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mercoledì 17 settembre 2014

Madrepora

MADREPORA: mamma indigente (Veneto)

martedì 16 settembre 2014

Madreperla

MADREPERLA: femminile di PADREPIRLA

Usciti i primi due numeri di La Nuova Replica, a Miami



Sono usciti e distribuiti, a Miami, i primi due numeri della rivista La Nueva Replica che il direttore ed editore Max Lesnick ha fatto resuscitare dalle ceneri de La Replica e dopo la chiusura dello spazio radiofonico di Radio-Miami.
La rivista contiene articoli molti interessanti per chi vuole conoscere meglio la Cuba di prima e attuale. L’aspetto culturale prevale su quello politico che , naturalmente non è occulto, ma non “pesa” più di tanto nel contenuto.

Per chi non può ottenere l’originale in carta stampata, c’è la versione digitale  che si può trovare al sito www.lanuevareplica.com



lunedì 15 settembre 2014

Il crimine dell'Almendares e altre risposte, di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud Rebelde del 14/9/14

Il lettore Rafael Rodríguez Muñiz, chiede con la sua posta elettronica che riferisca sul caso dell’omicidio della giovane polacca Sima Rabasky, una ragazza che apparve pugnalata ai margini del Río Almendares. Il fatto accadde durante la presidenza del dottor Ramón Grau San Martín (1944-48) e, commenta Rodríguez Muñiz, è un caso che gli è rimasto nella memoria. Egli era adolescente e qualcuno gli raccontò che aveva coinciso con Sima Rabasky nell’Istituto di Secondo Insegnamento dell’Avana.
Non si sono mai conosciuti il movente dell’omicidio né chi furono gli assassini. Dramma passionale, vendetta, estorsione, rapina? Lo chiede il lettore e gli piacerebbe sapere che opinione ha, lo scriba, sulla versione del fatto.
In una occasione, conversai di ciò con il mio amico giornalista e scrittore jaime Sarusky, deceduto in questa capitale da poco più di un anno. Egli conobbe Sima nel ristorante Moische Pipik, il miglior esercizio di cucina ebraica dell’Avana, sito nella calle Acosta al 211, in pieno quartiere ebreo. Mi disse che non la ricordava tanto bella come la stampa dell’epoca insisteva nel qualificarla, però molto vivace, altezzosa e provocante. Precisò che, secondo quello che si diceva allora, i genitori del fidanzato di Sima non la tolleravano: non possedeva un centesimo. I Bergman erano una famiglia agiata di Matanzas e si diceva anche che furono loro, magari riuscendovi, nel far si che le investigazioni del caso restassero nel maggior silenzio possibile. I fatti succedettero così.
Un meriggio, sotto il ponticello del Río Almendares nel Bosco dell’Avana, venne rinvenuta morta, con dieci pugnalate disseminate in tutto il corpo, una bella ragazza identificata, poi, come Sima Rabasky, di origine ebrea. Nel pomeriggio, molto vicino a questo luogo, apparve il cadavere del suo fidanzato lo studente, anch’egli ebreo, Jaime Bergman. Presentava una pugnalata precisa al cuore.
Omicidio suicidio? Doppio omicidio? Patto suicida? Per lunghe settimane la polemica non ebbe fine. Mentre le autorità svolgevano le investigazioni pertinenti, i principali giornali della capitale dedicavano intere pagine al fatto misterioso affondando in ogni dettaglio, per piccolo che fosse. I forensi non scartarono la possibilità di un omicidio-suicidio. Ma alcuni scommettevano sul doppio omicidio e altri vedevano il fatto come delitto passionale. Quando sembrava prevalere la prima tesi, nuovi elementi facevano pendere la bilancia per il doppio omicidio. Ma la morte di Jaime e Sima non si poté mai chiarire.

Lo statista senza Stato

Ile Diego A. Artiles richiede dati su Francisco de Arango y Parreño.
Questo avanero, nato nel 1765 e morto nel 1837, lo chiamarono lo statista senza Stato e fu l’eminenza grigia  della "saccarocrazia" creola. Fu accreditato dal il Comune dell’Avana presso la Corte spagnola, con solo 24  anni d’età; sindaco del Real Consulado de Agricultura, Industria y Comercio; redattore de El Papel Periódico, promotore e direttore de la Sociedad Económica de Amigos del País, consigliere delle Indie e deputato alle Corti fu, dice César García del Pino “il primo dei nostri economisti”.
Dedicò un’attenzione costante all’agricoltura. Il suo Discurso sobre la agricultura ben La Habana y medios de fomentarla (1792), segna una nuova tappa nel progresso economico di Cuba. Abbraccia un esteso piano di riforme che, messe in pratica in anni seguenti, furono la base della grandezza materiale dell’Isola. I suoi studi, i viaggi d’investigazione che intraprese per disposto ufficiale, in compagnia del Conde de Casa Montalvo, in Inghilterra, Francia e alcune delle loro colonie, si tradussero nel trapianto di nuovi metodi agricoli nel Paese, così come di macchinari e procedimenti di coltivazione, protezione e stimolo all’industria agraria e a difesa dei suoi prodotti.
Arango comprese che lo sviluppo dell’agricoltura aveva bisogno, come complemento, della libertà di commercio e consacrò il suo sforzo per conseguirla fino dal 1908 quando, come sindaco del Real Consulado presentò la sua informazione su “i mezzi che conviene proporre per togliere dagli affanni, in cui si trovano, l’agricoltura e il commercio dell’Isola”. Dieci anni dopo, quando Arango era già Consigliere delle Indie, la Spagna decretò il libero commercio tra i porti di Cuba con i mercati esteri, col quale scomparve il monopolio mercantile che la metropoli esercitò per secoli. Nella promulgazione di questo decreto, un ruolo importante lo disimpegnò l’intendente generale per l’Industria Alejandro Ramírez che non è solo il nome della strada che costeggia l’antica Quinta de Dependientes, ma uno degli uomini più utili dei suoi tempi.
Nei suoi ultimi anni, Arango, si mostrò partitario della soppressione del traffico di schiavi e suggerì un piano di emancipazione graduale al fine di dichiarare abolita la schiavitù. Rettificando così criteri anteriori che lo portavano a raccomandare la libera introduzione di schiavi e ad opporsi, nelle Cortes del 1813, al proposito di sopprimere la schiavitù. Nel 1816 conseguì la smonopolizzazione del tabacco.
La sua prosa è trasparente, senza condimenti, dice Max Enríquez Ureña. Sapeva essere eloquente nell’espressione a forza di sobrietà. L’importanza dei suoi scritti risiede, non nella forma, ma nella sua chiara visione dei problemi economici della sua patria. Più che uno scrittore fu uno statista. Alejandro de Humboldt lo qualificò come “statista eminente”. Tutto quello che ha scritto è raccolto nei due grossi volumi dal titolo Obras del Excmo. Señor Don Francisco de Arango y Parreño che si pubblicarono nel 1888 e tornarono a vedere la luce nel 1952 con il marchio della Direzione di Cultura del Ministero dell’Educazione, edizione che lo scriba racchiude fra i suoi libri di maggior valore.
Il già citato García del Píno scrive nel suo imprescindibile Mil criollos del síglo XIX; diccionario biográfico: “All’essere inviato in Spagna dai francesi, pretende di creare una Giunta come quelle create in altre province (colonie), quelle che condussero il nostro continente all’indipendenza, ma l’opposizione di elementi intransigenti, che probabilmente captarono le sue intenzioni, frustrarono la sua proposta”. A partire da quel momento i suoi nemici, gli avversari del suo modo di pensare e delle sue riforme, lo indicarono con il soprannome di ”indipendente”.
Nel 1824 respinse la nomina a Sovraindendente Generale d’Industria e l’anno successivo si ritirò dalla vita pubblica. Tre anni prima di morire, il Re spagnolo gli concesse il titolo di Sostenitore del Regno.

