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lunedì 23 febbraio 2015

Il Capitolio, di Ciro Bianchi ross

Pubblicato su Juventud Rebelde del 22/2/15

La gente, dall’interno, veniva all’Avana e non voleva tornare alla propria terra senza visitare il Capitolio. Chi poteva, si faceva fotografare col Capitolio sullo sfondo come testimone imbattibile del suo soggiorno nella capitale. Lo stesso facevano gli stranieri che visitavano l’Isola. Allora, la sede del Congresso della Repubblica era circondata di alberghi di più o meno livello, pensioni e case private e fino all’inaugurazione del Terminal degli Omnibus, nel 1952, gli autobus interprovinciali facevano la prima e ultima fermata nella sua prossimità.
Lì non mancavano – non mancano nemmeno adesso – i fotografi di strada con le loro macchine antidiluviane che nessuno sa bene come funzionano: tutto un miscuglio con servizio di sviluppo e stampa inclusi, né le osterie più modeste né i buoni ristoranti come El Palacio de Cristal, nella calle Industria che fu a suo tempo il migliore dell’Avana che dovette sopportare l’umiliante e triste destino di diventare laboratorio per imbalsamare gli animali.
Il café El senado e i bar Dorado e Capitolio erano punti di ritrovo obbligato. C’erano balli al Centro Gallego e alla Gioventù Asturiana e la musica all’aperto amenizzava le serate degli esercizi piccoli come La Barrita de Don Juan, frequentata da Nuñez Rodríguez, sotostante all’hotel Comercio  e come il café di Lorenzo García, a fianco del cine Capitolio che serviva al suo proprietario a coprire un lucrativo giro di prestiti di denaro. Di sopra a García, abitava Agustín Rodríguez, autore del libretto della zarzuela Cecilia Valdés, impresario e famoso frequentatore del teatro Martí che tutte le mattine, alle cinque, prima di mettersi a scrivere, cercava l’ispirazione in mezza bottiglias di rum Castillo.
Erano gli anni in cui gli uomini tentavano di contenere la caduta dei capelli con l’applicazione di lozioni tipo Calvfin che commercializzava il poeta e giornalista Gastón Baquero e Manteca de Oso, di Ernesto Sarrá e si sbiancavano i denti con con polveri di San Augustín. In quei giorni a qualunque cubano medio era sufficiente mettersi una giacca perché gli fosse permesso l’accesso al Capitolio. Allora, il Paseo del Prado e i dintorni del cosiddetto Palacio de la Leyes, erano luoghi alla moda. In essi andava a finire chiunque si muovesse nella capitale fino a che, negli anni ’50, La Rampa li spiazzò.
Ciò nonostante non si concepisce l’Avana senza Prado e Capitolio. Sono simboli della città, parte della sua storia e identità. Per la sua dimensione e bellezza, scrive lo strorico Emilio Roig, “il  Capitolio è l’edificio più importante dell’Avana e di tutta Cuba. Quando finirà l’importante restauro a cui è sottoposto, tornerà ad essere la sede del Parlamento cubano”. Nela chiusura dell’VIII Legislatura dell’Asamblea Nacional, il presidente Raúl Castro ha detto ai deputati che prima o poi si dovrebbe tornare al Capitolio.

I Terreni

I terreni che occupa il Capitolio, appartennero alla Sociedad Económica de Amigos del País che satbilì in questo luogo, a partire dal 1817, un giardino botanico. Il Governo coloniale spagnolo, espropriò la Società di questo terreno e nel 1835, si cominciò a costruire la stazione ferroviaria di Villanueva.
Togliere i treni da una zona che si stava convertendo nella migliore dell’Avana fu, nelle decadi successive del XIX secolo, un desiderio crescente degli avaneri. Il generale Manuel Salamanca y Negrete, governatore dell’Isola volle effettuarlo nel 1890, ma morì misteriosamente quando si disponeva a prendere le misure contro i responsabili di una malversazione colossale, di 14 milioni di pesos, che venne a galla al Dipartimento della Guerra della Colonia. Il proposito passò da un anno all’altro fino a che, nel 1909, il presidente José Miguel Gómez decise di prendere il toro per le corna. Per quello si cambiarono i terreni di Villanueva per quelli dell’antico Arsenale, occupati oggi dala stazione centrale ferroviaria. Ci voleva installare il Palazzo Presidenziale, installato fino ad allora, nel vecchio Palazzo dei Capitani Generali.
Lo Stao consegnava a una compagnia britannica, Ferrocarriles Unidos, i terreni dell’Arsenale valutati in cinque milioni di pesos e riceveva in cambio quelli di Villanueva, non acquisiti in modo pulito e che valevano appena due milioni. Il denaro che si sarebbe mosso in modo sotterraneo, con commissioni e corruzioni, arriverà a José Miguel che il popolo soprannominava Pescecane e  ai suoi commilitoni, alle spalle degli interessi della nazione.
Nel gennaio 1910 la Commissione d’Industria e Bilancio del Senato dava al progetto di legge del cambio un nulla osta favorevole e raccomandava la piena approvazione del suo contenuto. Alla Camera dei Rappresentanti, con maggioranza liberale, l’approvazione della legge era senza dubbio improbabile, vi si opponevano tanto i conservatori che i liberali che capitanava Alfredo Zayas. Fu allora che i “miguelisti” cucinarono una strategia infallibile: decisero che il fatto si prendesse come una decisione di “partito”, cosa che obbligava tutti i parlamentari, tanto miguelisti come zayisti, a concedere il voto favorevole.

Dinamite alla cupola

Le opere della residenza del Palazzo Presidenziale cominciarono protette da un credito di un milione di pesos e la costruzione si paralizzò all’assumere la presidenza il generale Mario García Menocal. I suoi piani erano altri. Voleva edificare il Palazzo nei terreni della Quinta de los Molinos e l’edificio appena inziato sarebbe rimasto come sede del  Legislativo. Questa scelta obbligò a fare modifiche sostanziali al progetto originale degli architetti Rayneri (padre e figlio) e impose che si dinamitasse la cupola già costruita e che pesdava 1200 tonnellate.
Naturalmente, Menocal non giunse a costruire il Palazzo. In quei giorni il generale Ernesto Asbert, governatore dell’Avana, costruiva il palazzo che sarebbe stata sede del governo provinciale. Mariana Seba, la Prima Dama, s’innamorò di questo edificio, Menocal lo confiscò e lo Stato pagò mezzo milione di pesos per l’immobile che con gli adattamenti pertinenti, si destinò a Palazzo Presidenziale. È l’attuale Museo della Rivoluzione.
Le opere del Capitolio si riannodarono nel 1917, solo per interrompersi due anni più tardi per mancanza di fondi e nel 1921 il presidente Zayas le sospese definitivamente. Quando,  nel 1925 Machado giunge alla presidenza, trova il Capitolio costruito a metà e con aspetto di una rovina.

