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lunedì 8 settembre 2014

Del Pabellón, El Gato e altri luoghi, di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud Rebelde del 7/9/14


Cosa c’era all’angolo di 23 e N, prima che vi si costruisse il Pabellón Cuba? Si sa che questo edificio che coniuga, dicono gli specialisti,  una grande semplicità formale con una elegante monumentalità si costruì nel 1963, si giunge alla conclusione che l’area che occupa fu uno degli ultimi spazi liberi della Rampa avanera. Probabilmente l’ultimo.
Chiamata così per la sua accentuata inclinazione, si aprì in un batter d’occhio da quando, nel 1947, si inaugura il teatro Warner (attuale cinema Yara) e l’anno seguente l’edificio Radio Centro. Non si tardò a edificare l’edificio Ambar Motors (attuale Ministero del Commercio Estero), destinato allora a uffici e sedi dei distributori, a Cuba, delle automobili Cadillac, Oldsmobile e Chevrolet e dove, inoltre, si installarono gli studi del Canale 2 della TV e una scuola di croupiers per le sale da gioco...
Questi immobili furono situati ai due estremi della Rampa e in marciapiedi opposti, cosa che dette impulso allo sviluppo della zona. A partire da lì e in meno di dieci anni vi si costruì una quantità di edifici  per abitazione, commercio, uffici, agenzie di pubblicità e luoghi di divertimento che diventa impossibile, per ragioni di spazio descriverli in dettaglio. Si dice che uno dei modi di misurare l’attività commerciale di una zona è col numero di agenzie bancarie stabilite nella stessa. Non meno di otto uffici centrali e succursali si stabilirono nella Rampa e altre tre, che rimasero senza spazio, lo fecero nelle strade adiacenti. La Rampa fu anche il miracolo del commercio avanero. Nonostante la gente fosse abituata ad uscire per acquisti in strade sostanzialmente pianeggianti i cui portici proteggevano dal sole e dalla pioggia, niente di ciò vi era sulla Rampa e ciò nonostante si impose.
La calle 23 che si tracciònel 1862 e si chiamò Paseo de Medína, dal contrattista di opere pubbliche dello stesso nome, che risiedeva di fronte a quello che con l’andare del tempo sarebbe stato il cinmena Riviera, arrivava fino alla calle M. La calzada de Infanta era in terra battuta a partire da San Lázaro. Nel 1916, durante il Governo del generale Menocal    si pavimentò Infanta e la 23 si estese fino a questa calzada. Le costruzioni, senza dubbio, non proliferarono nella zona, caratterizzata da anfratti e fosse che bordeggiavano la strada. Crepe di tale grandezza, ancora visibili in alcuni posti, che dopo la mareggiata del 9 settembre del 1919 una famiglia che era uscita in automobile per osservare i disastri causati dal fenomeno, cadde in una di queste e fu impossibile riscattarla con vita.
Per anni, solo poche edificazioni si impadronirono di quella che sarà la Rampa. La sede dell’agenzia Ford e il cabaret Hollywood, dove successivamente si costruirà l’edificio per il Ministero dell’Agricoltura e la casa del’ex presidente Carlos Manuel de Céspedes, figlio del Padre della Patria, in 23 e M. Di fronte, attraversando la M, la funeraria Caballero che ra stata fondata nel 1857 nella calle Concordia e cercò questa nuova ubicazione. Di fronte a lei, attraversando la 23, l’edificio Alaska.
L’hotel Habana Hilton, rinominato Libre, non esistì fino al 1958. L’isolato dov’è situato, compreso fra le calles L, M, 23 e 25 che era un buco, lo occupava un parco di divertimento per bambini con veri pony. In 25 e L si trovava la casa del dottor Kurie, dove viveva Raúl Roa, suo genero. Quando si volle iniziare la costruzione dell’albergo, il Sindacato dei Lavoratori Gastronomici, che ne sarebbe stato il proprietario, dovette pagare una fortuna alla vedova di Céspedes. Se lei non vendeva, non ci sarebbe stato albergo.
