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lunedì 1 settembre 2014

Ancora Satira, di Ciro Bianchi ross

Pubblicato su juventud rebelde del 31/8/14

Con relazione alla pagina dedicata al cantante portoricano Daniel Santos, apparsa lo scorso 20 luglio, il lettore René Rodríguez Rivera chiede sulla storia di Satira. Dice che egli avebva come 13 o 14 anni quando successe l’incidente e non può ricordalo in tutti i dettagli. Il tema in questione, lo scriba lo affrontò in questo stesso giornale già da molto tempo: niente meno che nel novembre 2002.
È una storia d’amore, gelosia e odio che si concluse in omicidio. Satira, una nordamericana che si presentava come “ballerina esotica”, il cui vero nome era Patricia Schmidt, uccise il suo amante, pure nordamericano, a bordo dell’improvvisata imbarcazione ormeggiata nella baia avanera dove, entrambi si trasferirono a viverci quando per mancanza di pagamento, dovettero lasciare l’hotel Saratoga di Prado angolo Dragones.
Lei dichiarò che era stato un incidente e il socio del suo amante confermò le sue parole. Jack Lester Mee che agonizzava nell’Ospedale Angloamericano del Vedado, stava pulendo la pistola quando venne ferito al collo da quel colpo fatale. Ma la Polizia cubana presto scoprì la verità e patricia Schmidt, di 21 anni, fu giudicata, condannata per omicidio  e reclusa nel carcere femminile di Guanabacoa. Correva il mese di aprile del 1947 e Daniel santos, l’inquieto Anacobero della Sonora Matancera, non tarderà a popolarizzare il fatto in una canzone che mosse le simpatie della nazione verso la ragazza.
Diceva daniel Santos:
Ricordati sempre che c’è un Dio in cielo. Non perdere mai la fede e la speranza. Non lo hai fatto per odio o per vendetta. Hai difeso con coraggio la tua debolezza e il tuo onore.

Per tutta la vita

Patricia e Jack Lester Mee si erano conosciuti alcuni mesi prima e, assieme, fecero piani per tutta la vita. Una volta che arrivasse, a lei, il divorzio si sarebbero sposati in Messico e lui avrebbe installato ad Acapulco un cabaret e un’impresa di navigazione. Ma di quei progetti, l’unico reale fu quello sgangherato battello gurdacoste dismesso dalla Marina Militare che Jack comprò, in società con Chuck Jakson, per 750 dollari. D’altra parte anche Jack era sposato e non aveva la minima intenzione di divorziare. Ma questo, Patricia, lo venne a sapere molto tempo dopo.
Il 2 novembre del 1946, a Chicago, si separarono. La ballerina doveva onorare un contratto nell’isola antillana di Trinidad, Jacke e il suo socio, con un ridotto numero di passeggeri iniziarono, con  il gurdacoste già trasformato in battello da ricreazione e che portava il nome di Satira, una crociera con destinazione ai Caraibi. Patricia avrebbe aspettato il suo amante al Saratoga dell’Avana e lì si sarebbero riuniti il 15 di dicembre. Ma niente riuscì come previsto. Le rappresentazioni a Trinidad furono un disastro e la barca ebbe un contrattempo dopo l’altro fino a urtare un rimorchiatore che era andato in suo soccorso. Di conseguenza, l’11 dicembre quando Patricia arrivò all’Avana, Jack non era rrivato nemmeno a Nuova Orleans e lì, con il natante rotto, rimase fino alla vigilia del Natale.
Nel frattempo la vita di patricia all’avana si faceva difficile. Impegnò un anello e vendette i suoi vestiti per sopravvivere. Disse all’albergo che aspettava suo marito, un avvocato che sarebbe arrivato con uno yacht, ma l’amministrazione del Saratoga premeva perché pagasse quello che doveva. La sua situazione stava toccando il fondo, quando jack le inviò 50 dollari, salatori, che le permisero di pagare la stanza.
Jack alla fine arrivò, pieno di regali per Patricia, ma senza soldi e col suo socio Chuck come zavorra. Siccome l’hotel non si pagava con promesse, i tre andarono a vivere sull’imbarcazione. Le cose cominciarono a cambiare in un batter d’occhio. Patricia ottenne un contratto per presentarsi al teatro Fausto e conseguì, non si sa come, di relazionarsi con Amletto Battisti, proprietario dell’hotel Sevilla. Don Amletto che controllava uno degli empori nazionali del gioco d’azzardo e, si diceva, i canali del traffico di eroina verso gli Stati Uniti, si entusiasmò della ballerina. Lo scriba non sa se fu il talento della ragazza che lo affascinò o fu il suo fisico, il caso è che le permise di praticare le sue danza nel roof garden dell’albergo. Jack, pianista consumato, metteva la musica.
Però, quell’uomo amorevole e sollecito, amabile e gentile, si trasformava giorno dopo giorno all’Avana. In  un occasione Jack comprò a Patricia un violino muto e cominciò a percuoterla per, disse, introdurle vitalità. Improvvisamente le cedette la frusta e la supplicò che le lo colpisse.
“Parlava e si comportava così stranamente che io non sapevo cosa pensare, eccetto che lo amavo e non potevo smettere di amarlo...Poco a poco, passo a passo mi aveva trasformato fino a impossessarsi della mia anima. Era diventato il mio padrone e quando mi sfidava a causargli dolore...io non avevo una mia volontà e gli ubbidivo”, scrisse lei nelle sue memorie.
Sapere che Jack era spostao e non avrebbe divorziato fu più di quanto patricia potesse sopportare. Si sentì  ingannata e burlata, chiese a Jack che la inviasse di ritorno negli Stati Uniti.
-Rimarrai con me.
-Jack, lasciami andare- lo supplicò lei.
Gli occhi di Jack si illuminarono di uno splendore feroce e la sua mano destra strinse i capelli della ragazza.
-Se cerchi di lasciarmi- disse allora Jack con voce tranquilla- ti ammazzerò.

