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lunedì 1 settembre 2014

Ancora Satira, di Ciro Bianchi ross

Pubblicato su juventud rebelde del 31/8/14

Con relazione alla pagina dedicata al cantante portoricano Daniel Santos, apparsa lo scorso 20 luglio, il lettore René Rodríguez Rivera chiede sulla storia di Satira. Dice che egli avebva come 13 o 14 anni quando successe l’incidente e non può ricordalo in tutti i dettagli. Il tema in questione, lo scriba lo affrontò in questo stesso giornale già da molto tempo: niente meno che nel novembre 2002.
È una storia d’amore, gelosia e odio che si concluse in omicidio. Satira, una nordamericana che si presentava come “ballerina esotica”, il cui vero nome era Patricia Schmidt, uccise il suo amante, pure nordamericano, a bordo dell’improvvisata imbarcazione ormeggiata nella baia avanera dove, entrambi si trasferirono a viverci quando per mancanza di pagamento, dovettero lasciare l’hotel Saratoga di Prado angolo Dragones.
Lei dichiarò che era stato un incidente e il socio del suo amante confermò le sue parole. Jack Lester Mee che agonizzava nell’Ospedale Angloamericano del Vedado, stava pulendo la pistola quando venne ferito al collo da quel colpo fatale. Ma la Polizia cubana presto scoprì la verità e patricia Schmidt, di 21 anni, fu giudicata, condannata per omicidio  e reclusa nel carcere femminile di Guanabacoa. Correva il mese di aprile del 1947 e Daniel santos, l’inquieto Anacobero della Sonora Matancera, non tarderà a popolarizzare il fatto in una canzone che mosse le simpatie della nazione verso la ragazza.
Diceva daniel Santos:
Ricordati sempre che c’è un Dio in cielo. Non perdere mai la fede e la speranza. Non lo hai fatto per odio o per vendetta. Hai difeso con coraggio la tua debolezza e il tuo onore.

Per tutta la vita

Patricia e Jack Lester Mee si erano conosciuti alcuni mesi prima e, assieme, fecero piani per tutta la vita. Una volta che arrivasse, a lei, il divorzio si sarebbero sposati in Messico e lui avrebbe installato ad Acapulco un cabaret e un’impresa di navigazione. Ma di quei progetti, l’unico reale fu quello sgangherato battello gurdacoste dismesso dalla Marina Militare che Jack comprò, in società con Chuck Jakson, per 750 dollari. D’altra parte anche Jack era sposato e non aveva la minima intenzione di divorziare. Ma questo, Patricia, lo venne a sapere molto tempo dopo.
Il 2 novembre del 1946, a Chicago, si separarono. La ballerina doveva onorare un contratto nell’isola antillana di Trinidad, Jacke e il suo socio, con un ridotto numero di passeggeri iniziarono, con  il gurdacoste già trasformato in battello da ricreazione e che portava il nome di Satira, una crociera con destinazione ai Caraibi. Patricia avrebbe aspettato il suo amante al Saratoga dell’Avana e lì si sarebbero riuniti il 15 di dicembre. Ma niente riuscì come previsto. Le rappresentazioni a Trinidad furono un disastro e la barca ebbe un contrattempo dopo l’altro fino a urtare un rimorchiatore che era andato in suo soccorso. Di conseguenza, l’11 dicembre quando Patricia arrivò all’Avana, Jack non era rrivato nemmeno a Nuova Orleans e lì, con il natante rotto, rimase fino alla vigilia del Natale.
Nel frattempo la vita di patricia all’avana si faceva difficile. Impegnò un anello e vendette i suoi vestiti per sopravvivere. Disse all’albergo che aspettava suo marito, un avvocato che sarebbe arrivato con uno yacht, ma l’amministrazione del Saratoga premeva perché pagasse quello che doveva. La sua situazione stava toccando il fondo, quando jack le inviò 50 dollari, salatori, che le permisero di pagare la stanza.
Jack alla fine arrivò, pieno di regali per Patricia, ma senza soldi e col suo socio Chuck come zavorra. Siccome l’hotel non si pagava con promesse, i tre andarono a vivere sull’imbarcazione. Le cose cominciarono a cambiare in un batter d’occhio. Patricia ottenne un contratto per presentarsi al teatro Fausto e conseguì, non si sa come, di relazionarsi con Amletto Battisti, proprietario dell’hotel Sevilla. Don Amletto che controllava uno degli empori nazionali del gioco d’azzardo e, si diceva, i canali del traffico di eroina verso gli Stati Uniti, si entusiasmò della ballerina. Lo scriba non sa se fu il talento della ragazza che lo affascinò o fu il suo fisico, il caso è che le permise di praticare le sue danza nel roof garden dell’albergo. Jack, pianista consumato, metteva la musica.
Però, quell’uomo amorevole e sollecito, amabile e gentile, si trasformava giorno dopo giorno all’Avana. In  un occasione Jack comprò a Patricia un violino muto e cominciò a percuoterla per, disse, introdurle vitalità. Improvvisamente le cedette la frusta e la supplicò che le lo colpisse.
“Parlava e si comportava così stranamente che io non sapevo cosa pensare, eccetto che lo amavo e non potevo smettere di amarlo...Poco a poco, passo a passo mi aveva trasformato fino a impossessarsi della mia anima. Era diventato il mio padrone e quando mi sfidava a causargli dolore...io non avevo una mia volontà e gli ubbidivo”, scrisse lei nelle sue memorie.
Sapere che Jack era spostao e non avrebbe divorziato fu più di quanto patricia potesse sopportare. Si sentì  ingannata e burlata, chiese a Jack che la inviasse di ritorno negli Stati Uniti.
-Rimarrai con me.
-Jack, lasciami andare- lo supplicò lei.
Gli occhi di Jack si illuminarono di uno splendore feroce e la sua mano destra strinse i capelli della ragazza.
-Se cerchi di lasciarmi- disse allora Jack con voce tranquilla- ti ammazzerò.