17 milioni

A Cuba, le dittature lo sono state anche di cemento armato. Machado si era proposto di modernizzare la capitale cubana e in certa misura, il Paese, si era imbarcato in un vasto e ambizioso piano di opere pubbliche. Sotto il suo governo si rimodellò il Paseo del Prado, il Campo di Marte si trasformò in Piazza della Fraternità e si tracciò la Avenida de las Misiones. Proseguì allungando il Malecón, venne inaugurata la Carretera Central e si eresse la Scalinata universitaria. Si costruirono l’aeroporto e l’hotel Nacional...
Sembrava impensabile che Machado e il suo megalomane ministro delle Opere Pubbliche, Carlos Miguel de Céspedes, lasciassero il Capitolio, inconcluso, fuori dal loro mirino. Nel 1926 si riannodarono le opere. Si sarebbe aprofittato della costruzione esistente, anche se il progetto dovette subire innumerevoli modifiche. I migliori architetti cubani di allora – Cabarrocas, Govantes, Otero, Rayneri, Bens...- e alcuni stranieri come Forestier, sopratutto per i giardini, si gettarono sui disegni, mentre la parte materiale era stata assegnata all’impresa Purdy and Henderson, contrattisti nordamericani che fecero ottimi affari nel Paes con la costruzione della Lonja del Comercio, l’edificio della Metropolitana, l’hotel Nacional e i centri Gallego e Asturiano.
Il Capitolio occupa una superficie totale di 12.000 metri quadrati, di essi ne sono coperti 10.839. I suoi giardini hanno un’estensione di 26.500 metri quadrati.
Dati che dettte a conoscere all’epoca il giornale El Mundo, rivelano che nella sua costruzione si impiegarno cinque milioni di mattoni, più di tre milioni di piedi di legname, 150.000 barili di cemento e 38.000 metri cubi di sabbia. Anche 40.000 metri cubi di pietra spaccata e 25.000 metri cubi di pietra da cantiere, 3.500 tonnellate di struttra in acciaio e 2.000 tonnellate di tondino.
Dopo tre anni di lavoro, l’edificio si inaugurò in maniera solenne, il 20 maggio del 1929. Era costato, si dice, 17 milioni di pesos.

I passi perduti

La sua cupola è, per il suo diametro e altezza, la sesta del mondo. La lanterna che la rifinisce si trova a 94 metri dall’altezza del suolo e al momento dell’inaugurazione dell’edificio la superavano, nel suo genere, quella di San Pietro a Roma e quella di San Paolo a Londra, 129 e 107 metri di altezza, rispettivamente.
La scalinata monumentale, con 55 gradini, ha sdulla cima due gruppi scultorei. Uno simbolizza il Lavoro o il Progresso dell’attività umana; l’altro la Virtù tutelare del popolo. Sono opere dell’italiano Angelo Zanelli, autore dell’Altare della Patria che a Roma forma parte del monumento al re Vittorio Emanuele. Di questo scultore è anche la Statua della Repubblica che si distingue nell’imponente Salone dei Passi Perduti, esattamente sotto la cupola. Il suo peso è di 30 tonnellate e si eleva aun’altezza totale di 14,6 metri.  La Repubblica, in essa, è rappresentata da una donna giovane  che appare in piedi e coperta da una tunica, porta casco, lancia e scudo. Molto poco si sa dell’appetitosa cubana che servì da modella a questa scultura. Ai suoi piedi, incastonato nel pavimento a specchio, un brillante segnava il kilometro zero della Carretera Central. Si afferma che la gemma appartenne a una delle corone dell’ultimo zar di Russia.
Fino al 1958, questo palazzo dei palazzi, ospitò il Senato e la Camera dei Rappresentanti. Dalle sue finestre si mitragliò la cittadinanza che, disarmata e gioiosa celebrava, per errore, la caduta di Machado il 7 di agosto del 1933. Quando il despota cadde ralmente il 12, il popol saccheggiò il Palazzo Presidenziale e le residenze dei machadisti più noti, ma non il Capitolio, anche se si sfigurò a martellate, come si può ancora vedere, il volto di Machado, scolpito a rilievo nel portico dell’edificio.

Durante il primo governo del presidente Grau San Martín si installò, nel Capitolio, il recentemente creato Ministero (Segreteria) del Lavoro e tennero sessione i cosieddetti Tribunali delle Sanzioni che giudicarono i machadisti. Fu in uno dei suoi uffici che nel gennaio del 1934, Antonio Guiteras redattò, alla luce di una candela, il decrteo che disponeva l’esproprio della Compagnia Cubana dell’Elettricità. Al tempo dei presidenti Mendieta e Barnet risiedette lì il Consiglio di Stato, fino a che si resaturò il Parlamento nel maggio del 1936. Lì nel dicembre di quell’anno, il Senato giudicò e destituì il presidente Miguel Mariano Gómez e nell’emiciclo della Camera sessionò l’assemblea che elaborò la Costituzione del 1940. Dopo il 1959 fu sede dell’Accademia delle Scienze e poi del Ministero di Scienza Tecnologia e Ambiente, cosa che obbligò a fare trasformazioni e adattamenti nell’edificio che si andava deteriorando mentre la sporcizia si impadroniva dei suoi spazi esterni e interni. Ben merita, il suo restauro, questo simbolo dell’identità e della storia dell’Avana.

El Capitolio

Ciro Bianchi Ross * 
digital@juventudrebelde.cu
21 de Febrero del 2015 

La gente del interior venía a La Habana y no quería volver a su tierra
sin visitar el Capitolio. El que podía, se fotografiaba con el
Capitolio al fondo como testimonio imbatible de su estancia en la
capital. Lo mismo hacían los extranjeros que visitaban la Isla.
Entonces la sede del Congreso de la República estaba rodeada de
hoteles de mayor o menor cuantía, pensiones y casas de huéspedes, y
hasta la inauguración de la Terminal de Ómnibus, en 1952, las guaguas
interprovinciales hacían en sus inmediaciones la primera y la última
parada.
No faltaban allí --no faltan tampoco ahora-- los fotógrafos callejeros
con sus cámaras antediluvianas que nadie sabe bien cómo funcionan;
todo un engendro con servicios de revelado e impresión acoplados, ni
las fondas de medio pelo, ni los buenos restaurantes como El Palacio
de Cristal, en la calle Industria, que fue en su tiempo el mejor de La
Habana y que debió soportar el humillante y triste destino de quedar
convertido en un taller para embalsamar animales.
El café El Senado y los bares Dorado y Capitolio eran puntos de cita
obligados. Había bailes en el Centro Gallego y en la Juventud
Asturiana, y la música de los aires libres amenizaba la noche.
Abundaban los establecimientos pequeños como La Barrita de Don Juan,
frecuentada por Núñez Rodríguez, en los bajos del hotel Comercio, y
como el café de Lorenzo García, al lado del cine Capitolio, que servía
a su dueño para tapar un lucrativo negocio de préstamos de dinero. En
los altos de García vivía Agustín Rodríguez, autor del libreto de la
zarzuela Cecilia Valdés, empresario y famoso sainetero del teatro
Martí, que todas las mañanas, a las cinco, antes de ponerse a
escribir, buscaba la inspiración en media botella de ron Castillo.
Eran los años en que los hombres intentaban contener la caída del
cabello con la aplicación de lociones como Calvifín, que
comercializaba el poeta y periodista Gastón Baquero, y Manteca de Oso,
de Ernesto Sarrá, y se blanqueaban los dientes con los polvos de San
Agustín. En esos dìas a cualquier cubano de a pie le bastaba con
ponerse una chaqueta para que se le franqueara el acceso al Capitolio.
Entonces el Paseo del Prado y los alrededores del llamado Palacio de
las Leyes eran lugares de moda. A ellos iba a parar todo lo que se
movía en la capital, hasta que en la década del 50 La Rampa los
desplazó.
Aun así no se concibe a La Habana sin Prado ni Capitolio. Son símbolos
de la ciudad, parte de su historia e identidad.  Por su magnitud y
belleza, escribe el historiador Emilio Roig, “el Capìtolio es el
edificio más importante de La Habana y de toda Cuba. Cuando concluya
la impresionante restauración a la que se le somete, volverá a ser la
sede del Parlamento cubano”. Al clausurar la VIII Legislatura de la
Asamblea Nacional, el presidente Raúl Castro dijo a los diputados que
algún día habría que regresar al Capitolio.