Una pistola da tiro al bersaglio

Patricia Scmidt racconta nelle sue memorie:
“Sapendo che sarei fuggita, avendone l’occasione...non mi perdeva di vista e si occupava che nessun mezzo di evasione fosse alla mia portata. Trattenne il mio passaporto e il mio biglietto di ritorno in Florida. Non mi lasciava porta fuori niente dalla barca e lui stesso cominciò a vendere cose che mi appartenevano. Censurava tutta la mia corrispondenza, quella che spedivo e quella che ricevevo. Distruggeva le lettere che scrivevo, disperata, ai miei amici di Chicago.
Si vantava che sua moglie lo manteneva e che io avrei fatto lo stesso. Ripeteva che non aveva mai mantenuto una donna e che non lo avrebbe mai fatto. Mi faceva lavorare come un mozzo sulla barca. Mi trattava brutalmente davanti ad altra gente e mi turbava ripetutamente...MI torturava e godeva di ciò”.
L’8 di aprile mentre lei, disposta a fuggire, faceva le sue valigie, scoprì la pistola da tiro al bersaglio, calibro 22, di proprietà di Chuck Jackson.
Immediatamente Jack apparve sulla scala che portava alla cabina. La guardava fissamente e le sue labbra si contorsero in una smorfia crudele.
-Cosa fai?- Ruggì.
-Voglio che mi porti a Casablanca- rispose lei e lui comprese che mentiva.
-Sì? Molto bene...Vai, fuori dalla barca!- replicò Jack e la colpì sulla testa. Bloccò immediatamente l’uscita, si chinò rapidamente per prendere la spada che Satira usava per le sue danze e lei comprese, improvvisamente, che l’avrebbe uccisa. Istintivamente prese fra le mani la pistola.
Scrtive nelle sue memorie:
“ Quando Jack si raddrizzò, gli puntai all’altezza delle spalle e lui, nel vedere l’arma, si gettò indietro incurvandosi un po’.
Di seguito, la prima cosa di cui mi resi conto, fu che lui era a terra. Avevo sparato a Jack. Non ho mai saputo maneggiare una pistola. Non ne avevo nemmeno mai tenuta in mano una. La paura di perdere la vita fu tanto grande che premetti il grilletto senza pensarci”.
Mentre lo guardava, lì disteso, ma ancora vivo, tornarono alla mente di Patricia le parole che Jack ripeteva ogni volta che la forzava ad aggredirlo: “Mi piace vedere la tua faccia, quando tenti di ammazzarmi”.
Diceva Daniel Santos:
Dopo un viaggio glorioso al paradiso, lei volle forgiarsi un’illusione. La tragedia, senza pietà e senza permesso e tradendo il suo momento di passione, pose un mantello di colore rossiccio di fronte ll’uomo che era tutta la sua ossessione. Si ritrasse come toro inferocito. Attaccando senza coscienza né ragione. Con la forza di un proiettile fu sconfitto proprio mentre gli trapassava il cuore.

Finale

Jiack lester Mee morì il 13 di aprile. Suo padre, che giunse espressamente dagli Stati uniti e giunse a vederlo ancora in vita, accusò Patricia Schmidt di essere la responsabile della morte di suo figlio. Patricia fu arrestata e anche Ch uck Jackson, accusato di favoreggiamento. Amletto Battisti non li abbandonò e incaricò i suoi avvocati che prendessero la difesa degli imputati.
Questa è la storia, tale come la raccontò Satira, prima alla stampa e poi durante il processo penale. Fin dove sia vera o falsa non si seppe mai: nessuno la smentì, di certo i morti non raccontano. Con la sua versione dei fatti e la sua tormentata relazione con Jack sensibilizzò –con la canzone di Daniel Santos in mezzo- l’opinione pubblica nazionale che si mise decisamente dalla sua parte in quel già lontano 1947. Non passò molto tempo in prigione. Poco prima di abbandonare il potere, nell’ottobre del 1948 il presidente Ramón Grau San Martín, indultò la giovane e bella ballerina.
Lei cercò, allora, rifugio all’hotel Sevilla. Forse don Amletto pensò che tenerla lì sarebbe stata cattiva pubblicità per il suo esercizio; forse c’era qualche altro motivo; il fatto è che la spinsero a lasciare l’albergo. Lei si rifiutò di ubidire all’ordine e un pomeriggio, mentre girava nel vestibolo dell’installazione, due uomini le si avvicinarono e le chiesero che li accompagnasse. Non volle seguirli. Allora, prendendola per un braccio, la fecero uscire con la forza dall’edificio e la introdussero in un’automobile, nessuno intervenne in suo aiuto. La riportarono all’hotel due o tre ore dopo. Patricia uscì dal medesimo veicolo con cui l’avevano portata via, incespicando, sporca e con i vestiti strappati, con segni evidenti dele percosse che le diedero.
Non si seppe mai chi fu il responsabile del pestaggio. Lo scriba non pensa precisamente in Amletto Battisti. Si inclina di più verso il padre della vittima. In ogni modo Patricia Schmidt –Satira- il giorno dopo prese il primo aereo diretto in Florida.
Oh patricia. O donna addolorata, tanto costosa fu tutta la tua illusione. I destino venne a darti sofferenza, ma mai, mai perda il tuo coraggio.



Con relación a la página dedicada al cantante puertorriqueño Daniel Santos, que apareció el pasado 20 de julio, inquiere el lector René Rodríguez Rivera sobre la historia de Satira. Tenía él, dice, 13 o 14 años cuando ocurrió el incidente y no puede recordarlo en todos los detalles. El tema en cuestión lo abordó el escribidor en este mismo diario hace ya mucho tiempo; nada menos que el 10 de noviembre de 2002.
Es una historia de amor, celos y odio que concluyó en un asesinato. Satira, una norteamericana que se presentaba como «bailarina exótica» y cuyo nombre real era el de Patricia Schmidt, dio muerte a su amante, también norteamericano, a bordo del improvisado yate, surto en la bahía habanera, donde ambos fueron a vivir cuando, por falta de pago, tuvieron que abandonar el hotel Saratoga, de Prado esquina a Dragones.
Ella declaró que todo había sido un accidente y el socio del amante corroboró sus palabras. Jack Lester Mee, que agonizaba en el Hospital Angloamericano del Vedado, limpiaba la pistola cuando resultó herido en el cuello por aquel disparo fatal. Pero la Policía cubana pronto descubrió la verdad y Patricia Schmidt, de 21 años de edad, fue acusada y condenada por asesinato y recluida en la prisión de mujeres de Guanabacoa. Corría el mes de abril de 1947, y Daniel Santos, el Inquieto Anacobero de la Sonora Matancera, no tardaría en popularizar el incidente en una canción que movió hacia la muchacha las simpatías de la nación.
Decía Daniel Santos:
Siempre acuérdate que un Dios hay en el cielo. Nunca pierdas la fe ni la esperanza. No lo hiciste por odio ni venganza. Defendiste bravamente tu debilidad y honor.

