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mercoledì 17 settembre 2014
martedì 16 settembre 2014
Usciti i primi due numeri di La Nuova Replica, a Miami
Sono usciti e distribuiti, a Miami, i primi due numeri della rivista La Nueva Replica che il direttore ed editore Max Lesnick ha fatto resuscitare dalle ceneri de La Replica e dopo la chiusura dello spazio radiofonico di Radio-Miami.
La rivista contiene articoli molti interessanti per chi vuole conoscere meglio la Cuba di prima e attuale. L’aspetto culturale prevale su quello politico che , naturalmente non è occulto, ma non “pesa” più di tanto nel contenuto.
Per chi non può ottenere l’originale in carta stampata, c’è la versione digitale che si può trovare al sito www.lanuevareplica.com
lunedì 15 settembre 2014
Il crimine dell'Almendares e altre risposte, di Ciro Bianchi Ross
Pubblicato su Juventud Rebelde del 14/9/14
Il lettore Rafael
Rodríguez Muñiz, chiede con la sua posta elettronica che riferisca sul caso
dell’omicidio della giovane polacca Sima Rabasky, una ragazza che apparve
pugnalata ai margini del Río Almendares. Il fatto accadde durante la presidenza
del dottor Ramón Grau San Martín (1944-48) e, commenta Rodríguez Muñiz, è un
caso che gli è rimasto nella memoria. Egli era adolescente e qualcuno gli
raccontò che aveva coinciso con Sima Rabasky nell’Istituto di Secondo
Insegnamento dell’Avana.
Non si sono mai
conosciuti il movente dell’omicidio né chi furono gli assassini. Dramma
passionale, vendetta, estorsione, rapina? Lo chiede il lettore e gli piacerebbe
sapere che opinione ha, lo scriba, sulla versione del fatto.
In una occasione,
conversai di ciò con il mio amico giornalista e scrittore jaime Sarusky,
deceduto in questa capitale da poco più di un anno. Egli conobbe Sima nel
ristorante Moische Pipik, il miglior esercizio di cucina ebraica dell’Avana,
sito nella calle Acosta al 211, in pieno quartiere ebreo. Mi disse che non la
ricordava tanto bella come la stampa dell’epoca insisteva nel qualificarla,
però molto vivace, altezzosa e provocante. Precisò che, secondo quello che si
diceva allora, i genitori del fidanzato di Sima non la tolleravano: non
possedeva un centesimo. I Bergman erano una famiglia agiata di Matanzas e si
diceva anche che furono loro, magari riuscendovi, nel far si che le
investigazioni del caso restassero nel maggior silenzio possibile. I fatti
succedettero così.
Un meriggio, sotto il
ponticello del Río Almendares nel Bosco dell’Avana, venne rinvenuta morta, con
dieci pugnalate disseminate in tutto il corpo, una bella ragazza identificata,
poi, come Sima Rabasky, di origine ebrea. Nel pomeriggio, molto vicino a questo
luogo, apparve il cadavere del suo fidanzato lo studente, anch’egli ebreo,
Jaime Bergman. Presentava una pugnalata precisa al cuore.
Omicidio suicidio?
Doppio omicidio? Patto suicida? Per lunghe settimane la polemica non ebbe fine.
Mentre le autorità svolgevano le investigazioni pertinenti, i principali
giornali della capitale dedicavano intere pagine al fatto misterioso affondando
in ogni dettaglio, per piccolo che fosse. I forensi non scartarono la
possibilità di un omicidio-suicidio. Ma alcuni scommettevano sul doppio
omicidio e altri vedevano il fatto come delitto passionale. Quando sembrava
prevalere la prima tesi, nuovi elementi facevano pendere la bilancia per il
doppio omicidio. Ma la morte di Jaime e Sima non si poté mai chiarire.
Lo statista senza Stato
Ile Diego A. Artiles
richiede dati su Francisco de Arango y Parreño.
Questo avanero, nato
nel 1765 e morto nel 1837, lo chiamarono lo statista senza Stato e fu l’eminenza
grigia della "saccarocrazia" creola. Fu
accreditato dal il Comune dell’Avana presso la Corte spagnola, con solo 24 anni d’età; sindaco del Real Consulado de
Agricultura, Industria y Comercio; redattore de El Papel Periódico, promotore e
direttore de la Sociedad Económica de Amigos del País, consigliere delle Indie
e deputato alle Corti fu, dice César García del Pino “il primo dei nostri
economisti”.
Dedicò un’attenzione
costante all’agricoltura. Il suo Discurso
sobre la agricultura ben La Habana y medios de fomentarla (1792), segna una
nuova tappa nel progresso economico di Cuba. Abbraccia un esteso piano di
riforme che, messe in pratica in anni seguenti, furono la base della grandezza
materiale dell’Isola. I suoi studi, i viaggi d’investigazione che intraprese
per disposto ufficiale, in compagnia del Conde de Casa Montalvo, in
Inghilterra, Francia e alcune delle loro colonie, si tradussero nel trapianto
di nuovi metodi agricoli nel Paese, così come di macchinari e procedimenti di
coltivazione, protezione e stimolo all’industria agraria e a difesa dei suoi
prodotti.
Arango comprese che
lo sviluppo dell’agricoltura aveva bisogno, come complemento, della libertà di
commercio e consacrò il suo sforzo per conseguirla fino dal 1908 quando, come
sindaco del Real Consulado presentò la sua informazione su “i mezzi che
conviene proporre per togliere dagli affanni, in cui si trovano, l’agricoltura
e il commercio dell’Isola”. Dieci anni dopo, quando Arango era già Consigliere
delle Indie, la Spagna decretò il libero commercio tra i porti di Cuba con i
mercati esteri, col quale scomparve il monopolio mercantile che la metropoli
esercitò per secoli. Nella promulgazione di questo decreto, un ruolo importante
lo disimpegnò l’intendente generale per l’Industria Alejandro Ramírez che non è
solo il nome della strada che costeggia l’antica Quinta de Dependientes, ma
uno degli uomini più utili dei suoi tempi.
Nei suoi ultimi anni,
Arango, si mostrò partitario della soppressione del traffico di schiavi e
suggerì un piano di emancipazione graduale al fine di dichiarare abolita la
schiavitù. Rettificando così criteri anteriori che lo portavano a raccomandare
la libera introduzione di schiavi e ad opporsi, nelle Cortes del 1813, al
proposito di sopprimere la schiavitù. Nel 1816 conseguì la smonopolizzazione
del tabacco.
La sua prosa è
trasparente, senza condimenti, dice Max Enríquez Ureña. Sapeva essere eloquente
nell’espressione a forza di sobrietà. L’importanza dei suoi scritti risiede,
non nella forma, ma nella sua chiara visione dei problemi economici della sua
patria. Più che uno scrittore fu uno statista. Alejandro de Humboldt lo
qualificò come “statista eminente”. Tutto quello che ha scritto è raccolto nei
due grossi volumi dal titolo Obras del
Excmo. Señor Don Francisco de Arango y Parreño che si pubblicarono nel 1888
e tornarono a vedere la luce nel 1952 con il marchio della Direzione di Cultura
del Ministero dell’Educazione, edizione che lo scriba racchiude fra i suoi
libri di maggior valore.