Attraversando la L
La calle L allora era a doppio senso di circolazione. Nello spazio non costruito a fianco del cine Yara, ebbe la sua residenza il generale Alberto Herrera, capo di Stato Maggiore dell’Esercito cubano tra il 1922 e il 12 agosto del 1933, data della caduta della dittatura di Machado che sostituì per alcune ore alla presidenza della Repubblica prima di rifugiarsi nell’hotel Nacional e abbandonare il Paese sotto la protezione dell’ambasciatore nordamericano. La casa di Herrera fu demolita nel 1954 con l’intenzione di costruire un edificio che non fu mai eretto. Fu demolita anche, ed oggi è un parcheggio, la casa del comandante Rogerio Zayas Bazán, ministro del Governo (Interni) di Machado, morto nel 1932 in un duello irregolare nelle vicinanze del ponte di Pote, all’entrata di Miramar.
Di fronte al Yara, dove si costruì la gelateria Coppelia, c’era l’ospedale Reina Mercedes. Si chiamò così per la moglie del re Alfonso XII di Spagna, trisnonno dell’attuale re Felipe VI. Mercedes morì poco dopo del matrimonio e la sua morte dette luogo, a Madrid, a un poemetto che è giunto fino ad oggi: “Dove vai Alfonso XII?/ dove vai così triste?/Vado in cerca di Mercedes/che ieri nel pomeriggio ho perduto”. Nonostante il dolore della perdita Alfonso XII si risposò. L’ospedale diventò allora Nuestra Señora de las Mercedes, ma gli avaneri terminarono chiamandolo semplicemente Mercedes. Funzionò fino a metà degli anni ’50, quando si costruì l’ospedale che si chiamerà Fajardo.
I suoi terreni che costarono 7.000 pesos nel 1886, si vendettero poi per quasi 300.000. Una compagnia costruttrice si impegnò a edificarvi un albergo di 500 stanze. La vittoria della Rivoluzione troncò il progetto e nello spazio del demolito ospedale Mercedes si costruì il Parco INIT – Istituto Nazionale dell’Industria Turistica -  un centro ricreativo con palco galleggiante, bar, caffetteria, ristorante per 500 commensali e il cabaret Nocturnal. Così giunse l’anno 1966. Si dice che in un congresso celebrato nell’hotel Habana Libre, sorse l’iniziativa di convertire la zona ricreativa in questione in uno spazio più silenzioso e famigliare. Fu così che qualcuno propose l’idea della gelateria. Quando l’architetto Mario Girona seppe che gli si era affidata l’esecuzione del progetto, si sentì smarrito. Si voleva una cosa familiare, ma quella gelateria con oltre mille coperti, sarebbe stato un esercizio troppo grande.
Dicono, e lo scriba non ha potuto comprovarlo, che dove si ubicò il Pabellón Cuba c’era una piccola rivendita di tamales (involtini di mais ripieni, n.d.t.) e altri piatti leggeri a cuis i accdeva dalla calle 21. In solo 70 giorni, l’architetto Juan Campos edificò questa costruzione aperta alla brezza e alla prospettiva, una sfida all’architettura dove le leggere pendenze avanzano verso la vegetazione. Siostruì in occasione della celebrazione all’Avana del VII Congresso dell’Unione Internazionale degli Architetti. A partire da lì, accoglierà altri eventi, la Prima Mostra della Cultura Cubana, nel 1967; poi l’importante Salone di Maggio che portò a Cuba, da Parigi, ciò che nel mondo si faceva nelle arti plastiche.
Ci sono cambi evidenti nella zona. Il locale che fu dell’Agricoltura è, da molti anni, il Ministero del Lavoro, l’edificio Alaska non esiste più: è un parcheggio e la Funeraria Caballero, che nel 1968 si convertì in uno splendido centro culturale, è una dipendenza della Televisione. Quello che fu il centro commerciale della Rampa alloggia ufici di agenzie di viaggio e compagnie di aviazione.
In cerca del Gato Tuerto  (orbo, n.d.t.)
