quando c’erano meno imprenditori – perché aveva meno concorrenza.
Anche se per Onil gli affari vanno bene, si è fatto portavoce di quanto altri proprietari di piccole imprese ci hanno detto: Una delle maggiori sfide è stata la mancanza di materie prime. Al Mariel, per esempio, ha detto Onil, non vi è accesso ai mercati alimentari all’ingrosso, che sono così importanti per il settore della ristorazione.
Indicando il delizioso stufato di agnello, che è stato preparato per noi, ci ha spiegato che deve andare in una fattoria a comprare la carne, ma i prodotti alimentari come riso e fagioli – basilari per la cucina cubana – sono difficili da acquistare in grandi quantità a prezzi buoni.
Allo stesso modo, Barbara ha detto che alcuni tipi di tessuti e decorazioni sono così costosi che sarebbe impossibile per lei ottenere dei guadagni se li utilizzasse.
La sensazione generale è che l’embargo degli Stati Uniti – Che è in vigore da oltre 50 anni ed è conosciuto come il “blocco” sull’isola – è in gran parte responsabile di questo tipo di difficoltà.
Onyl si è detto fiducioso visto che se il numero di imprenditori privati cresce, il governo dovrà risolvere questi problemi.
A cura di TTC
Per saperne di più, visitare il sito http://www.npr.org/


Incubo

INCUBO: dentro a un poligono quadrangolare

martedì 15 luglio 2014

Scritti allo scriba, di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud rebelde del 13/7/14

(Dovuto a difficoltà di connessione dell'autore ho potuto pubblicarlo solo oggi e con l'originale tratto dall'edizione digitale del giornale)

