Pubblicato su Juventud rebelde del 22/11/15
Già da qualche tempo, nel
citare Osvaldo Farrés, ho detto in questa pagina che questo famoso compositore
cubano aveva dedicato a sua madre il pezzo che porta, precisamente, il titolo Madrecita. Il dottor Rafael Borroto
Chao, in disaccordo con la mia affermazione, disse che questa melodia che fino
al 1959 si cantava fino allo sfinimento nella giornata della mamma, fu ispirata
non dalla genitrice di Farrés, ma la madre del presidente Carlos Prío Socarrás.
Lo scriba allora ha consultato Cristóbal Díaz Ayala, musicologo cubano
residente a Portorico e l’autore di Cuando
salí de La Habana e Música cubana;
del areíto al rap, fra i molti titoli, confermó quanto detto. Fu la madre
di Farrés quella che ispirò Madrecita
e non doña Regla Socarrás. Così disse a Díaz Ayala lo stesso compositore in
un’intervista.
Un altro erudito della
nostra musica, Gaspar Marrero Pérez de Urría, autore di Presencia espirituana nella
fonografia musicale cubana, si affaccia adesso alla palestra per puntellare
quello dichiarato dallo scriba.
Nel suo messaggio
elettronico Gaspar Marrero dice:
“Ho letto il tuo riferimento
sul bolero Madrecita, di Osvaldo
Farrés e mi è sembrato necessario farti giungere la trascrizione di una incisione
speciale del marchio Panart che secondo Díaz Ayala, appare senza codice
commerciale (vale a dire senza numero). Il disco conserva, in una delle sue
facce, questo bolero interpretato da Fernando Albuerne con l’orchestra diretta
Enrique González Mántici e il trio delle sorelle Lago. Nell’altra, usando
frammenti dell’incisione anteriore come sottofondo, si sentono queste parole
nella voce del proprio Osvaldo Farrés che trascrivo di seguito: ‘Madrecita
questa canzone é scritta per te e in questa mia ispirazione, vogliodistribuire
l’affetto sentito a tutte le madri del mondo, per essere buone, abnegate e
sante. Siano per te queste frasi nate nel più profondo della mia anima, perché
tu sei l’incarnazione suprema di tutta la nobiltà e di tutta la grandezza che c’è
nel mondo.
A te ricorriamo sempre,
quale scrigno d’amore che conserva tutte le nostre angustie, pene e gioie.
Nella nostra immaginazione sei la nostra risorsa e consolazione. E la nostra
unica verità. Il tuo istinto materno e il tuo amore hanno il sapore di tutte le
tenerezze e di tutti i sacrifici. Come il tuo affetto non ce n’è altro. Tu sei
quello che di realmente positivo c’è nella vita.
Adesso ascolta l’ultima
strofa della mia canzone, nata dal cuore di un figlio che tu sai, che mai è
mancato al sacro dovere di adorare sua madre. In essa dico, per te, quello che
ti dedico con tutto il mio cuore alle madri del mondo. Ascoltala...’ Gaspar Marrero termina il suo messaggio:
“Conservo una copia digitale di questa registrazione che metto a tua completa disposizione”.
Tramvie
Ramón Fidalgo, ufficiale
della riserva delle Forze Armate, cerca informazioni sui percorsi delle tramvie
che operavano nell’Avana del 1922. Dice che ha cercato nella Biblioteca
Nazionale José Martí enell’Archivio Nazionale, ma che i tentativi sono stati
infruttuosi; alla Biblioteca perché non appaiono i cinque registri che operano
a fondo sul tema e nell’Archivio perché sembra non ci sia nessun materiale al
rispetto.
All’Avana, alcuni giornali a
fine anno pubblicavano i cosiddetti almanacchi. Almeno, lo faceva il giornale
El Mundo che é quello che ho visto. Si trattava di libri con abbondanti
informazioni sulle farmacie e i loro giorni di guardia; le personalità cubane e
mondiali decedute nel periodo, le associazioni spagnole presenti all’Avana, i
grandi avvenimenti dell’anno, le compagnie di navigazione e ferroviarie e i
loro percorsicosì come le loro tariffeve le tariffe postali...In fine, fra le
altre cose utili o curiose, contavano di sezioni che comprendevano i percorsi
dgli autobus e tram e le descrivevano dettagliatamente. Per esempio:
L-4. Lawton-Parque Central.