Di ritorno al Tropicana

Le pagine che lo scriba ha dedicato al Tropicana si sono ripercosse al di la dello sperato. Mi riferirò solo a due o tre dei messaggi ricevuti. Uno di questi lo invia lo storico José Quintas da Ciego de Ávila. Il messaggio ratifica, in ciò che scrive,  quello che ha detto Orlando F. Hernández Machado. Martin Fox Zamora, proprietario del Tropicana era oriundo di Matanzas; di Calimete, scrive Orlando. Di Calimete o Cárdenas, Quintas dice che nell’Archivio Storico Provinciale ha consultato un documento in cui si dice che Fox era “nativo di Matanzas”. Si tratta di una scrittura contenuta nel Fondo del Protocollo Notarile del citato Archivio e porta la data del 1° dicembre del 1943. Gia allora Fox risiedeva a Miramar, afferma Quintas.
Aggiunge che Fox fondò con Florentino Hernández Soler, alias Tino, una ricevitoria nella calle Marcial Gómez, entre República y Cuba che poi si trasferì nella centrale calle Independencia, entre Maceo y Simón Reyes (oggi l’edificio è compreso nel boulevard). L’esercizio fu battezzato come La Batallita, non come La Vallita e in questo lavorò Oscar Echemendia, un avileño che poi lo accompagnò al Tropicana e che fu uno dei suoi uomini di fiducia e menager del cabaret. Commenta che nel suo libro più recente - El hombre que nunca ríe: Edizioni Ávila 2013 – incluse una cronaca su Fox. S’intitola Todo comenzò en la Batallita.
Per finire, Quintas, riproduce la testimonianza di un anziano che fu dipendente del cafè Venus, ubicato molto vicino a La Batallita. Il vecchio cameriere ricordava: “Fox era un uomo generoso e servizievole, accorreva sempre al richiamo di vicini necessitati. Usava un profumo francese, un estratto dal nome tipo Narciso Blu o Narciso Negro, qualcosa di simile e quando arrivava al caffè a bersi la sua birra tedesca, sapevamo tutti che era vicino, di certo arrivava prima l’odore caratteristico del suo profumo”.
Orlando F. Hernández invia un messaggio esplosivo. Domanda allo scriba se sa chi sono le persone che perdettero più soldi nel casinò del Tropicana. Uno in una sola volta e l’altro negli anni.
In quanto al primo, lo scriba non ha potuto comprovare l’informazione che dice che fu il Re Carol di Romania. L’altro Santiago Rey, senatore della Repubblica; grausiano prima e batistiano poi, Ministro del Governo (Interni) di Batista. Nemmeno questa informazione si è potuta comprovare, ma non ci si può dimenticare che il soggetto era un giocatore compulsivo.
Carol è stato all’Avana, a quanto pare, più di una volta. Nel 1925 abdicò a favore di suo figlio Miguel, ancora bambino e partì per l’estero con la sua amante Magda Lupescu, figlia di un agiato commerciante di tessuti. Lasciava indietro anche sua moglie Elena, figlia del Re Costantino di Grecia. Si recò a parigi e mentre sognava l’Avana la realtà del suo Paese lo obbligò a tornare. Assunse il potere in qualità di reggente e sempre con Magda appresso, stipulò un;alleanza con la Germania nazista, ma tornò a fuggire. Con la sua amante giunse in Florida, fu a Nassau e da lì all’Avana dove, nell’hotel Nacional, visse una memorabile storia d’amore. Il suo Paese lo reclamò di nuovo. Stabilì in Romania un regime fascista. Si incontrò con Hitler e volle innalzarsi a mediatore del conflitto che si avvicinava fra il Reich e il blocco anglo-francese. Hitler lo tolse dal potere a scappellotti e con Magda, tornò a un esilio senza ritorno.
Stabilì la sua residenza a Lisbona. Viaggiò in America, soggiornò in Brasile e a balzi giunse all’Avana. Qui si incapricciò  del Tropicana e sempre secondo la versione del lettore Orlando F. Hernández, a cui lo scriba non controbatte, pretende di ottenerlo con una partita di baccarat. Intervengono, in una di queste partite, sei o sette giocatori. Il banco non gioca: prende una percentuale di quello che guadagna il vincitore. Ma quella fu una partita atipica, Un solo giocatore Carol II ex Re di Romania, contro il Tropicana. Se avesse vinto sarebbe rimasto proprietario locale. Nel tentativo perse un milione di dollari.


El crimen del Almendares y otras respuestas
Ciro Bianchi Ross * 
digital@juventudrebelde.cu
13 de Septiembre del 2014 18:22:37 CDT