Para toda la vida

Patricia y Jack Lester Mee se habían conocido meses antes y juntos hicieron planes para toda la vida. Una vez que ella lograra su divorcio, se casarían en México y él instalaría en Acapulco un cabaré y una empresa de navegación. Pero de esos proyectos lo único real fue aquel desarbolado buque de patrullaje, dado de baja de la Marina de Guerra, y que Jack consiguió comprar en sociedad con Chuck Jackson, por 750 dólares. Por otra parte Jack estaba casado y no tenía la más mínima intención de divorciarse. Pero de eso se enteraría Patricia mucho después.
El 2 de noviembre de 1946 se separaron en Chicago. La bailarina debía cumplir un contrato en la isla antillana de Trinidad, y Jack y su socio, con un reducido número de pasajeros, iniciaría, con el patrullero convertido ya en un barco de recreo que llevaba el nombre de Satira, un crucero con destino al Caribe. Patricia esperaría a su amante en el Saratoga, de La Habana, y allí se reunirían el 15 de diciembre. Pero nada salió como estaba previsto. Las presentaciones en Trinidad fueron un desastre y el barco tuvo un contratiempo tras otro hasta chocar con un remolcador que había ido en su auxilio. En consecuencia, el 11 de diciembre, cuando Patricia arribó a La Habana, Jack no había llegado aún a Nueva Orleans y allí, con el barco roto, permanecía todavía en vísperas de Navidad.
Mientras tanto, la vida de Patricia en La Habana se hacía angustiosa. Empeñó un anillo y vendió sus ropas para sobrevivir. Decía en el hotel que aguardaba a su marido, un abogado que venía a bordo de un yate, pero la administración del Saratoga la apremiaba para que pagara lo que debía. Su situación tocaba fondo cuando Jack le remitió aquellos 50 dólares salvadores que le permitieron pagar la habitación.
Jack llegó al fin, cargado de regalos para Patricia, pero sin dinero y con su socio Chuck a rastras y, como un hotel no se paga con promesas, los tres se fueron a vivir al barco. Las cosas comenzaron a cambiar en un abrir y cerrar de ojos. Patricia logró un contrato para presentarse en el teatro Fausto y consiguió, no se sabe cómo, relacionarse con Amletto Battisti, propietario del hotel Sevilla. Don Amletto, que controlaba uno de los emporios nacionales del juego de azar y, se decía, los canales del tráfico de heroína hacia Estados Unidos, se entusiasmó con la bailarina. Desconoce el escribidor si fue el talento de la muchacha lo que lo deslumbró o fue su físico, el caso es que le permitió que practicara sus danzas en el roof garden del hotel. Jack, pianista consumado, ponía la música.
Pero aquel hombre amoroso y solícito, amable y gentil, se transformaba día a día en La Habana. En una ocasión Jack comparó a Patricia con un violín mudo y comenzó a golpearla para, dijo, insuflarle vida. De pronto le cedió el látigo y le suplicó que lo golpeara a él.
«Hablaba y se portaba tan extrañamente que yo no sabía qué pensar, excepto que lo amaba y no podía dejar de amarlo… Poco a poco, paso a paso me había transformado hasta apoderarse de mi alma. Había venido a ser mi amo y cuando me retaba a causarle dolor… yo no tenía voluntad propia y lo obedecía», escribió ella en sus memorias.
El saber que Jack estaba casado y que no se divorciaría fue más de lo que Patricia pudo soportar. Se sintió engañada y burlada, y pidió a Jack que la enviara de regreso a Estados Unidos.
—Tú te quedarás conmigo.
—Jack, déjame ir —suplicó ella.
Los ojos de Jack cobraron entonces un fiero resplandor y su mano derecha atenazó el pelo de la muchacha.
—Si tratas de dejarme —dijo Jack entonces con voz tranquila— te mataré.

Una pistola de tiro al blanco

Cuenta Patricia Schmidt en sus memorias:
«Sabiendo que yo escaparía si tenía la ocasión… no me dejaba apartarme de su vista, y se encargaba de que ningún medio de evasión estuviera a mi alcance. Retuvo mi pasaporte y mi billete de regreso a la Florida. No me dejaba sacar nada de valor del barco y él mismo empezó a vender artículos que me pertenecían. Censuraba toda mi correspondencia, la que mandaba y la que recibía. Destruía las cartas que yo escribía, desesperada, a mis amigos de Chicago.
«Se jactaba de que su esposa lo sostenía y que yo haría lo mismo. Repetía que nunca había mantenido a una mujer y que jamás lo haría.
«Me hacía trabajar como un grumete en el barco. Me trataba brutalmente ante otras personas, y repetidamente me causaba turbación… Me torturaba y se regodeaba con ello».
El 8 de abril mientras ella, dispuesta a huir, hacía sus maletas, descubrió la pistola de tiro al blanco, calibre 22, propiedad de Chuck Jackson.
Súbitamente Jack apareció en la escalera que conducía al camarote. La miraba con fijeza y sus labios se torcían en una mueca cruel.
—¿Qué haces? —rugió.
—Quiero que me lleves a Casablanca —respondió ella y él comprendió que mentía.
—¿Sí? Muy bien… vete. ¡Fuera del barco! —replicó Jack y la golpeó en la cabeza. Bloqueó enseguida la salida, pero se agachó como un relámpago para alcanzar la espada que Satira usaba en sus danzas y ella comprendió de golpe que la mataría. Instintivamente tomó en sus manos la pistola.
Escribe ella en sus memorias:
«Cuando Jack se enderezó, le apunté a la altura de los hombros, y él, al ver el arma, se echó para atrás, encorvándose un poco.
«A continuación, de lo primero que tuve conciencia fue de que él estaba en el suelo. Había disparado contra Jack. Nunca supe manejar una pistola. Ni siquiera había tenido una en mi mano. El temor de perder la vida fue tan grande que tiré del gatillo sin pensarlo».
Mientras lo contemplaba allí, tendido, pero todavía vivo, acudieron a la mente de Patricia las palabras que Jack repetía cada vez que la forzaba a agredirlo: «Me gusta ver tu cara cuando tratas de matarme».
Decía Daniel Santos:
Tras un viaje glorioso al paraíso, quiso ella forjarse una ilusión. La tragedia, sin piedad y sin permiso  y traicionando su momento de pasión, puso un manto de color rojizo frente al hombre que era toda su obsesión. Retiróse como toro enfurecido  Atacando sin conciencia, sin razón. Con la fuerza de una bala fue vencido acertando atravesarle el corazón.

Final

Jack Lester Mee falleció el 13 de abril. Su padre, que vino expresamente desde Estados Unidos y llegó a verlo con vida, acusó a Patricia Schmidt de ser la responsable de la muerte de su hijo. Patricia fue detenida y también Chuck Jackson, acusado de encubrimiento. Amletto Battisti no los dejó de la mano y encargó a sus abogados que asumieran la defensa de los acusados.
Esta es la historia tal y como la contó Satira, primero a la prensa y luego durante el proceso judicial. Hasta dónde es cierta o falsa, nunca se supo; nadie la rebatió, pues los muertos no cuentan historias. Con su versión del suceso y de su tormentosa relación con Jack sensibilizó —con la canción de Daniel Santos por medio— a la opinión pública nacional, que se puso decididamente de su parte en aquel ya lejano año de 1947. No pasaría presa mucho tiempo. Poco antes de abandonar el poder, en octubre de 1948, el presidente Ramón Grau San Martín indultó a la joven y bella bailarina.
Buscó ella entonces refugio en el hotel Sevilla. Tal vez don Amletto pensara que tenerla allí era una mala propaganda para su establecimiento; quizá hubiera otra razón; el caso es que la instaron a que abandonara el hotel. Se negó ella a obedecer la orden y una tarde, mientras vagaba por el vestíbulo de la instalación, sin nada que hacer, dos hombres se le acercaron y le pidieron que los acompañara. No quiso seguirlos. Tomándola entonces de los brazos la sacaron a la fuerza del edificio y la introdujeron en un automóvil. Nadie acudió en su ayuda. La devolverían al hotel dos o tres horas después. Patricia salió del vehículo, el mismo en que se la llevaron, dando tumbos, sucia y con la ropa desgarrada, con señales evidentes de la golpeadura que le propinaron.
No se supo nunca quién fue el responsable de la golpiza. El escribidor no piensa precisamente en Amletto Battisti. Se inclina más por el padre de la víctima. De cualquier forma, Patricia Schmidt —Satira— tomó al día siguiente el primer avión con destino a Florida.
Oh Patricia. Oh mujer adolorida, tan costosa que fue toda tu ilusión. El destino vino a hacerte una sufrida, pero nunca, nunca pierdas el valor.