Il già citato García
del Píno scrive nel suo imprescindibile Mil
criollos del síglo XIX; diccionario biográfico: “All’essere inviato in
Spagna dai francesi, pretende di creare una Giunta come quelle create in altre
province (colonie), quelle che condussero il nostro continente
all’indipendenza, ma l’opposizione di elementi intransigenti, che probabilmente
captarono le sue intenzioni, frustrarono la sua proposta”. A partire da quel
momento i suoi nemici, gli avversari del suo modo di pensare e delle sue
riforme, lo indicarono con il soprannome di ”indipendente”.
Nel 1824 respinse la
nomina a Sovraindendente Generale d’Industria e l’anno successivo si ritirò
dalla vita pubblica. Tre anni prima di morire, il Re spagnolo gli concesse il
titolo di Sostenitore del Regno.
Di ritorno al Tropicana
Le pagine che lo
scriba ha dedicato al Tropicana si sono ripercosse al di la dello sperato. Mi
riferirò solo a due o tre dei messaggi ricevuti. Uno di questi lo invia lo
storico José Quintas da Ciego de Ávila. Il messaggio ratifica, in ciò che
scrive, quello che ha detto Orlando F.
Hernández Machado. Martin Fox Zamora, proprietario del Tropicana era oriundo di
Matanzas; di Calimete, scrive Orlando. Di Calimete o Cárdenas, Quintas dice che
nell’Archivio Storico Provinciale ha consultato un documento in cui si dice che
Fox era “nativo di Matanzas”. Si tratta di una scrittura contenuta nel Fondo
del Protocollo Notarile del citato Archivio e porta la data del 1° dicembre
del 1943. Gia allora Fox risiedeva a Miramar, afferma Quintas.
Aggiunge che Fox
fondò con Florentino Hernández Soler, alias Tino, una ricevitoria nella calle
Marcial Gómez, entre República y Cuba che poi si trasferì nella centrale calle
Independencia, entre Maceo y Simón Reyes (oggi l’edificio è compreso nel boulevard).
L’esercizio fu battezzato come La Batallita, non come La Vallita e in questo
lavorò Oscar Echemendia, un avileño che poi lo accompagnò al Tropicana e che fu
uno dei suoi uomini di fiducia e menager del cabaret. Commenta che nel suo
libro più recente - El hombre que nunca
ríe: Edizioni Ávila 2013 – incluse una cronaca su Fox. S’intitola Todo comenzò en la Batallita.
Per finire, Quintas,
riproduce la testimonianza di un anziano che fu dipendente del cafè Venus,
ubicato molto vicino a La Batallita. Il vecchio cameriere ricordava: “Fox era
un uomo generoso e servizievole, accorreva sempre al richiamo di vicini
necessitati. Usava un profumo francese, un estratto dal nome tipo Narciso Blu o
Narciso Negro, qualcosa di simile e quando arrivava al caffè a bersi la sua
birra tedesca, sapevamo tutti che era vicino, di certo arrivava prima l’odore
caratteristico del suo profumo”.
Orlando F. Hernández
invia un messaggio esplosivo. Domanda allo scriba se sa chi sono le persone che
perdettero più soldi nel casinò del Tropicana. Uno in una sola volta e l’altro
negli anni.
In quanto al primo,
lo scriba non ha potuto comprovare l’informazione che dice che fu il Re Carol
di Romania. L’altro Santiago Rey, senatore della Repubblica; grausiano prima e
batistiano poi, Ministro del Governo (Interni) di Batista. Nemmeno questa
informazione si è potuta comprovare, ma non ci si può dimenticare che il
soggetto era un giocatore compulsivo.
Carol è stato
all’Avana, a quanto pare, più di una volta. Nel 1925 abdicò a favore di suo
figlio Miguel, ancora bambino e partì per l’estero con la sua amante Magda
Lupescu, figlia di un agiato commerciante di tessuti. Lasciava indietro anche
sua moglie Elena, figlia del Re Costantino di Grecia. Si recò a parigi e mentre
sognava l’Avana la realtà del suo Paese lo obbligò a tornare. Assunse il potere
in qualità di reggente e sempre con Magda appresso, stipulò un;alleanza con la
Germania nazista, ma tornò a fuggire. Con la sua amante giunse in Florida, fu a
Nassau e da lì all’Avana dove, nell’hotel Nacional, visse una memorabile storia
d’amore. Il suo Paese lo reclamò di nuovo. Stabilì in Romania un regime
fascista. Si incontrò con Hitler e volle innalzarsi a mediatore del conflitto
che si avvicinava fra il Reich e il blocco anglo-francese. Hitler lo tolse dal
potere a scappellotti e con Magda, tornò a un esilio senza ritorno.
Stabilì la sua
residenza a Lisbona. Viaggiò in America, soggiornò in Brasile e a balzi giunse
all’Avana. Qui si incapricciò del
Tropicana e sempre secondo la versione del lettore Orlando F. Hernández, a cui
lo scriba non controbatte, pretende di ottenerlo con una partita di baccarat.
Intervengono, in una di queste partite, sei o sette giocatori. Il banco non
gioca: prende una percentuale di quello che guadagna il vincitore. Ma quella fu
una partita atipica, Un solo giocatore Carol II ex Re di Romania, contro il
Tropicana. Se avesse vinto sarebbe rimasto proprietario locale. Nel tentativo perse
un milione di dollari.
El crimen del Almendares y otras respuestas
Ciro Bianchi Ross * digital@juventudrebelde.cu
13 de Septiembre del 2014 18:22:37 CDT
El lector Rafael Rodríguez Muñiz pide en su correo electrónico que
refiera el caso del asesinato de la polaquita Sima Rasbasky, una
muchacha que apareció apuñalada en las márgenes del río Almendares. El
suceso ocurrió durante la presidencia del doctor Ramón Grau San Martín
(1944-48) y, comenta Rodríguez Muñiz, es un caso que ha permanecido en
su memoria. Él era adolescente y alguien le contó que había coincidido
con Sima Rasbasky en el Instituto de Segunda Enseñanza de La Habana.
Nunca se conoció el móvil del hecho ni se supo quiénes fueron los
asesinos. ¿Drama pasional, venganza, extorsión, escarmiento?, pregunta
el lector y dice que le gustaría saber la versión que el escribidor
tiene del asunto.
En una ocasión conversé sobre esto con mi amigo el narrador y
periodista Jaime Sarusky, fallecido en esta capital hace poco más de
un año. Él conoció a Sima en el restaurante Moische Pipik, el mejor
establecimiento de cocina judía de La Habana, sito en la calle Acosta
No. 211, en pleno barrio judío. Me dijo que no la recordaba tan linda
como la prensa de la época insistió en calificarla, pero sí muy viva,
presumida y coqueta. Precisó que, según se dijo entonces, los padres
del novio de Sima no la toleraban; no tenía un centavo. Los Bergman
eran una familia acaudalada de Matanzas y, se decía también, fueron
ellos los que insistían, y tal vez lograran, en que las
investigaciones sobre el caso quedaran en el mayor silencio posible.
Los hechos ocurrieron así.
Un mediodía, debajo de un puentecito del río Almendares, en el Bosque
de La Habana, fue hallada muerta, con diez puñaladas diseminadas por
todo el cuerpo, una bella joven identificada después como Sima
Rasbasky, de origen hebreo. Por la tarde, y muy cerca de ese sitio,
aparecía el cadáver de su novio, el estudiante, también hebreo, Jaime
Bergman. Presentaba una cuchillada certera en el corazón.