El lector Rafael Rodríguez Muñiz pide en su correo electrónico que
refiera el caso del asesinato de la polaquita Sima Rasbasky, una
muchacha que apareció apuñalada en las márgenes del río Almendares. El
suceso ocurrió durante la presidencia del doctor Ramón Grau San Martín
(1944-48) y, comenta Rodríguez Muñiz, es un caso que ha permanecido en
su memoria. Él era adolescente y alguien le contó que había coincidido
con Sima Rasbasky en el Instituto de Segunda Enseñanza de La Habana.
Nunca se conoció el móvil del hecho ni se supo quiénes fueron los
asesinos. ¿Drama pasional, venganza, extorsión, escarmiento?, pregunta
el lector y dice que le gustaría saber la versión que el escribidor
tiene del asunto.
En una ocasión conversé sobre esto con mi amigo el narrador y
periodista Jaime Sarusky, fallecido en esta capital hace poco más de
un año. Él conoció a Sima en el restaurante Moische Pipik, el mejor
establecimiento de cocina judía de La Habana, sito en la calle Acosta
No. 211, en pleno barrio judío. Me dijo que no la recordaba tan linda
como la prensa de la época insistió en calificarla, pero sí muy viva,
presumida y coqueta. Precisó que, según se dijo entonces, los padres
del novio de Sima no la toleraban; no tenía un centavo. Los Bergman
eran una familia acaudalada de Matanzas y, se decía también, fueron
ellos los que insistían, y tal vez lograran, en que las
investigaciones sobre el caso quedaran en el mayor silencio posible.
Los hechos ocurrieron así.
Un mediodía, debajo de un puentecito del río Almendares, en el Bosque
de La Habana, fue hallada muerta, con diez puñaladas diseminadas por
todo el cuerpo, una bella joven identificada después como Sima
Rasbasky, de origen hebreo. Por la tarde, y muy cerca de ese sitio,
aparecía el cadáver de su novio, el estudiante, también hebreo, Jaime
Bergman. Presentaba una cuchillada certera en el corazón.
¿Homicidio-suicidio? ¿Doble homicidio? ¿Pacto suicida? Durante largas
semanas no cesó la polémica. Mientras las autoridades acometían las
investigaciones pertinentes, los principales diarios de la capital
dedicaban planas enteras al misterioso suceso y ahondaban en todos los
detalles, por pequeños que fueran. Los forenses no descartaron la
posibilidad de un homicidio-suicidio. Pero algunos apostaban por el
doble homicidio y otros conceptuaban el suceso como un crimen
pasional. Cuando parecía prevalecer la primera tesis, nuevos elementos
hacían que la balanza se inclinara por el doble homicidio. Pero la
muerte de Jaime y Sima no pudo esclarecerse nunca.

El estadista sin estado

Datos sobre Francisco de Arango y Parreño solicita el lector Diego A. Artiles.
A ese habanero nacido en 1765 y muerto en 1837 le llamaron el
estadista sin Estado y fue la eminencia gris de la sacarocracia
criolla. Apoderado del Ayuntamiento de La Habana en la Corte española,
con solo 24 años de edad; síndico del Real Consulado de Agricultura,
Industria y Comercio; redactor del Papel Periódico, promotor y
director de la Sociedad Económica de Amigos del País, consejero de
Indias y diputado a Cortes fue, dice César García del Pino, “el
primero de nuestros economistas”.
Dedicó una atención constante a la agricultura. Su Discurso sobre la
agricultura en La Habana y medios de fomentarla (1792) señala una
nueva etapa en el progreso económico de Cuba. Abarca un extenso plan
de reformas que puestas en práctica en años subsiguientes fueron la
base de la grandeza material de la Isla. Sus estudios y los viajes de
investigación que, por disposición oficial, emprendió, en compañía del
Conde de Casa Montalvo, por Inglaterra y Francia y algunas de sus
colonias, se tradujeron en la implantación de nuevos métodos agrícolas
en el país, así como de maquinaria y procedimientos de cultivo,
protección y estímulo a la industria agrícola y defensa de sus
productos.
Comprendió Arango que el desarrollo de la agricultura necesitaba como
complemento la libertad de comercio y a conseguirla consagró su
esfuerzo desde 1808 cuando, como síndico del Real Consulado, presentó
su informe sobre “los medios que conviene proponer para sacar a la
agricultura y el comercio de la Isla del apuro en que se hallan”. Diez
años después, cuando Arango era ya consejero de Indias, España decretó
el libre comercio de los puertos de Cuba con los mercados extranjeros,
con lo que desapareció el monopolio mercantil que la metrópoli ejerció
durante siglos. En la promulgación de ese decreto desempeñó un papel
importante el intendente general de Hacienda Alejandro Ramírez, que no
es solo el nombre de la calle que bordea la antigua Quinta de
Dependientes, sino uno de los hombres más útiles de su tiempo.
En sus últimos años Arango se mostró partidario de la supresión del
tráfico de esclavos y sugirió un plan de emancipación gradual a fin de
declarar abolida la esclavitud. Rectificaba así criterios anteriores
que lo llevaron a recomendar la libre introducción de esclavos y a
oponerse en las Cortes de 1813 al propósito de suprimir la esclavitud.
En 1816 consiguió el desestanco del tabaco.
Su prosa era transparente y sin aliños, dice Max Henríquez Ureña.
Sabía ser elocuente en la expresión a fuerza de sobriedad. La
importancia de sus escritos estriba, no en su forma, sino en su clara
visión de los problemas económicos de su patria. Más que un escritor
fue un estadista. De “estadista eminente” lo calificó Alejandro de
Humboldt. Todo lo que escribió está compilado en los dos gruesos
volúmenes que con el título de Obras del Excmo. Señor Don Francisco de
Arango y Parreño se publicaron en 1888 y volvieron a ver la luz en
1952 con el sello de la Dirección de Cultura del Ministerio de
Educación, edición que el escribidor atesora entre sus libros más
valiosos.
Escribe el ya aludido García del Pino en su imprescindible Mil
criollos del siglo XIX; diccionario biográfico: “Al ser invadida
España por los franceses, pretende crear una Junta como las creadas en
otras provincias (colonias) --las que condujeron en nuestro continente
a la independencia, pero la oposición de elementos intransigentes, que
quizá penetraron sus intenciones, frustraron su propuesta”. A partir
de ese momento, sus enemigos y los adversarios de su modo de pensar y
de sus reformas lo señalaron con el mote de “independiente”.
En 1824 rechazó el nombramiento de Superintendente General de Hacienda
y al año siguiente se retiró de la vida pública. Tres años antes de
morir, el Rey español le concedió el título de Prócer del Reino.

