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lunedì 1 dicembre 2014

Lapidi, di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud Rebelde del 30/11/14

I resti di un governatore generale dell’Isola e di un vescovo, deceduti molti anni prima, furono i primi che ebbero sepoltura nel Cimitero di Espada, dell’Avana, la prima necropoli di cui contò la colonia.
Fino ad allora i cadaveri si inumavano nelle chiese e in quest c’erano dieci spazi destinati alle sepolture. I sepolcri si facevano più cari man mano si facevano più prossimi ai gradini dell’altare maggiore, erano nell’ordine di 137 pesos, mentre si pagavano 3 pesos e quattro reales per una sepoltura ordinaria, dieci per un bambino bianco e due per un bambino negro, meticcio o indio, sempre che fossero liberi. Si pagavano due pesos anche per la sepoltura vicino alla porta del tempio o dietro il coro, di negri o mulatti liberi e otto reales per gli schiavi, sempre dietro al coro. Nella Parrocchiale Maggiore avanera che si trovava dove poi si edificò il Palazzo dei Capitani Generali, la sacrestia si destinò alla sepoltura dei sacerdoti. Il 26 agosto del 1799, il vescovo Felipe de Tres Palacios concesse ai proprietari di zuccherifici, la grazia di avere cimiteri in questi.
In campagna si seppelliva nei boschi e dopo un anno si esumavano le ossa e le si portavano alla Parrocchiale al fine che ricevessero sepoltura ecclesiastica perché riposavano in un luogo benedetto.
Tutto questo finì quando, nello stesso anno 1799 il re Carlos IV, ordinò al Supremo Tribunale di Spagna che facesse compiere la Reale Cedola del 3 aprile del 1787 nella quale il suo predecessore, Carlos III, disponeva che cessassero le sepolture nelle chiese e si costruissero cimiteri nelle periferie dei centri abitati. Siccome le cose di palazzo vanno lentamente e la burocrazia era pazzesca, l’ordine di Carlos IV venne in vigore a Cuba nel 1804, quando le autorità avanere avevano già anticipato le fondamenta di quello che sarebbe stao il cimitero, fuori dalle mura, a un miglio ad ovest dell’Avana, nelle vicinanze della costa chiamata di San lazzaro, nel terreno dell’orto che il dottor Teneza, protomedico reggente e consulente del Santo Uffizio, cedette per la costruzione di un lebbrosario. Si era pensato di situarlo nel campo sito di fronte all’Arsenale –attuale Stazione Centrale delle Ferrovie-, ma gli ingegneri militari vi si opposero. Il vescovo Espada che fu il principale propulsore dell’opera, contò con l’appoggio entusiastico del Capitano Generale marchese di Someruelos. Lo assecondò anche il Comandante Generale della Stazione Navale ed ebbe il concorso del Municipio dell’Avana e della Società Patriottica di Amici del Paese.
Il camposanto ostentava sul fronte sei colonne di porticato con sbarre di ferro e una porta dello stesso metallo. A seguito un giardino e il portone che dava accesso ai cortili. Nella parte superiore del portone si leggeva “Alla religione. Alla salute pubblica. Il Marchese di Someruelos, Governatore. Juan de Espada, Vescovo”.
Quando un defunto, trasportato o in braccio degli accompagnanti superava questa porta, lo si depositava su un tavolo nero e gli si recitava la funzione. Alla destra si trovava la stanza del cappellano del cimitero e gli uffici dell’amministratore, alla sinistra le abitazioni dei necrofori.
Il cimitero era uno spazio rettangolare con due strade acciottolate che lo dividevano in quattro parti. La cappella rimaneva in fondo, verso il centro e fin che visse il vescovo espada si mantenne, nel suo portico, una lampada accesa giorno e notte. L’opera incassò 46.868 pesos e durante i primi giorni il prelato pagò con gli introiti gli stipendi dei suoi impiegati.
I pini e cipressi che si seminarono per l’inaugurazione del camposanto furono, col tempo, sostituiti con allori. Di fronte alla necropoli, espada fece seminare un ameno e ampio giardino di piante medicinali “al fine di diminuire, col suo bell’aspetto – disse il Vescovo -, l’aria scura e malinconica dei sepolcri e di offrire a fronte dei trionfi della morte, i mezzi preziosi per sfuggire ai suoi attacchi”.

Nicchie e volte

Lo scriba controllava la sua biblioteca in supporto digitale trovando un libro che fin ora aveva trascurato. S’intitola Necrópolis de La Habana, si pubblicó nel 1875 e racoglie la storia del cimitero di Espada, anche se nelle sue pretese sembra volesse includere anche quelli di Jesús del Monte, Cerro e Colón. Il suo autore è Domingo Rosain y del Castillo, medico e professore della cattedra di Ostetricia dell’Università avanera - l’unica che ci fosse allora -. Pubblicò anche un Examen y cartillas de parteras, la prima opera che vide la luce nell’Isola su questa materia. Fu il creatore, nel 1828, dell’Academia di ostetriche dell’Ospedale di Paula. Morì nel 1855 a 56 anni d’età.
Rosain cominciò l’investigazione per il suo libro nel 1845, quando nel cimitero di Espada si crearono le nicchie ed egli si impegnò a raccogliere dati e notizie su quelli che in esse si seppellivano. Il nuovo ordine di sepolture fece si che si abbandonassero le volte e a questa data non poche mancavano di iscrizione e perfino di copertura, perciò l’investigatore insistette nel raccogliere la maggior quantità di informazioni possibile “perché la tipografia si incaricasse di conservare le iscrizioni che il tempo ha rispettato”.
Prima di Espada, il benemerito don Luis de las Casas, governatore generale dell’Isola, volle mettere fine a quello che lo storico Jacobo de Pezuela definì come “la fatale e perniciosa pratica di seppellire i cadaveri nelle chiese”. Non poté far niente a causa delle difficoltà per trovare il terreno appropriato per installarlo, ma più di questo per la resistenza che oppose il vescovo Tres Palacios. Espada, nel suo momento dovette affrontare, come Las Casas, molteplici difficoltà e sopratutto l’intransigenza del clero che si beneficiava economicamente di quelle sepolture.
Nato in Spagna nel 1756, Espada fu desigfnato come Vescovo dell’Avana nel 1800, dopo la morte misteriosa del vescovo Montiel quando si affannava a mettere freno alla vita corrotta e sfrenata dei sacerdoti che officiavano nella capitale della colonia. Ci mise due anni per arrivare a Cuba per mettersi al fronte della diocesi e fu sul punto di non poterlo fare, appena mise un piede sull’Isola un attacco violento di febbre gialla lo mise in punto di morte. Si dice che salvo la sua vita grazie alle cure dell’eminente medico cubano Tomás Romay e che da questa circostanza nacque un’amicizia che li unì per sempre.
Quest’amicizia, dice lo storico Emilio Roig, fece che Espada privilegiasse il sistema sanitario che preoccupava tanto Romay, a quello delle sepolture nelle chiese che con lo sviluppo della popolazione, era arrivato a costituire una delle più perniciose e repulsive conseguenze.
In merito a Espada dice Eduardo Torres Cuevas, presidente dell’Accademia della Storia: “Di idee illuminate e avanzate promosse il movimento intellettuale e appoggiò i settori meno favoriti della società cubana... Promosse personalità come Félix Varela, José de la Luz y Caballero e José Antonio Saco. Accusato di essere massone, eretico e indipendentista, si iniziarono nel Vaticano e a Madrid, processi poer la sua scomunica e carcreazione”. Mantenne il Vescovato dell’Avana fino alla sua morte, nel 1832.