I bohemiens dicono che la notte più lunga dell’Avana si passa al gato Tuerto, il bar ristorante della calle O, quasi di fronte all’hotel Nacional, nel Vedado. Asseriscono che per risvegliarsi, l’Avana, aspetti che  El Gato chiuda le sue porte. Perché non c’è altro posto nell’Isola che si impegni tanto per perpetuare le notti. Come ci riesce? Il narratore Hugo Luìs Sánchez dice: “Il segreto consiste nella combinazione di un ristorante al piano superiore dell’edificio, col meglio della cucina internazionale e cubana, con un cafè concerto nel pianterreno. All’uscita il contorno del Malecón, scelto dagli avaneri per giurarsi, sul suo ampio muro, l’amore vero”.
Tropicana, Montmartre o Sans Soucí presentavano produzioni tanto fastose che non avevano niente da invidiare  alle migliori di Parigi. L’intensità delle notti avanere e la qualità dei suoi spettacoli avevano raggiunto di ubicare la città fra le più importanti del mondo se di divertimenti di ogni tipo e di vita mondana si trattava. Tra il 1957 e 1958 i cabaret di lusso avaneri sperimentarono un autentico momento di splendore. In poco tempo, davanti allo sguardo attonito della città si costruirono, nel Vedado, gli hotels Habana Riviera, Capri e Habana Hilton, tre grandi e sontuosi esercizi. In Galiano e Malecón, il Deauville, aprì le sue porte il 17 luglio del 1958 e altrettanto succedeva nella città di Santa Clara nel centro del paese, con l’apertura nel gennaio 1957, del cabaret Venecia e il suo elegante casinò.
Nel febbraio del 1959 Nat Kahn, gerente dell’hotel Riviera dichiarava: “Tre nuovi alberghi di lusso furono fattori decisivi per strappare la clientela alla Florida”. Col gioco legalizzato, come attrazione principale, l’Avana ebbe la sua miglior stagione turistica tra il 1957 e il 1958.
I cabaret chiamati di “seconda” – Ali Bar, Sierra, Alloy, Las Vegas...- costituivano ulteriori opzioni alla notte avanera. Nonostante non ci fossero, in questi, grandi produzioni, presentavano uno spettacolo di varietà e una o due figure importanti. Contvano anche di una nutrita clientela i cabaret della Playa de Marianao, per natura molto più popolari.
I grandi cabarte, anche di seconda o terza, rappresentavano comunque una certa tradizione bohemienne. Giusto al finale degli anni 50 cominciano a sorgere, guarda caso nelle prossimità della Rampa, piccoli locali che rompono un poco con questa notte che si sta facendo convenzionale. Senza tanto lusso e senza utilizzare riviste musicali, l’ambiente intimo e disinvolto, proprio di questi luoghi, permetteva di godere della esibizione spontanea di un gruppo musicale o della voce di Elena Burke, diciamo, con Frank Domínguez o Meme Solís al piano.
Così, a metà del 1960, nell’hotel Saint John’s cominciano a programmarsi esibizioni con la partecipazione di Doris de la Torre, Elena Burke e Frank Dominguez, Pacho Alonso, Felo Bergaza, Dandy Crawford e il duo Rné e Nelia, fra le altre figure della moda feeling.
Ma il grande avvenimento fu l’apertura, il 31 agosto di quell’anno, de El Gato Tuerto, idea di  Felito Ayón, un a nimale notturno che fu colui che ideò e diede nome alla Bodeguita del Medio. Si restaurò e decorò la grande casa della calle O. Quadri di Amelia (Pelaéz, n.d.t.), Mariano (Rodríguez, n.d.t.), Martínez Pedro, Tapía Ruano, Aberto Falcón e Acosta León pendevano dalle pareti di questo luogo, già di fatto diverso, dove c’era luce sufficiente per  o scrivera e dove si poteva arrivare alle sei del pomeriggio senza molto o nessun protocollo. Lì c’erano esposizioni di pittura e vendita di libri o dischi. Nicolás Guillén era un visitatore frequente. Anche il narratore argentino Julio Cortázar durante i suoi soggiorni cubani e i giovani di allora, come Miguel Barnet. Godevano delle rappresentazioni di Elena con Frank Domínguez come accompagnatore al piano, Miguel de Gonzalo, Meme Solís, Doris de la Torre, Maggi Prior e il duo Las Capellas, Miriam Acevedo cantava e recitava  poemi di Virgilio Piñera. Anche se non si sa se altri poeti lo fecero, si conserva un disco di Nicolás Guillén letti dalla sua voce che porta il timbro delle Edizioni Gato Tuerto.