De vuelta a Tropicana

Las páginas que el escribidor dedicó a Tropicana repercutieron más
allá de lo esperado. Me referiré únicamente a dos o tres de los
mensajes recibidos. Uno de esos lo envía el historiador José Quintas
desde Ciego de Ávila. El mensaje ratifica lo que a quien esto escribe
dijo el lector Orlando F. Hernández Machado. Martín Fox Zamora,
propietario de Tropicana, era oriundo de Matanzas; de Calimete,
escribe Orlando. De Calimete o Cárdenas, dice Quintas quien en el
Archivo Histórico Provincial consultó un documento en el que se afirma
que Fox era “natural de Matanzas”. Se trata de una escritura que obra
en el Fondo de Protocolos Notariales del citado Archivo y tiene fecha
de 1ro. de diciembre de 1943. Ya para entonces Fox residía en Miramar,
afirma Quintas.
Añade que Fox fundó con Florentino Hernández Soler, alias Tino, una
colecturía en la calle Marcial Gómez, entre República y Cuba, que
luego se trasladó a la céntrica calle Independencia, entre Maceo y
Simón Reyes (hoy el edificio está enmarcado en el Bulevar). El
establecimiento fue bautizado como La Batallita, no La Vallita, y en
este trabajó Oscar Echemendía, un avileño que luego le acompañó a
Tropicana, y que fue uno de sus hombres de confianza y mánager del
cabaré. Comenta que en su libro más reciente --El hombre que nunca ríe;
Ediciones Ávila, 2013-- incluyó una crónica sobre Fox. Se titula Todo
comenzó en La Batallita.
Por último, Quintas reproduce el testimonio de un anciano que fue
dependiente del café Venus, ubicado muy cerca de La Batallita.
Recordaba el viejo camarero: “Fox era hombre generoso y servicial, que
acudía al reclamo de vecinos necesitados. Usaba un perfume francés,
extracto, de nombre algo así como Narciso Azul o Narciso Negro, y
cuando iba al café, a tomar su cerveza alemana, todos sabíamos que
estaba cerca, pues primero llegaba el olor característico de su
perfume”.
Orlando F. Hernández envía un mensaje que es un bombazo. Pregunta al
escribidor si sabe quiénes fueron los hombres que más dinero perdieron
en el casino de juego de Tropicana. Uno, de un solo golpe; otro, en el
transcurso de los años.
En cuanto al primero, y el escribidor no ha podido contrastar la
información, dice que es el rey Carol II, de Rumania. El otro,
Santiago Rey, senador de la República; grausista primero y batistiano
después, ministro de Gobernación (Interior) de Batista. Tampoco esta
información pudo ser contrastada, pero no puede olvidarse que el
sujeto era un jugador compulsivo.
Carol estuvo en La Habana, al parecer más de una vez. En 1925 abdicó a
favor de su hijo Miguel, un niño todavía, y salió al exterior con su
amante Magda Lupescu, hija de un acaudalado comerciante de tejidos.
Dejaba atrás también a su esposa Elena, hija del rey Constantino de
Grecia. Viajó a París y cuando soñaba con La Habana, la realidad de su
país lo obligó a volver. Asumió el poder en calidad de regente y,
siempre con Magda a cuestas, tranzó una alianza con la Alemania nazi,
pero volvió a fugarse. Con su amante, llegó a la Florida, viajó a
Nassau y de ahí a La Habana donde, en el Hotel Nacional, vivió una
memorable encerrona de amor. De nuevo su país lo reclamó. Implantó en
Rumania un régimen fascista. Se entrevistó con Hitler y quiso alzarse
como el mediador del conflicto que se avecinaba entre el Reich y el
bloque anglo-francés. Hitler lo sacó del poder a sombrerazos y, con
Magda, volvió a un exilio sin regreso.
Establece su residencia en Lisboa. Viaja a América, hace estancia en
Brasil y dando saltos llega a La Habana. Aquí se encapricha con
Tropicana y siempre, según la versión del lector Orlando F. Hernández
que el escribidor no contrastó, pretende ganarlo en una partida de
bacará. Intervienen en una de esas partidas seis o siete jugadores. El
banco no juega; coge un por ciento de lo que gana el triunfador. Pero
aquella fue una partida atípica. Un solo jugador, Carol II, ex rey de
Rumania, contra Tropicana. Si ganaba, se quedaba con el cabaré. Perdió
un millón de dólares en el intento.
        
Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
http://wwwcirobianchi.blogia.com/
http://cbianchiross.blogia.com/

domenica 14 settembre 2014

Macchinare

MACCHINARE: usare un mezzo meccanico

sabato 13 settembre 2014

Macaco

MACACO: ma evacuo

venerdì 12 settembre 2014

Una cena di classe e qualità all'Avana


Quello di doña Lilliam è uno dei “paladares” storici di Cuba. Aperto nel 1995 con le limitazioni dell’epoca, è andato consolidandosi nel tempo aprofittando delle modifiche che si sono succedute per le licenze di questo tipo di attività.
Ubicato nel cuore del Municipio Playa, nella calle 48 entre 13 e 15, in una splendida casa di stile coloniale del 1937, immersa in un giardino dalla vegetazione rigogliosa, tipica del Tropico. Giochi di acqua e fontanelle, arredamento d’epoca e originalissimi pezzi di modernariato che si fondono con l’antiquariato, specialmente nella parte dedicata all’abitazione che è un vero e proprio museo. Ho voluto rispettare la privacy di questa zona e non ho chiesto di poterla fotografare, anche se probabilmente me lo avrebbero concesso volentieri. Magari in futuro... in ogni caso la parte “pubblica” è comunque ricca di oggetti curiosi e/o dimenticati disseminati con buon gusto negli ampi spazi del giardino.
Si pranza dalle 12 alle 15 e si cena dall 19 in poi. La cena è accompagnata da una musica discreta, pezzi classici internazionali, eseguiti al piano da musicisti che si alternano nei vari giorni della settimana.
La qualità della cucina, curata direttamente dalla signora Lilliam è eccellente, così come il servizio, accurato e ricco di dettagli. Fra la clientela VIP, si possono citare, fra gli altri: Charles Aznavour, Beyoncè, Jimmy Carter, Michael Doulas e Sting mentre uno dei clienti abituali è il grande jazzista e fondatore del gruppo Irakere Chucho Valdés. Uno dei musicisti cubani più conosciuti e apprezzati internazionalmente.
La gradita sorpresa è che i prezzi sono assolutamente allineati a locali di livello anche di molto inferiore e quindi perfettamente ragionevoli un  pranzo o cena mediamente costa dai 20 ai 30 CUC con bevande tipo acqua minerale o birra, per i vini...dipende da cosa si beve. Una specialità della casa è il sushi di aragosta o gamberi e se si vuole provarlo, però, non bisogna arrivare troppo tardi...

Assolutamente da consigliare durante un soggiorno all’Avana.

Lussureggiante

LUSSUREGGIANTE: vive in modo estremamente agiato

giovedì 11 settembre 2014

Turismo nautico a Cuba

Turismo nelle acque cubane
Pubblicato da TTC


Marina Marlin Cienfuegos, Cuba.
Cuba offre ampie opportunità per lo sviluppo del turismo nautico, una pratica che sta diventando sempre più importante e ricca di seguaci su quel pezzo di terra circondato dal Mar dei Caraibi.
Per questo il Grupo Empresarial de Náuticas y Marinas Marlin è responsabile di fornire al turista una varietà di offerte che consentono il massimo divertimento mentre ci si gode questo gioiello naturale che è il Mar dei Caraibi.
Immersioni, pesca, escursioni, vita a bordo, attività in spiaggia e tutti i tipi di avventure marittime sono alcune delle attività pensate per i visitatori per godere delle bellissime spiagge, fondali, isolotti corallini, flora e fauna marina in modo completamente organizzato secondo le esigenze del viaggiatore.
Il mondo subacqueo che ci circonda
Il Gruppo Marlin possiede 21 centri Internazionali di Immersioni che permettono di conoscere la biodiversità e l’abbondante ricchezza marina che costituiscono i fondali dell’isola.
Di rilievo tra queste strutture La Aguja nel residenziale Marina Hemingway a L’Avana; il Barracuda a Varadero, lo Shark’s Friends a St. Lucia; e Cayo Largo nell’arcipelago dei Canarreos.
Ogni centro offre corsi per principianti e per esperti subacquei secondo le condizioni tecniche stabilite per legge a livello internazionale per la pratica di questa attività.
I migliori esemplari
La pesca sportiva è un’altra specialità del gruppo imprenditoriale, che propone modalità di pesca al fly, pesca d’altura, con la capacità di catturare esemplari selezionati come il Castero, la Aguja Blanca, il pesce vela, il Dorado e il Peto, e la pesca sul fondo che cerca di bilanciare le abilità del pescatore con le possibilità di fuga dalla loro prede.
In questa sezione si distinguono due importanti tornei internazionali che includono il Torneo Internazionale della Pesca della Aguja Ernest Hemingway, che in questi giorni festeggia la sua 64a edizione; e il Torneo di Pesca Jardines del Rey.
Vivere in mare
Proprio questa è un’altra delle offerte di Marinas Marlin che propone di godersi la natura marina cubana in escursioni di una settimana o più giorni a bordo di comode imbarcazioni con equipaggio esperto e la libertà di scegliere la destinazione.
Altre offerte sono i Seafaris: passeggiate lungo la costa cubana, attività ricreative, i pranzi dei marinai nei Cayos della nazione caraibica e la pratica dello snorkeling.