Cerimonia inaugurale

Il 2 di febbraio del 1806, si bendì e inaugurò il cimitero di Espada. In lussuose casse foderate di velluto nero, cesellate in oro e con le corrispondenti insegne, si collocarono le ossa di Candamo – chi scrive non può precisare il suo nome né altri particolari -, vescovo di Milasa e goveratore della Mitra dell’Avana e quelle del governatore Diego Antonio de Manrique che si trovava al potere da 13 giorni quando cadde fulminato dal vomito, mentre ispezionava le opere di costruzione della fortezza de La Cabaña. La febbre gialla, che non rispettava fortune, ranghi né dignità, se lo portò con sé per convertirlo in uno dei nove governatori che morirono durante l’incarico.
Dalla cappella della Casa di Beneficenza, dov’erano depositati i resti, furono condotti in processione al cimitero. Erano le 16.30 del 2 febbraio. Apriva la marcia un drappello di dragoni e lo seguivano la cupola ecclesiastica e i resti dell’illustrissimo Candamo. Due reggenti del Municipio e due colonnelli portavano le maniglie della cassa del governatore Manrique. Seguivano il Decano della Cattedrale avanera, dignità ecclesiastiche, il vescovo Espada, rappresentanze dei corpi militare e politico con i rispettivi capi, l’intendente della Real Hacienda, Il Comandante , il Comandante Generale della Stazione Marittima, il conte di Mompox e Jaruco e la municipalità avanera al completo. Chiudeva la comitiva il marchese di Someruelos, governatore generale dell’Isola. Dietro avanzava una compagnia del Reggimento di San Cristóbal, il cosiddetto Fisso dell’Avana.
Le due casse si collocarono in un catafalco collocato al centro del cimitero. Espada, investito di poteri pontifici benedisse il luogo e immediatamente, musicisti della cappella della Cattedrale, interpretarono il pezzo composto per l’occasione. I resti di Manrique si inumarono nella volta destinata ai governatori e quelli di Candamo in quella costruita per i dignitari ecclesiastici. Alle 19 la cerimonia terminò con la ritirata della compagnia del Fisso dell’Avana. Il cimitero era illuminato a profusione con torce.

Zacatechi

Come curiosità bisogna dire che nel cimitero di Espada, nel 1841, si inumò il porimo cadavere che fu imbalsamato a Cuba. Fu quello di Isabel Herrera de la Barrera, sposa del marchese di Almendares. La imbalsamò il grande medico avanero José Nicolás Gutiérrez, primo chirurgo di Cuba, fondatore dell’Accademia delle Scienze.
Fu nel 1844 che si stabilì al’Avana il primo servizio delle cosiddette pompe funebri, carri o carretti speciali che portavano le bare al cimitero. Il servizio comprendeva il cocchiere e vari individui che si incaricavano di manovrare il feretro e che vestivano uniformi da lecché con profusione di galloni dorati e cappelli a tre punte. Erano chiamati zacatechi.
Le nicchie che si costruirono nel 1845 risultarono inefficaci per rispondere alla crescita della popolazione avanera. Si dispose la costruzione di una nuova necropoli e per ordine del capitano generale Arsenio Martínez Campos, il cimitero di Espada venne chiuso definitivamente il 3 novembre del 1878. Vi si erano effettuate lì 314.244 inumazioni.

Nel 1908 il governo intervezionista nordamericano dispose la demolizione di questa necropoli e il trasloco a Colón dei resti che rimanavano ancora lì. Tra le moderne edificazioni della calle Aramburu, rimane in piedi un pezzo delle sue vecchie pareti.

Lápidas
Ciro Bianchi Ross * 
digital@juventudrebelde.cu
29 de Noviembre del 2014 19:23:57 CDT

Los restos de un gobernador general de la Isla y de un obispo,
fallecidos muchos años antes, fueron los primeros que hallaron
sepultura en el Cementerio de Espada, de La Habana, la primera
necrópolis con que contó la Colonia.
Hasta entonces los cadáveres se inhumaban en las iglesias y había en
estas diez tramos destinados a los enterramientos. Los sepulcros se
hacían más caros mientras más próximos estuviesen a las gradas del
altar mayor; estaban en el orden de los 137 pesos, mientras se
abonaban tres pesos con cuatro reales por una sepultura ordinaria,
diez por la de un niño blanco, y dos por las de un niño negro, mestizo
o indio, siempre que fueran libres. También se pagaban dos pesos por
el enterramiento, cerca de la puerta del templo o detrás del coro, de
negros y mulatos libres, y ocho reales por los de los esclavos,
también detrás del coro. En la Parroquial Mayor habanera, que se
ubicaba donde luego se edificó el Palacio de los Capitanes Generales,
la sacristía se destinó para sepultura de los sacerdotes. El 26 de
agosto de 1799 el obispo Felipe de Tres Palacios concedió a los dueños
de ingenios azucareros la gracia de establecer cementerios en estos.
En los campos se enterraba en los montes y al año se exhumaban los
huesos y se llevaban a la Parroquial a fin de que recibiesen sepultura
eclesiástica porque reposarían en lugar bendecido.
Todo esto acabó cuando, en el mismo año de 1799, el rey Carlos IV
ordenó al Supremo Tribunal de España que hiciera cumplir la Real
Cédula de 3 de abril de 1787 en la que su antecesor, Carlos III,
disponía que cesaran los enterramientos en las iglesias y se
construyeran cementerios en las afueras de las poblaciones. Como las
cosas de palacio van despacio y el burocratismo colonial era de anjá,
la orden de Carlos IV se circuló a Cuba en 1804, cuando la autoridades
habaneras tenían ya adelantados los cimientos de lo que sería el
cementerio, en extramuros, a una milla al oeste de La Habana, en las
inmediaciones de la costa llamada de San Lázaro, en el terreno de la
huerta que el doctor Teneza, protomédico regente y consultor del Santo
Oficio, cediera para la construcción del leprosorio. Se había pensado
emplazarlo en el campo situado al frente del Arsenal --actual Estación
Central de Ferrocarriles--, pero los ingenieros militares se opusieron
a ello. El obispo Espada, que fue el propulsor principal de la obra,
contó con el apoyo entusiasta del Capitán General, marqués de
Someruelos. Lo secundó además el Comandante General del Apostadero, y
tuvo el concurso del Ayuntamiento de La Habana y de la Sociedad
Patriótica de Amigos del País.
El camposanto lucía por el frente seis columnas de sillería con verjas
de hierro y una puerta del mismo metal. Seguía un jardín y luego la
portada que daba acceso a los patios. En la parte superior de la
portada, se leía: “A la religión. A la salud pública. El Marqués de
Someruelos, Gobernador. Juan de Espada, Obispo”.
Cuando un difunto, en andas o en hombros de los acompañantes,
traspasaba esa puerta, se depositaba sobre una mesa negra y se le
rezaba el responso. A la derecha se hallaba la habitación del capellán
del cementerio y las oficinas del administrador, a la izquierda, la
vivienda de los sepultureros.
Era la necrópolis un espacio rectangular con dos calles enlosadas que
lo dividían en cuatro partes. La capilla quedaba al fondo, hacia el
centro, y mientras vivió el obispo Espada se mantuvo en su pórtico,
día y noche, una lámpara encendida. La obra importó 46 868 pesos y
durante sus primeros días el prelado abonó de sus rentas los sueldos
de sus empleados.
Los pinos y cipreses que se sembraron para la inauguración del
camposanto fueron, con el tiempo, sustituidos por laureles. Frente a
la necrópolis, Espada hizo sembrar un ameno y dilatado jardín de
plantas medicinales “a fin de disminuir, con su bello aspecto, dijo el
Obispo, el aire sombrío y melancólico de los sepulcros, y de ofrecer a
la frente de los triunfos de la muerte los preciosos medios de
resistir sus despiadados ataques”.