Los terrenos
Los terrenos que ocupa el Capitolio pertenecieron a la Sociedad
Económica de Amigos del País que fomentó en ese lugar, a partir de
1817, un jardín botánico. El Gobierno colonial español enajenó a la
Sociedad la propiedad de ese terreno, y en 1835 se comenzó a construir
allí la estación de trenes de Villanueva.
Sacar los ferrocarriles de una zona que iba convirtiéndose en la mejor
de La Habana fue, en las décadas postreras del siglo XIX, un anhelo
creciente de los habaneros. El general Manuel Salamanca y Negrete,
gobernador de la Isla, quiso acometerlo en 1890, pero murió
misteriosamente cuando se disponía a tomar medidas contra los
responsables de una malversación colosal de 14 millones de pesos, que
salió a flote en el Departamento de Guerra de la Colonia. El propósito
pasó de un año a otro, hasta que en 1909 el presidente José Miguel
Gómez decidió tomar el toro por los cuernos. Para ello se canjearían
los terrenos de Villanueva por los del antiguo Arsenal, ocupados hoy
por la estación central de los ferrocarriles. Quería edificar en ellos
el Palacio Presidencial, instalado hasta entonces en el viejo Palacio
de los Capitanes Generales.
El Estado entregaba a una compañía británica, Ferrocarriles Unidos,
los terrenos del Arsenal, valorados en más de cinco millones de pesos,
y recibía a cambio los de Villanueva, no adquiridos limpiamente y que
apenas valían dos millones. El dinero que se movería bajo cuerda, por
comisiones y sobornos, empaparía a José Miguel, a quien el pueblo
apodaba Tiburón, y salpicaría a sus conmilitones, a costa de los
intereses de la nación.
En enero de 1910, la Comisión de Hacienda y Presupuesto del Senado
daba al proyecto de ley del canje un dictamen favorable y recomendaba
su aprobación al pleno de ese cuerpo. En la Cámara de Representantes,
con mayoría liberal, la aprobación de la ley, sin embargo, era
improbable pues se le oponían tanto los conservadores como los
liberales que capitaneaba Alfredo Zayas. Fue entonces que los
miguelistas cocinaron una estrategia infalible: decidieron que el
asunto se tomara como una cuestión de “partido”, lo que obligaba a
todos los parlamentarios, tanto miguelistas como zayistas, a
concederle el voto favorable.

Dinamitan la cúpula

Las obras de la mansión del Palacio Presidencial comenzaron
respaldadas por un crédito de un millón de pesos, y la construcción se
paralizó al asumir la presidencia el general  Mario García Menocal.
Otros eran sus planes. Quería edificar el Palacio en los terrenos de
la Quinta de los Molinos y el edificio recién comenzado quedaría como
sede del Legislativo. Esa determinación obligó a hacer modificaciones
sustanciales al proyecto original de los arquitectos Rayneri (padre e
hijo) e impuso que se dinamitara la cúpula ya construida y que pesaba
1 200 toneladas métricas.
Sin embargo, Menocal no llegó a construir el Palacio. En aquellos
días, el general Ernesto Asbert, gobernador de La Habana, construía el
palacio que sería la sede del gobierno provincial. Mariana Seba, la
Primera Dama, se enamoró de ese edificio, Menocal lo confiscó y el
Estado pagó medio millón de pesos por el inmueble que, con las
adaptaciones pertinentes, se destinó a Palacio Presidencial. Es el
actual Museo de la Revolución.
Las obras del Capitolio se reanudaron en 1917, solo para que se
interrumpieran dos años más tarde por falta de dinero, y en 1921 el
presidente Zayas las suspendió definitivamente. Cuando en 1925 Machado
llega a la presidencia encuentra el Capitolio a medio hacer y con
aspecto de ruina.

17 millones
En Cuba las dictaduras lo han sido también de hormigón armado. Machado
se propuso modernizar la capital cubana y, en cierta medida, el país,
por lo que se embarcó en un vasto y ambicioso plan de obras públicas.
Bajo su gobierno, se remodeló el Paseo del Prado, el Campo de Marte se
transformó en Plaza de la Fraternidad y se trazó la Avenida de las
Misiones. Prosiguió extendiéndose el Malecón, quedó inaugurada la
Carretera Central y se levantó la Escalinata universitaria. Se
construyeron el aeropuerto y el hotel Nacional...
Resultaba impensable que Machado y su megalómano ministro de Obras
Públicas, Carlos Miguel de Céspedes, dejaran el Capitolio inconcluso
fuera de su punto de mira. En 1926 se reanudaron las obras. Se
aprovecharía lo ya construido, aunque el proyecto debió sufrir
modificaciones innumerables. Los mejores arquitectos cubanos de
entonces --Cabarrocas, Govantes, Otero, Rayneri, Bens...-- y algunos
extranjeros, como Forestier, sobre todo para los jardines, se volcaron
sobre los planos, en tanto que la parte material era encomendada a la
empresa Purdy and Henderson, contratistas norteamericanos que hicieron
muy buenos negocios en el país con la construcción de la Lonja del
Comercio, el edificio de La Metropolitana, el hotel Nacional y los
centros Gallego y Asturiano.
El Capitolio ocupa una superficie total de 12 000 metros cuadrados, de
ellos son área techada 10 839 metros cuadrados. Sus jardines tienen
una extensión de 26 500 metros cuadrados.
Datos que dio a conocer en su momento el periódico El Mundo revelan
que en su construcción se emplearon cinco millones de ladrillos, más
de tres millones de pies de madera, 150 000 barriles de cemento y 38
000 metros cúbicos de arena. También 40 000 metros cúbicos de piedra
picada y 25 000 metros cúbicos de piedra de cantería, 3 500 toneladas
de acero-estructura y 2 000 toneladas de cabillas.
Tras tres años de trabajo, el edificio se inauguró de manera solemne
el 20 de mayo de 1929. Había costado, se dice, 17 millones de pesos.

Los pasos perdidos

Su cúpula es, por su diámetro y altura, la sexta del mundo. La
linterna que la remata se halla a 94 metros del nivel de la acera, y
en el momento de inaugurarse el edificio solo la superaban, en su
estilo, la de San Pedro, en Roma, y la de San Pablo, en Londres, con
129 y 107 metros de alto, respectivamente.
La escalinata monumental, con 55 escalones, tiene en la cima dos
grupos escultóricos. Uno simboliza El trabajo o El progreso de la
actividad humana; el otro, La virtud tutelar del pueblo. Son obras del
italiano Angelo Zanelli, autor del Altar de la Patria, que en Roma
forma parte del monumento al rey Víctor Manuel. También de ese
escultor es la Estatua de la República, que se destaca en el imponente
Salón de los Pasos Perdidos, exactamente debajo de la cúpula. Su peso
es de 30 toneladas y se eleva a una altura total de 14,6 metros. La
República, en ella, está representada por una mujer joven que aparece
de pie y cubierta por una túnica, y lleva casco, lanza y escudo. Muy
poco se sabe de la apetitosa cubana que sirvió de modelo a esa
escultura. A sus pies, empotrado en el piso espejeante, un brillante
marcaba el kilómetro cero de la Carretera Central. Se afirma que la
gema perteneció a una de las coronas del último zar de Rusia.
Hasta 1958 este palacio de palacios dio albergue al Senado y a la
Cámara de Representantes. Desde sus ventanas se ametralló a la
ciudadanía que, desarmada y jubilosa, celebraba equivocadamente, el 7
de agosto de 1933, la caída de la dictadura de Machado. Cuando, el día
12, el déspota cayó de verdad, el pueblo saqueó el Palacio
Presidencial y las residencias de los machadistas más connotados, pero
no el Capitolio, aunque sí desfiguró a martillazos, como puede verse
aún, el rostro de Machado esculpido al relieve en el pórtico del
edificio.
Durante el primer gobierno del presidente Grau San Martín se instaló
en el Capitolio el recién creado entonces Ministerio (Secretaría) del
Trabajo y sesionaron en él los llamados Tribunales de Sanciones, que
juzgaron a los machadistas. Fue en una de sus oficinas que en enero de
1934 Antonio Guiteras redactó, a la luz de una vela, el decreto que
disponía la intervención de la Compañía Cubana de Electricidad. En
tiempos de los presidentes Mendieta y Barnet radicó allí el Consejo de
Estado, hasta que se restauró el Parlamento en mayo de 1936.  Allí, en
diciembre de ese año, el Senado juzgó y destituyó al presidente Miguel
Mariano Gómez, y en el hemiciclo de la Cámara sesionó la asamblea que
elaboró la Constitución de 1940. Después de 1959 fue sede de la
Academia de Ciencias y luego del Ministerio de Ciencia, Tecnología y
Medio Ambiente, lo que obligó a hacer transformaciones y adaptaciones
en el edificio, que se iba deteriorando mientras la suciedad se
adueñaba de sus espacios exteriores e interiores. Bien merece su
restauración  este símbolo de la identidad y la historia de La Habana.

Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
http://wwwcirobianchi.blogia.com/
http://cbianchiross.blogia.com/


domenica 22 febbraio 2015

Pietanza

PIETANZA: cibo misericordioso

sabato 21 febbraio 2015

Piattaforma

PIATTAFORMA: donna molto magra

Raimovie ripropone Tomás Milián nella sua Avana

Il prossimo martedì 3 marzo, alle 23.30, Raimovie ripropone il film documentario di Giuseppe Sansonna, prodotto dalla IXCO, "The cuban Hamlet". La biografia filmata di Thomas "Monnezza" Milian, girata all'Avana dove l'attore cubano, è tornato dopo 58 anni di assenza.
Per i fan di Milián o chi sia stato o meno all'Avana, per chi non lo avesse visto nelle due precedenti messe in onda, è un'occasione da non perdere.

venerdì 20 febbraio 2015

Piantonare

PIANTONARE: accordare il piano

giovedì 19 febbraio 2015

Pianoro

PIANORO: piano da sceicco arabo

mercoledì 18 febbraio 2015

Pianoforte

PIANOFORTE: controsenso

martedì 17 febbraio 2015

Le scoperte dell'America...

Se mi chiamassi Biscardi, oltre che Aldo, potrei vantarmi di uno "sgup" di quasi 5 anni or sono. la stampa americana, sempre così attenta alla vita, anche quotidiana, di Cuba se ne è accorta solo adesso (15/2/15) che il calcio sta appassionando i giovani dell'Isola...il mio post, che ripropongo, ha data 23/7/10...

El fútbol le roba protagonismo al béisbol en Cuba
PEDRO J. GONZALEZ
PGONZALEZ@ELNUEVOHERALD.COM
02/15/2015 8:43 P
 02/16/2015 8:26 AM


Varios niños juegan al fútbol en una calle de un barrio de La Habana, en junio del 2014. YAMIL LAGE AFP/GETTY IMAGES

Los vecinos se sorprendieron al ver a Yuniesky Rodríguez correr calle abajo gritando como un desaforado, mientras un grupo de adolescentes le perseguía.
“¿Qué le pasa a ese muchacho?”, dijo una señora que contemplaba la escena.
“Na’ que metió un gol y lo está celebrando”, le respondió su esposo. “Ese es el hijo de “Kiko el pelotero”, que como a todos, le ha dado por jugar al fútbol”.
El joven se quitó la camiseta y con todas sus fuerzas lanzó al universo el grito de ¡goool! segundos antes que un grupo de jugadores de su equipo le diera alcance para felicitarlo.
La escena se repite una y otra vez en todas las barriadas de la Habana y en casi todas las plazas de la Cuba de hoy.
El béisbol en la isla siempre ha sido el ‘pasatiempo nacional’ y es indudable el talento de los peloteros, sin embargo en los últimos años balompié se ha venido metiendo en la sangre de los cubanos y hoy en día le ha robado todo el protagonismo.
El fútbol ha ocupado las calles y su popularidad ha tenido un crecimiento exponencial y alcanzando su máxima expresión, casualmente, en un momento en el que comienzan a normalizarse las relaciones entre Cuba y Estados Unidos, país donde encuentra un grupo de los mejores jugadores de la isla.
Aunque tal vez esto no sea tanta casualidad.
Parece muy difícil creer que los cubanos en cierto modo hayan traicionado al béisbol, un deporte que ha conquistado tres oros olímpicos, 25 mundiales, 10 Intercontinentales, 12 Panamericanos y 14 Centroamericanos; para irse con el fútbol, cuyos mayores logros son una plata Panamericana (San Juan 1979), un séptimo lugar en el Mundial de 1938, un séptimo lugar olímpico Moscú 1980 y cinco Centroamericanos.
Sin embargo para jóvenes como Yuniesky la divulgación de las Copas del Mundo y de los partidos de las ligas europeas por la televisión les han mostrado las bondades de este hermoso deporte, el cual se mantuvo durante años a la sombra de la “pelota”.
La puesta en escena de los clásicos entre el Real Madrid y Barcelona han disparado la popularidad del fútbol en la isla, que tras el pasado Mundial de Brasil 2014 alcanzó cuotas insospechadas de aceptación en la nación cubana, creando incluso peñas futbolísticas.
“Queremos ver un buen espectáculo, por eso existe la fiebre de fútbol y hoy muchas personas tienen un conocimiento increíble de este deporte”, señaló el profesor Roberto Ramírez. “Ahora lo ponen más en TV y cuando hay un evento de nivel se habilita la Ciudad Deportiva, cines, bares y hoteles (que cobran y se llenan) para verlos y los jóvenes espontáneamente llevan camisas, banderas y colores de su once favorito”.
A tal punto el fútbol ha invadido a los cubanos que en estos momentos el regalo más preciado para un joven es una camiseta de Lionel Messi o de Cristiano Ronaldo, según sean sus preferencias por el Barça o el Madrid. Ni siquiera compite la de LeBron James con el Heat o Derek Jeter con los Yankees.
Los defensores de la pelota, como Kiko, después de toneladas de horas de trasmisión del béisbol y de gozar del apoyo oficial, alegan que no se televisan los juegos de grandes ligas donde participan los cubanos. Pero tampoco en el fútbol, a pesar de que un gran cubano, el pinareño Osvaldo Alonso, está poniendo bien en alto el pabellón nacional en la MLS.
También influye el desánimo tras el poco nivel que ofrecen las últimas series nacionales y los constantes fracasos del llamado “Team Cuba”, después de acostumbrase a ganar todos los torneos, viéndose incluso superado países de menor tradición como Holanda.
Aunque tampoco el fenómeno del fútbol es algo nuevo, como afirma Miguel Tito: “En Cuba se ha jugado siempre fútbol, lo que ahora es el más popular”.
Ocho cubanos jugaron para el Real Madrid y como prueba hoy en las paredes del Santiago Bernabéu puede leerse CUBA: Antonio Sánchez NEYRA, Armando GIRALT, José GIRALT, Mario GIRALT, Fernando LOPEZ QUESADA, Enrique FERRER, Mario INCHAUSTI y Jesús CHUS ALONSO, quien brilló como goleador en el club blanco.
Cuba es el sexto país del mundo que más jugadores ha aportado al Madrid, siendo solo superada por Argentina (29), Brasil (22), Francia (17), Inglaterra (11) y Alemania (9).
El balompié en Cuba tuvo incluso un mayor nivel a partir de 1926 (cuando entró en la FIFA) hasta 1959; con equipos que competían de tú a tú, ganando y perdiendo con equipos de México, Estados Unidos, Costa Rica, Colombia, Venezuela, Perú, Chile, Uruguay, Argentina y de España (como el Atlético y el Madrid).
Y cuentan los más viejos del lugar que muchas veces los peloteros tenían que esperar a que terminase el partido de fútbol para poder jugar.
“Pero después de 1959 esto cambió, prácticamente solo se veía béisbol. A pesar de eso tuvimos un gran campeonato provincial y varios logros internacionales”, dijo Héctor Inguanzo, el ex comisionado con más éxitos en la historia del balompié en la isla. “Nada que ver con la fiebre de hoy con toda gente está volcada con el fútbol”.
También hubo algunas manifestaciones de fútbol callejero poco después de los Mundiales de España 82 y de México 86 con el llamado ‘Mundialito de Aguayo’, potenciado por ese gran hombre del fútbol que fue Juan Antonio Lotina.
Por esa época ya jugaba José Eduardo, quien luego fue entrenador de Playa, toda una autoridad para hablar sobre el tema de actualidad.
“Aunque indudablemente a los cubanos le gusta el béisbol y la gente lo sigue, hay más entusiasmo por el balompié, los muchachos lo juegan en las calles y en todas las instalaciones deportivas”, indicó José. “Aunque lamentablemente eso aún no se traduce en victorias por la estructura arcaica del deporte en la isla”.
Eduardo achaca los malos resultados principalmente a la poca continuidad en los torneos y al mal estado de las instalaciones.
“Resulta antagónico que el nivel de antes fuese superior y asistía más afición a los terrenos”, analizó el ex entrenador. “Hoy ven muchos partidos por televisión, pero pocos van a apoyar a su equipo al estadio”.
Ahora con el inicio del Campeonato Nacional número 100, algo de lo que no puede presumir ningún otro deporte en la isla, podría intentarse alguna mejoría en cuestiones organizativas.
“La juventud casi no ve pelota, solo fútbol, donde hay jugadores con un gran nivel”, contó Enrique Enriquez, quien jugó en Plaza. “Las categorías inferiores de Cuba son buenas, pero luego todo se pierde por la falta de apoyo institucional”.
Aunque gran parte del problema pasa por la limitación de recursos, producto de la profunda crisis económica que durante años viene afectando a la isla, de ahí que muchas esperanzas se ciernen en torno al restablecimiento de las relaciones con EEUU.
Mientras, Yuniesky sigue persiguiendo su sueño de jugar fútbol como profesional en el extranjero, para luego poder ayudar a Cuba a alcanzar el lugar que se merece en la arena internacional.
 venerdì 23 luglio 2010