Una pistola da tiro al bersaglio

Patricia Scmidt racconta nelle sue memorie:
“Sapendo che sarei fuggita, avendone l’occasione...non mi perdeva di vista e si occupava che nessun mezzo di evasione fosse alla mia portata. Trattenne il mio passaporto e il mio biglietto di ritorno in Florida. Non mi lasciava porta fuori niente dalla barca e lui stesso cominciò a vendere cose che mi appartenevano. Censurava tutta la mia corrispondenza, quella che spedivo e quella che ricevevo. Distruggeva le lettere che scrivevo, disperata, ai miei amici di Chicago.
Si vantava che sua moglie lo manteneva e che io avrei fatto lo stesso. Ripeteva che non aveva mai mantenuto una donna e che non lo avrebbe mai fatto. Mi faceva lavorare come un mozzo sulla barca. Mi trattava brutalmente davanti ad altra gente e mi turbava ripetutamente...MI torturava e godeva di ciò”.
L’8 di aprile mentre lei, disposta a fuggire, faceva le sue valigie, scoprì la pistola da tiro al bersaglio, calibro 22, di proprietà di Chuck Jackson.
Immediatamente Jack apparve sulla scala che portava alla cabina. La guardava fissamente e le sue labbra si contorsero in una smorfia crudele.
-Cosa fai?- Ruggì.
-Voglio che mi porti a Casablanca- rispose lei e lui comprese che mentiva.
-Sì? Molto bene...Vai, fuori dalla barca!- replicò Jack e la colpì sulla testa. Bloccò immediatamente l’uscita, si chinò rapidamente per prendere la spada che Satira usava per le sue danze e lei comprese, improvvisamente, che l’avrebbe uccisa. Istintivamente prese fra le mani la pistola.
Scrtive nelle sue memorie:
“ Quando Jack si raddrizzò, gli puntai all’altezza delle spalle e lui, nel vedere l’arma, si gettò indietro incurvandosi un po’.
Di seguito, la prima cosa di cui mi resi conto, fu che lui era a terra. Avevo sparato a Jack. Non ho mai saputo maneggiare una pistola. Non ne avevo nemmeno mai tenuta in mano una. La paura di perdere la vita fu tanto grande che premetti il grilletto senza pensarci”.
Mentre lo guardava, lì disteso, ma ancora vivo, tornarono alla mente di Patricia le parole che Jack ripeteva ogni volta che la forzava ad aggredirlo: “Mi piace vedere la tua faccia, quando tenti di ammazzarmi”.
Diceva Daniel Santos:
Dopo un viaggio glorioso al paradiso, lei volle forgiarsi un’illusione. La tragedia, senza pietà e senza permesso e tradendo il suo momento di passione, pose un mantello di colore rossiccio di fronte ll’uomo che era tutta la sua ossessione. Si ritrasse come toro inferocito. Attaccando senza coscienza né ragione. Con la forza di un proiettile fu sconfitto proprio mentre gli trapassava il cuore.