Diversi lettori si sono rivolti allo scriba in merito alla sua pagina intitolata Orme francesi a Cuba, pubblicata su questo quotidiano lo scorso 22 giugno. Mentre alcuni, come la dottoressa Uva de Aragón, dell’Università Internazionale della Florida, elogiano la cronaca per il suo contributo a un tema che, a suo giudizio, non si è enfatizzato abbastanza, altri si lamentano per l’omissione, nel testo, della città di Cienfuegos.
È certo che Cienfuegosè la città più “francesizzata” di Cuba. È l’unica in America che, sotto il dominio della corona spagnola, fu fondata da francesi. Infatti, dopo alcuni tentativi infruttuosi, il 22 aprile del 1819, Juan Luís Lorenzo D’Clouet, colonnello dei Reali Eserciti, al fronte di 45 coloni francesi provenienti da Boredaux, Luisiana e Filadelfia, si accingeva alla fondazione di questa città alla quale si dette il nome di Fernandina de Jagua, nonostante fosse di origine francese, D’ Clouet, era suddito spagnolo per essere nato a Nuova Orleáns appartenente, all’epoca, alla Spagna.
È lì, affermano gli specialisti, dove si materializzano concezioni moderne e illustri per quel tempo, in quanto all’integrazione di architettura e urbanistica.  Emerge, nella cosiddetta Perla del Sud, il suo perfetto tracciato neoclassico a forma di scacchiera al quale si aggiunge la ricchezza monumentale dei suoi spazi pubblici e i suoi edifici neoclassici, eclettici e Art Decò.
Detto sia però, in tutta intimità, Cienfuegos non fu l’unica omissione nella pagina del 22 di giugno. Il lettore comprenderà che non tutto quello che si vorrebbe e si potrebbe scrivere su un tema, trova lo spazio di cui si dispone in un giornale. Avrei dovuto, allora, citare altre città.
Più di 60 famiglie con cognomi francesi, oggi, risiedono a Baracoa. I loro antenati giunsero a questa città nei giorni della Rivoluzione haitiana. La giusta ira dei loro antichi schiavi li aveva privati di quasi tutto ciò che possedevano nella vita, però poterono fuggire da Haiti con la testa sulle spalle e, una volta a Baracoa, diffusero la loro moda e costumi, la loro filosofia e letteratura e si dedicarono a controllare l’economia della regione. Rivitalizzarono l’industria zuccheriera locale che poi scomparve e introdussero nuovi metodi e varietà nella semina del caffè.
Crogiolo di culture, somma di incontri e scontri – catalani al centro dell’emigrazione spagnola, africani di diverse etnie, francesi, haitiani, antillani in generale – il meticciato è, a Santiago de Cuba, più aperto che nel resto del Paese e l’influenza negra risulta essere un elemento fondamentale.
C’è l’ascendente francese nel suo folclore. La “Tumba Francesa” (ballo con tamburi, n.d.t.) uno dei fuochi culturali della città la compongono discendenti di schiavi africani che ebbero padroni francesi e utilizzano elementi tradizionali di provenienza dahomeyana, mentre altri gruppi folkloristici danno un proprio tocco alle radici haitiane e franco-haitiane.
Alla periferia della città sono visibili le rovine delle aziende caffettiere francesi. Il riscatto di una di queste – La Isabelica, nei pressi della Gran Piedra, roccia granitica che si eleva a più di 1200 metri – permette di vedere come viveva la famiglia proprietaria e come si ottenevano i raccolti. In questa regione si installarono molti francesi che fuggirono da Haiti dopo la vittoria della Rivoluzione e si dedicarono alla coltivazione del caffè Il museo descrive la vita in queste aziende agricole e gli strumenti utilizzati per la coltivazione. Fuori dall’edificio del museo sono ubicati gli essiccatoi, la tahona (ruota di mulino mossa da cavalli) e un acquedotto.
Fondamentali in questo riepilogo, risultano essere vari edifici della città di Matanzas. Il teatro sauto è uno dei gioielli dell’architettura cubana e la chiesa di San Pietro Apostolo è considerata come la costruzione neoclassica più bella del Paese. Niente uguaglia, nel continente, la farmacia francese del dottor Triolet, convertita in museo. Questo esercizio aprì al pubblico il 1° gennaio del 1882. Fondato dai dottori Emilio triolet, nato a Lissy, in Francia, e Juan Fermín Figueroa, il cosiddetto re delle farmacie di Cuba, raggiunse rapidamente la fama meritata. Durante il finale del XIX secolo e inizio del XX mantenne legami commerciali con i laboratori più importanti del mondo. Triolet partecipò alla Esposizione Universale di Parigi nel 1900 e ottenne la Medaglia di Bronzo.
Diciamo, per finire, che a Trinidad si conserva la Casa del Corsaro, costruita nel 1754 dal capitano dei corsari Carlos Merlín, di origine francese. Gilberto Girón, il corsaro di Espejo de Paciencia – il monumento più antico della letteratura cubana – dette il nome a una spiaggia della Baia dei Porci, Playa Girón, scritta a colpi di sangue ed eroismo nella storia della Rivoluzione Cubana.

