Translate

Il tempo all'Avana

+28
°
C
H: +28°
L: +23°
L'Avana
Lunedì, 24 Maggio
Vedi le previsioni a 7 giorni
Mar Mer Gio Ven Sab Dom
+28° +29° +29° +28° +29° +29°
+24° +24° +24° +24° +24° +24°

lunedì 4 maggio 2015

Santos Suárez, di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud rebelde del 3/5/15

Il reparto Santos Suárez, nel municipio avanero Diez de Octubre, deve il suo nome alla famiglia proprietaria dei terreni sui quali si stabilì questa urbanizzazione. Si trattava di quattro fratelli nati nella regione centrale dell’Isola e trasferitisi nella capitale: José Indalecio, Leonardo, Nicolás y Joaquin, mio dice il dottor Ismael Pérez Gutiérrez, professore in Medicina che sta facendo una paziente investigazione sulle strade e quartieri dell’Avana. Il nome di due di essi lo portano note strade locali: Sani Indalecio e San Leonardo.
Dei quettro fratelli, Leonardo fu quello più in vista. Non solo per essere stato il più ricco del gruppo, ma anche per il suo prodigarsi politico. Più di un autore assicura che Santos Suarez si chiama così per lui. Come José Indalecio, il fratello maggiore, Leonardo stidiò Diritto e con Félix Varela e Tomás Gener, venne eletto deputato alle Cortes nel 1822.
La Costituzione di Cadice del 1812, ristabilita in Spagna nel marzo del 1820, fu proclamata a Cuba un mese dopo. Un elemento più progressista della Colonia suggerì senza indugi la creazione di una cattedra della Costituzione e la mise sotto gli auspici del Vescovo Espada, “col giusto apprezzamento delle eminenti qualità che concorrono nelle sua venerabile persona”, come si affermava nella proposta.
Espada rimase abilitato per regolamentare la cattedra ed eleggere la persona che l’avrebbe impartita. Il Vescovo la aggiunse ai programmi curricolarti del Seminario di San Carlos e determinò che si operasse per ponenza, ma allo stesso tempo invitò il padre Varela a che partecipasse al concorso. Nessuno poteva disimpegnaral con maggior dominio ed efficacia. Gli esercizi che Varela presentò furono brillanti; Nessuno poté discutergli la proprietà di una cattedra che egli chiamò “della libertà e dei diritti dell’uomo”. La popolarità di Varela a partire da lì salì come cresta dell’onda. La sua integrità morale e il suo patriottismo lo resero un candidato indiscutibile per l’elezione a deputato. Venne eletto. Furono eletti anche Santos Suárez e Gener. Nonostante non volesse, Varela dovette cambiare la vita tranquilla dello studioso con l’esistenza agitata del politico.
Tre progetti erano presentati alle Cortes dai deputati avaneri capeggiati da Varela: abolizione della schiavitù, autonomia per Cuba e riconoscimento dell’indipendenza dell’America spagnola. I cubani sono trattati con profonda considerazione, ma la reazione assolutista non era morta e aspettava il omento della rivincita. Col ritorno di fernando VII arriva al termine il breve periodo costituzionale. I cubani che si pronunciarono sull’incapacità del monarca di governare e la sua sostituzione per un consiglio di reggenza, furono condannati a morte e dovettero fuggire dalla Spagna. Varela riesce a raggiungere Gibilterra da dove parte per New York.