Ormai spente da tempo le luci (e i suoni assordanti) del Mundial Sudafrica 2010, a Cuba si respira aria di calcio come non si era mai respirata in precedenza. Le strade dell'Avana sembrano quelle di una qualsiasi città italiana con squadrette improvvisate che si sfidano con porte e palloni altrettanto improvvisati o avuti chissà come. Il merito di questa "scoperta" è della TV cubana che per la prima volta ha trasmesso integralmente e in diretta tutti gli incontri della fase finale utilizzando, quando necessario, due canali per la coincidenza di alcune partite. I giovani sono molto interessati a questo gioco e molti lo preferiscono addirittura all "pelota" come si chiama qua il Baseball che è lo sport nazionale ricco di trionfi. Parte del merito l'ha anche la Federazione calcistica che dopo anni di immobilismo ha stretto accordi di collaborazione e accettato aiuti dalla FIFA e anche, per esempio, dall'Internazionale f.c. che ha creato un "Inter Campus" con tecnici italiani.
Il tifo durante i mondiali è dilagato ovunque e si sono attrezzate sale cinematografiche o altri centri di ritrovo per trasmettere gli incontri su grande schermo. Ha vinto la Spagna, ma curiosamente, prima di questo Mundial l'Italia era tra le preferite dagli appassionati subito dopo a Brasile e Argentina, più vicine per geografia, politica e cultura in generale. Facendo i "conti della serva" credo però che la "Madre Patria" col suo successo possa aver aperto a vecchi e nuovi tifosi una breccia a suo favore a danno della deludente Italia, vista in Africa. Il Brasile rimane il preferito, ma l'Argentina di Maradona è altrettanto ben radicata. Vedremo se questa "febbre" riuscirà a dare risultati concreti nello sviluppo agonistico di questo sport a Cuba dove il potenziale atletico e tecnico è veramente elevato.
Pubblicato da ilvecchioeilmare a 19:29 


Pescecane

PESCECANE: il miglior amico del pesceuomo

lunedì 16 febbraio 2015

Imprese italiane contribuiscono al turismo a Cuba
Pubblicato da Redazione TTC 



L`Italia si trova all’ottavo posto negli scambi commerciali con Cuba tra i paesi del mondo, ed è la seconda nell`ambito europeo.
Diffondere il lavoro degli enti italiani presenti a Cuba, legati in un modo o nell'altro al settore del turismo, è un'altra maniera di promuovere la nomina dell'Italia come Paese ospite d'onore alla 35° Fiera Internazionale del Turismo FITCuba 2015, che si terrà dal 5 al 7 Maggio.
Quarantatré imprese italiane, sono iscritte nel Registro Nazionale di Succursali ed Agenti di Società Mercantili Straniere della Camera di Commercio della Republica di Cuba, delle quali parecchie delle quali, contribuiscono in qualche maniera al turismo dell'Isola caraibica,vuoi come linee aeree, come fornitori di tecnologia e servizi, come distributori di alimenti, bevande, prodotti e materiali per gli alberghi, lavori di restauro e i investimenti del settore edilizio.
Inoltre, sono iscritte nel Registro Nazionale delle Agenzie di Viaggio della Camera di Commercio, quattro nuove agenzie italiane che insieme alle dieci che si trovavano già nel mercato, rappresentate dagli organismi ricettivi cubani, con le circa 40 che lavorano dall'Italia, conformano il nucleo principale dell'insieme d'operatori turistici che commercializzano la destinazione Cuba per il mercato italiano.
Il Comitato Imprenditoriale Italia-Cuba esiste da tre anni, e si è fortificato e strutturato, fino ad avere oggi statuti che sono riconosciuti in Italia, crescita che è avvenuta di pari passo con l'incremento dei rapporti bilaterali tra i due paesi.
L'Italia si trova all’ottavo posto negli scambi commerciali con Cuba tra i paesi del mondo, ed è la seconda nell'ambito europeo; “Esiste un interesse crescente delle istituzioni cubane ed italiane di avvicinarsi sia sul piano economico, sia su quello politico e culturale”, è stato affermato pubblicamente dall’Eccellentissimo Signor Carmine Robustelli, l`Ambasciatore d'Italia a Cuba.

(Trad. A.A.)