Decorata, per meriti sportivi, Diana Nyad

 Diana Nyad, giusto un anno fa, ha attraversato a nuoto, dopo diversi tentativi falliti, lo Stretto della Florida tra l'Avana e Key West in circa 52 ore senza pinne e senza gabbia di protezione dagli squali. (n.d.a.)

Fonte, Granma:

Orden al Mérito Deportivo a la nadadora estadounidense Diana Nyad
Diana Nyad es un ejemplo de mujer extraordinario, de una fuerza de voluntad y tesón ilimitadas, que inscribió a nado un capítulo glorioso en la historia del deporte, afirmó Miguel Díaz-Canel Bermúdez, primer Vicepresidente de los Consejos de Estado y de Ministros, en la ceremonia de imposición de la Orden al Mérito Deportivo que, a solicitud del INDER, le concedió el Consejo de Estado.

30 de agosto de 2014 21:08:20
Díaz-Canel y el presidente del Inder Christian Jiménez, junto a Diana Nyad. Foto: Ricardo López Hevia
“Si hay algo verdaderamente importante para ti, busca el camino, nunca es demasiado tarde para perseguir tus sueños”.
Así justamente inició sus palabras Miguel Díaz-Canel Bermúdez, primer Vicepresidente de los Consejos de Estado y de Ministros al parafrasear un pensamiento de la nadadora Diana Nyad, merecedora de la Orden al Mérito Deportivo que a solicitud del INDER le impuso el Consejo de Estado en la tarde de este sábado.
Nyad justamente hizo eso, perseguir su sueño de cruzar a nado las 90 millas de distancia entre La Habana y Cayo Hueso, hazaña materializada a los 64 años el 2 de septiembre del 2013 tras aproximadamente 52 horas y 54 minutos de intenso bracear y patear. ¿Su objetivo? Enviar un mensaje de unidad y amistad entre ambos pueblos e irradiar esa filosofía al resto del mundo.
“Diana Nyad es un ejemplo de mujer extraordinario, de una fuerza de voluntad y tesón ilimitadas, que inscribió a nado un capítulo glorioso en la historia del deporte. Es un gran honor conferirle la más alta distinción que otorga el consejo de estado a atletas, personalidades e instituciones de excelencia, en este caso además, como un especial símbolo de amistad entre los pueblos de Cuba y Estados Unidos”, ahondó Díaz Canel.
Nyad, profundamente emocionada con el reconocimiento, manifestó: “He recibido muchos honores, un sinnúmero de muestras de respeto, pero hoy albergo una emoción muy profunda, pues este, lo considero el más prestigioso de todos.
“Desde 1978 siempre visualicé esta hazaña como un tope y un récord de humanismo, estuve 30 años sin nadar y a los 60, tras el fallecimiento de mi madre, me propuse vivir intensamente la vida. La respuesta la hallé en Cuba, en su bandera, en la hospitalidad de su gente, en un país que admiro además por sus elevados niveles de instrucción y en el sector de la salud, y por poseer además, buena parte de los mejores atletas del mundo.
“Decidí entonces sacar ese potencial, volcarlo conjuntamente con mi equipo en función de enviarle un mensaje al resto del planeta. Nos costó cuatro intentos, pero ya hoy pienso con orgullo en mi próximo proyecto: cruzar caminando mi país en el 2016 (alrededor de tres meses y medio), desde California hasta Washington DC. proyecto en el cual se involucrarán un millón de personas. El mensaje será combatir la obesidad, y contribuir a disminuir las enfermedades cardiacas. En ambos casos caminar constituye un muy buen ejercicio.
Por esas cosas de la vida, otra nadadora, la australiana Susie Maroney, también mereció tamaña distinción, luego de nadar 197 kilómetros entre México y La Habana en 38 horas y 33 minutos, materializando su épica el primero de junio de 1998.
Presidieron, además, la ceremonia, José Ramón Fernández, Presidente del Comité Olímpico Cubano, y Christian Jiménez, titular del INDER, quien le impuso, ante la presencia de glorias del deporte cubano, y otras personalidades, la Orden a Diana Nyad.


Cuba all'Expo di Milano

Fonte: TTC

Cuba presente all’Expo Milano 2015
Pubblicato da Redazione TTC in Eventi agosto 31, 2014 0 2 Visite




La Camera di Commercio di Cuba, ha confermato la partecipazione dell’isola alla Expo Milano 2015, che si terrà dal primo maggio al 31 ottobre del prossimo anno nella città italiana.
Dirigenti dell’ente hanno riferito che il padiglione cubano occuperà una superficie di 250 metri quadrati e comprenderà un programma incentrato nel mostrare al pubblico la cultura nazionale come prodotto sicuro e diversificato.
Miriam Martinez, direttrice delle Fiere della Camera di Commercio di Cuba, ha detto che la nazione caraibica annuncerà anche a Milano i suoi progressi sulla sicurezza alimentare, nonché alcuni progetti per aumentare la produzione agricola e migliorare la distribuzione.


domenica 31 agosto 2014

Lestofante

LESTOFANTE: bersagliere

sabato 30 agosto 2014

Lesionato

LESIONATO: venuto al mondo con traumi o ferite

venerdì 29 agosto 2014

Lenticchia

LENTICCHIA: moderatamente lenta

giovedì 28 agosto 2014

Legume

LEGUME: seguaci della Lega

mercoledì 27 agosto 2014

Turismo della salute a Cuba

Fonte: Cuba Contemporanea
SERVIMED: una puerta abierta al turismo médico en Cuba


           
                             