Finale

Jiack lester Mee morì il 13 di aprile. Suo padre, che giunse espressamente dagli Stati uniti e giunse a vederlo ancora in vita, accusò Patricia Schmidt di essere la responsabile della morte di suo figlio. Patricia fu arrestata e anche Ch uck Jackson, accusato di favoreggiamento. Amletto Battisti non li abbandonò e incaricò i suoi avvocati che prendessero la difesa degli imputati.
Questa è la storia, tale come la raccontò Satira, prima alla stampa e poi durante il processo penale. Fin dove sia vera o falsa non si seppe mai: nessuno la smentì, di certo i morti non raccontano. Con la sua versione dei fatti e la sua tormentata relazione con Jack sensibilizzò –con la canzone di Daniel Santos in mezzo- l’opinione pubblica nazionale che si mise decisamente dalla sua parte in quel già lontano 1947. Non passò molto tempo in prigione. Poco prima di abbandonare il potere, nell’ottobre del 1948 il presidente Ramón Grau San Martín, indultò la giovane e bella ballerina.
Lei cercò, allora, rifugio all’hotel Sevilla. Forse don Amletto pensò che tenerla lì sarebbe stata cattiva pubblicità per il suo esercizio; forse c’era qualche altro motivo; il fatto è che la spinsero a lasciare l’albergo. Lei si rifiutò di ubidire all’ordine e un pomeriggio, mentre girava nel vestibolo dell’installazione, due uomini le si avvicinarono e le chiesero che li accompagnasse. Non volle seguirli. Allora, prendendola per un braccio, la fecero uscire con la forza dall’edificio e la introdussero in un’automobile, nessuno intervenne in suo aiuto. La riportarono all’hotel due o tre ore dopo. Patricia uscì dal medesimo veicolo con cui l’avevano portata via, incespicando, sporca e con i vestiti strappati, con segni evidenti dele percosse che le diedero.
Non si seppe mai chi fu il responsabile del pestaggio. Lo scriba non pensa precisamente in Amletto Battisti. Si inclina di più verso il padre della vittima. In ogni modo Patricia Schmidt –Satira- il giorno dopo prese il primo aereo diretto in Florida.
Oh patricia. O donna addolorata, tanto costosa fu tutta la tua illusione. I destino venne a darti sofferenza, ma mai, mai perda il tuo coraggio.



Con relación a la página dedicada al cantante puertorriqueño Daniel Santos, que apareció el pasado 20 de julio, inquiere el lector René Rodríguez Rivera sobre la historia de Satira. Tenía él, dice, 13 o 14 años cuando ocurrió el incidente y no puede recordarlo en todos los detalles. El tema en cuestión lo abordó el escribidor en este mismo diario hace ya mucho tiempo; nada menos que el 10 de noviembre de 2002.
Es una historia de amor, celos y odio que concluyó en un asesinato. Satira, una norteamericana que se presentaba como «bailarina exótica» y cuyo nombre real era el de Patricia Schmidt, dio muerte a su amante, también norteamericano, a bordo del improvisado yate, surto en la bahía habanera, donde ambos fueron a vivir cuando, por falta de pago, tuvieron que abandonar el hotel Saratoga, de Prado esquina a Dragones.
Ella declaró que todo había sido un accidente y el socio del amante corroboró sus palabras. Jack Lester Mee, que agonizaba en el Hospital Angloamericano del Vedado, limpiaba la pistola cuando resultó herido en el cuello por aquel disparo fatal. Pero la Policía cubana pronto descubrió la verdad y Patricia Schmidt, de 21 años de edad, fue acusada y condenada por asesinato y recluida en la prisión de mujeres de Guanabacoa. Corría el mes de abril de 1947, y Daniel Santos, el Inquieto Anacobero de la Sonora Matancera, no tardaría en popularizar el incidente en una canción que movió hacia la muchacha las simpatías de la nación.
Decía Daniel Santos:
Siempre acuérdate que un Dios hay en el cielo. Nunca pierdas la fe ni la esperanza. No lo hiciste por odio ni venganza. Defendiste bravamente tu debilidad y honor.