¿Homicidio-suicidio? ¿Doble homicidio? ¿Pacto suicida? Durante largas
semanas no cesó la polémica. Mientras las autoridades acometían las
investigaciones pertinentes, los principales diarios de la capital
dedicaban planas enteras al misterioso suceso y ahondaban en todos los
detalles, por pequeños que fueran. Los forenses no descartaron la
posibilidad de un homicidio-suicidio. Pero algunos apostaban por el
doble homicidio y otros conceptuaban el suceso como un crimen
pasional. Cuando parecía prevalecer la primera tesis, nuevos elementos
hacían que la balanza se inclinara por el doble homicidio. Pero la
muerte de Jaime y Sima no pudo esclarecerse nunca.
El estadista sin estado
Ciro Bianchi Ross * digital@juventudrebelde.cu
13 de Septiembre del 2014 18:22:37 CDT
El lector Rafael Rodríguez Muñiz pide en su correo electrónico que
refiera el caso del asesinato de la polaquita Sima Rasbasky, una
muchacha que apareció apuñalada en las márgenes del río Almendares. El
suceso ocurrió durante la presidencia del doctor Ramón Grau San Martín
(1944-48) y, comenta Rodríguez Muñiz, es un caso que ha permanecido en
su memoria. Él era adolescente y alguien le contó que había coincidido
con Sima Rasbasky en el Instituto de Segunda Enseñanza de La Habana.
Nunca se conoció el móvil del hecho ni se supo quiénes fueron los
asesinos. ¿Drama pasional, venganza, extorsión, escarmiento?, pregunta
el lector y dice que le gustaría saber la versión que el escribidor
tiene del asunto.
En una ocasión conversé sobre esto con mi amigo el narrador y
periodista Jaime Sarusky, fallecido en esta capital hace poco más de
un año. Él conoció a Sima en el restaurante Moische Pipik, el mejor
establecimiento de cocina judía de La Habana, sito en la calle Acosta
No. 211, en pleno barrio judío. Me dijo que no la recordaba tan linda
como la prensa de la época insistió en calificarla, pero sí muy viva,
presumida y coqueta. Precisó que, según se dijo entonces, los padres
del novio de Sima no la toleraban; no tenía un centavo. Los Bergman
eran una familia acaudalada de Matanzas y, se decía también, fueron
ellos los que insistían, y tal vez lograran, en que las
investigaciones sobre el caso quedaran en el mayor silencio posible.
Los hechos ocurrieron así.
Un mediodía, debajo de un puentecito del río Almendares, en el Bosque
de La Habana, fue hallada muerta, con diez puñaladas diseminadas por
todo el cuerpo, una bella joven identificada después como Sima
Rasbasky, de origen hebreo. Por la tarde, y muy cerca de ese sitio,
aparecía el cadáver de su novio, el estudiante, también hebreo, Jaime
Bergman. Presentaba una cuchillada certera en el corazón.
¿Homicidio-suicidio? ¿Doble homicidio? ¿Pacto suicida? Durante largas
semanas no cesó la polémica. Mientras las autoridades acometían las
investigaciones pertinentes, los principales diarios de la capital
dedicaban planas enteras al misterioso suceso y ahondaban en todos los
detalles, por pequeños que fueran. Los forenses no descartaron la
posibilidad de un homicidio-suicidio. Pero algunos apostaban por el
doble homicidio y otros conceptuaban el suceso como un crimen
pasional. Cuando parecía prevalecer la primera tesis, nuevos elementos
hacían que la balanza se inclinara por el doble homicidio. Pero la
muerte de Jaime y Sima no pudo esclarecerse nunca.
El estadista sin estado
Datos sobre Francisco de Arango y Parreño solicita el lector Diego A. Artiles.
A ese habanero nacido en 1765 y muerto en 1837 le llamaron el
estadista sin Estado y fue la eminencia gris de la sacarocracia
criolla. Apoderado del Ayuntamiento de La Habana en la Corte española,
con solo 24 años de edad; síndico del Real Consulado de Agricultura,
Industria y Comercio; redactor del Papel Periódico, promotor y
director de la Sociedad Económica de Amigos del País, consejero de
Indias y diputado a Cortes fue, dice César García del Pino, “el
primero de nuestros economistas”.
Dedicó una atención constante a la agricultura. Su Discurso sobre la
agricultura en La Habana y medios de fomentarla (1792) señala una
nueva etapa en el progreso económico de Cuba. Abarca un extenso plan
de reformas que puestas en práctica en años subsiguientes fueron la
base de la grandeza material de la Isla. Sus estudios y los viajes de
investigación que, por disposición oficial, emprendió, en compañía del
Conde de Casa Montalvo, por Inglaterra y Francia y algunas de sus
colonias, se tradujeron en la implantación de nuevos métodos agrícolas
en el país, así como de maquinaria y procedimientos de cultivo,
protección y estímulo a la industria agrícola y defensa de sus
productos.
Comprendió Arango que el desarrollo de la agricultura necesitaba como
complemento la libertad de comercio y a conseguirla consagró su
esfuerzo desde 1808 cuando, como síndico del Real Consulado, presentó
su informe sobre “los medios que conviene proponer para sacar a la
agricultura y el comercio de la Isla del apuro en que se hallan”. Diez
años después, cuando Arango era ya consejero de Indias, España decretó
el libre comercio de los puertos de Cuba con los mercados extranjeros,
con lo que desapareció el monopolio mercantil que la metrópoli ejerció
durante siglos. En la promulgación de ese decreto desempeñó un papel
importante el intendente general de Hacienda Alejandro Ramírez, que no
es solo el nombre de la calle que bordea la antigua Quinta de
Dependientes, sino uno de los hombres más útiles de su tiempo.
En sus últimos años Arango se mostró partidario de la supresión del
tráfico de esclavos y sugirió un plan de emancipación gradual a fin de
declarar abolida la esclavitud. Rectificaba así criterios anteriores
que lo llevaron a recomendar la libre introducción de esclavos y a
oponerse en las Cortes de 1813 al propósito de suprimir la esclavitud.
En 1816 consiguió el desestanco del tabaco.
Su prosa era transparente y sin aliños, dice Max Henríquez Ureña.
Sabía ser elocuente en la expresión a fuerza de sobriedad. La
importancia de sus escritos estriba, no en su forma, sino en su clara
visión de los problemas económicos de su patria. Más que un escritor
fue un estadista. De “estadista eminente” lo calificó Alejandro de
Humboldt. Todo lo que escribió está compilado en los dos gruesos
volúmenes que con el título de Obras del Excmo. Señor Don Francisco de
Arango y Parreño se publicaron en 1888 y volvieron a ver la luz en
1952 con el sello de la Dirección de Cultura del Ministerio de
Educación, edición que el escribidor atesora entre sus libros más
valiosos.
Escribe el ya aludido García del Pino en su imprescindible Mil
criollos del siglo XIX; diccionario biográfico: “Al ser invadida
España por los franceses, pretende crear una Junta como las creadas en
otras provincias (colonias) --las que condujeron en nuestro continente
a la independencia, pero la oposición de elementos intransigentes, que
quizá penetraron sus intenciones, frustraron su propuesta”. A partir
de ese momento, sus enemigos y los adversarios de su modo de pensar y
de sus reformas lo señalaron con el mote de “independiente”.
En 1824 rechazó el nombramiento de Superintendente General de Hacienda
y al año siguiente se retiró de la vida pública. Tres años antes de
morir, el Rey español le concedió el título de Prócer del Reino.