Nichos y bóvedas
Revisaba el escribidor su biblioteca en soporte digital y reparó en un
libro que hasta ahora pasó siempre por alto. Se titula Necrópolis de
La Habana
, se publicó en 1875 y recoge la historia del cementerio de
Espada, aunque parece que sus pretensiones eran las de abarcar además
los de Jesús del Monte, Cerro y Colón. Su autor es Domingo Rosain y
del Castillo, médico y profesor de la cátedra de Obstetricia de la
Universidad habanera --la única que había entonces--. Publicó asimismo
un Examen y cartilla de parteras, primera obra que vio la luz en la
Isla sobre esa materia. Fue el creador, en 1828, de la Academia de
Parteras del Hospital de Paula. Falleció en 1855, a los 56 años de
edad.
Rosain comenzó la investigación para su libro en 1845, cuando en el
cementerio de Espada se crearon los nichos y él se empeñó en recoger
datos y noticias sobre los que en ellos se sepultaban. El nuevo orden
de sepulturas hizo que se abandonasen las bóvedas y en esa fecha no
pocas carecían ya de inscripción y hasta de losa, por lo que el
investigador insistió asimismo en acopiar cuanta información le fue
posible “para que la imprenta se encargase de conservar las
inscripciones que el tiempo ha respetado”.
Antes de Espada, el benemérito don Luis de las Casas, gobernador
general de la Isla, quiso poner fin a lo que el historiador Jacobo de
la Pezuela definió como “la fatal y perniciosa práctica de enterrar
los cadáveres en las iglesias”. Nada pudo hacer debido a las
dificultades para encontrar el terreno apropiado donde lo emplazaría,
pero más que eso por la resistencia que opuso el obispo Tres Palacios.
Espada en su momento debió afrontar, al igual que Las Casas, múltiples
dificultades y, sobre todo, la intransigencia del clero que se
beneficiaba pecuniariamente con aquellos enterramientos.
Nacido en España en 1756, Espada fue designado Obispo de La Habana en
1800, tras la muerte misteriosa del obispo Montiel cuando se afanaba
en poner coto a la vida corrupta y desenfrenada de los sacerdotes que
oficiaban en la capital de la colonia. Demoró dos años en llegar a
Cuba para ponerse al frente de la diócesis. Y estuvo a punto de no
poder hacerlo, pues apenas puso un pie en la Isla un violento ataque
de fiebre amarilla lo puso al filo de la muerte. Se dice que salvó la
vida gracias a los cuidados del eminente médico cubano Tomás Romay, y
de esa circunstancia nació una amistad que los unió para siempre.
Esa amistad, dice el historiador Emilio Roig, hizo que Espada
priorizara el problema sanitario que tanto preocupaba a Romay: el del
enterramiento en las iglesias que, con el desarrollo de la población,
había llegado a constituir un mal de las más repulsivas y perniciosas
consecuencias.
Acerca de Espada dice Eduardo Torres Cuevas, presidente de la Academia
de la Historia: “De ideas ilustradas y avanzadas promovió el
movimiento intelectual y apoyó a los sectores desfavorecidos de la
sociedad cubana... Promovió a personalidades como Félix Varela, José de
la Luz y Caballero y José Antonio Saco. Acusado de masón, hereje e
independentista, se iniciaron en el Vaticano y en Madrid juicios para
su excomunión y encarcelamiento”. Retuvo el Obispado de La Habana
hasta su muerte, en 1832.

Ceremonia inaugural
El 2 de febrero de 1806 se bendijo e inauguró el cementerio de Espada.
En sendas cajas forradas con terciopelo negro, galoneadas de oro y con
sus correspondientes insignias, se colocaron los huesos de Candamo --no
puede quien esto escribe precisar su nombre ni otros detalles--, obispo
de Milasa y gobernador de la Mitra de La Habana, y los del gobernador
Diego Antonio de Manrique, que llevaba 13 días en el poder cuando cayó
fulminado por el vómito mientras inspeccionaba las obras en
construcción de la fortaleza de La Cabaña. La fiebre amarilla, que no
respetaba fortunas, rangos ni dignidades, se lo llevó de cuajo para
convertirlo en uno de los nueve gobernadores que fallecieron en su
puesto.
De la capilla de la Casa de     Beneficencia, donde estaban
depositados los restos, fueron conducidos en procesión al cementerio.
Eran las 4:30 de la tarde del 2 de febrero. Abría la marcha un piquete
de dragones y le seguían el cabildo eclesiástico y los restos del
Ilustrísimo Candamo. Dos regidores del Ayuntamiento y dos coroneles
llevaban las borlas de la caja del ex gobernador Manrique. Seguían el
Deán de la Catedral habanera, dignidades eclesiásticas, el obispo
Espada, representaciones de los cuerpos militares y políticos con sus
jefes, el Intendente de la Real Hacienda, el Comandante General del
Apostadero, el conde de Mompox y Jaruco y el Ayuntamiento habanero en
pleno. Cerraba la comitiva el marqués de Someruelos, gobernador
general de la Isla. Avanzaba detrás una compañía del Regimiento de San
Cristóbal, el llamado Fijo de La Habana.
En un catafalco colocado en el centro del cementerio se colocaron las
dos cajas. Espada, revestido de medio pontifical, bendijo el lugar y
enseguida músicos de la capilla de la Catedral interpretaron la pieza
compuesta para la ocasión. Se inhumaron los restos de Manrique en la
bóveda destinada a los gobernadores, y los de Candamo en la construida
para las dignidades eclesiásticas. A las siete de tarde terminó la
ceremonia con la retirada de la compañía del Fijo de La Habana. El
cementerio estaba profusamente iluminado con antorchas.

Zacatecas

Como cosa curiosa cabe decir que en el cementerio de Espada, en 1841,
se inhumó el primer cadáver que fue embalsamado en Cuba. Fue el de
Isabel Herrera de La Barrera, esposa del marqués de Almendares. La
embalsamó el gran médico habanero José Nicolás Gutiérrez, primer
cirujano de Cuba, fundador de la Academia de Ciencias.
Fue en 1844 cuando se estableció en La Habana el primer servicio de
las llamadas pompas fúnebres; carros o coches especiales que conducían
los ataúdes al cementerio. El servicio incluía al cochero y a varios
individuos que se encargaban de manipular el féretro y que vestían
uniformes de lacayos con profusión de galones dorados y sombreros de
tres picos. Eran los llamados zacatecas.
Los nichos que se construyeron en 1845 resultaron ineficaces para
responder al crecimiento de la población habanera. Se dispuso la
construcción de una nueva necrópolis y, por orden del capitán general
Arsenio Martínez Campos, el cementerio de Espada quedó clausurado
definitivamente el 3 de noviembre de 1878. Se habían efectuado allí
314 244 inhumaciones.
En 1908, el Gobierno interventor norteamericano dispuso la demolición
de esta necrópolis y el traslado a Colón de los restos que todavía
quedaban allí. Permanece en pie, entre edificaciones modernas de la
calle Aramburu, un pedazo de sus viejas paredes.
 
Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
http://wwwcirobianchi.blogia.com/
http://cbianchiross.blogia.com/


Chiusa la Settimana della Cultura Italiana, commiato a Tomás Milián

Dopo la chiusura della Settimana della Cultura Italiana, l'Ambasciata d'Italia, nella persona dell'Ambasciatore Carmine Robustelli ha offerto un cocktail di commiato alla manifestazione e di saluto all'ospite d'onore Tomás Milián che è stato al centro dell'attenzione degli invitati e ha voluto una foto ricordo col regista Giuspeppe Sansonna.