Por Yizzet Bermello
25 Ago 2014 - 8:00am
















Instituto de Cardiología y Cirugía Cardiovascular
Se conoce bastante en el mundo sobre los profesionales competentes con que Cuba cuenta en el campo de la atención médica, el sistema que los sustenta, así como de los años de investigación y quehacer que han llevado al desarrollo en ramas diversas de tratamientos y terapias, y al impulso en otras áreas claves, como la de los medicamentos y las tecnologías.
Sin embargo, a veces no se sabe que existen caminos bien expeditos para que todo ese know how acumulado pueda llegar a beneficiar a personas provenientes de diferentes geografías, que buscan atenderse uno u otro padecimiento de salud en esta islita caribeña; interés que ha ido en ascenso en los últimos tiempos, en consonancia con una tendencia internacional que confirma al turismo médico entre los segmentos con mayores posibilidades de expansión futura.
Precisamente, ese es el cometido de SERVIMED, que en colaboración con CSMC* se encargan de promocionar y comercializar de cara al exterior la amplia gama de servicios médicos que Cuba brinda hoy en un grupo de centros y unidades del sistema nacional de salud, que han sido preparados y acreditados debidamente para atender a pacientes foráneos.
“Trabajamos varias líneas de negocios, pero esta es la principal, y comprende desde los programas clínico-quirúrgicos hasta opciones que tienen creciente reclamo, como la rehabilitación ante adicciones a las drogas  y los programas de calidad de vida”, explicó a Cuba Contemporánea la doctora Iliana Reyes, jefa de Ventas y Operaciones de la entidad.
Nos refirió además que esa actividad se vincula, como es lógico, con los servicios médicos  al visitante que llega al país por motivos de vacaciones u ocio, y en algún momento, por una coyuntura no planificada, tiene que recurrir a la red de clínicas internacionales distribuidas por los principales polos turísticos, o los consultorios médicos que existen en los centros hoteleros.
“Asimismo, nuestras  líneas de ópticas y farmacias internacionales completan  el ciclo, con una red  que brinda todos los servicios de óptica y puntos de ventas donde pueden adquirirse medicamentos  y accesorios médicos”, puntualizó la directiva.
Enfatizó igualmente en la importancia de que el paciente que anda tras un servicio más concreto sea orientado por especialistas. En ese sentido, SERVIMED se auxilia de herramientas muy modernas, como el sitio webwww.servimedcuba.com, donde está recogido todo el perfil de actividades de la compañía, detalles sobre las propuestas que maneja y desde el que se gestiona una especie de consultoría online, en la que un grupo de doctores responden a preguntas y dudas del interesado y tratan de encauzarlo para que se acoja a la mejor variante de tratamiento, en función de su dolencia.
“Se debe escribir para ello al email médicos@sermed.cha.tur.cu, con la seguridad de que el mensaje será respondido muy rápido y en el mismo idioma en que se envió. En el intercambio posterior, usted recibe información sobre todos los programas de salud que se brindan, sus costos, características, respaldos logísticos y demás, al tiempo que se valora su condición como paciente. Esa asistencia la damos también por vía telefónica, a través de los números 204 26 58 o 204 1630, a los que debe anteceder siempre el 537 si se llama desde el exterior”, detalló nuestra entrevistada.
Estas alternativas han devenido en un importante apoyo para la gestión más tradicional de comercialización de los referidos servicios, que SERVIMED realiza a partir de contratos de colaboración con más de 70 touroperadores y agencias internacionales, ubicados en diferentes regiones del mundo.
Algunos datos interesantes…
Al indagar sobre los programas con mayor demanda hasta la fecha, la ejecutiva de SERVIMED mencionó los clínico-quirúrgicos, que engloban chequeos y seguimientos médicos de todo tipo, y en el caso de las especialidades dijo que destacan: la rehabilitación antidrogas, algunas terapias exclusivas de Cuba, como las que tenemos contra el cáncer de pulmón y el de cabeza y cuello; más los tratamientos a enfermedades cardiovasculares genéticas, la rehabilitación neurológica, la ortopedia en toda su gama de posibilidades,  la cirugía estética y las cirugías en sentido general,  en tanto se trabaja  para  próximamente brindar  programas médicos  basados en la medicina regenerativa 
Apuntó que existen otras terapias muy puntuales que se quieren potenciar, como el tratamiento cubano contra las úlceras del pie diabético, único de su tipo en el mundo; la histoterapia placentaria para el vitíligo y la psoriasis, y los programas de calidad de vida.
“Los mercados donde más aceptación e interés estamos ganando con este tipo de servicios son Canadá, Angola; Brasil, Argentina y Perú en Sudamérica, así como México en la zona central del continente. Y luego, en Europa, resaltan Serbia, Rusia, Alemania, Italia, más varias islas anglófonas en el caso del Caribe”, informó la jefa de Ventas y Operaciones de SERVIMED.
Por otra parte, mencionó que la retroalimentación que se mantiene con las personas que llegan a Cuba mediante esta modalidad ha revelado que, en su mayoría, aseguran que agradecen ser vistos “más como un paciente que como objeto comercial”, por el trato humano y profesional que reciben de los médicos y el personal de apoyo; en tanto alaban además la seguridad del país, los precios más asequibles de los tratamientos y terapias y el desarrollo evidente en nuestra medicina
Crecer, y seguir reinvirtiendo


Según nos adelantó también Reyes, en estos momentos buena parte de las clínicas y centros de atención del Sistema Nacional de Salud  se encuentran inmersos en un proceso de inversión progresivo, dirigido a reparar y modernizar sus instalaciones para poder brindar mejor servicio a la población y a los pacientes foráneos.
“La idea es que logren tener cada vez más confort y muchas de las prestaciones buscadas por este tipo de visitantes, que generalmente precisan de un buen lugar para descansar y recuperarse; con comunicación adecuada, opciones de alimentación, propuestas de disfrute que se garantizan gracias al trabajo conjunto con los principales receptivos del turismo, más la constante valoración y atención médica”, indicó la entrevistada.
“Debe recordarse que lo que se recauda por esta vía pasa a ser reinvertido dentro del propio sistema de salud cubano, que tiene además en perspectiva crear en breve, en todos los grandes centros, áreas acreditadas para los  servicios médicos internacionales. Es una experiencia que se ha estado desarrollando  en los hospitales: Almejeiras, Fajardo, González Coro, Frank País, Instituto de Neurología, Instituto  de Hematología e Inmunología, hospitales pediátricos y otros, con buenos resultados”, añadió.
Está claro que para Cuba el turismo médico constituye un nicho a tener en cuenta y explotar con más fuerza, como parte del propósito y la voluntad gubernamental de gestionar mecanismos nuevos que contribuyan a oxigenar al sector  de la salud, siempre necesitado de dividendos y recursos frescos que se reviertan en función de su propio desarrollo. SERVIMED y CSMC seguirán  abriendo puertas y caminos en esa dirección, así lo aseguran sus especialistas.

Nota dell'autore: Per assistenza logistica ci si può rivolgere a:
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lunedì 25 agosto 2014