De vuelta a Tropicana
Las páginas que el escribidor dedicó a Tropicana repercutieron más
allá de lo esperado. Me referiré únicamente a dos o tres de los
mensajes recibidos. Uno de esos lo envía el historiador José Quintas
desde Ciego de Ávila. El mensaje ratifica lo que a quien esto escribe
dijo el lector Orlando F. Hernández Machado. Martín Fox Zamora,
propietario de Tropicana, era oriundo de Matanzas; de Calimete,
escribe Orlando. De Calimete o Cárdenas, dice Quintas quien en el
Archivo Histórico Provincial consultó un documento en el que se afirma
que Fox era “natural de Matanzas”. Se trata de una escritura que obra
en el Fondo de Protocolos Notariales del citado Archivo y tiene fecha
de 1ro. de diciembre de 1943. Ya para entonces Fox residía en Miramar,
afirma Quintas.
Añade que Fox fundó con Florentino Hernández Soler, alias Tino, una
colecturía en la calle Marcial Gómez, entre República y Cuba, que
luego se trasladó a la céntrica calle Independencia, entre Maceo y
Simón Reyes (hoy el edificio está enmarcado en el Bulevar). El
establecimiento fue bautizado como La Batallita, no La Vallita, y en
este trabajó Oscar Echemendía, un avileño que luego le acompañó a
Tropicana, y que fue uno de sus hombres de confianza y mánager del
cabaré. Comenta que en su libro más reciente --El hombre que nunca ríe;
Ediciones Ávila, 2013-- incluyó una crónica sobre Fox. Se titula Todo
comenzó en La Batallita.
Por último, Quintas reproduce el testimonio de un anciano que fue
dependiente del café Venus, ubicado muy cerca de La Batallita.
Recordaba el viejo camarero: “Fox era hombre generoso y servicial, que
acudía al reclamo de vecinos necesitados. Usaba un perfume francés,
extracto, de nombre algo así como Narciso Azul o Narciso Negro, y
cuando iba al café, a tomar su cerveza alemana, todos sabíamos que
estaba cerca, pues primero llegaba el olor característico de su
perfume”.
Orlando F. Hernández envía un mensaje que es un bombazo. Pregunta al
escribidor si sabe quiénes fueron los hombres que más dinero perdieron
en el casino de juego de Tropicana. Uno, de un solo golpe; otro, en el
transcurso de los años.
En cuanto al primero, y el escribidor no ha podido contrastar la
información, dice que es el rey Carol II, de Rumania. El otro,
Santiago Rey, senador de la República; grausista primero y batistiano
después, ministro de Gobernación (Interior) de Batista. Tampoco esta
información pudo ser contrastada, pero no puede olvidarse que el
sujeto era un jugador compulsivo.
Carol estuvo en La Habana, al parecer más de una vez. En 1925 abdicó a
favor de su hijo Miguel, un niño todavía, y salió al exterior con su
amante Magda Lupescu, hija de un acaudalado comerciante de tejidos.
Dejaba atrás también a su esposa Elena, hija del rey Constantino de
Grecia. Viajó a París y cuando soñaba con La Habana, la realidad de su
país lo obligó a volver. Asumió el poder en calidad de regente y,
siempre con Magda a cuestas, tranzó una alianza con la Alemania nazi,
pero volvió a fugarse. Con su amante, llegó a la Florida, viajó a
Nassau y de ahí a La Habana donde, en el Hotel Nacional, vivió una
memorable encerrona de amor. De nuevo su país lo reclamó. Implantó en
Rumania un régimen fascista. Se entrevistó con Hitler y quiso alzarse
como el mediador del conflicto que se avecinaba entre el Reich y el
bloque anglo-francés. Hitler lo sacó del poder a sombrerazos y, con
Magda, volvió a un exilio sin regreso.
Establece su residencia en Lisboa. Viaja a América, hace estancia en
Brasil y dando saltos llega a La Habana. Aquí se encapricha con
Tropicana y siempre, según la versión del lector Orlando F. Hernández
que el escribidor no contrastó, pretende ganarlo en una partida de
bacará. Intervienen en una de esas partidas seis o siete jugadores. El
banco no juega; coge un por ciento de lo que gana el triunfador. Pero
aquella fue una partida atípica. Un solo jugador, Carol II, ex rey de
Rumania, contra Tropicana. Si ganaba, se quedaba con el cabaré. Perdió
un millón de dólares en el intento.
Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
http://wwwcirobianchi.blogia.com/
http://cbianchiross.blogia.com/
domenica 14 settembre 2014
sabato 13 settembre 2014
venerdì 12 settembre 2014
Una cena di classe e qualità all'Avana
Quello di doña Lilliam è uno dei “paladares” storici di Cuba. Aperto nel 1995 con le limitazioni dell’epoca, è andato consolidandosi nel tempo aprofittando delle modifiche che si sono succedute per le licenze di questo tipo di attività.
Ubicato nel cuore del Municipio Playa, nella calle 48 entre 13 e 15, in una splendida casa di stile coloniale del 1937, immersa in un giardino dalla vegetazione rigogliosa, tipica del Tropico. Giochi di acqua e fontanelle, arredamento d’epoca e originalissimi pezzi di modernariato che si fondono con l’antiquariato, specialmente nella parte dedicata all’abitazione che è un vero e proprio museo. Ho voluto rispettare la privacy di questa zona e non ho chiesto di poterla fotografare, anche se probabilmente me lo avrebbero concesso volentieri. Magari in futuro... in ogni caso la parte “pubblica” è comunque ricca di oggetti curiosi e/o dimenticati disseminati con buon gusto negli ampi spazi del giardino.
Si pranza dalle 12 alle 15 e si cena dall 19 in poi. La cena è accompagnata da una musica discreta, pezzi classici internazionali, eseguiti al piano da musicisti che si alternano nei vari giorni della settimana.
La qualità della cucina, curata direttamente dalla signora Lilliam è eccellente, così come il servizio, accurato e ricco di dettagli. Fra la clientela VIP, si possono citare, fra gli altri: Charles Aznavour, Beyoncè, Jimmy Carter, Michael Doulas e Sting mentre uno dei clienti abituali è il grande jazzista e fondatore del gruppo Irakere Chucho Valdés. Uno dei musicisti cubani più conosciuti e apprezzati internazionalmente.
La gradita sorpresa è che i prezzi sono assolutamente allineati a locali di livello anche di molto inferiore e quindi perfettamente ragionevoli un pranzo o cena mediamente costa dai 20 ai 30 CUC con bevande tipo acqua minerale o birra, per i vini...dipende da cosa si beve. Una specialità della casa è il sushi di aragosta o gamberi e se si vuole provarlo, però, non bisogna arrivare troppo tardi...
Assolutamente da consigliare durante un soggiorno all’Avana.
giovedì 11 settembre 2014
Turismo nautico a Cuba
Turismo nelle
acque cubane
Marina Marlin Cienfuegos, Cuba.
Cuba offre ampie opportunità per lo sviluppo del turismo nautico, una
pratica che sta diventando sempre più importante e ricca di seguaci su quel
pezzo di terra circondato dal Mar dei Caraibi.
Per questo il Grupo Empresarial de Náuticas y Marinas Marlin è responsabile di fornire al turista una varietà di offerte che consentono il massimo divertimento mentre ci si gode questo gioiello naturale che è il Mar dei Caraibi.
Immersioni, pesca, escursioni, vita a bordo, attività in spiaggia e tutti i tipi di avventure marittime sono alcune delle attività pensate per i visitatori per godere delle bellissime spiagge, fondali, isolotti corallini, flora e fauna marina in modo completamente organizzato secondo le esigenze del viaggiatore.