Altre voci, altri ambiti

Tempo fa sono salito al Castello di Atarés e sono rimasto abbagliato dalla veduta che regala all’Avana. Questa è una delle volte che la realtà imita l’immaginazione, ebbene quando il pomeriggio comincia a declinare, per dirlo con le parole del trovatore Eduardo Sosa, il paesaggio urbano reale che si apprezza dalla sua altezza ricorda l’Avana sognata da René Portocarrero e plasmata dall’artista nella sua serie Ciudades. Peccato che non sia ancora un’istituzione aperta al pubblico.
Una lettrice che si firma col solo nome di battesimo chiede informazioni su questa fortezza e in merito alla caserma di San Ambrosio, chiede Miguel Álvarez, abitante nel reparto San Agustín.
La costruzione del Castello di Atarés, sulla collina di Soto, in fondo alla baia avanera, venne motivata dalla presa dell’Avana da parte degli inglesi (1762), che evidenziò la necessità di proteggere i percorsi che comunicavano la città con le campagne vicine. Così tra il 1763 e 1767, dopo altre opere provvisorie, si iniziò l’edificazione di questa fortezza a 1500 braccia (poco più di 1200 metri) al sud del recinto murato. Ai tempi di Machado, l’installazione era sotto il comando del tristemente celebre capitano Manuel Crespo Moreno ed era la sede del 5to Squadrone della Guardia Rurale, unità eccellentemente addestrata che copriva, coi suoi uomini, la scorta del Presidente della Repubblica.
Al crollo del machadato, Crespo Moreno uscì da Cuba nello stesso aereo del dittatore e ad Atarés apparvero, allora, le tombe clandestine di diversi lottatori antimachadisti, sottomessi a terribili torture prima di essere assassinati. In questo luogo l’8 e 9 di novembre del 1933, cercarono rifugio fra i mille e i 1500 civili, molti di loro militanti dell ABC, ex ufficiali e militari attivi, tutti opposti al Governo di Ramón Grau San Martín. Venivano fuggendo dalle caserme di Dragones, di Zanja tra Escobar y Lealtad e di San Ambrosio, molto vicino a lì, nelle immediatezze della centrale elettrica di Tallapiedra. Si misero in una topaia.
San Ambrosio – rispondo adesso al lettore Miguel Álvarez – era la sede del Dipartimento di Amministrazione dell’Esercito. C’erano magazzini di munizioni, uniformi eccetera. In questo casermone enorme funzionò, in tempi del tabacco, la cosiddetta fabbrica del sigaro. Qunado cessò di esserlo si diedro diversi usi all’immobile. In una delle sue aree funzionò, ai tempi della Spagna, un ospedale militare fino a che le sue condizioni igieniche o meglio, anti igieniche, suggerirono la costruzione dell’ospedale Alfonso XIII, che oggi è il Calíxto García. In una parte dell’edificio esistette una scuola elementare. Lo scriba non conosce che utilizzazione si da oggigiorno a questo stabile.

Da Varadero

Scrivono con marcata insistenza da Varadero. Qualcuno si interessa per sapere della vita e i miracoli di un soggetto che, a metà del secolo scorso, aveva la sua residenza nella calle 56 della spiaggia. Si tratta del colonnello Gonzalo García Pedroso. Il richiedente sa che fu direttore del Patrimonio della Lotteria Nazionale e che aveva terre a San José de las Lajas. Richiede le ragioni della sua amicizia con il dittatore Fulgencio Batista che lo visitava, a casa sua, durante i soggiorni nella cittadina balneare. Il lettore domanda se García Pedroso fu militare e come giunse ad essere direttore della Lotteria.
La risposta non è molto complessa. Batista e García Pedroso si conoscevano da tempo. Senza far parte della giunta di Columbia o degli otto, che organizza il colpo di stato del 1933, l’allora sergente García Pedroso si aggiunge ai cospiratori prima del 4 settembre, data in cui Batista effettua il golpe contro il Governo di Céspedes. Figura fra quelli che cospirano nel campo di Columbia e prosegue nella cospirazione quando il suo epicentro si sposta all’edificio della Gran Loggia di Cuba. A questo punto si era allargato il circolo dei cospiratori. Si trovano, fra loro, i sergenti Jaime Mariné e Ulsiceno Franco Granero, entrambi di origine spagnola e distintisi nella caserma San Ambrosio; Urbano Soler, stenografo del settimo distretto (La cabaña), Ignacio Galindez e García Pedroso, entrambi di Columbia. Il giorno del golpe García è con Batista. Lo accompagnano molti sergenti, caporali, soldati e ufficiali come Francisco Tabernilla, Manuel Benítez, Raymundo Ferrer e Gregorio Querejeta.
Avanza il Governo dei Cento Giorni che capeggia il presidente Grau. Il 7 novembre del 1933, Franco Granero cessa come capo della Polizia Nazionale e García Pedroso occupa l’incarico su proposta del colonnello Batista, capo dell’Esercito, Guiteras, allepoca ministro del Governo, Guerra e Marina, aveva proposto Luis Felipe Masferrer per questo comando, ma Grau mette il veto e appoggia il candidato di Batista perché vuole far dimenticare al colonnello l’occorso giorni prima, quando Guiteras voleva destituirlo e fucilarlo come traditore.
Durante la già citata ribellione dell’8 e 9 novembre, contro il Governo di Grau, i ribelli occuparono anche diverse stazioni della Polizia. In una di queste, la Decima, sita in uno dei vertici del ponte sul fiume Almendares, nell’Avenida 23, cadde prigioniero García Pedroso. Fu liberato da forze al comando di Belisario Hernández, aiutante di Batista, che bombardarono l’unità della Polizia dal cabaret La Verbena, nell’altra sponda del fiume.