Milanés ha compiuto 200 anni, di Ciro Bianchi Ross


Pubblicato su Juventud Rebelde del 24/8/14

Cintio Vitier lo chiama “l’ossesso”. Altri più bruschi, meno delicati lo chiamano “il pazzo”. Lo sfortunato poeta José Jacinto Milanés passò metà della sua vita nella notte della follia.
Era un male ereditario? Lo provocarono quelle strane febbri di cui patì nel 1839 e che si diceva gli avessero danneggiato il cervello? Amori contrastati lo portarono alla demenza?
José Lezama Lima scriveva nel 1965: “Milanés è un esempio, come Heredia, delle impossibilità che crescono nel nostro miglior spirito. Lo schiacciarono difficoltà economiche. La famiglia, numerosa, doveva essere sostenuta con frequenza. Dove credette di trovare soluzioni e aiuto, come nel suo amore per la cugina, gli si trasformarono in divinità ostili. Alla fine la pazzia gli chiuse la strada in modo inesorabile”.
È certo che c’erano precedenti di demenza nella famiglia del poeta; riferimenti molto vicini come quella sorella di sua madre, la zia Pastora, “alta secca incartapecorita”, sempre seduta imbronciata e accigliata nella modesta sala della casa e che, quando sentiva il piano, correva all’interno della casa tappandosi le orecchie con le mani per non sentire le cose poco decorose che diceva il piano. Il poeta, d’altra parte, fu sempre un tipo strano. Quelli che lo conobbero parlarono della sua estrema sensibilità, del suo temperamento ingenuo, semplice, impressionabile. Si sa che quando debuttò, nel 1838 al teatro Tacón dell’Avana, il suo dramma El conde Alarcos, Milanés, insicuro di sé e con i nervi a pezzi davanti alla possibilità che la reazione del pubblico fosse avversa, si negò a presenziare la messa in scena della sua opera.
“In molti dei versi di Milanés, specialmente ne El beso, dietro il tono idilliaco si sente un’idea fissa, un’ossessione: l’ossessione della purezza che è, naturalmente, l’ossessione dell’impurità. Non possiamo sapere il ruolo che, nel suo crescente desequilibrio psichico, giocò l’insuccesso del suo amore per Isa. Più giovane di 14 anni di lui e di una famiglia molto potente. Ci è solo permesso scoprire nei suoi versi una costante ossessiva, nevrotica, legata allo scrupolo e alla colpa iperbolizzata che raggiunge ne El mendigo la sua formulazione più profonda. Si tratta di un mendicante alla porta di un ballo. Il poeta, trascinato dalla tormenta sensuale, entra senza farci caso, apparentemente però la sua immagine gli si registra per ossessionarlo e riapparire inesorabile, vendicativa, dalla parte dell’ombra...”, dice Cintio.
Essenza della cubania
José Jacinto Milanés Fuentes, nacque nella città di Matanzas il 16 agosto del 1814, 200 anni orsono. Era il primo dei 15 figli di Rita e Álvaro, un modesto impiegato pubblico che la vedeva nera nel tentativo di coprire le necessità della sua numerosa prole. La mancanza di risorse lo costrinse a iscrivere il figlio in una scuola pubblica. Era di apparenza fragile e sguardo sognante, meditabondo, discreto. Dedicava alla lettura quasi tutti i suoi momenti liberi. Divorava un libro dietro l’altro nella sala della casa, assieme alla zia Pastora, sempre in un ostinato silenzio e lo sguardo perso. Altre volte, di malavoglia, Josè Jacinto cercava di condividere i divertimenti dei suoi fratelli e cugini. Perché di fronte a loro abitavano Isabel, la sorella di doña Rita, sposata con il ricco commerciante Don Simón de Ximeno e i loro sei figli.
José Jacinto non poté effettuare studi regolari, ma per conto suo imparò latino, francese e italiano. Correva già l’anno 1830 e voleva lavorare per aiutare, così, il sostentamento della famiglia. Suo zio Don Simón, con molte ralzioni, gli trova lavoro in una ferramenta del’Avana. Qui, l’epidemia di colera del 1833 sorprende il poeta che non tarda a tornare nella sua città natale, dove lavora nell’ufficio dello zio acquisito.
Nel 1834, Domingo del Monte si stabilisce a Matanzas e fa amicizia con Milanés, come con tutti i giovani dalle inquietudini letterarie. È grazie a Del Monte che nel 1841, si nomina il poeta come segretario della Compagnia Ferroviaria matanzera, lavoro che consente a José Jacinto una certa sicurezza economica. Ne può appena godere, c’è già alle porte la pazzia.
Corrisponde a questi anni la maggior attività creatrice di Milanés. Scrive alcuni drammi, come il già citato Alarcos, ma è nella lirica dove raggiunge il suo maggior rilievo. Gli studi  dividono la sua poesia in tre fasi. Una iniziale, idilliaca, caratterizzata per l’ingenuità lirica, una svenevole malinconia e l’espressione vaga dei sentimenti amorosi. Nella seconda fase si avverte l’influenza di Del Monte; si inclina verso i temi sociali e, dice Salvador Bueno, il “moralismo filantropico converte in secca e rigida la soave musa del poeta matanzero” che vuole, con la sua opera, censurare vizi e riformare costumi. Verso il 1840, la sua terza tappa segna un giro all’origine della prima. A questo periodo corrispondono poemi come De codos en el puente  (Di gomiti sul ponte, n.d.t.) e La fuga della Tórtola (La fuga della colomba, n.d.t.).
Lezama Lima si domandava se, per lo sviluppo del poeta, furono davvero convenienti le indicazioni che gli fece Domingo del Monte. L’autore di Paradiso precisava: “Del Monte volle portare Milanés all’apologia moralizzante, al pastiche del teatro spagnolo, a una poesia di una fattura più ambiziosa che il temperamento di Milanés potesse ralizzare”. Perché per Lezama, il miglior Milanés sta nella depurata semplicità con cui si affaccia alla natura, come lo fa nel poema intitolato La madrugada (Prima dell’alba, n.d.t.). Dice Lezama: “Nelle poesie che scrive nel modo de La madrugada, come sono La fuga de la Tórtola e El beso, si vede agile, pieno di incanto. Con un veloce riflesso dove penetrano sottili e profonde le nostre più pure essenze”.
Cintio Vitier osserva, da parte sua, che tutta l’opera poetica di Milanés, incluso le sue composizioni moralizzanti, sono “legate al tema centrale delle sue migliori poesie e a quella che, probabilmente, l’ossessione dominante della sua vita, che finì nella follia: l’ossessione della purezza”.
Amori disgraziati
Ne La madrugada, c’è un’allusione all’insuccesso amoroso del poeta. Si sente il nostalgico avvertire che la natura si integra in amori piacevoli, mentre lui sente: “Guardo tanta unione e piango/la mia solitudine perpetua”.
Quasta soltudine, di qualcuno, fu il preludio alla pazzia dell’autore de La fuga de la tórtola. Federico Milanés, poeta notevole egli stesso, editore delle oper di suo fratello, volle tenere un velo protettore sulla vita amorosa di José Jacinto, cosa che non poté evitare che venissero alla luce i suoi amori con Dolores Rodríguez y Varela. Era la cugina dello scrittore di costume José María Cárdenas y Rodríguez e il poeta aveva 20 anni quando la conobbe, un’epoca in cui egli stesso si presenta – e forse non è vero – come “di bell’aspetto, allegro e frequentatore di balli e feste”. Lo attrasse la bellezza di Dolores e alcuni suppongono che giunsero a essere fidanzati. In ogni modo lei lo disdegnò. Al rispetto Federico Milanés scrisse che “stanco di amarla invano, desistette dal vederla e parlarle, consacrandosi a pensieri tristi e a vertere nelle sue composizioni poetiche una sequela di pianti e lamenti per la sua solitudine”.  Di quest’epoca data La madrugada. Alla fine smise di visitare la casa di Dolores; ruppe con lei.
Allora entra in scena Isabel Ximeno, Isa. Sono cugini, come si è già detto e il poeta che è tutta una gloria locale, a 28 anni, le raddoppia tranquillamente l’età. Sorgono problemi riguardanti Isa, la madre di Josè Jacinto e la madre di Isabel osservano questo amore con preoccupazione. È probabile che don Simon volesse per sua figlia un pretendente di quel cugino poveraccio e poeta. Non si sa con certezza, ma sono da supporre gli inconvenienti e le difficoltà che avrebbe posto a quella relazione la famiglia di Isabel.
È allora che cominciano a vedersi i primi sintomi dell’alienazione del poeta. Sono inutili gli sforzi per fargli recuperare la ragione. Medici dell’Avana, con cui la famiglia si era consultata, suggeriscono un viaggio all’estero ed è il padre di Isa che facilita i soldi necessari perché José Jacinto, accompagnato da Federico, visiti gli Stati Uniti, Inghilterra, Francia, Italia...un costoso periplo che alla fine non giunge a risultati favorevoli. Il malato va di male in peggio. Soffre attacchi di ira e gli si deve servira il cibo già tagliato per impedire che aggredisca i famigliari o aggreda se stesso. Un pomeriggio scappò dalla vigilanza dei suoi. Attraversò la strada e si diresse a casa di sua cugina. Nel vederla irruppe in grida disperate.Isa, terrorizzata, fuggì verso il fondo della casa. Carlotta, sorella di José Jacinto, prese per un braccio il poeta e lo condusse a fare una passeggiata. Dopo un attacco di violenza rimaneva racchiuso, malinconico, sottomesso a un mutismo assoluto.
Dolores e Maria de Ximeno y Cruz scrisse, in un libro delizioso che ha per titolo Memorias de Lola Maria, che Carlotta passava notti intere al lato di Josè Jacinto, trattando di distrarlo nelle sue insonnie. Come le sue sorelle, sacrificò la gioventù e gli amori in virtù di quell’affetto. “Per intrattenere le interminabili veglie d’inverno, alla luce di una lampada e vicino al seggiolone dell’ammalato – che avvolto nella sua ampia cappa spagnola dai riflessi granata, non si rendeva conto di niente – scriveva col pennino, in una finissima tela di lino, con caratteri piccoli, stupende poesie in italiano, tradotte in altri tempi da suo fratello.”.
È sempre Lola María che da le notizie di Isabel Ximeno. La ritratta, nelle sue memorie, come “pura, degna, intelligente, distintissima, delicatissima”. Racconta che un altro suo cugino – Josè María Jenekes y Ximeno – innamorato perdutamente di lei e altrettanto disprezzato, dimagrì, divenne addetto alle “bevande acide e non si sposò mai in omaggio a quell’amore impossibile”.
Isa contrasse matrimonio. Tra i suoi molti pretendenti si decise per quello che considerò il miglior partito. Si sposò nel 1862 con Manuel Mahy y León, nipote del Capitano Generale Nicolás Mahy, governatore dell’Isola di Cuba. La coppia si recò in Spagna e a Madrid lei godette del riconoscimento di notevoli figura della Corte. Ventura de la Vega le dedicò un poema, quando decise di tornare a Cuba. Morì a Matanzas nel 1897.
Già per allora, José Jacinto Milanés era morto. Il 14 novembre del 1863 era arrivata alla fine quella vita dolorosa che imprigionò nella sua poesia e questo, è il suo apporto imperituro, l’impronta dell’anima di Cuba.