Lupa

LUPA: a.s. Roma

mercoledì 10 settembre 2014

Luogotenente

LUOGOTENENTE: proprietario di uno spazio

martedì 9 settembre 2014

Loculo

LOCULO: il posteriore

Quando il turismo si specializza

Una serie di proposte di ECOTUR, per quessto scorcio del 2014 e per il prossimo anno, per un turismo nella natura e a rispetto della natura, oltre alla tradizionale asta di purosangue da salto:

Lente al Agua – un concorso internazionale di fotografia subacquea che si svolgerà nella Riserva della Biosfera della Ciénaga de Zapata dall11 al 15 dicembre 2014

Sexto remate élite – La ormai tradizionale asta di cavalli purosangue da salto che si terrà al Club Ecuestre de La Habana dal 29 al 31 gennaio 2015

2do Concurso Foto al Vuelo – anche questo nella Riserva della Biosfera della Ciénaga de Zapata, dedicato alla foto delle specie di uccelli endemici e non di Cuba, dal 23 al 27 di febbraio del 2015

Turnat – seminario dedicato al Turismo Naturalistico, dedicato ai professionisti del settore, ma non solo. Pínar del Río, settembre 2015 (data precisa non ancora specificata).

Per informazioni e adesioni si può chiedere a:

LatitudCuba - Centro de Negocios de Miramar - Ave 3ra 

entre 76 y 78, Edificio Santa Clara of. 120 B - La Habana

Telef.: +53-7-2144882  o  +53-5-2792358


lunedì 8 settembre 2014

Del Pabellón, El Gato e altri luoghi, di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud Rebelde del 7/9/14


