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lunedì 6 gennaio 2014

Torniamo al Capri di Ciro Bianchi Ross, pubblicato su Juventud Rebelde del 5/1/14

Alla fine dello scorso dicembre ha riaperto le sue porte l’hotel Capri, un opera che “si è distinta a suo tempo per la decisa modernità del suo disegno”. L’installazione, di 220 camere, è ubicata in una zona privilegiata e assieme agli hotel Habana Riviera e Hilton – oggi Habana Libre – formano, dicono gli esperti, “la trilogia più evidente fra le costruzioni alberghiere del Movimento Moderno realizzata all’Avana”.
L’immaginario avanero si tesse e si districa attorno a questa installazione dotata di letti rotondi nelle sue suites, un favoloso bar Azzurro e una piccola, ma  gradevole, piscina al 18° piano. Un’edificio che concede uguale importanza alle sue due facciate laterali. Fu un albergo frequentato dalla mafia nordamericana fino al 1959 e ad esso allude Mario Puzo nel suo romanzo Il Padrino.

UN AFITRIONE CHIAMATO RAFT

L’attore statunitense George Raft, che ha trascorso la sua carriera cinematografica interpretando killers e gangsters a fianco a stelle come Jimmy Cagney e Humphrey Bogart, fu il suo capo delle relazioni pubbliche e anfitrione della sua sala da gioco. Si identificò così strettamente con i ruoli di malvivente che gli toccava interpretare che l’FBI arrivò ad aprirgli un dossier per considerarlo “connotato socio” della mafia. Era, afferma uno storico, il simbolo perfetto della mafia all’Avana. Aveva poco da fare nel Capri, eccetto che starvi ed essere visto. Lo pagavano perché fosse George Raft.
Ranft – suo cognome originale che poi trasformò – nacque e crebbe in un quartiere newyorkino conosciuto come La cucina dell’Inferno (Hell’s Kitchen), celebre per il suo tasso di delinquenza. Fu il maggiore di 10 fratelli e se ne andò da casa appena poté, al fine di uscire dalla miseria in cui viveva e dal rigido cattolicesimo dei suoi genitori e si unì a una banda giovanile. In pieno Proibizionismo trovò lavoro come attore e ballerino a Broadway, mentre si dedicava al contrabbando di liquori. Fu così come conobbe una stella come Mae West e anche Charles Luky Luciano, altra stella nel suo genere.
Quando arrivò a Hollywood, negli anni ’30, la sua conoscenza della malavita dall’interno, lo aiutò a trionfare. In film come Ricatto, Ho rubato un milione e Loan Shark, fra le altre, “perfezionò la sua immagine di malavitoso duro ed elegante. Vestiva con gran classe, mostrava grande sicurezza in se stesso ed aveva grande successo con le donne”.
Allora, non si concepiva uno spettacolo di cabaret senza un “quadro” spagnolo. Nella notte del 31 dicembre del 1958 Raft presentò al pubblico, presente al casinò del Capri, il corpo di ballo dello spagnolo José Greco, la cantante nordamericana Arlena Fontana e gli allora molto graditi Chavales de España. Già all’alba del 1°, Raft rimase nel casinò fino a che gli parve che i festeggiamenti per l’anno nuovo non sarebbero durati ancora per molto e si dispose a passarla alla grande, nella sua suite, con una ragazza che aveva appena vinto il titolo di Miss Cuba in un concorso di bellezza che precedeva l’internazionale Miss Universo. La sua ispirazione si vide annullata da una chiamata telefonica. Dalla reception gli comunicavano che il dittatore Fugencio Batista era fuggito dal Paese.
Balzò dal letto, si vestì come poté e prese l’ascensore. La confusione si era impadronita del vestibolo dell’albergo e del casinò. I dipendenti non sapevano cosa fare e alcuni alti gerarchi del batistato, che avevano tardato ai tavoli da gioco correvano, senza una destinazione precisa, come passeggeri a cui scappa il treno. Pareva non ci fosse nessuno che potesse mettere ordine in quel caos. Dalla strada arrivavano rumori di vetri rotti ed evviva alla trionfante rivoluzione. La polizia sparava e gli spioni cercavano di trovarsi un posto sicuro. Un gruppo numeroso di uomini e donne entrò nel casinò e cominciò a rompere i tavoli e le macchine. In quel momento, Raft si rese conto che non c’era nessuno che comandasse escluso, probabilmente, lui a cui i suoi compagni chiedevano cosa fare. Montò su un tavolo, ma nessuno gli prestava attenzione fino a che una ragazza che comandava il gruppo lo riconobbe, scambiò con lui qualche parola in inglese e impose il silenzio. L’attore chiese calma. Non ricordò, in seguito, più quali furono le sue parole, ma ebbero un effetto magico sul gruppo che, senza proseguire nei disordini, finì ritirandosi dal locale.