Oculato

OCULATO: lo dice il medico cinese

domenica 30 novembre 2014

Occorrente

OCCORRENTE: sono allacciato alla rete

sabato 29 novembre 2014

Occhiolino

OCCHIOLINO: atenzione, Lino

Il back stage dell'Amleto cubano: Tomás Milián

Conversando durante la colazione e nelle pause delle riprese con Tomás Milián, sono riuscito a chiarire alcuni aspetti che non avevo ben afferrato durante il suo colloquio col pubblico e la stampa. Il padre era un militare dai tempi della dittatura di Gerardo Machado e quando Batista assunse la sua prima presidenza, lo fece arrestare con altri ufficiali e trasferire alla prigione della Cabaña per un tempo che Tomás non vuole ricordare. Dopo la scarcerazione, le crisi che lo condussero a una casa di cure per malattie mentali, la successiva dimissione e il tragico suicidio. La madre, che aveva comunque rotto da tempo le relazioni coniugali si chiuse in una vedovanza silenziosa e si preoccupò sempre meno del figlio che un  tempo viziava. Sono dettagli che aiutano meglio a capire il desiderio di fuga, nato nel giovane che aveva poi trovato parziale appoggio con la zia Carmíta.
Oltre queste precisazioni abbiamo passato alcuni giorni in giro per l’Avana dove il regista Giuseppe Sansonna assieme all’addetto alla fotografia Sergio Grillo e al fonico Enrico Grammaroli, con la preziosa collaborazione logistica di Ángel Mário González Acosta, ha filmato scene legate ai ricordi cubani dell’attore per la realizzazione del documentario autobiografico. Il soggetto è dello stesso Tomás: El Hamleto cubano o The cuban Hamlet e del regista che si erano incontrati a Miami per la stesura di un libro  sulla vita attore.
La produzione esecutiva del documentario è della IXCO, in sinergia con la RAI, il cui vice presidente l’architetto Marco Marini è stato contattato del regista ed ha accettato con entusiasmo la proposta assieme all’addetto alle Relazioni Esterne dell’associazione, Stefano Donati che seppur rimanendo a Roma ha svolto un intenso lavoro di tessitura per la riuscita del progetto. Marco Marini anche per conto dell’IXCO mantiene da anni relazioni istituzionali con Enti economici e politici dei due Paesi, si è messo in contatto con il Consigliere di Ambasciata Pietro De Martin che aveva da anni il sogno nel cassetto di portare Tomás Milián a Cuba, ma per ragioni diverse, non ultima quella della resistenza dell’attore che come già detto aveva il desiderio e nel contempo il timore di affrontare il suo passato. Grazie a lunghe conversazioni telefoniche, l’architetto Marini è riuscito a strappare il consenso di Milián, ma fino al’ultimo istante non era sicuro che l’attore avrebbe confermato la sua promessa. Il Consigliere De Martin è così riuscito a realizzare questo suo desiderio che veniva da lontano, proprio negli ultimi giorni del suo mandato a Cuba, dove ha svolto un eccellente lavoro, specialmente nelle relazioni culturali con l’Italia come le organizzazioni di queste Settimane della Cultura Italiana ed altre iniziative collaterali.
Il filmato dovrebbe andare in onda su RAI Movie in una data da destinarsi, ma che dovrebbe essere abbastanza prossima, appena si avrà la conferma, orario compreso, Giuseppe Sansonna mi ha detto che mi comunicherà con precisione i dati sulla messa in onda.


Il giovane regista sembra sapere il fatto suo e sul set ha un rapporto di delicatezza con il protagonista come se stesse filmando col proprio nonno. Inutile dire che la padronanza del mestiere di Tomás non richiede molti sforzi per fargli capire i movimenti e gli atteggiamenti da assumere di volta in volta, in pratica è quasi sempre “buona la prima”.



venerdì 28 novembre 2014

Ocarina

OCARINA: Rina un po' tonta

giovedì 27 novembre 2014

Novanta

NOVANTA: modesto

mercoledì 26 novembre 2014

Thomas Milian, dopo circa 60 anni torna ad essere Tomás Milián, habanero purosangue


Un ritorno a Cuba pieno di emozione per Thomas Milian, al secolo Tomás Quintín Rodríguez Milián, 60 anni dopo o quasi. Durante il suo incontro col pubblico e la stampa nell’ambito della Settimana della Cultura Italiana ha ripercorso la sua vita dal 5 gennaio 1956, quando ha lasciato Cuba ad oggi. Nella sala del Centro Culturale Fresa y Chocolate, sono intervenute anche alcune persone che lo avevano conosciuto in tenera età e questo gli ha aumentato l’emozione. Alla scontata domanda di come mai non era mai tornato prima d’ora e se ne sentisse il desiderio, ha risposto: “Sì ne avevo molto il desiderio, ma anche paura”. La paura,   era quella di incontrare i fantasmi del passato e forse, di pregiudicarsi qualche opportunità di lavoro. Un passato che ha raccontato con schiettezza, dove un ragazzo della buona borghesia cubana, abitante nella calle B tra 21 e 23 nel pieno del Vedado, ha scelto di partire per sfuggire alla tragedia lasciata da suo padre, infermo di mente, che dopo un lungo ricovero e successivo ritorno a casa si è suicidato davanti a lui ancora bambino, accusandolo di essere la causa dei suoi mali. Della figura materna, dopo aver riconosciuto di essere stato molto viziato da lei, non ne ha fatto più accenno, nel prosieguo della tragedia vissuta. Nella disgrazia ebbe la fortuna di avere una zia, Carmen Himenez, coniugata con l’allora Rettore dell’Università dell’Avana, Cadena, di famiglia aristocratica originaria delle canarie, che si occupò di lui e della sua educazione. Già adolescente Tomás si appassionò al cinema “innamorandosi” di James Dean e quando seppe della tragica morte del suo idolo decise che doveva fare l’attore. In un album di foto ingiallite dal tempo che mi ha successivamente mostrato, appare in alcune come autentico sosia di James Dean. Decise che doveva partire per gli Stati uniti ed arrivare a Hollywood. La “santa” zia Carmita si offrì di pagargli il viaggio, ma lo avvertì che il resto avrebbe dovuto essere a carico suo e che doveva imparare a sbarcare il lunario con qualunque mestiere, anche il più umile per conoscere come viveva la maggior parte delle persone. Ormai deciso, partì con prima destinazione New York dove in effetti si dovette prodigare a fare di tutto per sopravvivere, il suo inglese era praticamente inesistente e per poterlo imparare meglio decise di arruolarsi, ma non nell’esercito dove lo avrebbero mandato in battaglioni “latini” e non avrebbe potuto praticare la lingua. Scelse la U.S. Navy, dove sì, l’inglese era la lingua d’obbligo. Bisognava fare degli “esami di ammissione”, il punteggio minimo era di 22 e quello raggiunse. La ferma prevedeva un periodo di 4 anni.
Dopo 6 mesi, avendo appreso a sufficienza la lingua, decise di “ammalarsi” e passava le notti spogliandosi e prendendo pioggia e vento per farsi venire un malanno, ci riuscì, ma dopo le cure del caso gli dissero che sarebbe stato nuovamente abile per servire la U.S. Navy. Durante la degenza, peró, fece amicizia con un’infermiera e gli raccontó delle sue necessità di vita, le confessó di essersi procurato l’infermità e che se non lo congedavano si sarebbe suicidato mandando a casa i 10 mila dollari di risarcimento per la morte in servizio. A quanto pare lei intercesse. Infatti gli dissero che non era obbligato a proseguire nella carriera militare, ma poteva scegliere di essere un libero cittadino. E con un saluto militare, prese quest’ultima via.
Tornò a New York e ai lavori umili e saltuari, ma nel frattempo fece domanda per essere ammesso all’Actor’s Studio. C’erano 3 mila richieste e vennero ammessi in due uomini lui e un’altro, tale Lenny Bradbury che poi si è perso per le strade del mondo senza mai diventare famoso e una donna, di cui non ricorda il nome. Fra i personaggi già famosi o che lo sarebbero diventati successivamente che frequentavano l’Actor’s, c’era Marilyn Monroe, già conosciuta dal grosso pubblico, ma che frequentava lo studio per il suo matrimonio con Henry Miller, uno dei docenti per la drammaturgia. Il primo giorno si sedettero vicini e a un certo punto lei gli chiese di tenerle il posto perché voleva scendere a prendere un caffè. Tomás le disse di non pensarci nemmeno che sarebbe andato lui a prenderglielo e da quel giorno, il caffè per la sua vicina di banco Marilyn, divenne un rito.
Il tempo passava e lui divenne attore professionista, lavorando nei teatri di Broadway. Dagli scenari americani ebbe l’occasione di andare in italia a fare teatro, lo scoprì Mauro Bolognini che gli offrì di lavorare nel suo film “La notte brava”. Da quel momento diventò praticamente italiano e la sua immensa filmografia non è il caso di riproporla qua.
Successo e popolarità non gli hanno mai montato la testa, sa di essere un attore e di lavorare coi testi di altri che li scrivono per lui, anche se in qualche opportunità si è messo al tavolino per scrivere testi e sceneggiature. Un’altra delle sue passioni è diventata la fotografia e durante il soggiorno all’Avana ha portato una mostra di suoi lavori fatti in alcuni Paesi, dove ha ritratto porzioni di muri che gli hanno destato l'attenzione per composizione e il cromatismo.
Milián è reduce dal premio Marco Aurelio, consegnatogli al IX Festival internazionale del Cinema di Roma ed all’Avana verranno esibite 24 delle sue circa 100 pellicole, alcune poste su DVD, con sottotitoli in spagnolo. Oltre a questo omaggio e presentazione al pubblico del suo Paese, dove era praticamente sconosciuto, Milian sta girando un documentario sulla sua vita con la regia di Giuseppe Sansonna per la RAI. Parte del merito di aver portato alla Settimana della Cultura Italiana il grande attore è anche dell’Architetto Marco Marini, già autore di grandi iniziative culturali che hanno unito e uniscono Cuba e Italia e vice presidente della IXCO.