Per questo il Grupo Empresarial de Náuticas y Marinas Marlin è responsabile di fornire al turista una varietà di offerte che consentono il massimo divertimento mentre ci si gode questo gioiello naturale che è il Mar dei Caraibi.
Immersioni, pesca, escursioni, vita a bordo, attività in spiaggia e tutti i tipi di avventure marittime sono alcune delle attività pensate per i visitatori per godere delle bellissime spiagge, fondali, isolotti corallini, flora e fauna marina in modo completamente organizzato secondo le esigenze del viaggiatore.
Il mondo subacqueo che ci circonda
Il Gruppo Marlin possiede 21 centri Internazionali di Immersioni che permettono di conoscere la biodiversità e l’abbondante ricchezza marina che costituiscono i fondali dell’isola.
Il Gruppo Marlin possiede 21 centri Internazionali di Immersioni che permettono di conoscere la biodiversità e l’abbondante ricchezza marina che costituiscono i fondali dell’isola.
Di rilievo tra queste strutture La Aguja nel residenziale Marina Hemingway
a L’Avana; il Barracuda a Varadero, lo Shark’s Friends a St. Lucia; e Cayo
Largo nell’arcipelago dei Canarreos.
Ogni centro offre corsi per principianti e per esperti subacquei secondo le
condizioni tecniche stabilite per legge a livello internazionale per la pratica
di questa attività.
I migliori esemplari
La pesca sportiva è un’altra specialità del gruppo imprenditoriale, che propone modalità di pesca al fly, pesca d’altura, con la capacità di catturare esemplari selezionati come il Castero, la Aguja Blanca, il pesce vela, il Dorado e il Peto, e la pesca sul fondo che cerca di bilanciare le abilità del pescatore con le possibilità di fuga dalla loro prede.
In questa sezione si distinguono due importanti tornei internazionali che includono il Torneo Internazionale della Pesca della Aguja Ernest Hemingway, che in questi giorni festeggia la sua 64a edizione; e il Torneo di Pesca Jardines del Rey.
La pesca sportiva è un’altra specialità del gruppo imprenditoriale, che propone modalità di pesca al fly, pesca d’altura, con la capacità di catturare esemplari selezionati come il Castero, la Aguja Blanca, il pesce vela, il Dorado e il Peto, e la pesca sul fondo che cerca di bilanciare le abilità del pescatore con le possibilità di fuga dalla loro prede.
In questa sezione si distinguono due importanti tornei internazionali che includono il Torneo Internazionale della Pesca della Aguja Ernest Hemingway, che in questi giorni festeggia la sua 64a edizione; e il Torneo di Pesca Jardines del Rey.
Vivere in mare
Proprio questa è un’altra delle offerte di Marinas Marlin che propone di godersi la natura marina cubana in escursioni di una settimana o più giorni a bordo di comode imbarcazioni con equipaggio esperto e la libertà di scegliere la destinazione.
Proprio questa è un’altra delle offerte di Marinas Marlin che propone di godersi la natura marina cubana in escursioni di una settimana o più giorni a bordo di comode imbarcazioni con equipaggio esperto e la libertà di scegliere la destinazione.
Altre offerte sono i Seafaris: passeggiate lungo la costa cubana, attività
ricreative, i pranzi dei marinai nei Cayos della nazione caraibica e la pratica
dello snorkeling.
mercoledì 10 settembre 2014
martedì 9 settembre 2014
Quando il turismo si specializza
Una serie di proposte di ECOTUR, per quessto scorcio del 2014 e per il prossimo anno, per un turismo nella natura e a rispetto della natura, oltre alla tradizionale asta di purosangue da salto:
Lente al Agua – un concorso internazionale di fotografia subacquea che si svolgerà nella Riserva della Biosfera della Ciénaga de Zapata dall11 al 15 dicembre 2014
Sexto remate élite – La ormai tradizionale asta di cavalli purosangue da salto che si terrà al Club Ecuestre de La Habana dal 29 al 31 gennaio 2015
2do Concurso Foto al Vuelo – anche questo nella Riserva della Biosfera della Ciénaga de Zapata, dedicato alla foto delle specie di uccelli endemici e non di Cuba, dal 23 al 27 di febbraio del 2015
Turnat – seminario dedicato al Turismo Naturalistico, dedicato ai professionisti del settore, ma non solo. Pínar del Río, settembre 2015 (data precisa non ancora specificata).
Per informazioni e adesioni si può chiedere a:
LatitudCuba - Centro de Negocios de Miramar - Ave 3ra
entre 76 y 78, Edificio Santa Clara of. 120 B - La Habana
Telef.: +53-7-2144882 o +53-5-2792358
lunedì 8 settembre 2014
Del Pabellón, El Gato e altri luoghi, di Ciro Bianchi Ross
Pubblicato su Juventud Rebelde del 7/9/14
Cosa c’era all’angolo di 23
e N, prima che vi si costruisse il Pabellón Cuba? Si sa che questo edificio che
coniuga, dicono gli specialisti, una
grande semplicità formale con una elegante monumentalità si costruì nel 1963,
si giunge alla conclusione che l’area che occupa fu uno degli ultimi spazi
liberi della Rampa avanera. Probabilmente l’ultimo.
Chiamata così per la sua
accentuata inclinazione, si aprì in un batter d’occhio da quando, nel 1947, si
inaugura il teatro Warner (attuale cinema Yara) e l’anno seguente l’edificio
Radio Centro. Non si tardò a edificare l’edificio Ambar Motors (attuale
Ministero del Commercio Estero), destinato allora a uffici e sedi dei
distributori, a Cuba, delle automobili Cadillac, Oldsmobile e Chevrolet e dove,
inoltre, si installarono gli studi del Canale 2 della TV e una scuola di
croupiers per le sale da gioco...
Questi immobili furono
situati ai due estremi della Rampa e in marciapiedi opposti, cosa che dette
impulso allo sviluppo della zona. A partire da lì e in meno di dieci anni vi si
costruì una quantità di edifici per
abitazione, commercio, uffici, agenzie di pubblicità e luoghi di divertimento
che diventa impossibile, per ragioni di spazio descriverli in dettaglio. Si
dice che uno dei modi di misurare l’attività commerciale di una zona è col
numero di agenzie bancarie stabilite nella stessa. Non meno di otto uffici
centrali e succursali si stabilirono nella Rampa e altre tre, che rimasero
senza spazio, lo fecero nelle strade adiacenti. La Rampa fu anche il miracolo del
commercio avanero. Nonostante la gente fosse abituata ad uscire per acquisti in
strade sostanzialmente pianeggianti i cui portici proteggevano dal sole e dalla
pioggia, niente di ciò vi era sulla Rampa e ciò nonostante si impose.
La calle 23 che si tracciònel
1862 e si chiamò Paseo de Medína, dal contrattista di opere pubbliche dello
stesso nome, che risiedeva di fronte a quello che con l’andare del tempo
sarebbe stato il cinmena Riviera, arrivava fino alla calle M. La calzada de
Infanta era in terra battuta a partire da San Lázaro. Nel 1916, durante il
Governo del generale Menocal si
pavimentò Infanta e la 23 si estese fino a questa calzada. Le costruzioni,
senza dubbio, non proliferarono nella zona, caratterizzata da anfratti e fosse
che bordeggiavano la strada. Crepe di tale grandezza, ancora visibili in alcuni
posti, che dopo la mareggiata del 9 settembre del 1919 una famiglia che era
uscita in automobile per osservare i disastri causati dal fenomeno, cadde in
una di queste e fu impossibile riscattarla con vita.