PIANI AMBIZIOSI

Alla fine degli anni ’40 la capacità alberghiera cubana era di poco più di 5.800 stanze. Di esse, 4.000 erano nella capitale. In una provincia come Matanzas, compreso Varadero, si contavano solo 504 stanze.
Molti di questi edifici erano inadeguati e obsoleti, come si evidenzia in un Decreto Presidenziale del maggio 1948. La costruzione di nuove installazioni si mantenne praticamente ferma nonostante il numero di turisti passasse da 114.885 nel 1946, a 188.519 nel 1951. Questo incremento provocava opinioni contrastanti. Mentre le autorità si battevano per il rialzo dei visitatori e gli introiti, gli alberghieri si lamentavano per la mancanza di un’azione ufficiale nei confronti della concorrenza caraibica. In realtà un turista veniva all’Avana per una o due notti con un budget esaurito, come per un estensione del suo soggiorno in Florida. La sua visita, quindi, più che un affare per gli alberghi, lo era per le compagnie di aviazione. Secondo i calcoli, il visitatore passava due giorni nella capitale e sei a Varadero.
Dopo il 1952, Cuba si aprì di più al turismo. Fino al 1958 si costruirono 2.867 nuove stanze d’albergo, cifra che arrivò a 3.152 con la restaurazione e ampliamento di alberghi già esistenti. Nel 1959 il Registro Alberghiero contava di 125 alberghi e tre motel con una capacità totale di 7.728 stanze.
È in questi anni quando si costruiscono gli alberghi Rosita de Hornedo – attuale Sierra Maestra – (luglio 1955), St. John (marzo 1957), Capri (novembre 1957), Riviera (dicembre 1957), Hilton (marzo 1958) e Deauville (luglio 1958) e si restaurano Nacional, Comodoro e Plaza. L’Internacional di Varadero si inaugura nel 1950. Si costruirono anche il Copacabana e il Chateau Miramar, fra gli altri.
Di tutti loro, ci fu capitale estero solo nella costruzione dell’Internacional, Riviera e Deauville. Gli altri si costruirono con capitale cubano, nonostante la loro amministrazione si cedette, dopo, a entità nordamericane. La costruzione dell’Hilton (24 milioni di pesos) fu finanziata con i fondi della Cassa di Previdenza dei Gastronomici e successivi crediti dello Stato cubano, mentre dei 12 milioni di dollari che si investirono nel Riviera, lo Stato apportò la metà e la somma rimanente si coprì con buoni che acquistarono gli investitori cubani e nordamericani.
In alcune di queste installazioni, come il Capri, il casinò era più importante che l’alloggiamento e in tutte, la sala da gioco era la parte più redditizia. Per l’affitto di questi saloni si pagavano 25.000 dollari all’anno in alberghi come Riviera, Capri e Nacional, senza contare che il casinò, generalmente, copriva i costi dello spettacolo e l’orchestra del cabaret.
I piani erano più ambiziosi. Comprendevano l’hotel Montecarlo 657 stanze a Santa Fé e Habana-Fontainbleau, nel Vedado, con 550. Altro hotel con 500 stanze si sarebbe costruito dove attualmente c’è la gelateria Coppelia e uno, con oltre 600 nell’area del campo sportivo José Martí. I progetti comprendevano costruzioni alberghiere a Soroa e Trinidad. Si costruì l’hotel Colony all’Isola dei Pini, inaugurato il 31 dicembre del 1958, e l’hotel Isla del Sur a Cayo Largo.
Allora, il turismo continuava a concentrarsi all’Avana e in misura molto inferiore, a Varadero e all’Isola dei Pini. La capitale disponeva di oltre 50 alberghi – quattro di loro di lusso – con 4.900 stanze e 9.800 letti. Nella Spiaggia Blu le camere non superavano le 700 e l’Isola dei Pini poteva ricevere, al massimo, 200 visitatori. Circa 223.000 turisti stranieri fecero le vacanze a Cuba nel 1956. Altri 272.000 lo fecero nel ’57 e l’anno successivo la cifra scese a 212.000. La maggioranza di loro, naturalmente, era nordamericana.