Para toda la vida

Patricia y Jack Lester Mee se habían conocido meses antes y juntos hicieron planes para toda la vida. Una vez que ella lograra su divorcio, se casarían en México y él instalaría en Acapulco un cabaré y una empresa de navegación. Pero de esos proyectos lo único real fue aquel desarbolado buque de patrullaje, dado de baja de la Marina de Guerra, y que Jack consiguió comprar en sociedad con Chuck Jackson, por 750 dólares. Por otra parte Jack estaba casado y no tenía la más mínima intención de divorciarse. Pero de eso se enteraría Patricia mucho después.
El 2 de noviembre de 1946 se separaron en Chicago. La bailarina debía cumplir un contrato en la isla antillana de Trinidad, y Jack y su socio, con un reducido número de pasajeros, iniciaría, con el patrullero convertido ya en un barco de recreo que llevaba el nombre de Satira, un crucero con destino al Caribe. Patricia esperaría a su amante en el Saratoga, de La Habana, y allí se reunirían el 15 de diciembre. Pero nada salió como estaba previsto. Las presentaciones en Trinidad fueron un desastre y el barco tuvo un contratiempo tras otro hasta chocar con un remolcador que había ido en su auxilio. En consecuencia, el 11 de diciembre, cuando Patricia arribó a La Habana, Jack no había llegado aún a Nueva Orleans y allí, con el barco roto, permanecía todavía en vísperas de Navidad.
Mientras tanto, la vida de Patricia en La Habana se hacía angustiosa. Empeñó un anillo y vendió sus ropas para sobrevivir. Decía en el hotel que aguardaba a su marido, un abogado que venía a bordo de un yate, pero la administración del Saratoga la apremiaba para que pagara lo que debía. Su situación tocaba fondo cuando Jack le remitió aquellos 50 dólares salvadores que le permitieron pagar la habitación.
Jack llegó al fin, cargado de regalos para Patricia, pero sin dinero y con su socio Chuck a rastras y, como un hotel no se paga con promesas, los tres se fueron a vivir al barco. Las cosas comenzaron a cambiar en un abrir y cerrar de ojos. Patricia logró un contrato para presentarse en el teatro Fausto y consiguió, no se sabe cómo, relacionarse con Amletto Battisti, propietario del hotel Sevilla. Don Amletto, que controlaba uno de los emporios nacionales del juego de azar y, se decía, los canales del tráfico de heroína hacia Estados Unidos, se entusiasmó con la bailarina. Desconoce el escribidor si fue el talento de la muchacha lo que lo deslumbró o fue su físico, el caso es que le permitió que practicara sus danzas en el roof garden del hotel. Jack, pianista consumado, ponía la música.
Pero aquel hombre amoroso y solícito, amable y gentil, se transformaba día a día en La Habana. En una ocasión Jack comparó a Patricia con un violín mudo y comenzó a golpearla para, dijo, insuflarle vida. De pronto le cedió el látigo y le suplicó que lo golpeara a él.
«Hablaba y se portaba tan extrañamente que yo no sabía qué pensar, excepto que lo amaba y no podía dejar de amarlo… Poco a poco, paso a paso me había transformado hasta apoderarse de mi alma. Había venido a ser mi amo y cuando me retaba a causarle dolor… yo no tenía voluntad propia y lo obedecía», escribió ella en sus memorias.
El saber que Jack estaba casado y que no se divorciaría fue más de lo que Patricia pudo soportar. Se sintió engañada y burlada, y pidió a Jack que la enviara de regreso a Estados Unidos.
—Tú te quedarás conmigo.
—Jack, déjame ir —suplicó ella.
Los ojos de Jack cobraron entonces un fiero resplandor y su mano derecha atenazó el pelo de la muchacha.
—Si tratas de dejarme —dijo Jack entonces con voz tranquila— te mataré.