Per anni, solo poche
edificazioni si impadronirono di quella che sarà la Rampa. La sede dell’agenzia
Ford e il cabaret Hollywood, dove successivamente si costruirà l’edificio per
il Ministero dell’Agricoltura e la casa del’ex presidente Carlos Manuel de
Céspedes, figlio del Padre della Patria, in 23 e M. Di fronte, attraversando la
M, la funeraria Caballero che ra stata fondata nel 1857 nella calle Concordia e
cercò questa nuova ubicazione. Di fronte a lei, attraversando la 23, l’edificio
Alaska.
L’hotel Habana Hilton,
rinominato Libre, non esistì fino al 1958. L’isolato dov’è situato, compreso
fra le calles L, M, 23 e 25 che era un buco, lo occupava un parco di
divertimento per bambini con veri pony. In 25 e L si trovava la casa del dottor
Kurie, dove viveva Raúl Roa, suo genero. Quando si volle iniziare la
costruzione dell’albergo, il Sindacato dei Lavoratori Gastronomici, che ne
sarebbe stato il proprietario, dovette pagare una fortuna alla vedova di
Céspedes. Se lei non vendeva, non ci sarebbe stato albergo.
Attraversando
la L
La calle L allora era a
doppio senso di circolazione. Nello spazio non costruito a fianco del cine
Yara, ebbe la sua residenza il generale Alberto Herrera, capo di Stato Maggiore
dell’Esercito cubano tra il 1922 e il 12 agosto del 1933, data della caduta
della dittatura di Machado che sostituì per alcune ore alla presidenza della
Repubblica prima di rifugiarsi nell’hotel Nacional e abbandonare il Paese sotto
la protezione dell’ambasciatore nordamericano. La casa di Herrera fu demolita
nel 1954 con l’intenzione di costruire un edificio che non fu mai eretto. Fu
demolita anche, ed oggi è un parcheggio, la casa del comandante Rogerio Zayas
Bazán, ministro del Governo (Interni) di Machado, morto nel 1932 in un duello
irregolare nelle vicinanze del ponte di Pote, all’entrata di Miramar.
Di fronte al Yara, dove si
costruì la gelateria Coppelia, c’era l’ospedale Reina Mercedes. Si chiamò così
per la moglie del re Alfonso XII di Spagna, trisnonno dell’attuale re Felipe
VI. Mercedes morì poco dopo del matrimonio e la sua morte dette luogo, a
Madrid, a un poemetto che è giunto fino ad oggi: “Dove vai Alfonso XII?/ dove
vai così triste?/Vado in cerca di Mercedes/che ieri nel pomeriggio ho perduto”.
Nonostante il dolore della perdita Alfonso XII si risposò. L’ospedale diventò
allora Nuestra Señora de las Mercedes, ma gli avaneri terminarono chiamandolo
semplicemente Mercedes. Funzionò fino a metà degli anni ’50, quando si costruì
l’ospedale che si chiamerà Fajardo.
I suoi terreni che costarono
7.000 pesos nel 1886, si vendettero poi per quasi 300.000. Una compagnia
costruttrice si impegnò a edificarvi un albergo di 500 stanze. La vittoria
della Rivoluzione troncò il progetto e nello spazio del demolito ospedale
Mercedes si costruì il Parco INIT – Istituto Nazionale dell’Industria Turistica
- un centro ricreativo con palco
galleggiante, bar, caffetteria, ristorante per 500 commensali e il cabaret
Nocturnal. Così giunse l’anno 1966. Si dice che in un congresso celebrato
nell’hotel Habana Libre, sorse l’iniziativa di convertire la zona ricreativa in
questione in uno spazio più silenzioso e famigliare. Fu così che qualcuno
propose l’idea della gelateria. Quando l’architetto Mario Girona seppe che gli
si era affidata l’esecuzione del progetto, si sentì smarrito. Si voleva una
cosa familiare, ma quella gelateria con oltre mille coperti, sarebbe stato un
esercizio troppo grande.
Dicono, e lo scriba non ha
potuto comprovarlo, che dove si ubicò il Pabellón Cuba c’era una piccola
rivendita di tamales (involtini di
mais ripieni, n.d.t.) e altri piatti leggeri a cuis i accdeva dalla calle 21.
In solo 70 giorni, l’architetto Juan Campos edificò questa costruzione aperta
alla brezza e alla prospettiva, una sfida all’architettura dove le leggere pendenze
avanzano verso la vegetazione. Siostruì in occasione della celebrazione
all’Avana del VII Congresso dell’Unione Internazionale degli Architetti. A
partire da lì, accoglierà altri eventi, la Prima Mostra della Cultura Cubana,
nel 1967; poi l’importante Salone di Maggio che portò a Cuba, da Parigi, ciò
che nel mondo si faceva nelle arti plastiche.
Ci sono cambi evidenti nella
zona. Il locale che fu dell’Agricoltura è, da molti anni, il Ministero del
Lavoro, l’edificio Alaska non esiste più: è un parcheggio e la Funeraria
Caballero, che nel 1968 si convertì in uno splendido centro culturale, è una
dipendenza della Televisione. Quello che fu il centro commerciale della Rampa
alloggia ufici di agenzie di viaggio e compagnie di aviazione.
In
cerca del Gato Tuerto (orbo,
n.d.t.)
I bohemiens dicono che la
notte più lunga dell’Avana si passa al gato Tuerto, il bar ristorante della
calle O, quasi di fronte all’hotel Nacional, nel Vedado. Asseriscono che per
risvegliarsi, l’Avana, aspetti che El
Gato chiuda le sue porte. Perché non c’è altro posto nell’Isola che si impegni
tanto per perpetuare le notti. Come ci riesce? Il narratore Hugo Luìs Sánchez
dice: “Il segreto consiste nella combinazione di un ristorante al piano
superiore dell’edificio, col meglio della cucina internazionale e cubana, con
un cafè concerto nel pianterreno. All’uscita il contorno del Malecón, scelto
dagli avaneri per giurarsi, sul suo ampio muro, l’amore vero”.
Tropicana, Montmartre o Sans
Soucí presentavano produzioni tanto fastose che non avevano niente da
invidiare alle migliori di Parigi.
L’intensità delle notti avanere e la qualità dei suoi spettacoli avevano
raggiunto di ubicare la città fra le più importanti del mondo se di
divertimenti di ogni tipo e di vita mondana si trattava. Tra il 1957 e 1958 i
cabaret di lusso avaneri sperimentarono un autentico momento di splendore. In
poco tempo, davanti allo sguardo attonito della città si costruirono, nel
Vedado, gli hotels Habana Riviera, Capri e Habana Hilton, tre grandi e sontuosi
esercizi. In Galiano e Malecón, il Deauville, aprì le sue porte il 17 luglio
del 1958 e altrettanto succedeva nella città di Santa Clara nel centro del
paese, con l’apertura nel gennaio 1957, del cabaret Venecia e il suo elegante
casinò.
Nel febbraio del 1959 Nat
Kahn, gerente dell’hotel Riviera dichiarava: “Tre nuovi alberghi di lusso
furono fattori decisivi per strappare la clientela alla Florida”. Col gioco
legalizzato, come attrazione principale, l’Avana ebbe la sua miglior stagione
turistica tra il 1957 e il 1958.
I cabaret chiamati di
“seconda” – Ali Bar, Sierra, Alloy, Las Vegas...- costituivano ulteriori
opzioni alla notte avanera. Nonostante non ci fossero, in questi, grandi
produzioni, presentavano uno spettacolo di varietà e una o due figure
importanti. Contvano anche di una nutrita clientela i cabaret della Playa de
Marianao, per natura molto più popolari.