SERENATA MULATTA

La costruzione dell’hotel Capri, all’angolo di 21 e N, nel Vedado, a un isolato dalla mitica Rampa avanera, richiese un investimento di 5,5 milioni di pesos. Fu ad opera della compagnia costruttrice di Jaime Canavés, catalano arrivato a Cuba nel 1913 che inoltre aveva azioni nella Industria del Cemento Armato Cubano s.a. e nell’Industria Siporex. I suoi figli erano soci della costruttrice e uno di essi, José Canavés, fu l’architetto del Capri. Per terminare l’edificio la Hotelera de La Habana, compagnia che si costituì per eseguire l’opera, dovette chiedere un prestito di 800.000 pesos e rimase con un debito di 600.000 con il Trust Company of Cuba e con un altro di 400.000, col Banco Financiero.
In definitiva Canavés affittò l’hotel Capri, perché lo operasse, alla compagnia Alberghiera Sheppard, proprietaria anche degli alberghi Ponce de León e Leamington a Miami. Fu un contratto di 210.000 pesos annuali a partire dal 1° dicembre del 1957. Il disimpegno fu tanto efficiente che sei mesi dopo il Banco Financiero assegnava a Julius Sheppard, presidente della Alberghiera, un prestito di 210.000 pesos col fine di consolidare gli addebiti.

Trionfa la Rivoluzione. Lo spirito dei tempi nuovi si evidenzia anche negli spettacoli dei cabaret degli alberghi. In marzo del 1959, il messicano Pedro Vargas – il tenore delle Americhe, come veniva chiamato – si alterna con interpreti locali nella produzione Capriccio Cubano. Nel maggio dello stesso anno presenta uno spettacolo che presenta col nome di Consuma prodotti cubani, che è quello della campagna nazionalista del momento. In settembre la presentazione di Pepe e sale, segna il debutto di Freddy, una meticcia di 140 chili di peso che veniva dal servizio domestico e che aveva una voce da contralto inarrivabile. Per la sua figura è l’anti vedette per eccellenza, è priva del garbo e le finezze delle dive della notte e non è nemmeno una donna sensuale, piuttosto il contrario che la sua presenza in un locale tanto esclusivo come il Capri, evidenzia – dice la musicologa colombiana Adriana Orejuela – “un sintomo inequivocabile che le concezioni estetiche stavano cambiando, o perlomeno, altre forme cominciavano a prendere valore ed aprirsi la strada”. Tornerà con Zuppa alla francese, in marzo del ’60 e nel novembre dello stesso anno sarà nello Show delle stelle con Olga Guillot e altri interpreti. In Serenata mulata, nel gennaio ’61, debutta Juana Bacallao nel Capri per dividere le scene con la Guillot fino a che Celeste Mendoza non rimpiazza quest’ultima. Cappuccetto si diverte, si mantenne in cartellone per due anni. Un’altro spettacolo, L’Abana, con concezione e copione del narratore Lisandro Otero, cercò di dimostrare che ci sono forme funzionali nella cultura che, senza grandi pretese estetiche, possono essere molto importanti nel confronto di tendenze della vita quotidiana. Altra opera controversa, senza dubbio, in un mezzo come il cabaret, che però fece presa sul pubblico.