Cosa c’era all’angolo di 23 e N, prima che vi si costruisse il Pabellón Cuba? Si sa che questo edificio che coniuga, dicono gli specialisti,  una grande semplicità formale con una elegante monumentalità si costruì nel 1963, si giunge alla conclusione che l’area che occupa fu uno degli ultimi spazi liberi della Rampa avanera. Probabilmente l’ultimo.
Chiamata così per la sua accentuata inclinazione, si aprì in un batter d’occhio da quando, nel 1947, si inaugura il teatro Warner (attuale cinema Yara) e l’anno seguente l’edificio Radio Centro. Non si tardò a edificare l’edificio Ambar Motors (attuale Ministero del Commercio Estero), destinato allora a uffici e sedi dei distributori, a Cuba, delle automobili Cadillac, Oldsmobile e Chevrolet e dove, inoltre, si installarono gli studi del Canale 2 della TV e una scuola di croupiers per le sale da gioco...
Questi immobili furono situati ai due estremi della Rampa e in marciapiedi opposti, cosa che dette impulso allo sviluppo della zona. A partire da lì e in meno di dieci anni vi si costruì una quantità di edifici  per abitazione, commercio, uffici, agenzie di pubblicità e luoghi di divertimento che diventa impossibile, per ragioni di spazio descriverli in dettaglio. Si dice che uno dei modi di misurare l’attività commerciale di una zona è col numero di agenzie bancarie stabilite nella stessa. Non meno di otto uffici centrali e succursali si stabilirono nella Rampa e altre tre, che rimasero senza spazio, lo fecero nelle strade adiacenti. La Rampa fu anche il miracolo del commercio avanero. Nonostante la gente fosse abituata ad uscire per acquisti in strade sostanzialmente pianeggianti i cui portici proteggevano dal sole e dalla pioggia, niente di ciò vi era sulla Rampa e ciò nonostante si impose.
La calle 23 che si tracciònel 1862 e si chiamò Paseo de Medína, dal contrattista di opere pubbliche dello stesso nome, che risiedeva di fronte a quello che con l’andare del tempo sarebbe stato il cinmena Riviera, arrivava fino alla calle M. La calzada de Infanta era in terra battuta a partire da San Lázaro. Nel 1916, durante il Governo del generale Menocal    si pavimentò Infanta e la 23 si estese fino a questa calzada. Le costruzioni, senza dubbio, non proliferarono nella zona, caratterizzata da anfratti e fosse che bordeggiavano la strada. Crepe di tale grandezza, ancora visibili in alcuni posti, che dopo la mareggiata del 9 settembre del 1919 una famiglia che era uscita in automobile per osservare i disastri causati dal fenomeno, cadde in una di queste e fu impossibile riscattarla con vita.
Per anni, solo poche edificazioni si impadronirono di quella che sarà la Rampa. La sede dell’agenzia Ford e il cabaret Hollywood, dove successivamente si costruirà l’edificio per il Ministero dell’Agricoltura e la casa del’ex presidente Carlos Manuel de Céspedes, figlio del Padre della Patria, in 23 e M. Di fronte, attraversando la M, la funeraria Caballero che ra stata fondata nel 1857 nella calle Concordia e cercò questa nuova ubicazione. Di fronte a lei, attraversando la 23, l’edificio Alaska.
L’hotel Habana Hilton, rinominato Libre, non esistì fino al 1958. L’isolato dov’è situato, compreso fra le calles L, M, 23 e 25 che era un buco, lo occupava un parco di divertimento per bambini con veri pony. In 25 e L si trovava la casa del dottor Kurie, dove viveva Raúl Roa, suo genero. Quando si volle iniziare la costruzione dell’albergo, il Sindacato dei Lavoratori Gastronomici, che ne sarebbe stato il proprietario, dovette pagare una fortuna alla vedova di Céspedes. Se lei non vendeva, non ci sarebbe stato albergo.
Attraversando la L
La calle L allora era a doppio senso di circolazione. Nello spazio non costruito a fianco del cine Yara, ebbe la sua residenza il generale Alberto Herrera, capo di Stato Maggiore dell’Esercito cubano tra il 1922 e il 12 agosto del 1933, data della caduta della dittatura di Machado che sostituì per alcune ore alla presidenza della Repubblica prima di rifugiarsi nell’hotel Nacional e abbandonare il Paese sotto la protezione dell’ambasciatore nordamericano. La casa di Herrera fu demolita nel 1954 con l’intenzione di costruire un edificio che non fu mai eretto. Fu demolita anche, ed oggi è un parcheggio, la casa del comandante Rogerio Zayas Bazán, ministro del Governo (Interni) di Machado, morto nel 1932 in un duello irregolare nelle vicinanze del ponte di Pote, all’entrata di Miramar.
Di fronte al Yara, dove si costruì la gelateria Coppelia, c’era l’ospedale Reina Mercedes. Si chiamò così per la moglie del re Alfonso XII di Spagna, trisnonno dell’attuale re Felipe VI. Mercedes morì poco dopo del matrimonio e la sua morte dette luogo, a Madrid, a un poemetto che è giunto fino ad oggi: “Dove vai Alfonso XII?/ dove vai così triste?/Vado in cerca di Mercedes/che ieri nel pomeriggio ho perduto”. Nonostante il dolore della perdita Alfonso XII si risposò. L’ospedale diventò allora Nuestra Señora de las Mercedes, ma gli avaneri terminarono chiamandolo semplicemente Mercedes. Funzionò fino a metà degli anni ’50, quando si costruì l’ospedale che si chiamerà Fajardo.
I suoi terreni che costarono 7.000 pesos nel 1886, si vendettero poi per quasi 300.000. Una compagnia costruttrice si impegnò a edificarvi un albergo di 500 stanze. La vittoria della Rivoluzione troncò il progetto e nello spazio del demolito ospedale Mercedes si costruì il Parco INIT – Istituto Nazionale dell’Industria Turistica -  un centro ricreativo con palco galleggiante, bar, caffetteria, ristorante per 500 commensali e il cabaret Nocturnal. Così giunse l’anno 1966. Si dice che in un congresso celebrato nell’hotel Habana Libre, sorse l’iniziativa di convertire la zona ricreativa in questione in uno spazio più silenzioso e famigliare. Fu così che qualcuno propose l’idea della gelateria. Quando l’architetto Mario Girona seppe che gli si era affidata l’esecuzione del progetto, si sentì smarrito. Si voleva una cosa familiare, ma quella gelateria con oltre mille coperti, sarebbe stato un esercizio troppo grande.
Dicono, e lo scriba non ha potuto comprovarlo, che dove si ubicò il Pabellón Cuba c’era una piccola rivendita di tamales (involtini di mais ripieni, n.d.t.) e altri piatti leggeri a cuis i accdeva dalla calle 21. In solo 70 giorni, l’architetto Juan Campos edificò questa costruzione aperta alla brezza e alla prospettiva, una sfida all’architettura dove le leggere pendenze avanzano verso la vegetazione. Siostruì in occasione della celebrazione all’Avana del VII Congresso dell’Unione Internazionale degli Architetti. A partire da lì, accoglierà altri eventi, la Prima Mostra della Cultura Cubana, nel 1967; poi l’importante Salone di Maggio che portò a Cuba, da Parigi, ciò che nel mondo si faceva nelle arti plastiche.
Ci sono cambi evidenti nella zona. Il locale che fu dell’Agricoltura è, da molti anni, il Ministero del Lavoro, l’edificio Alaska non esiste più: è un parcheggio e la Funeraria Caballero, che nel 1968 si convertì in uno splendido centro culturale, è una dipendenza della Televisione. Quello che fu il centro commerciale della Rampa alloggia ufici di agenzie di viaggio e compagnie di aviazione.
In cerca del Gato Tuerto  (orbo, n.d.t.)
I bohemiens dicono che la notte più lunga dell’Avana si passa al gato Tuerto, il bar ristorante della calle O, quasi di fronte all’hotel Nacional, nel Vedado. Asseriscono che per risvegliarsi, l’Avana, aspetti che  El Gato chiuda le sue porte. Perché non c’è altro posto nell’Isola che si impegni tanto per perpetuare le notti. Come ci riesce? Il narratore Hugo Luìs Sánchez dice: “Il segreto consiste nella combinazione di un ristorante al piano superiore dell’edificio, col meglio della cucina internazionale e cubana, con un cafè concerto nel pianterreno. All’uscita il contorno del Malecón, scelto dagli avaneri per giurarsi, sul suo ampio muro, l’amore vero”.
Tropicana, Montmartre o Sans Soucí presentavano produzioni tanto fastose che non avevano niente da invidiare  alle migliori di Parigi. L’intensità delle notti avanere e la qualità dei suoi spettacoli avevano raggiunto di ubicare la città fra le più importanti del mondo se di divertimenti di ogni tipo e di vita mondana si trattava. Tra il 1957 e 1958 i cabaret di lusso avaneri sperimentarono un autentico momento di splendore. In poco tempo, davanti allo sguardo attonito della città si costruirono, nel Vedado, gli hotels Habana Riviera, Capri e Habana Hilton, tre grandi e sontuosi esercizi. In Galiano e Malecón, il Deauville, aprì le sue porte il 17 luglio del 1958 e altrettanto succedeva nella città di Santa Clara nel centro del paese, con l’apertura nel gennaio 1957, del cabaret Venecia e il suo elegante casinò.
Nel febbraio del 1959 Nat Kahn, gerente dell’hotel Riviera dichiarava: “Tre nuovi alberghi di lusso furono fattori decisivi per strappare la clientela alla Florida”. Col gioco legalizzato, come attrazione principale, l’Avana ebbe la sua miglior stagione turistica tra il 1957 e il 1958.
I cabaret chiamati di “seconda” – Ali Bar, Sierra, Alloy, Las Vegas...- costituivano ulteriori opzioni alla notte avanera. Nonostante non ci fossero, in questi, grandi produzioni, presentavano uno spettacolo di varietà e una o due figure importanti. Contvano anche di una nutrita clientela i cabaret della Playa de Marianao, per natura molto più popolari.
I grandi cabarte, anche di seconda o terza, rappresentavano comunque una certa tradizione bohemienne. Giusto al finale degli anni 50 cominciano a sorgere, guarda caso nelle prossimità della Rampa, piccoli locali che rompono un poco con questa notte che si sta facendo convenzionale. Senza tanto lusso e senza utilizzare riviste musicali, l’ambiente intimo e disinvolto, proprio di questi luoghi, permetteva di godere della esibizione spontanea di un gruppo musicale o della voce di Elena Burke, diciamo, con Frank Domínguez o Meme Solís al piano.
Così, a metà del 1960, nell’hotel Saint John’s cominciano a programmarsi esibizioni con la partecipazione di Doris de la Torre, Elena Burke e Frank Dominguez, Pacho Alonso, Felo Bergaza, Dandy Crawford e il duo Rné e Nelia, fra le altre figure della moda feeling.
Ma il grande avvenimento fu l’apertura, il 31 agosto di quell’anno, de El Gato Tuerto, idea di  Felito Ayón, un a nimale notturno che fu colui che ideò e diede nome alla Bodeguita del Medio. Si restaurò e decorò la grande casa della calle O. Quadri di Amelia (Pelaéz, n.d.t.), Mariano (Rodríguez, n.d.t.), Martínez Pedro, Tapía Ruano, Aberto Falcón e Acosta León pendevano dalle pareti di questo luogo, già di fatto diverso, dove c’era luce sufficiente per  o scrivera e dove si poteva arrivare alle sei del pomeriggio senza molto o nessun protocollo. Lì c’erano esposizioni di pittura e vendita di libri o dischi. Nicolás Guillén era un visitatore frequente. Anche il narratore argentino Julio Cortázar durante i suoi soggiorni cubani e i giovani di allora, come Miguel Barnet. Godevano delle rappresentazioni di Elena con Frank Domínguez come accompagnatore al piano, Miguel de Gonzalo, Meme Solís, Doris de la Torre, Maggi Prior e il duo Las Capellas, Miriam Acevedo cantava e recitava  poemi di Virgilio Piñera. Anche se non si sa se altri poeti lo fecero, si conserva un disco di Nicolás Guillén letti dalla sua voce che porta il timbro delle Edizioni Gato Tuerto.
È passato il tempo. Sono trascorsi già 54 anni dall’apertura del Gato Tuerto. Ma l’ambiente continua ad essere quello di sempre. 