Lo scriba non sa quando García Pedroso ascese a colonnello e in che data passò alla riserva militare. Nel Libro d’Oro della società avanera corrispondente al 1958 lo si nomina come direttore del patrimonio della Lotteria Nazionale, con residenza nella calle 32 angolo Terza a Miramar e nella tenuta Nena. In San José de las Lajas. 


Escritos al escribidor

De Ciro Bianchi Ross

Varios lectores escribieron al escribidor con motivo de su página titulada Huellas francesas en Cuba, publicada en este diario el pasado 22 de junio. Mientras que algunos, como la doctora Uva de Aragón, de la Universidad Internacional de la Florida, elogian la crónica por su contribución a un tema en el que, a su juicio, no se ha enfatizado lo suficiente, otros protestan por la omisión en el texto de la ciudad de Cienfuegos.
Cierto es que Cienfuegos es la ciudad más afrancesada de Cuba. Es la única urbe de América que, bajo el dominio de la corona española, fue fundada por franceses. En efecto, luego de intentos infructuosos, el 22 de abril de 1819, Juan Luis Lorenzo D’Clouet, coronel de los Reales Ejércitos, al frente de un grupo de 45 colonos franceses procedentes de Burdeos, Luisiana y Filadelfia, acometía la fundación de esa ciudad a la que se dio entonces el nombre de Fernandina de Jagua. Aunque de origen francés, D’Clouet era súbdito español por haber nacido en Nueva Orleáns, perteneciente a España en la época.
Es allí, afirman especialistas, donde se materializan concepciones modernas e ilustradas para su tiempo en cuanto a la integración de arquitectura y urbanismo. Llama la atención en la llamada Perla del Sur su perfecto trazado neoclásico en forma de tablero de ajedrez, a lo que se suma la riqueza monumental de sus espacios públicos y sus edificaciones neoclásicas, eclécticas y de Art Decó.
Pero, y dicho sea a toda intimidad, Cienfuegos no fue la única omisión en la página del 22 de junio. Ya comprenderá el lector que no todo lo que se quiere y se puede escribir acerca de un tema cabe en el espacio de que se dispone en un periódico. Habría que haber mencionado entonces otras ciudades.
Más de 60 familias con apellidos franceses radican hoy en Baracoa. Sus antecesores llegaron a esta villa en los días de la Revolución haitiana. La justa ira de sus antiguos esclavos los había privado de casi todo lo que poseían en la vida, pero pudieron escapar de Haití con la cabeza sobre los hombros, y ya en Baracoa propagaron sus modas y costumbres, su filosofía y su literatura y se dedicaron a controlar la economía de la región. Revitalizaron la industria azucarera local, que desapareció luego, e introdujeron nuevos métodos y variedades en la siembra del café.
Crisol de culturas, suma de encuentros y desencuentros —catalanes en el centro de la emigración española, africanos de etnias diversas, franceses, haitianos, antillanos en general— el mestizaje es en Santiago de Cuba más abierto que en el resto del país y la influencia negra resulta un elemento insoslayable.
Hay ascendencia francesa en su folclor. La Tumba Francesa —Patrimonio de la Humanidad— uno de los focos culturales de la villa, la componen descendientes de esclavos africanos que tuvieron amos franceses y utilizan elementos tradicionales de procedencia dahomeyana, mientras que otros grupos folclóricos dan un toque propio a las raíces haitianas y franco-haitianas.
En las afueras de la ciudad son visibles ruinas de cafetales franceses. El rescate de uno de estos —La Isabelica, en la cercanía de La Gran Piedra, roca granítica que se eleva a más de 1 200 metros— permite ver cómo vivía la familia propietaria y cómo se obtenían las cosechas. En esa región se instalaron muchos franceses que huyeron de Haití tras el triunfo de la revolución y se dedicaron al cultivo del café. El museo describe la vida en esas haciendas y los instrumentos utilizados en los cultivos. Fuera del edificio del museo están situados los secaderos, la tahona (molino de harina movido por caballería) y un acueducto.
Insoslayables en este recuento resultan varias de las edificaciones de la ciudad de Matanzas. El teatro Sauto es una de las joyas de la arquitectura cubana, y la iglesia de San Pedro Apóstol está considerada como la construcción neoclásica más bella del país. Nada iguala en el continente a la farmacia francesa del doctor Triolet, convertida en museo. Este establecimiento abrió al público el 1ro. de enero de 1882. Fundada por los doctores Emilio Triolet, nacido en Lissy, Francia, y Juan Fermín Figueroa, el llamado Rey de las boticas de Cuba, ganó rápidamente merecida fama. Durante los finales del siglo XIX y comienzos del XX mantuvo nexos comerciales con los laboratorios más importantes del mundo. Triolet participó en la Exposición Universal de París en 1900 y obtuvo Medalla de Bronce.
Digamos, para finalizar, que en Trinidad se conserva la Casa del Corsario, construida en 1754 para el capitán de corsarios Carlos Merlin, de origen francés. Gilberto Girón, el corsario de Espejo de paciencia —el monumento más antiguo de la literatura cubana— dio nombre a una playa de la bahía de Cochinos, Playa Girón, escrita a golpe de sangre y heroísmo en la historia de la Revolución Cubana.