All'arrivo al Centro Culturale Fresa y Chocolate, con l'Architetto Marini e ricevuto dal Direttore della Cinemateca di Cuba, Luciano Castillo 




 Durante il colloquio, presentato dall'Ambasciatore italiano Carmine Robustelli con il direttore della Cinemateca Luciano Castillo e il Regista Giuseppe Sansonna


Presentando le sue fotografie

Notturno

NOTTURNO: senza turno

martedì 25 novembre 2014

I gendarme del mondo "libero"

Ancora una volta gli Stati Uniti vengono alla ribalta per il loro singolare "senso della giustizia". Infatti il poliziotto, rigorosamente anglosassone, Darren Wilson è stato prosciolto dall'accusa di omicidio nei confronti dell'afroamericano Michael Brown, avvenuta a Ferguson (Missouri) il 9 agosto scorso. Non è stato nemmeno usato l'eufemismo dell'uso sproporzionato delle armi per legittima difesa (!!!!sic). Per la giustizia, in particolare degli stati del sud, è sinonimo di innocenza sparare a una persona disarmata. Ancor più legittimo se la persona è di pelle scura e chi preme il grilletto, magari, è biondo con gli occhi chiari. Mi ricorda qualcuno coi baffetti e il ciuffo sulla fronte...o no?

Intanto, stringendo le morse dell'embargo verso Cuba, oltre al sito Oracle (java), adesso è inaccessibile anche Adobe Flashplayer. Giusto perché si battono per far avere più informazione al popolo cubano...precludono sempre più gli accessi ai loro siti. Anche in questo caso chi ne fa le spese? Non certo i potenti o gli addetti ai lavori che possono aggirare l'ostacolo in infinità di modi, ma l'utente comune che non ha queste possibilità.

Incontri

Sul mio sito: ho aperto una nuova pagina dedicata agli incontri più significativi fatti tra il 2011 e oggi, tra Cuba e Miami.

Humor latinoamericano, adatto ovunque....


Annunciato vaccino contro il colera

Fonte Cubacontemporanea
Cuba anuncia vacuna contra el cólera para 2015

Por Redacción
24 Nov 2014 - 9:55am


Cuba espera contar en 2015 con una vacuna preventiva contra el cólera y el neumococo, y otra terapéutica contra la hepatitis B, informó el vicepresidente del grupo BioCubaFarma, Gustavo Sierra González.
En declaraciones que publicó el fin de semana el diario Juventud Rebelde, Sierra González precisó que la vacuna contra el cólera, aún en ensayo clínico, es un producto altamente novedoso, muy seguro y de gran eficacia, cuyo registro médico sanitario debe materializarse el próximo año.
“A partir de 2015 comenzaremos a proteger a toda la población del país y ya nos preparamos para aumentar su elaboración y exportarla a otras naciones e incluso entregarla a la Organización Mundial de la Salud”, adelantó.
Entre los avances de 2014 mencionó, además, la vacuna contra siete tipos de neumococo. “Realizamos un ensayo clínico en niños de entre uno y cinco años y nos permitió avizorar buena respuesta, por ello es altamente probable que los pequeños con esta edad comiencen el año próximo a vacunarse”, explicó el directivo al diario nacional.
“Nos queda trabajar fuertemente para en un plazo menos corto lograr resultados y aplicarlas en bebés lactantes, porque son muy susceptibles, y también en los más ancianos, quienes tienen altos riesgos de contraer neumonía”, añadió.
Sierra González se refirió, además, a la futura aplicación de una vacuna nasal contra la hepatitis B. “Es mejor que los productos antivirales y el interferón para mejorar la calidad de vida de estas personas y evitar la cirrosis o la muerte”, destacó.
Según la publicación, la hepatitis B es un padecimiento prácticamente controlado en Cuba gracias a la vacuna preventiva, pero todavía hay un grupo de pacientes con la enfermedad, quienes mejorarán notablemente con este medicamento.