Del Pabellón, El Gato y otros lugares

Ciro Bianchi Ross * digital@juventudrebelde.cu
6 de Septiembre del 2014 20:32:00 CDT

¿Qué hubo en la esquina de 23 y N antes de que se construyera allí el Pabellón Cuba? Cuando se conoce que ese edificio que conjuga, dicen los especialistas, una gran sencillez formal con una elegante monumentalidad, se construyó en 1963, se llega a la conclusión de que el área que ocupa fue uno de los últimos espacios yermos de la Rampa habanera. Tal vez el último.
Llamada así por su acentuada inclinación, se edificó en un abrir y cerrar de ojos desde que en 1947 se inaugurara el teatro Warner (actual cine Yara) y al año siguiente el edificio Radio Centro. No tardó en construirse el edificio Ámbar Motors (actual Ministerio del Comercio Exterior), destinado entonces a oficinas y sede de los distribuidores en Cuba de los automóviles Cadillac, Oldsmobile y Chevrolet, y donde se instalaron además los estudios del Canal 2 de la TV, y una escuela de dealers para casinos de juego...
Fueron esos inmuebles, situados en los dos extremos de la Rampa y en aceras opuestas, los que impulsaron el desarrollo de la zona. A partir de esos y en menos de diez años se construyeron allí tal cantidad de edificios para viviendas, comercios, oficinas, agencias de publicidad y lugares de esparcimiento que resulta imposible, por razones de espacio, detallarlos. Se dice que una de las formas de medir la actividad comercial de una zona es por el número de agencias bancarias establecidas en ella. No menos de ocho oficinas centrales y sucursales de bancos se asentaron en la Rampa, y otras tres, que no alcanzaron espacio, lo hicieron en calles aledañas. La Rampa fue también el milagro del comercio habanero. Porque la gente se había acostumbrado a salir de compras por calles sustancialmente planas y cuyos portales protegían del sol y de la lluvia. Nada de eso había en la Rampa y aun así se impuso.
La calle 23, que se trazó en 1862 y se llamó Paseo de Medina, por el contratista de obras públicas de ese nombre que tenía su residencia frente a lo que andando el tiempo sería el cine Riviera, llegaba hasta la calle M. La calzada de Infanta era de tierra a partir de San Lázaro. En 1916, durante el Gobierno del general Menocal, se pavimentó Infanta y 23 se extendió hasta esa calzada. Las construcciones, sin embargo, no proliferaron en la zona, caracterizada por las furnias y oquedades que bordeaban la calle. Simas de tal magnitud, todavía visibles en algunos lugares, que, tras el ras de mar del 9 de septiembre de 1919 una familia que había salido en automóvil a observar los destrozos del meteoro, cayó en una de esas y fue imposible rescatarla con vida.
Durante años solo unas pocas edificaciones se señorearon en lo que sería la Rampa. La sede de la agencia Ford y el cabaret Hollywood, donde después se construiría el edificio para el Ministerio de Agricultura, y la casa del ex presidente Carlos Manuel de Céspedes, hijo del Padre de la Patria, en 23 y M. Frente, cruzando M, la funeraria Caballero, que se había fundado en 1857 en la calle Concordia y buscó esa nueva ubicación. Y frente a ella, cruzando 23, el edificio Alaska.
El hotel Habana Hilton, sobrenombrado Libre, no existió hasta 1958. La manzana donde está situado, enmarcada por las calle L, M, 23 y 25, y que era un hueco, la ocupaba un parque de diversiones para niños, con caballitos de verdad. En 25 y L se hallaba la casa del doctor Kurie, en la que vivía Raúl Roa, su yerno. Cuando se quiso acometer la construcción del hotel, el Sindicato de los Trabajadores Gastronómicos, que era su propietario, tuvo que darle una fortuna a la viuda de Céspedes. Si ella no vendía, no había hotel.