Parte da San Francisco e Diez de octubre con il seguente percorso:
In discesa, San Francisco,
Avenida di Acosta, Concepción, calle 16, calle B, calle Octava, Concepción,
Diez de Octubre, Calzada de Monte, San Joaquin, Infanta, San Rafael, Consulado,
San Miguel, Neptuno, Monserrate.
In salita: Empedrado,
Aguiar, Chacón, Monserrate, Neptuno, Infanta, Diez de Octubre fino a San
Francisco.
Questo tram sarebbe stato l’
L-4 degli Autobus Moderni e più tardi la linea 54 che esiste ancora con un
percorso molto diverso in relazione all’originale. Fa, in discesa, la sua
ultima fermata nel parco de El Curita e sale per Zanja cercando Infanta.
Negli anni ’50, la L-4, già
autobus, si addentrava nell’Avana Vecchia e sfidando le difficoltà del caso –
strade strette, pedoni e venditori ambulanti nella sede stradale, auto
parcheggiate sui marciapiedi, camion che scaricavano le merci davanti a un
magazzino...- arrivava alla Plaza de Armas. Usciva dal capolinea di Lawton,
faceva la sua prima fermata in calle B angolo 16. Per molto tempo la sua ultima
fermata fu in Neptuno, in un finco della Manzana de Gómez, di fronte all’hotel
Plaza e poi in Prado, angolo Virtudes.
Aborto
Sull’aborto a Cuba inquisisce da Jovellanos, Matanzas, María F.
Vasconcelos. Vorrebbe conoscere attorno alle origini di questa pratica
nell’Isola che “nonostante fosse illegale, si faceva in determinati luoghi, non
sempre da personale qualificato”, dice. Sfortunatamente non ho dati alla mano
sul tema. So, per sentito dire che si praticava in modo clandestino in alcune
istituzioni della salute. In esse si prestava servizio non solo alle cubane, ma
anche a qualche straniera, sopratutto nordamericana. Siccome queste cliniche
erano segnate sulle mappe della città, per le pazienti che venivano dall’estero
era facile giungervi dall’aeroporto. Queste istituzioni raccoglievano una parte
non indifferente dei loro ingressi in questo modo.
Lo praticavano anche, nei
loro studi privati, alcuni ostetrici chiamati allora chirurghi del parto. Molti
anni or sono conobbi uno di loro. Lavorava in una istituzione della Salute
Pubblica ed aveva il suo gabinetto privato. Più che un medico era un mercante.
Aveva due metodi per praticare l’aborto: con anestesia per chi pagava una somma
maggiore e senza anestesia che era più economico.
Vale la pena di ricordare
queste cose.
Il
monumento
Il collega Juan Morales,
corrispondente di Juventud rebelde a Las Tunas, da il suo apporto alla pagina che
col titolo Il messaggio a García, si
pubblicò in questo giornale lo scorso 1° novembre.
García scrive che nel
litorale di Manatí, sulla costa nord tunera, esiste un obelisco conosciuto
popolarmente per El Monumento. Aggiunge:
“È situato non lontano dalla riva, nella zona del Mono Ciego (Scimmia Cieca,
n.d.t.), vicino alla bocca del porto. Si tratta di un muro di calcestruzzo con
incastonata una targa di bronzo al centro, nella quale appare un altorilievo
del nostro scudo nazionale. Dice più in basso: ‘Alle 11 di sera del 5 maggio
del 1898, uscirono in una barca di 104 piedi cubi e 14 di lunghezza, in
direzione di Nassau, portando la risposta del Messaggio a García, il colonnello Enrique Collazo e il colonnello
Charles Hernández, accompagnati dai tenenti Emilio Márquez, Nicolás Balbuena,
il sergente José Romero e il tenente Andrew S. Rowan U.S.A.’ “, portatore del
messaggio del presidente nordamericano al maggior generale Calixto García.