 Milanés cumplió 200 años
Ciro Bianchi Ross * digital@juventudrebelde.cu
23 de Agosto del 2014 19:30:24 CDT

Cintio Vitier le llama “el obseso”. Otros, más bruscos, menos delicados, le llaman “el loco”. El desdichado poeta José Jacinto Milanés pasó la mitad de su vida en la noche de la locura.
¿Fue un mal hereditario? ¿Se lo provocaron aquellas extrañas fiebres que padeció en 1839 y que, se decía, le habían afectado el cerebro?
¿Amores contrariados lo llevaron a la demencia?
José Lezama Lima escribía en 1965: “Milanés es un ejemplo, al igual que Heredia, de las imposibilidades que le van surgiendo a nuestros mejores espíritus. Dificultades económicas lo acosan. La familia, muy numerosa, tiene que apuntalarse con renovada constancia. Donde cree encontrar soluciones y facilidades, como en su amor por la prima, se le vuelven divinidades hostiles. Por último, la locura le cierra su camino en forma inexorable”.
Cierto es que había antecedentes de demencia en la familia del poeta; referencias muy cercanas como aquella hermana de su madre, la tía Pastora, “alta, seca y apergaminada”, sentada siempre, arisca y ceñuda, en la modesta sala de la casa, que cuando escuchaba el piano corría hacia el interior de la vivienda con las manos tapándose los oídos para no escuchar las cosas poco decorosas que el piano decía. El poeta, por otra parte, fue siempre un tipo raro. Los que lo conocieron hablaron de su sensibilidad extrema, de su temperamento ingenuo, sencillo, impresionable. Ya se sabe que cuando en 1838 se estrenó en el teatro Tacón, de La Habana, su drama El conde Alarcos, Milanés, inseguro de sí mismo y con los nervios destrozados ante la posibilidad de que la reacción del público le fuese adversa, se negó a presenciar la puesta en escena de su obra.
“En muchos de los versos de Milanés, especialmente en El beso, detrás del tono idílico se siente una idea fija, una obsesión: la obsesión de la pureza, que es, desde luego, la obsesión de la impureza. No podemos saber el papel que en su creciente desequilibrio psíquico jugó el trauma producido por el fracaso de sus amores con Isa, 14 años más joven que él y de familia más pudiente. Solo nos está permitido detectar en sus versos una constante obsesiva, neurótica, ligada al escrúpulo y a la culpa hiperbolizados, que alcanza en El mendigo su más profunda formulación. Se trata de un mendigo a la puerta de un baile. El poeta, arrastrado por el torbellino sensual, entra sin hacerle caso, aparentemente, pero su imagen se le graba para obsesionarlo y reaparecer inexorable, vengativa, en el lado de la sombra...2, dice Cintio.