Cruzando L
La calle L era entonces de doble sentido. En el espacio no construido que queda al lado del cine Yara, tuvo su residencia el general Alberto Herrera, jefe del Estado Mayor del Ejército cubano entre 1922 y el 12 de agosto de 1933, fecha de la caída de la dictadura de Machado, a quien sustituyó por unas horas en la presidencia de la República antes de refugiarse en el Hotel Nacional y abandonar el país bajo el amparo del embajador norteamericano. La casa de Herrera fue demolida en 1954, con la intención de construir allí un edificio que nunca se ejecutó.
También se demolió, y es ahora un parqueo, la casa del comandante Rogerio Zayas Bazán, ministro de Gobernación (Interior) de Machado, muerto en 1932 en un duelo irregular en las inmediaciones del puente de Pote, a la entrada de Miramar.
Frente al Yara, donde se construyó la heladería Coppelia, estuvo el hospital Reina Mercedes. Se llamó así por la esposa del rey Alfonso XII, de España, tatarabuelo del actual rey Felipe VI. Mercedes murió poco después del matrimonio. Su muerte dio pie, en el Madrid de aquellos días, a un poemita que llega hasta hoy. “¿Dónde vas Alfonso XII? / ¿Dónde vas, triste de ti? / Voy en busca de Mercedes, / que ayer tarde la perdí”. Pese al dolor de la pérdida, Alfonso volvió a casarse. El hospital pasó a ser entonces Nuestra Señora de las Mercedes, pero los habaneros terminaron llamándolo Mercedes a secas.
Funcionó hasta mediados de los años 50, cuando se construyó el hospital que se llamaría Fajardo.
Sus terrenos, que en 1886 costaron 7 000 pesos, se vendieron entonces en casi 300 000. Una compañía constructora se empeñó en edificar allí un hotel de 500 habitaciones. El triunfo de la Revolución tronchó el proyecto, y en el espacio del demolido hospital Mercedes se construyó el Parque INIT --Instituto Nacional de la Industria Turística-- un centro recreativo con escenario flotante, bar, cafetería y restaurante para 500 comensales y el cabaret Nocturnal. Llegó así el año de 1966.
Se dice que de un congreso celebrado en el hotel Habana Libre surgió la iniciativa de convertir la zona recreativa en cuestión en un espacio más silencioso y familiar. Y fue así que alguien precisó la idea de la heladería. Cuando el arquitecto Mario Girona se enteró de que se le había confiado la ejecución del proyecto, se sintió anonadado. Se quería una cosa familiar, pero aquella heladería de mil capacidades, pensó, sería un establecimiento demasiado grande.
Dicen, y el escribidor no ha podido comprobarlo, que donde se ubica el Pabellón Cuba hubo un pequeño expendio de tamales y otros platos ligeros al que se accedía desde la calle 21. En solo 70 días, el arquitecto Juan Campos emplazó esa edificación abierta a la brisa y a la perspectiva; un alarde de arquitectura aérea donde las suaves pendientes avanzan hacia la vegetación. Se construyó con motivo de la celebración en La Habana del VII Congreso de La Unión Internacional de Arquitectos. A partir de ahí acogería, entre otros eventos, la Primera Muestra de la Cultura Cubana, en 1967; y luego, el importante Salón de Mayo, que trajo a Cuba desde París lo que en el mundo se hacía en el campo de las artes plásticas.
Hay cambios evidentes en la zona. El local que fue de Agricultura es, desde muchos años, del Ministerio del Trabajo, el edificio Alaska no existe; es un parqueo, y la Funeraria Caballero, que en 1968 se convirtió en un espléndido centro cultural, es una dependencia de la Televisión. Lo que fue el centro comercial la Rampa aloja oficinas de agencias de viaje y compañías de aviación.

En busca del Gato Tuerto

Dicen los bohemios y los faranduleros que la noche más larga de La Habana transcurre en El Gato Tuerto, el bar-restaurante de la calle O, casi enfrente del Hotel Nacional, en el Vedado. Aseguran que, para amanecer, La Habana espera a que El Gato cierre sus puertas. Porque no existe otro sitio en la Isla que se empecine tanto como este para perpetuar las noches. ¿Cómo lo logra? Dice el narrador Hugo Luis
Sánchez: “El secreto radica en la combinación de un restaurante en los altos del establecimiento, con lo mejor de la cocina internacional y cubana, y un café concert en los bajos. A la salida, el entorno del Malecón, escogido por los habaneros para, sobre su ancho muro, jurarse amor del bueno”.
Tropicana, Montmartre o Sans Souci presentaban producciones tan fastuosas que nada tenían que envidiarles a las mejores de París. La intensidad de la noche habanera y la calidad de sus espectáculos habían conseguido ubicar a la ciudad entre las más importantes del mundo si de diversiones de todo tipo y vida mundana se trataba. Entre
1957 y 1958 los cabarets de lujo habaneros experimentaron un auténtico momento de esplendor. En corto tiempo y ante la atónita mirada de la ciudad, se edificaron en el Vedado los hoteles Habana Riviera, Capri y Habana Hilton, tres grandes y suntuosos establecimientos. En Galiano y Malecón, el Deauville abrió sus puertas el 17 de julio de 1958 y otro tanto acontecía en la ciudad de Santa Clara, en el centro del país, con la apertura en enero de 1957 del cabaret Venecia y su elegante casino.
En febrero de 1959, declaraba Nat Kahn, gerente del hotel Riviera:
“Tres nuevos hoteles de lujo en La Habana fueron factores decisivos para arrebatarle la clientela a la Florida”. Con el juego legalizado como atracción principal, La Habana tuvo su mejor temporada turística entre 1957 y 1958.
Los cabarets denominados de segunda --Ali Bar, Sierra, Alloy, Las
Vegas...-- constituían otras de las opciones de la noche habanera. Aunque no había en estos grandes producciones, presentaban un espectáculo variado y una o dos figuras importantes. Contaban también con una nutrida clientela los cabarets de la famosa Playa de Marianao, de naturaleza mucho más popular.
Los grandes cabarets, y también los de segunda y tercera, representaban una bohemia con cierta tradición. Justo a finales de la década de los 50 comienzan a surgir, sin embargo, en las proximidades de la Rampa, pequeños locales que rompen un poco con esa noche que va haciéndose convencional. Sin demasiado lujo y sin acudir a revistas musicales, el ambiente íntimo y desenfadado propio de estos lugares, permitía disfrutar de la descarga espontánea de un combo o la voz de Elena Burke, digamos, con Frank Domínguez o Meme Solís al piano.
Así, a mediados de 1960, en el hotel St. John's comienzan a programarse descargas con la participación de Doris de la Torre, Elena Burke y Frank Domínguez, Pacho Alonso, Felo Bergaza, Dandy Crawford y el dúo René y Nelia, entre otras figuras de la onda feeling.
Pero el gran acontecimiento fue la apertura, el 31 de agosto de ese año, de El Gato Tuerto, idea de Felito Ayón, un animal de la noche que fue quien ideó y dio nombre a La Bodeguita del Medio. Se remozó y decoró la vieja casona de la calle O. Cuadros de Amelia, Mariano, Martínez Pedro, Tapia Ruano, Alberto Falcón y Acosta León colgaban de las paredes de ese lugar, ya de hecho distinto, donde había luz suficiente para leer o escribir y al que se podía llegar a las seis de la tarde sin demasiado protocolo o sin protocolo. Había allí exposiciones de pintura y venta de libros y discos. Nicolás Guillén era visita frecuente. También el narrador argentino Julio Cortázar durante sus estancias cubanas, y los jóvenes de entonces, como Miguel Barnet. Se disfrutaban las presentaciones de Elena con Frank Domínguez como pianista acompañante, Miguel de Gonzalo, Meme Solís, Doris de la Torre, Maggi Prior y el dúo Las Capellas. Miriam Acevedo cantaba y recitaba poemas de Virgilio Piñera. Aunque se desconoce si otros poetas también lo hicieron, se conserva un disco de poemas de Nicolás Guillén dichos en su voz que lleva el sello de Ediciones Gato Tuerto.
Ha pasado el tiempo. Transcurrieron ya 54 años desde la apertura de El Gato Tuerto. El ambiente sigue siendo el de siempre.

Ciro Bianchi Ross