I grandi cabarte, anche di
seconda o terza, rappresentavano comunque una certa tradizione bohemienne.
Giusto al finale degli anni 50 cominciano a sorgere, guarda caso nelle
prossimità della Rampa, piccoli locali che rompono un poco con questa notte che
si sta facendo convenzionale. Senza tanto lusso e senza utilizzare riviste
musicali, l’ambiente intimo e disinvolto, proprio di questi luoghi, permetteva
di godere della esibizione spontanea di un gruppo musicale o della voce di
Elena Burke, diciamo, con Frank Domínguez o Meme Solís al piano.
Così, a metà del 1960,
nell’hotel Saint John’s cominciano a programmarsi esibizioni con la
partecipazione di Doris de la Torre, Elena Burke e Frank Dominguez, Pacho
Alonso, Felo Bergaza, Dandy Crawford e il duo Rné e Nelia, fra le altre figure
della moda feeling.
Ma il grande avvenimento fu
l’apertura, il 31 agosto di quell’anno, de El Gato Tuerto, idea di Felito Ayón, un a nimale notturno che fu
colui che ideò e diede nome alla Bodeguita del Medio. Si restaurò e decorò la
grande casa della calle O. Quadri di Amelia (Pelaéz, n.d.t.), Mariano
(Rodríguez, n.d.t.), Martínez Pedro, Tapía Ruano, Aberto Falcón e Acosta León pendevano
dalle pareti di questo luogo, già di fatto diverso, dove c’era luce sufficiente
per o scrivera e dove si poteva arrivare
alle sei del pomeriggio senza molto o nessun protocollo. Lì c’erano esposizioni
di pittura e vendita di libri o dischi. Nicolás Guillén era un visitatore
frequente. Anche il narratore argentino Julio Cortázar durante i suoi soggiorni
cubani e i giovani di allora, come Miguel Barnet. Godevano delle
rappresentazioni di Elena con Frank Domínguez come accompagnatore al piano,
Miguel de Gonzalo, Meme Solís, Doris de la Torre, Maggi Prior e il duo Las
Capellas, Miriam Acevedo cantava e recitava
poemi di Virgilio Piñera. Anche se non si sa se altri poeti lo fecero,
si conserva un disco di Nicolás Guillén letti dalla sua voce che porta il
timbro delle Edizioni Gato Tuerto.
È passato il tempo. Sono
trascorsi già 54 anni dall’apertura del Gato Tuerto. Ma l’ambiente continua ad
essere quello di sempre.
Del Pabellón, El Gato y otros
lugares
6 de
Septiembre del 2014 20:32:00 CDT
¿Qué hubo
en la esquina de 23 y N antes de que se construyera allí el Pabellón Cuba?
Cuando se conoce que ese edificio que conjuga, dicen los especialistas, una
gran sencillez formal con una elegante monumentalidad, se construyó en 1963, se
llega a la conclusión de que el área que ocupa fue uno de los últimos espacios
yermos de la Rampa habanera. Tal vez el último.
Llamada
así por su acentuada inclinación, se edificó en un abrir y cerrar de ojos desde
que en 1947 se inaugurara el teatro Warner (actual cine Yara) y al año
siguiente el edificio Radio Centro. No tardó en construirse el edificio Ámbar
Motors (actual Ministerio del Comercio Exterior), destinado entonces a oficinas
y sede de los distribuidores en Cuba de los automóviles Cadillac, Oldsmobile y
Chevrolet, y donde se instalaron además los estudios del Canal 2 de la TV, y
una escuela de dealers para casinos de juego...
Fueron
esos inmuebles, situados en los dos extremos de la Rampa y en aceras opuestas,
los que impulsaron el desarrollo de la zona. A partir de esos y en menos de
diez años se construyeron allí tal cantidad de edificios para viviendas,
comercios, oficinas, agencias de publicidad y lugares de esparcimiento que
resulta imposible, por razones de espacio, detallarlos. Se dice que una de las formas
de medir la actividad comercial de una zona es por el número de agencias
bancarias establecidas en ella. No menos de ocho oficinas centrales y
sucursales de bancos se asentaron en la Rampa, y otras tres, que no alcanzaron
espacio, lo hicieron en calles aledañas. La Rampa fue también el milagro del
comercio habanero. Porque la gente se había acostumbrado a salir de compras por
calles sustancialmente planas y cuyos portales protegían del sol y de la
lluvia. Nada de eso había en la Rampa y aun así se impuso.
La calle
23, que se trazó en 1862 y se llamó Paseo de Medina, por el contratista de
obras públicas de ese nombre que tenía su residencia frente a lo que andando el
tiempo sería el cine Riviera, llegaba hasta la calle M. La calzada de Infanta
era de tierra a partir de San Lázaro. En 1916, durante el Gobierno del general
Menocal, se pavimentó Infanta y 23 se extendió hasta esa calzada. Las
construcciones, sin embargo, no proliferaron en la zona, caracterizada por las
furnias y oquedades que bordeaban la calle. Simas de tal magnitud, todavía
visibles en algunos lugares, que, tras el ras de mar del 9 de septiembre de
1919 una familia que había salido en automóvil a observar los destrozos del
meteoro, cayó en una de esas y fue imposible rescatarla con vida.
Durante
años solo unas pocas edificaciones se señorearon en lo que sería la Rampa. La
sede de la agencia Ford y el cabaret Hollywood, donde después se construiría el
edificio para el Ministerio de Agricultura, y la casa del ex presidente Carlos
Manuel de Céspedes, hijo del Padre de la Patria, en 23 y M. Frente, cruzando M,
la funeraria Caballero, que se había fundado en 1857 en la calle Concordia y
buscó esa nueva ubicación. Y frente a ella, cruzando 23, el edificio Alaska.
El hotel
Habana Hilton, sobrenombrado Libre, no existió hasta 1958. La manzana donde
está situado, enmarcada por las calle L, M, 23 y 25, y que era un hueco, la
ocupaba un parque de diversiones para niños, con caballitos de verdad. En 25 y
L se hallaba la casa del doctor Kurie, en la que vivía Raúl Roa, su yerno.
Cuando se quiso acometer la construcción del hotel, el Sindicato de los
Trabajadores Gastronómicos, que era su propietario, tuvo que darle una fortuna
a la viuda de Céspedes. Si ella no vendía, no había hotel.
Cruzando L
La calle L
era entonces de doble sentido. En el espacio no construido que queda al lado
del cine Yara, tuvo su residencia el general Alberto Herrera, jefe del Estado
Mayor del Ejército cubano entre 1922 y el 12 de agosto de 1933, fecha de la
caída de la dictadura de Machado, a quien sustituyó por unas horas en la
presidencia de la República antes de refugiarse en el Hotel Nacional y
abandonar el país bajo el amparo del embajador norteamericano. La casa de
Herrera fue demolida en 1954, con la intención de construir allí un edificio
que nunca se ejecutó.
También se
demolió, y es ahora un parqueo, la casa del comandante Rogerio Zayas Bazán,
ministro de Gobernación (Interior) de Machado, muerto en 1932 en un duelo
irregular en las inmediaciones del puente de Pote, a la entrada de Miramar.