Otras voces, otros ámbitos

Hace tiempo subí al Castillo de Atarés y quedé deslumbrado por la vista que regala de La Habana. Esta es una de las veces en que la realidad imita a lo imaginado, pues cuando la tarde comienza a declinar, para decirlo con las palabras del trovador Eduardo Sosa, el paisaje urbano real que se aprecia desde su altura remeda La Habana soñada por René Portocarrero y plasmada por el artista en su serie Ciudades. Lástima que no sea todavía una instalación abierta al público.
Información sobre esa fortaleza colonial reclama una lectora que firma solo con su nombre de pila, y acerca del cuartel de San Ambrosio inquiere Miguel Álvarez, vecino del reparto San Agustín.
La construcción del Castillo de Atarés, en la loma de Soto, al fondo de la bahía habanera, fue motivada por la toma de La Habana por los ingleses (1762), que evidenció la necesidad de resguardar y defender los caminos que comunicaban a la ciudad con los campos vecinos. Así, entre 1763 y 1767, luego de varias obras provisionales, se acometió la edificación de esa fortaleza, a 1 500 varas (poco más de 1 200 metros) al sur del recinto amurallado. En tiempos de Machado, la instalación estuvo bajo el mando del tristemente célebre capitán Manuel Crespo Moreno, y era la sede del Escuadrón 5 de la Guardia Rural, unidad excelentemente adiestrada que cubría con sus hombres la escolta del Presidente de la República.
Al derrumbarse el machadato, Crespo Moreno salió de Cuba en el mismo avión que el dictador, y en Atarés aparecieron entonces los enterramientos clandestinos de varios luchadores antimachadistas, sometidos a terribles torturas antes de ser asesinados. En ese lugar, durante el 8 y el 9 de noviembre de 1933 buscaron refugio entre mil y 1 500 civiles, muchos de ellos militantes del ABC, ex oficiales y militares en activo, opuestos todos al Gobierno de Ramón Grau San Martín. Venían huyendo de los cuarteles de Dragones, en Zanja entre Escobar y Lealtad, y de San Ambrosio, muy cerca de allí, en las inmediaciones de la central eléctrica de Tallapiedra. Se metieron en una ratonera.
San Ambrosio —respondo ahora al lector Miguel Álvarez— era la sede del Departamento de Administración del Ejército. Había allí almacenes de municiones, uniformes, etc. En ese caserón enorme funcionó, en tiempos del estanco, la llamada factoría del tabaco. Cuando dejó de serlo se le dio diversos usos al inmueble. En una de sus áreas funcionó, en tiempos de España, un hospital militar hasta que sus condiciones higiénicas o, mejor, antihigiénicas, recomendaron la construcción del hospital Alfonso XIII, que es hoy el Calixto García. En parte del edificio existió una escuela primaria. Desconoce el escribidor qué utilidad se le da hoy a ese edificio.