Nella targa si rileva anche che fu eretto dall’U.S.S. Nokomis e la Manatí Sugar
Company, il 20 mggio del 1931. La storia de El Monumento, precisa Morales, è poco conosciuta.
Postino
della Rivoluzione
Sul Messaggio a García, scrive anche Alberto Debs Cardellà, storico di
Niquero. Nella sua lettera ricorda che un’ampio riferimento al tema si trova
nel foglietto Ensenada de Mora
postino, in Oriente, della Rivoluzione del ’95 e frutto dell’investigazione
storica realizzata da Manuel Sánchez Silveira, edito dalla stamperia El Arte,
di Manzanillo, nel 1951. Come si ricorderá il dottor Sánchez Silveira, medico,
è il padre di Celia Sánchez.
Debs Cardellá ricorda che il
messaggio in oriente si realizzava in un piccolo veliero chiamato El Mambí.
Gervaso Sabio era il suo timoniere e lo accompagnavano come marinai, Gregorio
Carnet e Pedro Naranjo che si conosceva, per la sua origine, come il
Venezuelano. Questa imbarcazione che era a vela e remi, rimase nel porto di
Niquero fino ai primi anni della decade del ’30, nel XX secolo.
Il veliero salpava da
Kingston o da qualsiasi porto del nord della Giamaica nelle ore del pomeriggio
e giungeva all’alba del giorno seguente all’ensenada de Mora. Poteva
trasportare 200 fucili, alcune casse di munizioni, lattine, indumenti, scarpe e
medicine: pubblicazioni e corrispondenza. Il suo timoniere sapeva che se veniva
catturato, gli spagnoli lo avrebbero passato per le armi. Per questo si faceva
sempre accompagnare da 20 libbre di dinamite per esplodere con la sua barca,
prima che lo imprigionassero.
Si ausiliava di piccioni
viaggiatori.
Tramite il tenente Rowan, il
presidete McKinley domandava a Calixto García se era disposto a collaborare
allo sbarco di truppe nordamericane a Cuba al fine di iniziare la guerra contro
la Spagna. Dopo lo sbarco, sei valorosi ufficiali cubani fecero da scorta a
Rowan fino a Bayamo, dove si trovava Calixto. Citando Sánchez Silveira, Debs
Cardellá dice: “Il generale García non aveva istruzioni del governo cubano a
questo rispetto così trascendentale e decise di far tornare il tenente Rowan a
Washington, accompagnato da una commissione presieduta dal generale Enrique
Collazo, perché consultasse il proposito americano con il rappresentante cubano
a New York, Tomás Estrada Palma.
Si deve far constare, senza
intollerabili suspicacie che il generale García non poteva fare una cos
migliore che rispedire Rowan nel Nord America, senza perdita di tempo, ebbene
la guerra degli Stati Uniti alla Spagna era già dichiarata. Il tenente
americano aveva compiuto in pieno la sua missione, intervistandosi col generale
Calixto García e non poteva accettare lo si portasse col Consiglio di Governo a
Camagüey traversando la selva, senza possibilità certa di ritornare negli Stati
Uniti. Non era la sua missione. Inoltre, il generale García che era in
relazione più diretta con l’emigrazione da dove otteneva notizie, conosceva
meglio del Consiglio l’imminente dichiarazione di guerra...La commissione
cubana che accompagnava Rowan non portava a Washington più istruzioni che
quella di intervistarsi con il rappresentante cubano Tomás Estrada Palma. Il
generale García compì in pieno, quello che c’era da aspettarsi dal suo dovere
di capo, senza ombra di aggravi per istituzioni o patrioti. Siccome la guerra
era già stata dichiarata ed era urgente procedere, si diresse al governo
cubano, dicendogli che mentre il governo decideva e ordinava, egli aveva dato
ordine di appoggio alle forze nordamericane. Com’era lontano il nostro gran
generale di pensare che i suoi entusiasmi patriottici e di cooperazione,
sarebbero stai pagati cono gli stivali yankee e non con la destra amica”.