Perverso

PERVERSO: per la poesia

La Costituzione del 1940 (II e fine), di ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud Rebelde del 15/2/15


Col patto Batista-Menocal, l’opposizione perde la maggioranza nell’Assemblea Costituente e Ramón Grau San Martín rinuncia alla presidenza del conclave. Lo sostituisce Carlos Márquez Sterling, un politico dell’età di 42 anni che occupò la presidenza della Camera dei Rappresentanti. È abile nel manovrare il dibattito parlamentare e sa imprimere alle giornate il dinamismo che rende possibile che la riunione giunga felicemente a termine nel termine previsto. In effetti, l’8 di giugno del 1940, si danno per concluse le sessioni. Il giorno seguente i costituenti si recano a Guáimaro in un treno speciale, al fine di firmare la nuova Magna Charta nello stesso luogo dove si redattò la prima Costituzione della Repubblica in Armi. Il 18 luglio, la Costituzione del 1940 era promulgata solennemente con una imponente cerimonia sulla scalinata del Capitolio. Entrerà in vigore il 10 di ottobre di quell’anno in occasione del 72° anniversario del Grito de Yara.
“Non è un’opera perfetta, però risponde a uno Stato di Diritto. Ed è la prima volta che la voce del popolo di Cuba si trasforma in realtà dopo un duro battagliare”, affermò carlos Márquez Sterling. Juan Marinello dirà nel 1977: “La Costituzione dichiaratamente è la più avanzata del continente americano di allora. Bisogna riconoscerlo...Ho sempre creduto che la Costituente del ’40 è un fatto straordinario, straordinariamente importante”. La elogia anche monsignor Manuel Arteaga, allora vicario capitolare dell’Arcidiocesi dell’Avana – tarderà ancora sei anni a ricevere il manto cardinalizio -. Gli piace l’invocazione del favore divino che fa il testo nel suo preambolo, il rispetto alla libertà di culto, il diritto all’insegnamento religioso che si riconosce alle scuole private.
Non tutti i delegati compartirono lo stesso entusiasmo. Al liberale Orestes Ferrara, la Costituente non piacque e dice che la maggioranza dei suoi membri non era all’altezza della sua missione. “I vecchi politici dominavano l’Assemblea in privato, ma non in pubblico. Per Cortina, Guas, Márquez Sterling, Casanova, Hornedo Zaydin e altri, dotare il paese di una Costituzione era un tramite per stabilire l’ordine e convivere in pace”.  Aggiunge che i gruppi dominanti, per la loro energia e audacia furono il comunista e l’abecedario. Del primo, elogia Marinello e Savador García Agüero, sembrandogli “poco consistente” il resto dell’aula. Precisa: “Comunisti e abecedari dettarono la Costituzione, anche se José manuel Cortina, vecchio parlamentare, mise la sordina alle note più discordanti”. Entrambi i gruppi, commenta Ferrara, avevano il loro programma e coincidevano “con relazione a mettere nelle mani dello Stato la totalità della vita privata e della vita pubblica.
Dire si o no
Nel 1978, Blas Roca che fu segretario generale dell’organizzazione dei comunisti cubani, diceva allo scriba: “AlleCostituente siamo riusciti a partecipare con sei delegati, una rappresentanza minima in quel gruppo di 76 che formava l’Assemblea. Comunque il partito (Unión Revolucionaria) vi giocó un ruolo importante perché esponevamo un problema e obbligvamo a votare. Si doveva dire sì o no alla giornata lavorativa di otto ore e 44 settimanali, bisognava dire sí o no a una serie di misure progressiste come l’assegnazione di terra ai contadini, il riposo retribuito, il diritto all’educazione, la condanna alla discriminazione razziale. Siccome quelli che erano lì sarebbero stati, più tardi, candidati a rappresentanti o senatori, dovevano pronunciarsi a favore di queste misure per non alienarsi i favori dell’elettorado. Se questi temi non si mettevano ai voti, quella gente avrebbe fatto dei bei discorsi, avrebbero parlato a voce alta della patria e dei suoi eroi, ma non serebbe successo nient’altro. Grazie a questo si poterono introdurre, nella Costituzione del 1940, alcuni precetti avanzati. Chiaro che poi li trascurarono, chiaro che dopo non fecero niente per metterli in esecuzione; chiaro che non si tentò nemmeno l’eliminazione del latifondo, ma almeno c’era un programma legale per cui lottare e che esercitava influenza nel Paese, compreso fra i rappresentanti di altri partiti”.
Sul ruolo dei comunisti nell’Assemblea Costituente, abbondava Marinello: “Noi abbiamo ottenuto, in materia di riforma agraria ed educazione, una serie di...precetti che sono straordinariamente buoni, ma veniva sempre lo strascico: Questo precetto avrà effetto tramite la legge corrispondente...”.
Gli “autentici”, da parte loro, reclameranno come opera loro tutta la parte positiva di quel processo: “Il popolo cubano comprese l’opera rivoluzionaria del Dottor Grau nel 1933. Come frutto storico dei lavori dell’Assemblea Costituente che è nata libera e sovrana, senza emendamenti mediatori e che raccoglieva nel suo contesto tutte le leggi sociali, economiche e politiche promulgate dalla Rivoluzione autentica”, scriveva nel 1987 Miguel Hernández-Bauzá nel suo libro Grau San Martín, biografía de una emoción popular.
La rivoluzione del ’33 non è andata di bolina, come ripete qualcuno senza sapere cosa vuol dire esattamente questa parola nel linguaggio degli appassionati cubani di aquiloni. La rivoluzione del ’33 ebbe il suo porto, culminò nella Costituzione del ’40 che venne a riaffermare, come se non si sapesse, che il Paese non si poteva più governare come prima della caduta di Machado. Si dice che le sessioni dell’Assemblea, nell’essere trasmesse per radio, portarono alcuni politici ad adottare attitudini che potevano farglinguadagnare il favore dell’elettorato nelle elezioni generali successive. Comunque non c’ è dubbio che queste trasmissioni radiofoniche, che vennero seguite con passione, fecero si che il popolo si sentisse partecipe del processo.
Guadagni della Costituzione
Nel politico, la Costituzione del ’40, instaurò il mandato presidenziale di quattro anni, senza diritto alla rielezione. Un Presidente doveva aspettare otto anni, dopo aver concluso il suo mandato, per poter aspirare a tornare al potere. Nel Potere Legislativo, dispose l’elezione di nove senatori per provincia e di un rappresentante alla Camera ogni 17.500 votanti. Stabilì le basi per garantire l’autonomia assoluta al Potere Giudiziario.
In quanto ai diritti individuali, stabilì che tutti i cittadinicubani sarebbero stati uguali davanti alla legge e considerò punibili le discriminazioni di qualunque tipo. Riconobbe la libertà di movimento, di riunione, di religione, di pensiero e di espressione, l’inviolabilità della corrispondenza e del domicilio. Si poteva entrare e uscire liberamente dal Paese. Si aboliva la pena di morte. Sarebbe esistito il registro dei carcerati, la presunzione d’innocenza e il diritto all’habeas corpus, vale a dire, non si poteva trattenere in detenzione un cittadino senza presentarlo nel tempo stabilito davanti al tribunale che avrebbe istruito i carichi addebitati. Non ci sarebbe stata espropriazione di beni, salvo a cuasa di pubblica utilità e con previa compensazione. Le leggi non avrebbero avuto effetto retroattivo.
Nell’ordine lavorativo, la Costituzione fissò la giornata lavorativa in otto ore e 44 settimanali. Il diritto alla sindacalizzazione e al riposo retribuito. La protezione della donna incinta.
Inoltre quella Costituzione garantiva il diritto a resistersi a quelle disposizioni che restringessero i diritti stabiliti nella Magna Charta.
Si dice, per il contrario, che è un documento eccessivamente casuale che aveva rimesso buona parte dei suoi dettami, come la proscrizione del latifondo e la regolazione delle banche, alla promulgazione di leggi complementarie, per cui in alcuni aspetti fu più un programma che una legge fondamentale.
Politologi e studiosi di tutte le tendenze, sono d’accordo nella sua importanza. Riconoscono che “senza dubbio, l’orientamento che configurava questo codice in materia di lavoro, lo situava come una delle Costituzioni di maggior ampiezza e ciò le conferì un’ampia rappresentatività in tutto l’ambito latinoamericano”.
La Dottoressa Uva de Aragón, professoressa dell’Università Internazionale della Florida, scrive al rispetto: “La Costituzione del 1940 si installerà nell’immaginario nazionale come la rappresentazione più viva delle aspirazioni cittadine di una Repubblica libera, sovrana e giusta”.
Il Dottor Armando Hart, d’altra parte, la concepisce “come anticamera o nell’anticamera della rivoluzione socialista”. A suo giudizio ci sono tre o quattro aspetti della Costituzione del 1940 che meritano risaltare. “Il primo e più concreto è che...abolì il latifondo...e l’abolizione del latifondo è elemento chiave della rivoluzione socialista a Cuba”. Altro aspetto che rileva il Dottor Hart è la definizione della proprietà nella sua funzione sociale, fatta da quel testo costituzionale. Afferma così Hart: “Ricordiamo tutti che la violazione della Costituzione del 1940 originò la Rivoluzione”.
Fidel castro ne La historia me absolverá, allude a un umile cittadino che pochi giorno dopo del 10 marzo si presentò davanti ai tribunali per esigere la condanna di Fulgencio  Batista e dei suoi complici nel colpo di stato che abbatté il presidente Prío e lasciò in sospeso la Costituzione del 1940. Allora la sua denuncia non ebbe eco.
“Signori magistrati, io sono quell’umile cittadino che un giorno si presentò inutilmente davanti ai tribunali per chiedere che castigassero gli ambiziosi che violarono la legge e fecero a pezzi le nostre istituzioni e adesso, quando mi si accusa di voler abbattere questo regime illegale e ristabilire la legittima Costituzione della Repubblica , mi si tiene 76 giorni incomunicato in una cella, senza parlare con nessuno e non vedere nemmeno mio figlio, mi si trasporta per la città fra due mitragliatrici col cavalletto, mi si trasferisce a questo ospedale per giudicarmi, segretamente e con tutta severità e un pubblico ministero con il codice in mano, chiede per me 26 anni di carcere”.
Più avanti dice: “Cuba sta sofferndo un despotismo crudele e ignominioso e voi non ignorate che la restenza davanti al dispotismo è legittima, questo è un principio universalmente riconosciuto e la nostra Costituzione del 1940 lo consacrò espressamente nel paragrafo secondo dell’articolo 40: È legittima la resistenza adeguata per la protezione dei diritti individuali”.
Riprende il diritto di resistenza consacrato nell’articolato corpo costituzionale e una volta di più fidel si converte da accusato in accusatore.
“Il diritto di resistenza che stabilisce l’articolo 40 di questa Costituzione è pienamente vigente. Si approvò perché funzionasse mentre la Repubblica marciasse normalmente? No...Tradita la Costituzione della Repubblica e strappate al popolo tutte le sue prerogative, gli rimaneva solo questo diritto che nessuna forza può togliere, il diritto di resistere all’oppressione e all’ingiustizia. Se rimane qualche dubbio, qua c’è un articolo del Codice della Difesa Sociale, che il signor pubblico ministero non doveva dimenticare, il quale dice testualmente: ‘Le autorità della nomina del Governo o per elezione popolare che non avessero resistito all’insurrezione con tutti i mezzi che fossero a loro disposizione, incorreranno in una sanzione di interdizione speciale da sei a dieci anni’. Era obbligo dei magistrati della Repubblica resistere al golpe traditore del 10 di marzo. Si comprende perfettamente che quando nessuno ha adempito alla legge, quando nessuno ha compiuto  il dovere, si inviano in carcere gli unici che hanno osservato ala legge e il dovere”.