Desde Varadero

Escriben con marcada insistencia desde Varadero. Alguien se interesa por saber la vida y los milagros de un sujeto que, a mediados del siglo pasado, tenía su residencia en la calle 56 de la playa. Se trata del coronel Gonzalo García Pedroso. Conoce el solicitante que fue director de la Renta de la Lotería Nacional y que tenía tierras en San José de las Lajas e inquiere las razones de su amistad con el dictador Fulgencio Batista, que lo visitaba en su casa durante sus estancias en el balneario. Pregunta el lector si García Pedroso fue militar y cómo llegó a director de la Lotería.
La respuesta no es muy compleja. Batista y García Pedroso se conocían de atrás. Sin ser parte de la junta de Columbia o de los ocho, que organiza el golpe de Estado de 1933, el entonces sargento García Pedroso se suma a los conspiradores antes del 4 de septiembre, fecha en que Batista ejecuta el cuartelazo contra el Gobierno de Céspedes. Figura entre los que conspiran en el campamento de Columbia y sigue en la conspiración cuando su foco se traslada al edificio de la Gran Logia de Cuba. A esas alturas se había ensanchado el círculo de conspiradores. Se cuentan entre ellos los sargentos Jaime Mariné y Ulsiceno Franco Granero, ambos de origen español y destacados en el cuartel de San Ambrosio; Urbano Soler, taquígrafo del Séptimo Distrito (La Cabaña), e Ignacio Galíndez y García Pedroso, ambos de Columbia. El día del golpe, García Pedroso está con Batista. Lo acompañan numerosos sargentos, cabos y soldados y oficiales como Francisco Tabernilla, Manuel Benítez, Raymundo Ferrer y Gregorio Querejeta.
Avanza el Gobierno de los Cien Díaz que encabeza el presidente Grau. El 7 de noviembre de 1933, Franco Granero cesa como jefe de la Policía Nacional y García Pedroso ocupa el cargo a propuesta del coronel Batista, jefe del Ejército. Guiteras, a la sazón ministro de Gobernación, Guerra y Marina, había propuesto a Luis Felipe Masferrer para esa jefatura, pero Grau lo veta y apoya al candidato de Batista porque quiere hacerle olvidar al Coronel lo acaecido días antes, cuando Guiteras quiso destituirlo y fusilarlo por traidor.
Durante la ya aludida rebelión del 8 y 9 de noviembre contra el Gobierno de Grau, los sublevados ocuparon también varias estaciones de Policía. En una de estas, la Décima, situada en una de las cabezas del puente sobre el río Almendares, en la Avenida 23, cayó prisionero García Pedroso. Fue liberado por fuerzas al mando de Belisario Hernández, ayudante de Batista, que bombardearon la unidad policial desde el cabaret La Verbena, en la otra orilla del río.
Desconoce el escribidor cuándo García Pedroso ascendió a coronel y en qué fecha pasó a la reserva militar. En el Libro de oro de la sociedad habanera correspondiente a 1958 se le consigna como director de la Renta de la Lotería Nacional, con residencia en la calle 32 esquina a Tercera, en Miramar, y en la finca Nena, en San José de las Lajas.


Perché a Cuba i beni di consumo sono limitati?