De vuelta
Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
21 de Noviembre del 2015 21:04:12 CDT
Hace ya algún tiempo, al aludir a Osvaldo
Farrés, dije en esta página
que ese afamado compositor cubano había dedicado
a su madre la pieza
que lleva precisamente el título de Madrecita. El doctor Rafael
Borroto Chao, en desacuerdo con mi afirmación,
expresó que dicha
melodía, que hasta 1959 se cantaba hasta decir
no quiero más los días
de las madres, la inspiró no la
progenitora de Farrés, sino la madre
del presidente Carlos Prío Socarrás. El
escribidor consultó entonces
con Cristóbal Díaz Ayala, musicógrafo cubano
radicado en Puerto Rico,
y el autor de Cuando salí de La Habana y Música
cubana; del areíto al
rap, entre otros muchos títulos, corroboró lo dicho. Fue
la madre de
Farrés la que inspiró Madrecita, y no doña Regla
Socarrás. Así se lo
dijo a Díaz Ayala el propio compositor en una
entrevista.
Otro erudito de nuestra música, Gaspar
Marrero Pérez de Urría, autor
de Presencia
espirituana en la fonografía musical cubana, se asoma
ahora a la palestra para apuntalar lo expresado
por el escribidor.
Dice Gaspar Marrero en su mensaje electrónico:
«Leí tu referencia al bolero Madrecita, de
Osvaldo Farrés y me pareció
necesario hacerte llegar la transcripción de una
grabación especial
del sello Panart, que, según Díaz Ayala, aparece
sin código comercial
(es decir, sin número). El disco conserva, en
una de sus caras, ese
bolero interpretado por Fernando Albuerne con la
orquesta dirigida por
Enrique González Mántici y el trío de las
Hermanas Lago. En la otra,
usando fragmentos de la grabación anterior como
fondo, se escuchan
estas palabras en la voz del propio Osvaldo
Farrés que transcribo a
continuación:
«Madrecita: Esta canción está escrita para ti y
en esta inspiración
mía quiero refundir el cariño acendrado a todas
las madres del mundo,
por buena, por abnegada, por santa.
«Sean para ti estas frases nacidas en lo más
profundo de mi alma,
porque tú eres la encarnación suprema de todo lo
noble y de todo lo
grande que hay en el mundo.
«A ti acudimos siempre, cual cofre amoroso que
guarda todas nuestras
angustias, penas y alegrías. En nuestras
figuraciones, eres nuestro
recurso y consuelo. Y nuestra única verdad.
«Tu regazo materno y tu amor saben de todas las
ternuras y todos los
sacrificios. Como tu cariño, ninguno. Tú eres lo
realmente positivo en
la vida.
«Y ahora, escucha la última estrofa de mi
canción, nacida del corazón
de un hijo que tú sabes que jamás faltó al sagrado
deber de adorar a
su madre. En ella digo para ti lo que dedico con
todo mi corazón a las
madres del mundo. Óyela…». Finaliza Gaspar
Marrero su mensaje:
«Conservo copia digital de esa grabación, que
pongo a tu entera
disposición».
Tranvías
Ramón Fidalgo, oficial de las Reservas de las
Fuerzas Armadas, busca
información sobre las rutas de tranvías que
operaban en La Habana de
1922. Dice que ha buscado el dato en la
Biblioteca Nacional José Martí
y en el Archivo Nacional, y que el intento ha
sido infructuoso; en la
Biblioteca porque no aparecen los cinco
registros que sobre el tema
obran en sus fondos, y en el Archivo porque
parece no tener material
alguno al respecto.