L’assalto alla caserma Moncada, il 26 di luglio del 1953, fu allora il gesto più alto e degno a difesa della Costituzione del 1940, calpestata dal colpo di Stato del 1952.


La Constitución del 40 (II y final)
Ciro Bianchi Ross * 
digital@juventudrebelde.cu
14 de Febrero del 2015 18:34:29 CDT

Con el pacto Batista-Menocal pierde la oposición la mayoría en la
Asamblea Constituyente, y Ramón Grau San Martín renuncia a la
presidencia del cónclave. Lo sustituye Carlos Márquez Sterling, un
político de 42 años de edad, que ocupó ya la presidencia de la Cámara
de Representantes. Es hábil en el manejo del debate parlamentario y
sabe imprimirles a las jornadas el dinamismo que posibilita que la
reunión llegue a feliz término en el plazo previsto. En efecto, el 8
de junio de 1940 se dan por concluidas las sesiones. Al día siguiente
los constituyentes viajan a Guáimaro en un tren especial a fin de
firmar la nueva Carta Magna en el mismo sitio donde se rubricó la
primera Constitución de la República en Armas. El 18 de julio la
Constitución de 1940 era promulgada solemnemente en una imponente
ceremonia en la escalinata del Capitolio. Entraría en vigor el 10 de
octubre de ese año, en ocasión del aniversario 72 del Grito de Yara.
“No es una obra perfecta, pero responde a un Estado de Derecho. Y es
la primera vez que la voz del pueblo de Cuba se hace realidad tras un
largo y duro batallar”, aseveró Carlos Márquez Sterling. Diría Juan
Marinello en 1977: “La Constitución en lo declarativo es la más
avanzada del continente americano en aquel entonces. Hay que
reconocerlo... Siempre he creído que la Constituyente del 40 es un hecho
extraordinario, extraordinariamente importante”. La elogia asimismo
monseñor Manuel Arteaga, entonces vicario capitular de la
Arquidiócesis de La Habana --tardaría todavía seis años en recibir el
capelo cardenalicio. Le agrada la invocación del favor divino que hace
el texto en su preámbulo, el respeto a la libertad de cultos, el
derecho de la enseñanza religiosa que le reconoce a las escuelas
privadas...
No todos los delegados comparten el mismo entusiasmo. Al liberal
Orestes Ferrara, la Constituyente no le agradó y dice que la mayoría
de sus miembros no estaban a la altura de su misión. “Los viejos
políticos dominaban la Asamblea en privado, pero no en lo público.
Para Cortina, Guas, Márquez Sterling, Casanova, Hornedo, Zaydín y
otros, dotar al país de una Constitución era un trámite para
establecer el orden y convivir en paz”. Añade que los grupos
dominantes, por su energía y audacia, fueron el comunista y el
abecedario. Del primero, elogia a Marinello y Salvador García Agüero,
pareciéndole “poco consistente” el resto de la bancada. Precisa:
“Comunistas y abecedarios dictaron la Constitución, aunque José Manuel
Cortina, viejo parlamentario, le puso sordina a las notas más
discordantes”. Ambos grupos, comenta Ferrara, tenían su programa y
coincidían “en lo referente a poner en manos del Estado la totalidad
de la vida privada y de la vida pública”.