Volvemos al Capri

Ciro Bianchi Ross • 
digital@juventudrebelde.cu
4 de Enero del 2014 18:30:00 CDT

A fines del pasado mes de diciembre reabrió sus puertas el hotel
Capri, una obra que «se destacó en su momento por la decidida
modernidad de su diseño». El establecimiento de unas 220 habitaciones
está emplazado en una zona de privilegio, y junto a los hoteles Habana
Riviera y Habana Hilton —hoy Habana Libre— conforman, dicen los
especialistas, «la trilogía más destacada de construcciones hoteleras
del Movimiento Moderno realizadas en La Habana».
El imaginario habanero se teje y se desteje en torno a esta
instalación dotada de camas redondas en sus suites, un fabuloso bar
Azul y una pequeña y agradable piscina en su piso 18. Una edificación
que concede igual jerarquía a sus dos fachadas laterales. Fue un hotel
frecuentado por la mafia norteamericana hasta 1959 y a él alude Mario
Puzo en su novela El Padrino.

Un anfitrión llamado Raft

El actor estadounidense George Raft, que pasó su carrera
cinematográfica encarnando a matones y gángsteres al lado de astros
como Jimmy Cagney y Humphrey Bogart, fue su jefe de relaciones
públicas y anfitrión de su casino de juegos. Se identificó tan
estrechamente con los papeles de hampón que le tocó interpretar, que
el FBI llegó a abrirle un expediente por considerarlo un «socio
conocido» de la mafia. Era, afirma un historiador, el símbolo perfecto
de la mafia de La Habana. Poco tenía que hacer en el Capri excepto
estar allí y ser visto. Le pagaban para que fuese George Raft.
Ranft —su apellido original, que luego transformaría— nació y creció
en un barrio neoyorquino conocido como La cocina del infierno (Hell’s
Kitchen), célebre por su tasa alta de delincuencia. Fue el mayor de
diez hermanos y huyó de su casa en cuanto pudo, a fin de salirse de la
miseria en que vivía y del rígido catolicismo de sus padres y se unió
a una pandilla juvenil. En plena Ley Seca encontró empleo como actor y
bailarín en Broadway mientras se dedicaba al contrabando de licores.
Es así que conoce a una estrella como Mae West y también a Charles
Lucky Luciano, otra estrella en lo suyo.
Cuando llega a Hollywood, en los años 30, su conocimiento de la vida
del hampa por dentro lo ayudó a triunfar. En películas como Chantaje,
Robé un millón y Loan Shark, entre otras, «perfeccionó su imagen de
hampón duro y elegante. Vestía con gran estilo, mostraba gran
seguridad en sí mismo y tenía mucho éxito con las mujeres».
Entonces no se concebía un espectáculo de cabaré sin un «cuadro»
español. En la noche del 31 de diciembre de 1958, Raft presentó al
público que asistía al casino del Capri al cuerpo de danza del
bailarín español José Greco, la cantante norteamericana Arlena Fontana
y los por entonces muy gustados Chavales de España. Ya en la madrugada
del día 1ro., Raft estuvo en el casino hasta que le pareció que los
festejos de Año Nuevo no durarían mucho más y, en su suite, se
disponía a pasarla en grande con una muchacha que acababa de ganar el
título de Miss Cuba en un certamen de belleza que antecedía al
concurso internacional de Miss Universo. Su inspiración se vio cortada
por una llamada telefónica. Desde la recepción le comunicaban que el
dictador Fulgencio Batista había huido del país.
Saltó de la cama, se vistió como pudo y tomó el ascensor. La confusión
se había adueñado del vestíbulo del hotel y del casino. Los empleados
no sabían qué hacer y algunos altos jerarcas del batistato, que se
habían demorado ante las mesas de juego, corrían, sin ningún embozo,
como viajeros a los que se les va el tren. Nadie parecía dispuesto a
poner orden en aquel caos. Desde la calle llegaban estruendos de
vidrios rotos y vivas a la revolución triunfante. Disparaba la policía
y los soplones trataban de ponerse a buen recaudo. Un grupo numeroso
de hombres y mujeres penetró en el casino y empezó a destrozar el
mobiliario y las máquinas. En aquel momento Raft se percató de que no
había allí nadie que mandara, salvo él tal vez, pues era a él a quien
sus compañeros preguntaban qué hacer. Trepó a una mesa, pero nadie le
prestó atención hasta que la muchacha que comandaba el grupo lo
reconoció, intercambió con él unas palabras en inglés e impuso
silencio. El actor pidió tranquilidad. No recordó nunca con exactitud
cuáles fueron sus palabras, pero tuvieron un efecto mágico sobre el
grupo que, sin ocasionar más disturbios, terminó retirándose del
local.