È passato il tempo. Sono trascorsi già 54 anni dall’apertura del Gato Tuerto. Ma l’ambiente continua ad essere quello di sempre. 

Del Pabellón, El Gato y otros lugares

Ciro Bianchi Ross * digital@juventudrebelde.cu
6 de Septiembre del 2014 20:32:00 CDT

¿Qué hubo en la esquina de 23 y N antes de que se construyera allí el Pabellón Cuba? Cuando se conoce que ese edificio que conjuga, dicen los especialistas, una gran sencillez formal con una elegante monumentalidad, se construyó en 1963, se llega a la conclusión de que el área que ocupa fue uno de los últimos espacios yermos de la Rampa habanera. Tal vez el último.
Llamada así por su acentuada inclinación, se edificó en un abrir y cerrar de ojos desde que en 1947 se inaugurara el teatro Warner (actual cine Yara) y al año siguiente el edificio Radio Centro. No tardó en construirse el edificio Ámbar Motors (actual Ministerio del Comercio Exterior), destinado entonces a oficinas y sede de los distribuidores en Cuba de los automóviles Cadillac, Oldsmobile y Chevrolet, y donde se instalaron además los estudios del Canal 2 de la TV, y una escuela de dealers para casinos de juego...
Fueron esos inmuebles, situados en los dos extremos de la Rampa y en aceras opuestas, los que impulsaron el desarrollo de la zona. A partir de esos y en menos de diez años se construyeron allí tal cantidad de edificios para viviendas, comercios, oficinas, agencias de publicidad y lugares de esparcimiento que resulta imposible, por razones de espacio, detallarlos. Se dice que una de las formas de medir la actividad comercial de una zona es por el número de agencias bancarias establecidas en ella. No menos de ocho oficinas centrales y sucursales de bancos se asentaron en la Rampa, y otras tres, que no alcanzaron espacio, lo hicieron en calles aledañas. La Rampa fue también el milagro del comercio habanero. Porque la gente se había acostumbrado a salir de compras por calles sustancialmente planas y cuyos portales protegían del sol y de la lluvia. Nada de eso había en la Rampa y aun así se impuso.
La calle 23, que se trazó en 1862 y se llamó Paseo de Medina, por el contratista de obras públicas de ese nombre que tenía su residencia frente a lo que andando el tiempo sería el cine Riviera, llegaba hasta la calle M. La calzada de Infanta era de tierra a partir de San Lázaro. En 1916, durante el Gobierno del general Menocal, se pavimentó Infanta y 23 se extendió hasta esa calzada. Las construcciones, sin embargo, no proliferaron en la zona, caracterizada por las furnias y oquedades que bordeaban la calle. Simas de tal magnitud, todavía visibles en algunos lugares, que, tras el ras de mar del 9 de septiembre de 1919 una familia que había salido en automóvil a observar los destrozos del meteoro, cayó en una de esas y fue imposible rescatarla con vida.
Durante años solo unas pocas edificaciones se señorearon en lo que sería la Rampa. La sede de la agencia Ford y el cabaret Hollywood, donde después se construiría el edificio para el Ministerio de Agricultura, y la casa del ex presidente Carlos Manuel de Céspedes, hijo del Padre de la Patria, en 23 y M. Frente, cruzando M, la funeraria Caballero, que se había fundado en 1857 en la calle Concordia y buscó esa nueva ubicación. Y frente a ella, cruzando 23, el edificio Alaska.
El hotel Habana Hilton, sobrenombrado Libre, no existió hasta 1958. La manzana donde está situado, enmarcada por las calle L, M, 23 y 25, y que era un hueco, la ocupaba un parque de diversiones para niños, con caballitos de verdad. En 25 y L se hallaba la casa del doctor Kurie, en la que vivía Raúl Roa, su yerno. Cuando se quiso acometer la construcción del hotel, el Sindicato de los Trabajadores Gastronómicos, que era su propietario, tuvo que darle una fortuna a la viuda de Céspedes. Si ella no vendía, no había hotel.