En La Habana, algunos periódicos publicaban al
finalizar el año los
llamados almanaques. Lo hacía al menos el
diario El Mundo, que es el
que he visto. Se trataba de libros con abundante
información sobre las
boticas y sus días de guardia; las
personalidades cubanas y mundiales
fallecidas en el período, las sociedades
españolas radicadas en La
Habana, los grandes sucesos del año, las
compañías navieras y
ferrocarrileras y sus rutas, así como sus
tarifas, las tarifas
postales… En fin, entre otras cosas útiles o
curiosas, contaban con
secciones que incluían las rutas de
ómnibus y tranvías, y las
describían en detalle. Por ejemplo:
L-4. Lawton-parque central. Sale de San
Francisco y Diez de Octubre
con el siguiente recorrido:
En bajada, San Francisco, Avenida de Acosta,
Concepción, calle 16,
calle B, calle Octava, Concepción, Diez de
Octubre, Calzada de Monte,
San Joaquín, Infanta, San Rafael, Consulado. San
Miguel, Neptuno.
Monserrate.
En subida: Empedrado. Aguiar. Chacón,
Monserrate, Neptuno. Infanta.
Diez de Octubre hasta San Francisco.
Este tranvía sería con el tiempo el L-4 de los
Autobuses Modernos, y
más tarde la ruta 54, que todavía existe con un
recorrido muy cambiado
con relación al original. Hace, en bajada, su
parada final en el
parque de El Curita y sube por Zanja buscando
Infanta.
En los años 50, el L-4, ya autobús, se internaba
en La Habana Vieja, y
sorteando las dificultades del caso —calles
estrechas, personas y
vendedores ambulantes en la vía, carros
aparcados en las aceras,
camiones que descargan su mercancía frente a un
almacén…— llegaba a la
Plaza de Armas. Salía del paradero de Lawton,
tenía su primera parada
en calle B esquina a 16. Durante mucho tiempo su
parada final fue en
Neptuno, a un costado de la Manzana de Gómez,
frente al hotel Plaza, y
luego en Prado esquina a Virtudes.
Aborto
Sobre el aborto en Cuba inquiere, desde
Jovellanos, Matanzas, María F.
Vasconcelos. Quisiera conocer acerca de los
orígenes de esa práctica
en la Isla, «que aunque era ilegal, se hacía en
determinados lugares,
no siempre por personal calificado», dice.
Lamentablemente, no tengo datos a mano sobre el
tema. Sé, por
referencias, que se realizaba de manera
clandestina en algunas
instituciones de salud. En ellas se prestaba el
servicio no solo a
cubanas, sino a no pocas extranjeras, sobre
todo, norteamericanas.
Como esas clínicas estaban señalizadas en los
mapas de la ciudad, a
las pacientes que venían del exterior les era
fácil llegar a ellas
desde el aeropuerto. Esas instituciones
acopiaban una parte nada
desdeñable de sus ingresos por esa vía.
También la llevaban a cabo, en sus consultas
privadas, algunos
obstetras, llamados entonces cirujanos parteros.
Hace muchos años
conocí a uno de ellos. Trabajaba en una
institución de Salud Pública y
tenía su gabinete particular. Más que un médico
era un mercader. Tenía
dos métodos para acometer el aborto: con
anestesia, por el que cobraba
una cantidad mayor de dinero, y sin anestesia,
que era más barato.
Vale la pena recordar estas cosas.
El
monumento
El colega Juan Morales, corresponsal de
Juventud Rebelde en Las
Tunas, hace su aporte a la página que con el
título El mensaje a
García se publicó en este diario el pasado 1ro. de
noviembre.
Escribe Morales que en el litoral de Manatí, en
la costa norte tunera,
existe un obelisco conocido popularmente por El
Monumento. Añade:
«Está situado no lejos de la orilla, en la zona
de Mono Ciego, cerca
de la boca del puerto. Se trata de un muro de
hormigón con una tarja e di cooperazione
de bronce empotrada en su centro, en la cual
aparece un alto relieve
de nuestro escudo nacional. Dice más abajo: “A
las 11 de la noche del
5 de mayo de 1898 salieron de este lugar en un
bote de 104 pies
cúbicos y 14 de largo con dirección a Nassau
portando la contestación
del Mensaje a García, el coronel Enrique Collazo
y el coronel Charles
Hernández, acompañados de los tenientes Emilio
Márquez, Nicolás
Balbuena, el sargento José Romero y el teniente
Andrew S. Rowan
U.S.A.», portador del mensaje del Presidente
norteamericano al mayor
general Calixto García. En la tarja se consigna
asimismo que fue
erigido por el U.S.S Nokomis y la Manatí
Sugar Company, el 20 de mayo
de 1931. La historia de El Monumento, precisa
Morales, es poco
conocida.