Una pistola de tiro al blanco

Cuenta Patricia Schmidt en sus memorias:
«Sabiendo que yo escaparía si tenía la ocasión… no me dejaba apartarme de su vista, y se encargaba de que ningún medio de evasión estuviera a mi alcance. Retuvo mi pasaporte y mi billete de regreso a la Florida. No me dejaba sacar nada de valor del barco y él mismo empezó a vender artículos que me pertenecían. Censuraba toda mi correspondencia, la que mandaba y la que recibía. Destruía las cartas que yo escribía, desesperada, a mis amigos de Chicago.
«Se jactaba de que su esposa lo sostenía y que yo haría lo mismo. Repetía que nunca había mantenido a una mujer y que jamás lo haría.
«Me hacía trabajar como un grumete en el barco. Me trataba brutalmente ante otras personas, y repetidamente me causaba turbación… Me torturaba y se regodeaba con ello».
El 8 de abril mientras ella, dispuesta a huir, hacía sus maletas, descubrió la pistola de tiro al blanco, calibre 22, propiedad de Chuck Jackson.
Súbitamente Jack apareció en la escalera que conducía al camarote. La miraba con fijeza y sus labios se torcían en una mueca cruel.
—¿Qué haces? —rugió.
—Quiero que me lleves a Casablanca —respondió ella y él comprendió que mentía.
—¿Sí? Muy bien… vete. ¡Fuera del barco! —replicó Jack y la golpeó en la cabeza. Bloqueó enseguida la salida, pero se agachó como un relámpago para alcanzar la espada que Satira usaba en sus danzas y ella comprendió de golpe que la mataría. Instintivamente tomó en sus manos la pistola.
Escribe ella en sus memorias:
«Cuando Jack se enderezó, le apunté a la altura de los hombros, y él, al ver el arma, se echó para atrás, encorvándose un poco.
«A continuación, de lo primero que tuve conciencia fue de que él estaba en el suelo. Había disparado contra Jack. Nunca supe manejar una pistola. Ni siquiera había tenido una en mi mano. El temor de perder la vida fue tan grande que tiré del gatillo sin pensarlo».
Mientras lo contemplaba allí, tendido, pero todavía vivo, acudieron a la mente de Patricia las palabras que Jack repetía cada vez que la forzaba a agredirlo: «Me gusta ver tu cara cuando tratas de matarme».
Decía Daniel Santos:
Tras un viaje glorioso al paraíso, quiso ella forjarse una ilusión. La tragedia, sin piedad y sin permiso  y traicionando su momento de pasión, puso un manto de color rojizo frente al hombre que era toda su obsesión. Retiróse como toro enfurecido  Atacando sin conciencia, sin razón. Con la fuerza de una bala fue vencido acertando atravesarle el corazón.

Final

Jack Lester Mee falleció el 13 de abril. Su padre, que vino expresamente desde Estados Unidos y llegó a verlo con vida, acusó a Patricia Schmidt de ser la responsable de la muerte de su hijo. Patricia fue detenida y también Chuck Jackson, acusado de encubrimiento. Amletto Battisti no los dejó de la mano y encargó a sus abogados que asumieran la defensa de los acusados.
Esta es la historia tal y como la contó Satira, primero a la prensa y luego durante el proceso judicial. Hasta dónde es cierta o falsa, nunca se supo; nadie la rebatió, pues los muertos no cuentan historias. Con su versión del suceso y de su tormentosa relación con Jack sensibilizó —con la canción de Daniel Santos por medio— a la opinión pública nacional, que se puso decididamente de su parte en aquel ya lejano año de 1947. No pasaría presa mucho tiempo. Poco antes de abandonar el poder, en octubre de 1948, el presidente Ramón Grau San Martín indultó a la joven y bella bailarina.
Buscó ella entonces refugio en el hotel Sevilla. Tal vez don Amletto pensara que tenerla allí era una mala propaganda para su establecimiento; quizá hubiera otra razón; el caso es que la instaron a que abandonara el hotel. Se negó ella a obedecer la orden y una tarde, mientras vagaba por el vestíbulo de la instalación, sin nada que hacer, dos hombres se le acercaron y le pidieron que los acompañara. No quiso seguirlos. Tomándola entonces de los brazos la sacaron a la fuerza del edificio y la introdujeron en un automóvil. Nadie acudió en su ayuda. La devolverían al hotel dos o tres horas después. Patricia salió del vehículo, el mismo en que se la llevaron, dando tumbos, sucia y con la ropa desgarrada, con señales evidentes de la golpeadura que le propinaron.
No se supo nunca quién fue el responsable de la golpiza. El escribidor no piensa precisamente en Amletto Battisti. Se inclina más por el padre de la víctima. De cualquier forma, Patricia Schmidt —Satira— tomó al día siguiente el primer avión con destino a Florida.
Oh Patricia. Oh mujer adolorida, tan costosa que fue toda tu ilusión. El destino vino a hacerte una sufrida, pero nunca, nunca pierdas el valor.






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