Notorietà

NOTORIETÀ: far conoscere l'età

lunedì 24 novembre 2014

Notizia

NOTIZIA: zia bene informata o anche famosa

Pedro Vargas all'Avana, di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud Rebelde del 23/11/14

Pedro Vargas e Benny Moré cantarono in duetto all’Avana. Giorni prima della registrazione, il messicano fa avera la cubano le partiture dei numeri che interpreteranno col proposito che le studi. Giunge il giorno dell’incontrone sul punto di cominciare a incidere, Vargas vuole esaminare la musica col Benny al fine di segnarla e stabilire chi entra per primo e chi dopo, chi sarà la prima voce in determinati passaggi e chi la seconda.
Benni Moré, il cosiddetto Barbaro del Ritmo (Barbaro a Cuba non è dispregiativo, anzi il contrario, n.d.t.), rifiuta la richiesta del Tenore delle Americhe.
-Maestro, questo per me è cinese...ino non conosco la musica- dice Benny sorridendo.
-Come canteremo in duetto, allora, se non conosce la musica? Come saprà, lei, in che momento dovrà entrare?- Domanda vargas.
-Quando me lo chieda il cervello, Maestro- risponde Benny, ma gli intenditori sono d’accordo che dette al messicano una risposta incompleta. Avrebbe dovuto dire: il cervello, il cuore, il sentimento...fino all’ultima molecola di quell’essere intrinsecamente musicale che era Benny Moré. Risposta mutilata a parte, il caso è che in quell’occasione incisero Obsesión y perdón e raggiunsero con questa due dei migliori duetti della musica popolare.
Los criba porta a colazione questo aneddoto con motivo dell’omaggio che Cuba rese, mesi orsono, a Pedro vargas in occasione del 25° anniversari della sua morte. Lo si ricordò nelle giornate della XXV edizione del Festival Internazionale Boleros de Oro, alla presenza di parenti stretti dell’artista, venuti per l’occasione e si dette il suo nome alla suite dell’Hotel Nacional che occupava abitualmente durante i suoi soggiorni avaneri, si esibirono alcune delle sue pellicole e un busto del cantante venne installato nell’Avenida del Puerto, molto vicino alla statua che ricorda il compositore Agustín Lara, suo grande amico.

Un messicano quasi nostro

Vargas fu una specie di ponte musicale fra Cuba e Messico. A partire dal 1940, visitò l’Isola almeno una volta l’anno. Per questo, Cristobal Ayala, musicologo cubano residente a Portorico, lo definisce come “quasi nostro”. Sempre, quando si preparava a venire, chiedeva a Lara e ad altri compositori importanti che gli consegnassero le loro ultime produzioni per fare la prima esibizione a Cuba. La stessa richiesta la faceva ai compositori cubani al suo ritorno in Messico. Nel 1946, il compositore cubano Bobby Collazo autore, fra altre melodie, di Tení que ser así e Vivír de los recuerdos, è in  Messico e si prepara a partire per Santo Domingo. Varegas gli chiede una canzone e collazo glie la scrive di corsa. Quando Collazo giunge a destinazione, La última noche è già un successo. Un altro cubano, Fernando Mulens, compositore di boleri emblematici quali Qué te pedí e De corazón a corazón, fu il suo accompagnatore al piano per molti anni.
Cuba, negli anni ’30 del secolo scorso, fu invasa dal tango. Conoscerà lungo la decade seguente l’irruzione della musica messicana. La capeggiava Jorge Negrete, molto famoso grazie al cine e che visita l’Isola in due occasioni. Lo seguono e godono di grande presa Tito Guizar, Pepe Guizar y sus Caporales, Pedro Infante, Chucho Martínez Gíl, Los Cuate Castilla, Toña la Negra, Amalia Mendoza e Miguel Aceves Mejía, fra i  molti altri Los Panchos che generarono un’enorme legione di imitatori contavano, ancora nei ’70, di un programma fisso alla radio nazionale e qualunque cubano poteva ripetere senza indugi Noche de ronda e canticchiare la strofa dello stesso compositore “nelle tue occhiate si vedono i palmeti/ubriachi di sole”. Prima era venuto all’Avana José Mojíca. Venne per la prima volta nel 1931 e tornò almeno tre volte negli anni ’50.

Anche dall’altra parte

Però se ci fu una presenza a Cuba della musica messicana, la cubana si fece sentire dall’altra parte del golfo. Il già citato Díaz Ayala analizza il fenomeno nel suo libro Cuando salí de La Habana (Portorico, 2001).
Il cine messicano prese importanza a partire della pellicola El rancho grande (1936). Sfruttava il paesaggio e la musica del bel Paese. La produzione cinematografica azteca si incrementò ed estese la sua fama per tutto il continente, includeva quantità generose di musica in ogni pellicola. Film che abbordavano, nella maggior parte, il tema rurale e si valevano di rancheras e corridos (generi musicali tipici, n.d.t.) La cosa si complica quando si da entrata al tema urbano e si da ingresso al bolero. Negli anni ’40 si producono, in Messico, quasi mille pellicole. I compositori di casa erano prolifici, ma non erano sufficienti, più quando oltre ai boleri dovenao creare gurachas e rumbas, necessarie in fim che nella loro magggioranza erano ambientati in cabaret.
Cuba, scrive Díaz Ayala, accorse a riempire i vuoti. Il cine e la scena messicana traboccavano di rumberas cubane come María Antonieta Pons, Ninón Sevilla, Lina Salomé, Olga Chaviano, Rosa Carmína, Amalia Aguílar, las Dolly Sisters e molte altre. Per loro e anche per la rumbera messicana Meche Barba e Tongolele, tahitiana di origine, c’era bisogno della percussione che apportavano i cubani.
Interpreti messicani come Juan Arvizu e Toña la Negra, incisero dischi con l’apporto di orchestre cubane. Lo fece anche Pedro Vargas che utilizzò complessi come Casino de la Playa, Riverside e Cosmopolita per realizzare i suoi dische con la Victor.
Un artista cubano o di passaggio da Cuba non si sentiva completamente consacrato se non si faceva fotografare da Armand – Armando Hernàndez López – il più famoso ritrattista cubano degli anni ’40 e ’50 del secolo scorso, conosciuto come Il fotografo delle stelle. Pedro Vargas, in uno dei suoi soggiorni avaneri, non resistette alla tentazione e visitò l’artista dell’obbiettivo nel suo studio di Linea, fra H e I, nel Vedado.

Capriccio cubano

Le rappresentazioni iniziali di vargas all’Avana devono aver avuto luogo nel vecchio Teatro Neptuno, di Heliodoro García, dove attuò anche Agustín Lara. Lo scriba suppone che attuò peer l’ultima volta nella capitale cubana nel marzo del 1959, al cabaret dell’hotel Capri. Questo centro notturno presentava la produzione Capricho cubano, con l’attuazione della portoricana Lucy Fabery e dei cubani Fernando Álvarez e Raquel Bardisa. La presenza di vargas per due settimane, garantì un tutto esaurito.
Fra una presentazione e l’altra, attuò molte volte nel Teatro América. Pedro Urbezo, storico del colosseo della calle Galiano, nel suo libro El teatro América y su entorno mágico (2011) raccoglie puntualmente le rappresentazioni del messicano.
L’América si inaugurò il 29 marzo del 1941. Poco dopo, nella settimana del 22 settembre, il primo spettacolo o varietà musicale che accolse questo teatro fu a carico del famoso tenore accompagnato dal pianista Pepe Agüero e l’orchestra di Alfredo Brito, da lunedí a sabato, due apparizioni al giorno: Una alle 17.30 e l’altra alle 21.30 e la domenica, oltre a queste normali, un’altra alle 14.00.
Ha avuto tanto successo, dice Urbezo che nonostante i suoi impegni con emittenti radio cubane, tornò al palco dell’América per una funzione speciale, il 3 ottobre di quell’anno.
Vargas fa una nuova presentazione il 23 gennaio del 1942, ancora accompagnato dal pianista Pepe Agüero e l’orchestra di Alfredo Brito. Urbezo scrive: “Gli assidui dell’América dvano segno di ammirazione e simpatia al tenore messicano con ripetuti applausi”.
Nel 1945 Pedro Vargas arriva nuoivamente a Cuba. È di passaggio. Ma non vuole evitare di presentarsi nello spettacolo di varietà che artisti della CMQ presentano, per una settimana, nell.América. partecipoa nei giorni di sabato e domenica. Quest’ultimo giorno, nella funzione serale, si accomiata dal pubblico avanero che, in piedi, lo applaude furiosamente. L’ovazione emoziona l’artista che con voce rotta esprime il suo abituale “molt grazie, molte grazie”, promette di tornare quando is uoi impegni glie lo consentano. Torna veramente. Non poteva non compiere la promessa. Lo fa nella settimana dal 21 al 27 gennaio del 1946. Lo accompagnano sulla scena Ignacio Villa (Bola de Nieve), Fernando Mulens e l’orchestra Cosmopolita.
Ha impegni ineludibili col circuito CMQ ed esce dalla locandina per essere sostituito da Libertad Lamarque. La fidanzata d’America si accomiata dal suo pubblico nella funzione delle 21.30 della domenica 3 di febbraio dopo aver causato il tutto esaurito nel teatro. Nella settimana dal 4 al 7 torna Pedro Vargas. Lo accompagna il cubano René Cabel e con lui fa un duetto eccezionale di cui scrive Urbezo nel suo libro: “strappò accalamazioni d’entusiasmo e ammirazione”. Aggiunge: “tremavano le pareti del moderno colosseo con le grida d’entusiasmo e gli applausi scroscianti. Enrique Claudin, sarebbe stato ascoltando il Fantasma, dai sotterranei del tatro?”.
Prosegue Pedro Urbezo: “E per chiudere quel ciclo memorabile, la settimana seguente, dall’11 al 17, Pedro vargas cantò con un’altra grande della scena che per la prima volta attuava nell’América: l’attrice e cantante cubana Rita Montaner. Intervennero nello show, inoltre, René de Montemar, Fernando Mulens e l’orchestra Cosmopolita con l’animazione di Rolando Ochoa.