Correo de la Revolución
Sobre el Mensaje a García escribe también
Alberto Debs Cardellá,
historiador de Niquero. Recuerda en su carta que
una amplia referencia
al tema se encuentra en el folleto Ensenada de
Mora, correo en Oriente
de la Revolución del 95, fruto de la
investigación histórica realizada
por Manuel Sánchez Silveira, editado por la
imprenta El Arte, de
Manzanillo en 1951. Como se recordará el doctor
Sánchez Silveira,
médico, es el padre de Celia Sánchez.
Recuerda Debs Cardellá que el correo de Oriente
se realizaba en un
pequeño velero llamado El Mambí. Gervasio Sabio
era su patrón y lo
acompañaban como marineros Gregorio Carnet y Pedro
Naranjo, a quien
por su origen se le conocía como el Venezolano.
Esta embarcación, que
era de vela y remos, estuvo en el puerto de
Niquero hasta los primeros
años de la década del 30 del siglo XX.
El velero zarpaba de Kinsgton o de cualquier
puerto del norte de
Jamaica en horas de la tarde y llegaba al
amanecer del día siguiente a
la ensenada de Mora. Podía transportar 200
rifles y algunas cajas de
municiones, laterías, ropa, zapatos y medicinas;
publicaciones y
correspondencia. Su patrón sabía que, de ser
capturado, los españoles
lo pasarían por las armas. Por eso se hacía
acompañar siempre por 20
libras de dinamita para volar con su bote antes
de que lo apresaran.
Se auxiliaba de palomas mensajeras.
A través del teniente Rowan, el presidente
McKinley preguntaba a
Calixto García si estaba dispuesto a colaborar
con el desembarco de
tropas norteamericanas en Cuba a fin de iniciar
la guerra contra
España. Tras el desembarco, seis valerosos
oficiales cubanos dieron
escolta a Rowan hasta Bayamo, donde se encontraba
Calixto. Citando a
Sánchez Silveira, dice Debs Cardellá: «El
general García no tenía
instrucciones del gobierno cubano a ese respecto
tan trascendental y
decidió hacer regresar al teniente Rowan a
Washington, acompañado por
una comisión presidida por el general Enrique
Collazo, para que
consultara el propósito americano con el
representante cubano en Nueva
York Tomás Estrada Palma».
«Hay que hacer constar, sin intolerables
suspicacias, que el general
García no podía hacer cosa más acertada que redespachar
a Rowan a
Norteamérica, sin pérdida de tiempo, pues ya
estaba declarada la
guerra a España por los Estados Unidos. El
teniente americano había
cumplido su misión a plenitud, entrevistándose
con el general Calixto
García y no podía aceptar se le llevase con el
Consejo de Gobierno en
Camagüey a través de la manigua, sin segura
posibilidad de regresar a
Estados Unidos. No era su misión. Además, el
general García que estaba
en relación más directa con la emigración de
donde obtenía noticias,
conocía mejor que el Consejo la inminente
declaración de guerra… La
comisión cubana que acompañaba a Rowan no
llevaba a Washington más
instrucciones que la de entrevistarse con el
representante cubano
Tomás Estrada Palma. El general García cumplió a
plenitud, lo que en
su deber de jefe era de esperarse, sin sombra de
agravios para
instituciones o patriotas. Como ya estaba
declarada la guerra y era
urgente proceder, se dirigió al gobierno cubano,
diciéndoles que
mientras el gobierno decidiera y ordenara, él
había dado órdenes de
apoyo a las fuerzas americanas. ¡Qué lejos
estaba nuestro gran
general, de pensar que sus entusiasmos
patrióticos y de cooperación,
serían pagados con la bota yanqui y no con la
diestra amiga!».
Ciro Bianchi Ross
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