Decir sí o no

En 1978, Blas Roca, que fuera secretario general de la organización de
los comunistas cubanos, decía al escribidor: “En la Constituyente
logramos participar con seis delegados, una representación mínima en
el grupo de 76 que formaba la Asamblea. Sin embargo, el Partido [Unión
Revolucionaria] jugó allí un papel importante porque planteábamos un
problema y obligábamos a votar. Había que decir sí o no a la jornada
de ocho horas diarias y 44 a la semana; había que decir sí o no a una
serie de medidas progresistas como el reparto de tierras a campesinos,
el descanso retribuido, el derecho a la educación, la condena a la
discriminación racial. Como los que estaban allí serían más tarde
aspirantes a representantes y senadores tenían que pronunciarse a
favor de esas medidas para no enajenarse el favor del electorado.
Si esos temas no se ponían a votación, aquella gente habría hecho
bellos discursos, hubiera hablado muy alto de la patria y sus héroes y
no hubiera pasado nada más. Gracias a eso pudieron incluirse en la
Constitución de 1940 algunos preceptos avanzados. Claro que después
los burlaron; claro que después no hicieron nada por ponerlos en
ejecución; claro que la eliminación del latifundio ni siquiera se
intentó, pero por lo menos había allí un programa legal por qué luchar
y que ejercía influencia en el país, incluso en los representantes de
otros partidos”.
Sobre el papel de los comunistas en la Asamblea Constituyente abundaba
Marinello: ”Nosotros logramos en materia de reforma agraria y
educación una serie de... preceptos que son extraordinariamente buenos,
pero siempre venía la coletilla: Este precepto regirá a través de la
ley correspondiente...”.
Los auténticos, por su parte, reclamarían como obra propia todo lo
positivo de aquel proceso: “El pueblo cubano sí entendió la obra
revolucionaria del Dr. Grau en 1933. Como fruto histórico de los
trabajos de la Asamblea Constituyente que nació libre y soberana, sin
enmiendas mediatizantes y que recogía en sus contextos todas las leyes
sociales, económicas y políticas promulgadas por la Revolución
auténtica”, escribía en 1987 Miguel Hernández-Bauzá en su libro Grau
San Martín, biografía de una emoción popular.

La revolución del 33 no se fue a bolina, como repiten algunos sin
saber siquiera qué quiere decir exactamente esa palabra en el lenguaje
de los papaloteros cubanos. La revolución del 33 tuvo su puerto,
culminó en la Constitución del 40, que vino a reafirmar, como si no se
supiera, que el país no podía gobernarse ya como antes de la caída de
Machado. Se dice que las sesiones de la Asamblea, al transmitirse por
radio, llevaron a algunos políticos a adoptar actitudes que pudieran
granjearles el favor del electorado en los comicios generales
subsiguientes. Pero no hay dudas de que esas transmisiones radiales,
que fueron seguidas con pasión, hicieron que el pueblo se sintiera
partícipe del proceso.

Ganancias de la Constitución

En lo político, la Constitución del 40 instauró el mandato
presidencial de cuatro años, sin derecho a la reelección. Un
Presidente debía esperar ocho años después de concluido su mandato
para volver a aspirar al poder. En el Poder Legislativo dispuso la
elección de nueve senadores por provincia y de un representante a la
Cámara por cada 17 500 votantes. Sentó regulaciones para garantizar la
autonomía absoluta del Poder Judicial.
En cuando a derechos individuales, estableció que todos los ciudadanos
cubanos serían iguales ante la ley y consideró punibles las
discriminaciones de cualquier tipo. Reconoció la libertad de
movimiento, de reunión, de religión, de pensamiento y de expresión; el
secreto de la correspondencia y la inviolabilidad del domicilio. Se
podría entrar y salir libremente del país. Se suprimía la pena de
muerte. Existiría el registro de presos, la presunción de la inocencia
y el derecho de hábeas corpus, es decir, no se podía mantener detenido
a un ciudadano sin presentarlo en el tiempo establecido ante el
tribunal que lo instruiría de cargos. No habría expropiación de
bienes, salvo por causa de utilidad pública y con previa compensación.
Las leyes no tendrían efecto retroactivo.
En el orden laboral, la Constitución fijó la jornada de ocho horas
diarias y de 44 horas semanales. El derecho a la sindicalización y al
descanso retribuido. La protección de la mujer embarazada.
También garantizaba aquella Constitución el derecho a la resistencia a
aquellas disposiciones que restringieran los derechos que se asentaban
en la Carta Magna.
Se dice, en su contra, que es un documento excesivamente casuístico,
que remitió buena parte de sus provisiones, como la proscripción del
latifundio y la regulación de la banca, a la promulgación de leyes
complementarias, con lo que en algunos aspectos fue más un programa
que una ley fundamental.
Politólogos y estudiosos de todas las tendencias están de acuerdo en
su importancia. Reconocen que “sin duda, la orientación que
configuraba este pliego en materia de trabajo lo situaba como una de
las Constituciones de mayor alcance y esto le confirió una amplia
representación en todo el ámbito latinoamericano”.
La Doctora Uva de Aragón, profesora de la Universidad Internacional de
la Florida, escribe al respecto: “La Constitución de 1940 se
instalaría en el imaginario nacional como la representación más viva
de las aspiraciones ciudadanas de una República libre, soberana y
justa”.
El Doctor Armando Hart, por otra parte, la conceptúa “como antesala o
en la antesala de la revolución socialista”. A su juicio, hay tres o
cuatro aspectos de la Constitución de 1940 que merecen destacarse. “El
primero y más concreto es que... abolió el latifundio... y la abolición
del latifundio es el elemento clave de la revolución socialista en
Cuba”. Otro aspecto que destaca el Doctor Hart es la definición de la
propiedad en su función social que hizo aquel texto constitucional.
Expresa Hart asimismo: “Todos recordamos que la violación de la
Constitución de 1940 originó la Revolución”.
Fidel Castro, en La historia me absolverá alude a un humilde ciudadano
que pocos días después del 10 de Marzo se presentó ante los tribunales
para exigir la condena de Fulgencio Batista y sus cómplices en el
golpe de Estado que derrocó al presidente Prío y dejó en suspenso la
Constitución de 1940. No encontró entonces eco a su denuncia.
“Señores Magistrados: Yo soy aquel humilde ciudadano que un día se
presentó inútilmente ante los tribunales para pedirles que castigaran
a los ambiciosos que violaron las leyes e hicieron trizas nuestras
instituciones, y ahora, cuando es a mí a quien se acusa de querer
derrocar este régimen ilegal y restablecer la Constitución legítima de
la República, se me tiene 76 días incomunicado en una celda, sin
hablar con nadie ni ver siquiera a mi hijo, se me conduce por la
ciudad entre dos ametralladoras de trípode, se me traslada a este
hospital para juzgarme secretamente con toda severidad y un fiscal,
con el Código en la mano, pide para mí 26 años de cárcel”.
Dice más adelante: “Cuba está sufriendo un cruel e ignominioso
despotismo, y vosotros no ignoráis que la resistencia frente al
despotismo es legítima; este es un principio universalmente reconocido
y nuestra Constitución de 1940 lo consagró expresamente en el párrafo
segundo del artículo 40: Es legítima la resistencia adecuada para la
protección de los derechos individuales”.
Retoma el tema del derecho de resistencia consagrado en el articulado
del cuerpo constitucional, y una vez más se convierte Fidel de acusado
en acusador:
“El derecho de resistencia que establece el artículo 40 de esa
Constitución está plenamente vigente. ¿Se aprobó para que funcionara
mientras la República marchara normalmente? No... Traicionada la
Constitución de la República y arrebatadas al pueblo todas sus
prerrogativas, solo le quedaba ese derecho, que ninguna fuerza le
puede quitar, el derecho de resistir a la opresión y a la injusticia.
Si alguna duda queda, aquí está un artículo del Código de Defensa
Social, que no debió olvidar el señor fiscal, el cual dice
textualmente: ’Las autoridades de nombramiento del Gobierno o por
elección popular que no hubiesen resistido a la insurrección por todos
los medios que estuviesen a su alcance, incurrirán en una sanción de
interdicción especial de seis a diez años’. Era obligación de los
magistrados de la República resistir el cuartelazo traidor del 10 de
marzo. Se comprende perfectamente que cuando nadie ha cumplido con la
ley, cuando nadie ha cumplido el deber, se envía a la cárcel a los
únicos que han cumplido con la ley y el deber”.
El asalto al cuartel Moncada, el 26 de julio de 1953, fue entonces el
más alto y digno gesto en defensa de la Constitución de 1940,
pisoteada por el golpe de Estado de 1952.

Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
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