Frente al
Yara, donde se construyó la heladería Coppelia, estuvo el hospital Reina
Mercedes. Se llamó así por la esposa del rey Alfonso XII, de España,
tatarabuelo del actual rey Felipe VI. Mercedes murió poco después del
matrimonio. Su muerte dio pie, en el Madrid de aquellos días, a un poemita que
llega hasta hoy. “¿Dónde vas Alfonso XII? / ¿Dónde vas, triste de ti? / Voy en
busca de Mercedes, / que ayer tarde la perdí”. Pese al dolor de la pérdida,
Alfonso volvió a casarse. El hospital pasó a ser entonces Nuestra Señora de las
Mercedes, pero los habaneros terminaron llamándolo Mercedes a secas.
Funcionó
hasta mediados de los años 50, cuando se construyó el hospital que se llamaría
Fajardo.
Sus
terrenos, que en 1886 costaron 7 000 pesos, se vendieron entonces en casi 300
000. Una compañía constructora se empeñó en edificar allí un hotel de 500
habitaciones. El triunfo de la Revolución tronchó el proyecto, y en el espacio
del demolido hospital Mercedes se construyó el Parque INIT --Instituto Nacional
de la Industria Turística-- un centro recreativo con escenario flotante, bar,
cafetería y restaurante para 500 comensales y el cabaret Nocturnal. Llegó así
el año de 1966.
Se dice
que de un congreso celebrado en el hotel Habana Libre surgió la iniciativa de
convertir la zona recreativa en cuestión en un espacio más silencioso y
familiar. Y fue así que alguien precisó la idea de la heladería. Cuando el
arquitecto Mario Girona se enteró de que se le había confiado la ejecución del
proyecto, se sintió anonadado. Se quería una cosa familiar, pero aquella
heladería de mil capacidades, pensó, sería un establecimiento demasiado grande.
Dicen, y
el escribidor no ha podido comprobarlo, que donde se ubica el Pabellón Cuba
hubo un pequeño expendio de tamales y otros platos ligeros al que se accedía
desde la calle 21. En solo 70 días, el arquitecto Juan Campos emplazó esa
edificación abierta a la brisa y a la perspectiva; un alarde de arquitectura
aérea donde las suaves pendientes avanzan hacia la vegetación. Se construyó con
motivo de la celebración en La Habana del VII Congreso de La Unión
Internacional de Arquitectos. A partir de ahí acogería, entre otros eventos, la
Primera Muestra de la Cultura Cubana, en 1967; y luego, el importante Salón de
Mayo, que trajo a Cuba desde París lo que en el mundo se hacía en el campo de
las artes plásticas.
Hay
cambios evidentes en la zona. El local que fue de Agricultura es, desde muchos
años, del Ministerio del Trabajo, el edificio Alaska no existe; es un parqueo,
y la Funeraria Caballero, que en 1968 se convirtió en un espléndido centro
cultural, es una dependencia de la Televisión. Lo que fue el centro comercial
la Rampa aloja oficinas de agencias de viaje y compañías de aviación.
En busca del Gato Tuerto
Dicen los
bohemios y los faranduleros que la noche más larga de La Habana transcurre en
El Gato Tuerto, el bar-restaurante de la calle O, casi enfrente del Hotel
Nacional, en el Vedado. Aseguran que, para amanecer, La Habana espera a que El
Gato cierre sus puertas. Porque no existe otro sitio en la Isla que se empecine
tanto como este para perpetuar las noches. ¿Cómo lo logra? Dice el narrador
Hugo Luis
Sánchez: “El
secreto radica en la combinación de un restaurante en los altos del
establecimiento, con lo mejor de la cocina internacional y cubana, y un café
concert en los bajos. A la salida, el entorno del Malecón, escogido por los
habaneros para, sobre su ancho muro, jurarse amor del bueno”.
Tropicana,
Montmartre o Sans Souci presentaban producciones tan fastuosas que nada tenían
que envidiarles a las mejores de París. La intensidad de la noche habanera y la
calidad de sus espectáculos habían conseguido ubicar a la ciudad entre las más
importantes del mundo si de diversiones de todo tipo y vida mundana se trataba.
Entre
1957 y
1958 los cabarets de lujo habaneros experimentaron un auténtico momento de
esplendor. En corto tiempo y ante la atónita mirada de la ciudad, se edificaron
en el Vedado los hoteles Habana Riviera, Capri y Habana Hilton, tres grandes y
suntuosos establecimientos. En Galiano y Malecón, el Deauville abrió sus
puertas el 17 de julio de 1958 y otro tanto acontecía en la ciudad de Santa
Clara, en el centro del país, con la apertura en enero de 1957 del cabaret
Venecia y su elegante casino.
En febrero
de 1959, declaraba Nat Kahn, gerente del hotel Riviera:
“Tres
nuevos hoteles de lujo en La Habana fueron factores decisivos para arrebatarle
la clientela a la Florida”. Con el juego legalizado como atracción principal,
La Habana tuvo su mejor temporada turística entre 1957 y 1958.
Los
cabarets denominados de segunda --Ali Bar, Sierra, Alloy, Las
Vegas...--
constituían otras de las opciones de la noche habanera. Aunque no había en
estos grandes producciones, presentaban un espectáculo variado y una o dos
figuras importantes. Contaban también con una nutrida clientela los cabarets de
la famosa Playa de Marianao, de naturaleza mucho más popular.
Los
grandes cabarets, y también los de segunda y tercera, representaban una bohemia
con cierta tradición. Justo a finales de la década de los 50 comienzan a
surgir, sin embargo, en las proximidades de la Rampa, pequeños locales que
rompen un poco con esa noche que va haciéndose convencional. Sin demasiado lujo
y sin acudir a revistas musicales, el ambiente íntimo y desenfadado propio de
estos lugares, permitía disfrutar de la descarga espontánea de un combo o la
voz de Elena Burke, digamos, con Frank Domínguez o Meme Solís al piano.
Así, a
mediados de 1960, en el hotel St. John's comienzan a programarse descargas con
la participación de Doris de la Torre, Elena Burke y Frank Domínguez, Pacho
Alonso, Felo Bergaza, Dandy Crawford y el dúo René y Nelia, entre otras figuras
de la onda feeling.
Pero el
gran acontecimiento fue la apertura, el 31 de agosto de ese año, de El Gato Tuerto,
idea de Felito Ayón, un animal de la noche que fue quien ideó y dio nombre a La
Bodeguita del Medio. Se remozó y decoró la vieja casona de la calle O. Cuadros
de Amelia, Mariano, Martínez Pedro, Tapia Ruano, Alberto Falcón y Acosta León
colgaban de las paredes de ese lugar, ya de hecho distinto, donde había luz
suficiente para leer o escribir y al que se podía llegar a las seis de la tarde
sin demasiado protocolo o sin protocolo. Había allí exposiciones de pintura y
venta de libros y discos. Nicolás Guillén era visita frecuente. También el
narrador argentino Julio Cortázar durante sus estancias cubanas, y los jóvenes
de entonces, como Miguel Barnet. Se disfrutaban las presentaciones de Elena con
Frank Domínguez como pianista acompañante, Miguel de Gonzalo, Meme Solís, Doris
de la Torre, Maggi Prior y el dúo Las Capellas. Miriam Acevedo cantaba y
recitaba poemas de Virgilio Piñera. Aunque se desconoce si otros poetas también
lo hicieron, se conserva un disco de poemas de Nicolás Guillén dichos en su voz
que lleva el sello de Ediciones Gato Tuerto.
Ha pasado
el tiempo. Transcurrieron ya 54 años desde la apertura de El Gato Tuerto. El
ambiente sigue siendo el de siempre.
Ciro
Bianchi Ross
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