Conversando sulle reti sociali o  nelle chat mi capita di parlare di Cuba e trovo, naturalmente, poca o nessuna conoscenza della situazione reale del Paese. Tutti, o quasi, sono a conoscenza dell’embargo statunitense, ma nessuno sa quale sia la vera portata delle conseguenze. Non voglio entrare nel merito di come e perché sia sorto questo provvedimento, frutto del conflitto tra due Paesi, ciascuno con le proprie ragioni che hanno portato a questa determinazione. Non ne sono in grado e non è lo scopo di queste poche righe che vorrebbero, solo, spiegare in modo sicuramente incompleto, come si vive nella Cuba di oggi. Vorrei cercare di far capire quali sono i risultati concreti, dopo quasi 54 anni dalla sua applicazione, che in pratica non ha dato i risultati sperati dai Governi nordamericani (leggi caduta del regime di Fidel Castro, prima, e del fratello Raúl, dopo). Le conseguenze di questa situazione, alla fine le paga il consumatore finale, cittadino, la persona o come spesso si usa demagogicamente definire: il popolo.
Il primo effetto palese e pratico dell’embargo si ebbe negli anni '60, quando si dovette instaurare un’autarchia economica che mise fuori legge la circolazione e detenzione di valuta estera da parte dei cittadini. Una misura drastica che durò proprio fino all’inizio del cosiddetto “periodo especial”, nei primi anni '90. In quel trentennio si potevano, in pratica, acquistare solo gli scarsi e scadenti prodotti nazionali, supportati dalla “libreta”, la tessera annonaria, che forniva i generi di prima necessità a prezzi molto contenuti in quanto sovvenzionati dallo Stato. Oggi la “libreta” esiste ancora, ma con un ventaglio di prodotti, tra cui il pane (che però si trova anche a prezzo maggiorato sul mercato libero), estremamente ridotti. I prodotti d’importazione o quelli nazionali destinati all’esportazione erano solo alla portata di diplomatici o tecnici stranieri che potevano legalmente usare i dollari nei pochissimi esercizi riservati a loro. Dollari che poi lo Stato doveva convertire in altra valuta per fare acquisti all’estero. Subito dopo la depenalizzazione del possesso e uso della valuta estera, venne istituito il “peso cubano convertibile” o “CUC” con cui oggi chiunque può acquisire i prodotti più “pregiati” a disposizione o usufruire di servizi, all’origine, destinati solo agli stranieri. La situazione comunque ha reso molto difficile la convivenza di questo dualismo monetario o doppio mercato, per cui si sta lavorando per la riunificazione valutaria e riordinamento di prezzi e salari. L’istituzione del “CUC” non ha rimesso il divieto di possesso della valuta estera, ma ne ha vietato la circolazione. Chi ne è in possesso, se vuole fare acquisti in “valuta forte” deve cambiarla nei luoghi appositi e lo Stato raggranella il circolante pregiato.