Cruzando L
La calle L era entonces de doble sentido. En el espacio no construido que queda al lado del cine Yara, tuvo su residencia el general Alberto Herrera, jefe del Estado Mayor del Ejército cubano entre 1922 y el 12 de agosto de 1933, fecha de la caída de la dictadura de Machado, a quien sustituyó por unas horas en la presidencia de la República antes de refugiarse en el Hotel Nacional y abandonar el país bajo el amparo del embajador norteamericano. La casa de Herrera fue demolida en 1954, con la intención de construir allí un edificio que nunca se ejecutó.
También se demolió, y es ahora un parqueo, la casa del comandante Rogerio Zayas Bazán, ministro de Gobernación (Interior) de Machado, muerto en 1932 en un duelo irregular en las inmediaciones del puente de Pote, a la entrada de Miramar.
Frente al Yara, donde se construyó la heladería Coppelia, estuvo el hospital Reina Mercedes. Se llamó así por la esposa del rey Alfonso XII, de España, tatarabuelo del actual rey Felipe VI. Mercedes murió poco después del matrimonio. Su muerte dio pie, en el Madrid de aquellos días, a un poemita que llega hasta hoy. “¿Dónde vas Alfonso XII? / ¿Dónde vas, triste de ti? / Voy en busca de Mercedes, / que ayer tarde la perdí”. Pese al dolor de la pérdida, Alfonso volvió a casarse. El hospital pasó a ser entonces Nuestra Señora de las Mercedes, pero los habaneros terminaron llamándolo Mercedes a secas.
Funcionó hasta mediados de los años 50, cuando se construyó el hospital que se llamaría Fajardo.
Sus terrenos, que en 1886 costaron 7 000 pesos, se vendieron entonces en casi 300 000. Una compañía constructora se empeñó en edificar allí un hotel de 500 habitaciones. El triunfo de la Revolución tronchó el proyecto, y en el espacio del demolido hospital Mercedes se construyó el Parque INIT --Instituto Nacional de la Industria Turística-- un centro recreativo con escenario flotante, bar, cafetería y restaurante para 500 comensales y el cabaret Nocturnal. Llegó así el año de 1966.
Se dice que de un congreso celebrado en el hotel Habana Libre surgió la iniciativa de convertir la zona recreativa en cuestión en un espacio más silencioso y familiar. Y fue así que alguien precisó la idea de la heladería. Cuando el arquitecto Mario Girona se enteró de que se le había confiado la ejecución del proyecto, se sintió anonadado. Se quería una cosa familiar, pero aquella heladería de mil capacidades, pensó, sería un establecimiento demasiado grande.
Dicen, y el escribidor no ha podido comprobarlo, que donde se ubica el Pabellón Cuba hubo un pequeño expendio de tamales y otros platos ligeros al que se accedía desde la calle 21. En solo 70 días, el arquitecto Juan Campos emplazó esa edificación abierta a la brisa y a la perspectiva; un alarde de arquitectura aérea donde las suaves pendientes avanzan hacia la vegetación. Se construyó con motivo de la celebración en La Habana del VII Congreso de La Unión Internacional de Arquitectos. A partir de ahí acogería, entre otros eventos, la Primera Muestra de la Cultura Cubana, en 1967; y luego, el importante Salón de Mayo, que trajo a Cuba desde París lo que en el mundo se hacía en el campo de las artes plásticas.
Hay cambios evidentes en la zona. El local que fue de Agricultura es, desde muchos años, del Ministerio del Trabajo, el edificio Alaska no existe; es un parqueo, y la Funeraria Caballero, que en 1968 se convirtió en un espléndido centro cultural, es una dependencia de la Televisión. Lo que fue el centro comercial la Rampa aloja oficinas de agencias de viaje y compañías de aviación.

En busca del Gato Tuerto

Dicen los bohemios y los faranduleros que la noche más larga de La Habana transcurre en El Gato Tuerto, el bar-restaurante de la calle O, casi enfrente del Hotel Nacional, en el Vedado. Aseguran que, para amanecer, La Habana espera a que El Gato cierre sus puertas. Porque no existe otro sitio en la Isla que se empecine tanto como este para perpetuar las noches. ¿Cómo lo logra? Dice el narrador Hugo Luis
Sánchez: “El secreto radica en la combinación de un restaurante en los altos del establecimiento, con lo mejor de la cocina internacional y cubana, y un café concert en los bajos. A la salida, el entorno del Malecón, escogido por los habaneros para, sobre su ancho muro, jurarse amor del bueno”.