Esencias de lo cubano

José Jacinto Milanés Fuentes nació en la ciudad de Matanzas, el 16 de agosto de 1814, hace ahora 200 años. Era el primero de los 15 hijos de Rita y Álvaro, un modesto empleado de Hacienda que se las veía negras en el intento de cubrir las necesidades de su numerosa prole. La carencia de recursos obligó a matricular al niño en una escuela del Ayuntamiento. Era de apariencia frágil y mirada soñadora, meditabundo, discreto. Dedicaba a la lectura casi todos sus ratos libres. Devoraba un libro tras otro en la sala de la casa, junto a la tía Pastora, siempre en cerrado silencio y la mirada extraviada. Otras veces, a regañadientes, José Jacinto trataba de compartir los jubilosos entretenimientos de sus hermanos y primos. Porque frente a ellos vivían Isabel, la hermana de doña Rita, casada con el rico comerciante don Simón de Ximeno, y sus seis hijos.
No puede José Jacinto hacer estudios regulares, pero por su cuenta aprende latín, francés e italiano. Corre ya el año de 1830 y quiere trabajar y ayudar así al sostenimiento familiar. Su tío don Simón, muy relacionado, le consigue empleo en una ferretería de La Habana. Aquí, la epidemia de cólera de 1833 sorprende al poeta, que no demora en regresar a su ciudad natal, donde trabaja en las oficinas de su tío político.
En 1834 Domingo del Monte se establece en Matanzas y hace amistad con Milanés, al igual que con todos los jóvenes con inquietudes literarias. Es gracias a Del Monte que se nombra al poeta, en 1841, secretario de la Compañía del Ferrocarril matancero, empleo que posibilita a José Jacinto cierta seguridad económica. Apenas puede disfrutarla, pues está ya a las puertas de la locura.
Corresponde a estos años la mayor actividad creadora de Milanés.
Escribe algunos dramas, como el ya citado Alarcos, pero es en la lírica donde alcanza su mayor relieve. Los estudiosos dividen su poesía en tres etapas. Una inicial, idílica, caracterizada por la ingenuidad lírica, una desmayada melancolía y la expresión vaga de los sentimientos amorosos. En su segunda etapa se advierte la influencia de Del Monte; se inclina hacia los temas sociales y, dice Salvador Bueno, el <<moralismo filantrópico convierte en seca y enteca la suave musa del poeta matancero>> que quiere, con su obra, censurar vicios y reformar costumbres. Hacia 1840, su tercera etapa marca una vuelta a la prístina inspiración de la primera. A este período corresponden poemas como De codos en el puente y La fuga de la tórtola.
Se preguntaba Lezama Lima si, para el desarrollo del poeta, fueron en verdad convenientes las indicaciones que le hizo Domingo del Monte.
Precisaba el autor de Paradiso: “Del Monte quiso llevar a Milanés al apólogo moralizante, al pastiche del teatro español, a una poesía de más ambiciosa factura de la que el temperamento de Milanés podía
Realizar”. Porque para Lezama, el mejor Milanés está en la depurada
sencillez con que se asoma a la naturaleza, como lo hace en el poema titulado La madrugada. Dice Lezama: “En las poesías que escribe a la manera de La madrugada, como son La fuga de la tórtola y El beso, luce ágil, lleno de encantamiento, con un rápido reflejo por donde penetran, finas y hondas, las más depuradas esencias de lo nuestro”.
Cintio Vitier observa, por su parte, que toda la obra poética de Milanés, incluso sus composiciones moralizantes, están “ligadas al tema central de sus mejores poesías, y a lo que fue probablemente la obsesión dominante de su vida, que terminó en la locura: la obsesión de la pureza”.

Amores desgraciados

En La madrugada hay una alusión al fracaso amoroso del poeta. Se siente nostálgico al advertir que la naturaleza se integra en amores placenteros, mientras que él siente: “Miro tanto enlace y lloro /Mi continua soledad”.
Esa soledad fue, dicen algunos, el preludio de la locura del autor de La fuga de la tórtola. Federico Milanés, poeta notable él mismo y editor de la obra de su hermano, quiso tender un manto protector sobre la vida amorosa de José Jacinto, lo que no consiguió evitar que salieran a la luz sus amores con Dolores Rodríguez y Varela. Era prima del escritor costumbrista José María Cárdenas y Rodríguez, y el poeta tenía 20 años cuando la conoció, una época en la que él se presenta a sí mismo --y quizá no sea cierto-- como “bien parecido, alegre y frecuentador de bailes y fiestas”. Lo atrajo la belleza de Dolores y algunos suponen que llegaron a ser novios. De cualquier manera, ella lo desdeñó. Al respecto escribió Federico Milanés que “cansado de amarla en vano, desistió de verla y hablar, consagrándose a cavilaciones tristes y a verter en sus composiciones poéticas un raudal de llanto y quejas por su soledad”. De esa época data La madrugada. Al final dejó de visitar la casa de Dolores; rompió con ella.
Entra entonces en la escena Isabel Ximeno, Isa. Son primos, como ya se ha dicho, y el poeta, que es ya toda una gloria local, con 28 años, le dobla tranquilamente la edad. Surgen poemas dedicados a Isa, y la madre de José Jacinto y la madre de Isabel observan ese amor con preocupación. Es probable que don Simón quiera para su hija un pretendiente de mayores beneficios que aquel primo pobretón y poeta.
No se sabe con certeza, pero es de suponer los inconvenientes y dificultades que pondría a aquella relación la familia de Isabel.
Es entonces que empiezan a mostrarse los primeros síntomas del desvarío del poeta. Son inútiles los esfuerzos por hacerle recuperar la razón. Médicos de La Habana, con los que consulta la familia, recomiendan un viaje al exterior y es el padre de Isa quien facilita el dinero necesario para que José Jacinto, acompañado por Federico, visite Estados Unidos, Inglaterra, Francia, Italia... un costoso periplo que no arroja a la larga resultados favorables. El enfermo va de mal en peor. Sufre ataques de furia y se impone servirle la comida ya cortada para evitar que agreda a familiares o termine por agredirse él mismo. Una tarde escapó a la vigilancia de los suyos. Cruzó la calle y se dirigió a casa de su prima. Al verla, prorrumpió en gritos desesperados. Isa, aterrada, huyó hacia el fondo de la vivienda.
Carlota, hermana de José Jacinto, cogió del brazo al poeta y lo llevó a dar un paseo. Tras un ataque de violencia, quedaba ensimismado, melancólico, sumido en un mutismo absoluto.
Dolores María de Ximeno y Cruz escribió en un libro delicioso que lleva por título Memorias de Lola María, que Carlota pasaba noches enteras al lado de José Jacinto, tratando de distraerle en sus insomnios. Al igual que sus hermanas, sacrificó juventud y amores en aras de aquel afecto. “Para entretener las interminables veladas de invierno, a la luz de una lámpara y junto al sillón del enfermo --que, envuelto en su amplia capa española con embozo grana, de nada se daba
cuenta-- escribía con la aguja, en una finísima tela de lino, con caracteres pequeños, hermosas poesías en italiano, traducidas en otro tiempo por su hermano”.
Es también Lola María quien da noticias de Isabel Ximeno. La retrata en sus memorias como “pura, digna, inteligente, distinguida,
Delicadísima”. Cuenta que otro primo suyo --José Marías Jenekes y
Ximeno-- enamorado perdidamente de ella y también despreciado, dio en enflaquecer, se hizo adicto a las “bebidas ácidas y nunca casó en homenaje a aquel amor imposible”.
Isa sí contraería matrimonio. Entre sus muchos pretendientes se decidió por lo que consideró el mejor partido. Se casó en 1862 con Manuel Mahy y León, sobrino del capitán general Nicolás Mahy, gobernador de la Isla de Cuba. Viajó a España la pareja, y en Madrid gozó ella del reconocimiento de figuras muy notables de la Corte.
Ventura de la Vega le dedicó un poema cuando decidió volver a Cuba.
Falleció en Matanzas en 1897.
Ya para entonces José Jacinto Milanés había muerto. El 14 de noviembre de 1863 había llegado a su fin aquella vida adolorida que apresó en su poesía, y ese es su aporte imperecedero, la impronta del alma de Cuba.

Ciro Bianchi Ross



Perle


Grazie a Milton Díaz Canter, giornalista dell'ICRT






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