Planes ambiciosos

A fines de los años 40 la capacidad hotelera cubana era de poco más de

5 800 habitaciones. De ellas, 4 000 estaban en la capital. En una
provincia como Matanzas, incluida Varadero, se registraban solo 504
habitaciones.
Muchas de esas edificaciones eran inadecuadas y obsoletas, como se
reconoce en un Decreto Presidencial de mayo de 1948. La construcción
de nuevas instalaciones se mantenía prácticamente estancada pese a que
el número de turistas pasó de 114 885, en 1946, a 188 519 en 1951. Ese
incremento provocaba opiniones encontradas. Mientras que las
autoridades se ufanaban por el alza de los visitantes y los ingresos,
los hoteleros lamentaban la falta de acción oficial frente a la
competencia caribeña. En realidad, el turista venía a La Habana por
una o dos noches y con el presupuesto agotado como una extensión de su
estancia en la Florida. Su visita entonces, más que un negocio para
los hoteles, lo era para las compañías de aviación. Según cálculos, el
visitante pasaba en la capital dos días y seis en Varadero.
Después de 1952 Cuba se abrió más al turismo. Hasta 1958 se
construyeron aquí 2 867 nuevas habitaciones hoteleras, cifra que llegó
a 3 152 con la remodelación y ampliación de hoteles ya existentes. En
1959 el Directorio Hotelero consignaba 125 hoteles y tres moteles de
carretera con una capacidad total de 7 728 habitaciones.
Es en esos años cuando se construyen los hoteles Rosita de Hornedo
—actual Sierra Maestra— (julio, 1955), St John’s (marzo, 1957), Capri
(noviembre, 1957), Riviera (diciembre, 1957), Hilton (marzo, 1958) y
Deauville (julio, 1958) y se remodelan Nacional, Comodoro y Plaza. El
Internacional de Varadero se inaugura en 1950. Se construyen asimismo
el Copacabana y el Chateau Miramar, entre otros.
De todos ellos, solo hubo capital foráneo en las edificaciones del
Internacional, Riviera y Deauville. Los otros se construyeron con
capital cubano, aunque su administración se cediera después a
entidades norteamericanas. La construcción del Hilton (24 millones de
pesos) fue costeada con el dinero de la Caja del Retiro Gastronómico y
sucesivos créditos del Estado cubano, en tanto que de los 12 millones
de dólares que se invirtieron en el Riviera, el Estado aportó la mitad
y la suma restante se cubrió con bonos que adquirieron inversionistas
cubanos y norteamericanos.
En algunas de esas instalaciones, como Capri, el casino era más
importante que el alojamiento, y en todas, la sala de juego era la
parte más lucrativa. Por el alquiler de esos salones se pagaban unos
25 000 dólares anuales en hoteles como Riviera, Capri y Nacional, sin
contar que el casino sufragaba por lo general el espectáculo y las
orquestas del cabaré.
Los planes eran más ambiciosos. Comprendían los hoteles Montecarlo
(657 habitaciones) en Santa Fe y Habana-Fontainebleau, en el Vedado,
con 550. Otro hotel, de 500 habitaciones, se edificaría donde ahora
está la heladería Coppelia, y uno más, con 600, en las áreas del
parque deportivo José Martí. Los proyectos comprendían construcciones
hoteleras en Soroa y Trinidad. Se construyó el hotel Colony, en Isla
de Pinos, inaugurado el 31 de diciembre de 1958, y el hotel Isla del
Sur, en Cayo Largo.
Entonces el turismo seguía concentrándose en La Habana y en muy menor
medida en Varadero e Isla de Pinos. La capital disponía de más de 50
hoteles —cuatro de ellos, de lujo— con 4 900 habitaciones y 9 800
capacidades. En la Playa Azul no pasaban de 700 las habitaciones e
Isla de Pinos podía acomodar a lo sumo a unos 200 visitantes. Unos 223
000 turistas extranjeros vacacionaron en Cuba en 1956. Otros 272 000
lo hicieron en el 57 y al año siguiente la cifra descendió a 212 000.
La mayoría de ellos, por supuesto, eran norteamericanos.