Tropicana, Montmartre o Sans Souci presentaban producciones tan fastuosas que nada tenían que envidiarles a las mejores de París. La intensidad de la noche habanera y la calidad de sus espectáculos habían conseguido ubicar a la ciudad entre las más importantes del mundo si de diversiones de todo tipo y vida mundana se trataba. Entre
1957 y 1958 los cabarets de lujo habaneros experimentaron un auténtico momento de esplendor. En corto tiempo y ante la atónita mirada de la ciudad, se edificaron en el Vedado los hoteles Habana Riviera, Capri y Habana Hilton, tres grandes y suntuosos establecimientos. En Galiano y Malecón, el Deauville abrió sus puertas el 17 de julio de 1958 y otro tanto acontecía en la ciudad de Santa Clara, en el centro del país, con la apertura en enero de 1957 del cabaret Venecia y su elegante casino.
En febrero de 1959, declaraba Nat Kahn, gerente del hotel Riviera:
“Tres nuevos hoteles de lujo en La Habana fueron factores decisivos para arrebatarle la clientela a la Florida”. Con el juego legalizado como atracción principal, La Habana tuvo su mejor temporada turística entre 1957 y 1958.
Los cabarets denominados de segunda --Ali Bar, Sierra, Alloy, Las
Vegas...-- constituían otras de las opciones de la noche habanera. Aunque no había en estos grandes producciones, presentaban un espectáculo variado y una o dos figuras importantes. Contaban también con una nutrida clientela los cabarets de la famosa Playa de Marianao, de naturaleza mucho más popular.
Los grandes cabarets, y también los de segunda y tercera, representaban una bohemia con cierta tradición. Justo a finales de la década de los 50 comienzan a surgir, sin embargo, en las proximidades de la Rampa, pequeños locales que rompen un poco con esa noche que va haciéndose convencional. Sin demasiado lujo y sin acudir a revistas musicales, el ambiente íntimo y desenfadado propio de estos lugares, permitía disfrutar de la descarga espontánea de un combo o la voz de Elena Burke, digamos, con Frank Domínguez o Meme Solís al piano.
Así, a mediados de 1960, en el hotel St. John's comienzan a programarse descargas con la participación de Doris de la Torre, Elena Burke y Frank Domínguez, Pacho Alonso, Felo Bergaza, Dandy Crawford y el dúo René y Nelia, entre otras figuras de la onda feeling.
Pero el gran acontecimiento fue la apertura, el 31 de agosto de ese año, de El Gato Tuerto, idea de Felito Ayón, un animal de la noche que fue quien ideó y dio nombre a La Bodeguita del Medio. Se remozó y decoró la vieja casona de la calle O. Cuadros de Amelia, Mariano, Martínez Pedro, Tapia Ruano, Alberto Falcón y Acosta León colgaban de las paredes de ese lugar, ya de hecho distinto, donde había luz suficiente para leer o escribir y al que se podía llegar a las seis de la tarde sin demasiado protocolo o sin protocolo. Había allí exposiciones de pintura y venta de libros y discos. Nicolás Guillén era visita frecuente. También el narrador argentino Julio Cortázar durante sus estancias cubanas, y los jóvenes de entonces, como Miguel Barnet. Se disfrutaban las presentaciones de Elena con Frank Domínguez como pianista acompañante, Miguel de Gonzalo, Meme Solís, Doris de la Torre, Maggi Prior y el dúo Las Capellas. Miriam Acevedo cantaba y recitaba poemas de Virgilio Piñera. Aunque se desconoce si otros poetas también lo hicieron, se conserva un disco de poemas de Nicolás Guillén dichos en su voz que lleva el sello de Ediciones Gato Tuerto.
Ha pasado el tiempo. Transcurrieron ya 54 años desde la apertura de El Gato Tuerto. El ambiente sigue siendo el de siempre.

Ciro Bianchi Ross


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