Il suo getto inesauribile di voce

Pedro vargas amò molto l’Avana. Con la sua presenza e le sue canzoni, lasciò un buon ricordo nell’Isola, in quelli che ebbero il privilegio di acoltarlo dal vivo, in quelli che lo conobbero.

Rosa Fornés che per sette anni consecutivi fu la prima vedette del Messico e che smise di esserlo solo quando la stampa messicana la proclamò come prima vedette d’America, compartí con Vargas lo scenario del teatro Tivoli, di Città del Messico. Oggi, nella sua residenza avanera, la Fornés, vive circondata dai suoi ricordi messicani e conserva in uno dei suoi saloni le foto di molte persone che amò, fra loro Cantinflas che tanto e tanto vanamente la pretese, Jorge Negrete, Pedro Infante e, naturalmente, Pedro Vargas, ancora fisso nella mente della stella con il suo “getto inesauribile di voce”.


Pedro Vargas en La Habana
Ciro Bianchi Ross * 
digital@juventudrebelde.cu
22 de Noviembre del 2014 19:43:52 CDT

Pedro Vargas y Benny Moré cantarían a dúo en La Habana. Días antes de
la grabación, el mexicano da al cubano las partituras de los números
que interpretarán con el propósito de que las estudie. Llega el día
del encuentro y ya a punto de comenzar a grabar, Vargas quiere
examinar la música con el Benny a fin de marcarla y establecer quién
entrará primero y quién después y quién será voz prima en determinados
pasajes y quién la voz segunda.
Benny Moré, el llamado Bárbaro del Ritmo, rechaza el ofrecimiento del
Tenor de las Américas.
--Maestro, eso es chino para mí... Yo no sé música --dice Benny y sonríe.
--¿Cómo cantaremos a dúo entonces? Si no sabe música, ¿cómo sabrá en
qué momento tiene usted que entrar? --inquiere Vargas.
--Cuando me lo pida el cerebro, Maestro --responde Benny, pero los
entendidos están de acuerdo en que dio al mexicano una respuesta
incompleta. Debió haber dicho el cerebro, el corazón, el sentimiento...
hasta la última partícula de aquel ser intrínsecamente musical que era
Benny Moré. Contestación truncada aparte, el caso es que en aquella
ocasión grabaron Obsesión y Perdón y lograron con estas dos de los
mejores dúos de la música popular.
El escribidor trae a colación esa anécdota con motivo del homenaje
que, meses atrás, rindió Cuba a Pedro Vargas en ocasión del
aniversario 25 de su fallecimiento. Se le recordó en las jornadas de
la XXV edición del Festival Internacional Boleros de Oro. En presencia
de familiares allegados del artista, venidos para la ocasión, se dio
su nombre a la suite del Hotel Nacional en la que se alojaba
generalmente durante sus estancias habaneras, se exhibieron algunas de
sus películas y un busto del cantante quedó emplazado en la Avenida
del Puerto, muy cerca de la estatua que recuerda al compositor Agustín
Lara, su gran amigo.

Un mexicano casi nuestro

Vargas fue una especie de puente musical entre Cuba y México. A partir
de 1940 visitó la Isla por lo menos una vez al año. Por eso Cristóbal
Díaz Ayala, musicógrafo cubano radicado en Puerto Rico, lo define como
“casi nuestro”. Siempre que se disponía a venir, pedía a Lara y a
otros compositores importantes que le entregasen sus últimas
producciones para estrenarlas en Cuba, e igual pedido hacía a
creadores cubanos al regresar a México. En 1946, el compositor cubano
Bobby Collazo, autor, entre otras melodías, de Tenía que ser así y
Vivir de los recuerdos, está en México y se dispone a viajar a Santo
Domingo. Vargas le pide una canción y Collazo se la escribe a la
carrera. Cuando Collazo llega a su destino ya La última noche es un
éxito. Otro cubano, Fernando Mulens, compositor de esos boleros
emblemáticos que son Qué te pedí y De corazón a corazón, fue su
pianista acompañante durante años.
Cuba, en los años 30 del siglo pasado, fue invadida por el tango.
Conocerá a lo largo de la década siguiente la irrupción de la música
mexicana. La encabeza Jorge Negrete, muy famoso gracias al cine y que
visita la Isla en dos ocasiones. Le siguen y gozan de amplio arraigo
Tito Guizar, Pepe Guizar y sus Caporales, Pedro Infante, Chucho
Martínez Gil, Los Cuate Castilla, Toña la Negra, Amalia Mendoza y
Miguel Aceves Mejía, entre otros muchos. Los Pancho, que generaron una
legión enorme de imitadores, contaban, aún en los 70, con un programa
fijo en la radio nacional y cualquier cubano podía repetir sin la
menor vacilación Noche de ronda, de Agustín Lara, y tararear aquello
del propio compositor de “en tus ojeras se ven las palmeras /
borrachas de sol”. Antes había estado en La Habana José Mojica. Vino
por primera vez en 1931 y volvió al menos tres veces en los años 50.

También del otro lado

Pero si hubo una presencia en Cuba de la música mexicana, la cubana se
hizo sentir del otro lado del golfo. El ya aludido Díaz Ayala analiza
el fenómeno en su libro Cuando salí de La Habana (Puerto Rico, 2001).
El cine mexicano cobró importancia a partir de la cinta El rancho
grande (1936). Explotaba el paisaje y la música del bello país. La
producción cinematográfica azteca se incrementó y extendió su fama por
todo el continente; incluía cantidades generosas de música en cada
película. Filmes que abordaban en su mayoría el tema rural y se valían
de rancheras y corridos. La cosa se complica cuando la temática se
amplía al tema urbano y se da entrada al bolero. En los años 40 se
producen en México casi mil películas. Los compositores del patio eran
prolíferos, pero no daban abasto, más cuando aparte de boleros debían
crear guarachas y rumbas necesarias en cintas que, en su mayoría, se
ambientaban en cabarets.
Cuba, escribe Díaz Ayala, acudió a llenar el vacío. El cine y la
escena mexicana se desbordaron con rumberas cubanas como María
Antonieta Pons, Ninón Sevilla, Lina Salomé, Olga Chaviano, Rosa
Carmina, Amalia Aguilar, las Dolly Sisters y muchas más. Para ellas, y
también para la rumbera mexicana Meche Barba y Tongolele, de origen
tahitiano, se necesitaba la percusión que aportaron los cubanos.
Intérpretes mexicanos como Juan Arvizu y Toña la Negra grabaron discos
con el respaldo de orquestas cubanas. También lo hizo Pedro Vargas,
que utilizó agrupaciones como Casino de la Playa, Riverside y
Cosmopolita para realizar sus discos con la Víctor.
Un artista cubano o de paso por Cuba no se sentía enteramente
consagrado si no se hacía fotografiar por Armand --Armando Hernández
López-- el más famoso retratista cubano de los años 40 y 50 del siglo
pasado, conocido como El fotógrafo de las estrellas. Pedro Vargas, en
una de sus estancias habaneras, no resistió la tentación y visitó al
artista del lente en su estudio de Línea entre H e I, en el Vedado.