Serenata mulata
La construcción del hotel Capri, en la esquina de 21 y N, en el
Vedado, a una cuadra de la mítica Rampa habanera, requirió de una
inversión de 5,5 millones de pesos. Fue obra de la compañía
constructora de Jaime Canavés, catalán llegado a Cuba en 1913 y que
además tenía acciones en Industrias de Hormigón Cubano S. A. e
Industrias Siporex. Sus hijos estaban asociados en el negocio de la
constructora y uno de ellos, José Canavés, fue el arquitecto del
Capri. Para concluir el edificio, la Hotelera de La Habana, compañía
que se constituyó para acometer la obra, debió pedir un préstamo por
800 000 pesos, y quedó con una deuda de 600 000 pesos con el Trust
Company of Cuba y con otra, de 400 000, con el Banco Financiero.
En definitiva, Canavés arrendaría el edificio del hotel Capri, para
que lo operara, a la compañía Hotelera Sheppard, propietaria además de
los hoteles Ponce de León y Leamington, en Miami. Fue un contrato por
210 000 pesos anuales a partir del 1ro. de diciembre de 1957. El
desempeño resultó tan eficiente que seis meses después el Banco
Financiero otorgaba a Julius Sheppard, presidente de la Hotelera, un
préstamo por 210 000 pesos a fin de consolidar adeudos.
Triunfa la Revolución. El espíritu de los nuevos tiempos se evidencia
también en los shows del cabaré del hotel. En marzo de 1959, el
mexicano Pedro Vargas —el Tenor de las Américas, como se le llamaba—
alterna con intérpretes del patio en la producción Capricho cubano. En
mayo del propio año, presenta un espectáculo que adopta el título de
Consuma productos cubanos, que es el de la campaña nacionalista del
momento. En septiembre, la presentación de Pimienta y sal marca el
debut de Freddy, una mestiza de 300 libras de peso que venía del
servicio doméstico y que tenía una voz de contralto insondable. Por su
figura, es la antivedette por excelencia, carece del garbo y la
afectación de las divas de la noche y tampoco es una mujer sensual,
quizá lo contrario, que con su presencia en un lugar tan exclusivo
como el Capri evidencia —dice la musicógrafa colombiana Adriana
Orejuela— «un síntoma inequívoco de que las concepciones estéticas
estaban cambiando o, por lo menos, otras formas comenzaban a cobrar
valor y a abrirse camino». Volverá con Ajiaco a la francesa, en marzo
del 60, y en noviembre de ese año estará en el Show de estrellas con
Olga Guillot y otros intérpretes. En Serenata mulata, en enero del 61,
debuta Juana Bacallao en el Capri para compartir la escena con la
Guillot hasta que Celeste Mendoza reemplaza a esa última. La
caperucita se divierte se mantuvo dos años en cartelera. Otro
espectáculo, L’Abana, con concepción y guión del narrador Lisandro
Otero, trató de demostrar que hay formas funcionales en la cultura
que, sin grandes pretensiones estéticas, pueden ser muy importantes en
la confrontación de tendencias en la vida cotidiana. Obra
controvertida sin duda, en un medio como el cabaré, pero que enganchó
al público.
        
Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
http://wwwcirobianchi.blogia.com/
http://cbianchiross.blogia.com/

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