L’effetto maggiore dell’embargo, penso si debba trovare nella parte economico finanziaria  che in particolare vieta a Cuba di effettuare transazioni in dollari USA e ha impedito a Istituti di Credito e Finanziari, anche di Paesi terzi, di installarsi a Cuba per sostenere la fragile economia locale. Naturalmente non è questo l’unico aspetto fortemente negativo, un’altro è dato dall’impossibilità di scambi commerciali paritari. È vero che negli ultimi anni Cuba può rifornirsi di generi alimentari sul mercato statunitense, previo pagamento anticipato ai fornitori privati di alcuni Stati del sud, ma la norma principale ancora vigente, fra le altre è quella che impedisce ad aziende e privati di acquistare qualunque cosa prodotta a Cuba. Un’arma potentissima che vieta l’ingresso dell’Isola al mercato statunitense con i suoi prodotti più pregiati: rum, tabacco, nickel e sopratutto, turismo. Lo zucchero ormai non è più competitivo. I danni dal mancato afflusso di turisti nordamericani sono incalcolabili, per non parlare del divieto di sbarco delle ricche navi da crociera, provenienti anche da altre parti del mondo, che solcano i mari adiacenti. Uno degli aspetti extra-territoriali di questa legge stabilisce che una nave che tocchi un porto cubano non può toccare porti statunitensi per i sei mesi successivi. Sono fior di milioni di dollari che non arrivano a soccorrere le finanze in agonia.
Certo ci sono anche degli errori di valutazione da parte cubana. Con i pochi capitali a disposizione lo Stato cerca di fare acquisti per tutto il Paese e per tutti i fabbisogni. Se questo aveva una sua logica nei tempi di un egualitarismo, peraltro mai realmente raggiunto, oggi in vista delle “aperture” avvenute o che avverranno, ciò non ha più nessun senso. Credo sia ora di aprire la possibilità di importazione anche ai settori privati. Forse Cina e Vietnam, hanno visto cadere i loro Governi dopo le aperture all’iniziativa privata? Certo che no e sono diventati, inoltre, Paesi “favoriti” del commercio nordamericano.
Questo insieme di fattori, porta alla carenza sul mercato di beni od oggetti dall’uso quotidiano, specialmente non strettamente indispensabile alla sussistenza e magari di valore commerciale relativamente basso. È vero che rispetto anche agli anni precedenti il “periodo especial” della decade del ’90, oggi ci sono più oggetti di consumo sul mercato, ma molti di loro appaiono e scompaiono per l’instabilità delle importazioni e l’accaparramento che alcuni ne fanno appena presenti sul mercato.
Molti si stupiscono del fatto che se non si trovano sul mercato interno, certi prodotti si “possono comprare per internet”. Il fatto è che internet a Cuba è limitatissimo e che non essendoci Istituti di Credito internazionali...non ci sono carte di credito a disposizione per poter effettuare, eventualmente, acquisti sul web. Inoltre le consegne per piccoli quantitativi individuali non sono convenienti. Le maggiori società che operano nella logistica sono a capitale statunitense e quindi non possono operare a Cuba. L’unico “corriere” internazionale presente è DHL, con costi elevati. I fornitori di servizi commerciali sul web hanno una loro struttura, ormai automatizzata, per la distribuzione e nessuna azienda si prende la briga di mandare un incaricato a un ufficio postale per mandare un pacchetto del valore di pochi dollari a Cuba con una spesa che spesso supera anche il valore della merce.
Qualcuno mi ha mandato dei “link” di società che si occupano dell’invio a Cuba...vero, ma i prodotti da inviare devono essere comperati all’estero e consegnati a queste società che si occupano solo ed esclusivamente della spedizione. Per quello ci sarebbero anche le Poste.
Ci sono almeno un paio di siti canadesi, con sede anche in Spagna che sono in pratica dei supermercati virtuali ed offrono un ventaglio di offerte, sempre da pagare all’estero, per l’invio a Cuba. Ma  non sono certo la soluzione del problema perché comunque la loro offerta è forzatamente limitata e non omnia. Capita così, frequentemente, di non trovare le cose più semplici, dalle lampadine alla schiuma da bagno, dalla carta igienica agli interruttori, dalle spugnette e articoli per la pulizia di casa e stoviglie al lucido per le scarpe, ricambi e accessori per le auto, chiodi, viti e articoli di ferramenta varie, eccetera. Di tutto un po’, insomma, la lista sarebbe interminabile.

Questa è la situazione reale di Cuba oggi. Sarebbe, credo, opportuno che fra i capi di Stato e di Governo, ognuno si prendesse le proprie responsabilità e facesse un esame di coscienza per vedere se è proprio necessario rimanere rigidi nelle proprie posizioni e non fare i passi necessari per eliminare un ostacolo alla vita normale di tante persone.

Incontinente

INCONTINENTE: sulla terraferma

lunedì 14 luglio 2014

Inconsolato

INCONSOLATO: fare richiesta di visto

domenica 13 luglio 2014

Incomodare

INCOMODATO: dare in uso gratuito

sabato 12 luglio 2014

Incesso

INCESSO: nella toilette