Capricho cubano

Las presentaciones iniciales de Vargas en La Habana deben haber tenido
lugar en el viejo Teatro
Neptuno, de Heliodoro García, donde también actuó Agustín Lara. Supone
el escribidor que actuó en la capital cubana por última vez en marzo
de 1959, en el cabaret del hotel Capri. Presentaba ese centro nocturno
la producción Capricho cubano, con las actuaciones de la
puertorriqueña Lucy Fabery y los cubanos Fernando Álvarez y Raquel
Bardisa, y la presencia de Vargas, durante dos semanas, propició allí
un lleno completo.
Entre una presentación y otra, actuó muchas veces en el Teatro
América. Pedro Urbezo, historiador del coliseo de la calle Galiano, en
su libro El teatro América y su entorno mágico (2011) recoge
puntualmente las presentaciones del mexicano.
El América se inauguró el 29 de marzo de 1941. Poco después, en la
semana del 22 de septiembre, el primer espectáculo o variedad musical
que acogió ese teatro estuvo a cargo del famoso tenor, acompañado por
el pianista Pepe Agüero y la orquesta de Alfredo Brito. Hizo, de lunes
a sábado, dos apariciones diarias: una a las 5:30 de la tarde y la
otra a las 9:30 de la noche, y el domingo, además de esas
presentaciones habituales, otra a las dos de la tarde.
Tanto éxito tuvo, dice Urbezo, que pese a sus compromisos con
radioemisoras cubanas volvió al escenario del América para una función
especial, el 3 de octubre de ese año.
Vargas hace una nueva presentación el 23 de enero de 1942, otra vez
acompañado por el pianista Pepe Agüero y la orquesta de Alfredo Brito.
Escribe Urbezo: “Los asiduos al América daban muestras de admiración y
cariño al tenor mexicano con repetidos aplausos”.
En 1945 llega Pedro Vargas de nuevo a Cuba. Está de paso. Pero no
quiere dejar de hacerse presente en el espectáculo de variedades que
artistas de la CMQ presentan, durante una semana, en el América.
Participa en las jornadas del sábado y el domingo. Ese día, en la
función de la noche, se despide del público habanero que, de pie, lo
aplaude a rabiar. La ovación emociona al artista que, con voz
entrecortada, expresa su habitual “muy agradecido, muy agradecido, muy
agradecido”, promete volver en cuanto sus compromisos se lo permitan.
Vuelve realmente. No podía dejar de cumplir su promesa. Lo hace en la
semana del 21 al 27 de enero de 1946. Lo acompañan en la escena
Ignacio Villa (Bola de Nieve), Fernando Mulens y la orquesta
Cosmopolita.
Tiene compromisos ineludibles con el Circuito CMQ y sale de la
cartelera para ser sustituido por Libertad Lamarque. La Novia de
América se despide de su público en la función de las 9:30 de la noche
del domingo 3 de febrero, luego de haber provocado llenos completos en
el teatro. En la semana del 4 al 7 regresa Pedro Vargas. Lo acompaña
el cubano René Cabel y hace con él un dúo ocasional que, escribe
Urbezo en su libro aludido, “arrancó exclamaciones de entusiasmo y
admiración”. Añade: “Retemblaron las paredes del moderno coliseo con
los gritos de entusiasmo y los atronadores aplausos. ¿Estaría
escuchando Enrique Claudín, el Fantasma, desde los sótanos del
teatro?”.
Prosigue Pedro Urbezo:
“Y, para cerrar aquel ciclo memorable, la siguiente semana, del 11 al
17, cantó Pedro Vargas con otra grande de la escena que por primera
vez actuaba en el América: la actriz y cancionera cubana Rita
Montaner. Intervinieron en el show, además, René de Montemar, Fernando
Mulens y la orquesta Cosmopolita con la animación de Rolando Ochoa”.

Su chorro de voz inagotable

Pedro Vargas amó mucho a La Habana. Dejó, con su presencia y sus
canciones, un buen recuerdo en la Isla, en los que tuvieron el
privilegio de escucharlo en vivo, en los que lo conocieron.
Rosa Fornés, que durante siete años consecutivos fue la primera
vedette de México y que dejó de serlo solo cuando la prensa mexicana
la proclamó como la primera vedette de América, compartió con Vargas
el escenario del teatro Tívoli, de la Ciudad de México. Hoy, en su
residencia habanera, la Fornés vive rodeada de sus recuerdos mexicanos
y conserva en uno de sus salones las fotos de mucha de la gente a la
que quiso, entre ellas Cantinflas, que tanto y tan en vano la
pretendió, Jorge Negrete, Pedro Infante y, por supuesto, Pedro Vargas,
fijo aún en la mente de la estrella con “su chorro de voz inagotable”.

Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
http://wwwcirobianchi.blogia.com/
http://cbianchiross.blogia.com/

domenica 23 novembre 2014

Nostrano

NOSTRANO: equilibrato, normale

sabato 22 novembre 2014

Nonnulla

NONNULLA: assenza di nonni

venerdì 21 novembre 2014

Prossimo il 42° anniversario de La Nueva Trova Cubana

Pubblicato da Clodoaldo Parada su Face Book

Queridos amigos, el 2 de Diciembre de 1972 fue la fecha en que se fundó en la ciudad de Manzanillo, el Movimiento de la Nueva Trova Cubana. Insospechado era entonces pensar que 42 años después, dicho Movimiento fuera considerado como uno de los hechos artísticos más importantes dentro de la canción de habla hispana del pasado siglo.
De aquel puñado de jóvenes trovadores, sólo unos pocos lograron traspasar con sus canciones las fronteras de la isla y llevar, en nombre de todos, aquella bandera artística en la cual creíamos y en la que todavía hoy algunos creemos.
Es por eso que el próximo sábado 6 de diciembre, ofreceré un recital en Uhlalá Cafe Concert de esta ciudad de Santa Fe, donde interpretaré canciones de los más conocidos trovadores cubanos y de otros que no son conocidos por el público internacional, pero que dejaron canciones fundamentales en el quehacer trovadoresco cubano.
Será también un recuento de vivencias y anécdotas, pues muchos de los interpretados son personas con las que me unen lazos de amistad casi añejos.
Habría mucho para cantar en una noche así, pero yo los espero con sólo un puñado de canciones que creo sean suficientes para describir lo que dejaron como legado a las músicas nuestras, aquel grupo de jóvenes que una vez fundaron lo que fue el Movimiento de la Nueva Trova Cubana.
Nos vemos el sábado 6 de diciembre en Uhlalá.
Un abrazo cubano a todos.


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