Ritratto di gruppo

In questa città giunse anche Leonardo Santos Suárez. Collaborò con Varela nel suo giornale El Habanero, pubblicazione che segnalerebbe la strada proprio ai separatisti cubani e che, naturalmente, non poté circolare a Cuba. Già per allora Santos Suárez aveva esperienza nel campo delle parole stampate ebbene, anni prima all’Avana, fu assieme a José Agustin Govantes e Nicolàs Manuel de Escobedo – “il cieco che ci vide bene”- come si chiamò a suo tempo – nella fondazione de El Observador Habanero, rivista di alto valore letterario. Non persisterà in questo impegno. D’altra parte si sarebbe disincantato della politica – si accolse all’amnistia del 1832 promulgata dal governo spagnolo – e si mise completamente, con grande successo, nel mondo degli affari. Morì a Madrid nel 1874 a 79 anni d’età. Suo fratello maggiore non visse così a lungo, il già citato José Indalecio. Morì nel 1836 a 44 anni d’età. Fece gli studi secondari all’Avana e frequentò Filosofia al Seminario di San Carlos. Molto giovane, ad appena 21 anni, nel proprio Seminario, presentò le sue proprie ponenze per la cattedra di Testo Aristotelico. Nonostante al suo brillante operato, perse davanti a un rivale della taglia di Escobedo che sarà il professore che sostituirà Varela alla cattedra della Costituzione quando il futuro autore di Lettere a Elpidio si recheràa Madrid per occupare il suo posto di deputato alle Cortes.
José Indalecio si iscrisse allora alla facoltà di Diritto alla Reale e Pontificia Università dell’Avana, dove divenne avvocato. Ebbe la fortuna di lavorare nel gruppo del venezuelano Juan ignacio Rendón Dorsuna, considerato uno dei grandi letterati della Cuba coloniale, cos che gli permise in qualche modo alle cause più celebri dell’epoca che erano d’incombenza di Rendón, dato il suo incarico di auditore all’Udienza di Porto Principe.
Lo elessro deputato provinciale per l’Avana e deputato supplente alle Cortes. L’amministrazione coloniale lo designò magistrato del Tribunale della Real Hacienda. La salute, indubbiamente, non  lo accompagnò. Molto malato, si recò negli Stati Uniti al fine di trovare una cura per i suoi mali. Ci tentò per tutto un anno. Non ci riuscì e tornò a Cuba per morire. Decedette lo stesso anno in cui m orì il suo maestro Rendón che arrivò ai 75.
Diiamo, prima di proseguire che Santos Suárez era un cognome composto e che Pérez è il secondo cogome di questi quattro fratelli. Dei due fratelli mminori si conosce meno che dei maggiori. Ebbero una vita più privata che pubblica. Nicolás, il terzo in ordine cronologico, fu pure avvocato. Studiò nella capitale dell’Isola e dopo essere stato in Europa, si stabilì a Pensacola, quando la Florida era ancora territorio spagnolo ed era sotto la giurisdizione della capitania generale dell’Avana. Lì si disimpegnò come Auditore di Guerra fino a che tornò a Cuba ed esercitò come giudice a Guanabacoa.
Scrisse vari foglietti di carattere letterario e giuridico.
Il minore dei fratelli Santos Suarez Pérez si chiamò Joaquín. Fu l’eccezione alla regola. Non studiò Diritto. Si fece medico e fu membro eccellente della Società Economica Amici del Paese, dell’Accademia di Scienze e del Liceo Artistico e Letterario.

Entrano i Mendoza

I nonni dei Mendoza-Freyre de Andrade, contrassero matrimonio nel 1855. Lo fecero nonostante l’opposizione del padre di Maria Teresa, la sposa, che faceva notare la scadente fortuna economica del pretendente di sua figlia. In ogni caso, sette dei 12 figli della coppia dettero origine a rami che “costituirono alcune delle famiglie cubane più influenti” prima del 1959. I loro discendenti si sarebbero allacciati, dice Guillermo Jiménez, con i maggiorenti di ogni epoca e sarebbero stati proprietari in diversi settori del Paese.
Fra loro ci furono banchieri e operatori dello zucchero e della borsa valori, proprietari di zuccherifici e di colonie di canna, di fabbriche di fertilizzanti, di imprese di costruzione e immobiliari, di entità ipotacarie e assicurazioni... Il centro commerciale dell Rampa, dove adesso funzionano gli uffici della compagnie di aviazione, era proprietà di membri di questa famiglia. Figuravano fra i principali azionisto privati di Cubana de Aviación ed erano proprietari delllo studio Mendoza, specializzato in questioni mercantili ed era uno dei più antichi ne importanti della città, sito in Calle Amargura 205 tra Habana e Aguiar, nall’Avana Vecchia. Il palazzo di Aldame era tra le loro proprietà e per non lasciare di avere altre appartenenze giunsero ad acquisire il Fondo Coronado, così chiamato per il suo proprietario oiginale, l’erudito Francisco de Paula Cronado che è la maggior collezione esistente di libri, stampati, materiali di stampa, mappe e qualunque tipo di documento relativo a Cuba che i Mendoza vendettero, opportunamente, all’Università Centrale di Las Villas, dove oggi si trova.
I Mendoza, in qualunque dei loro sette rami, erano proprietari di grandi estensioni di terreni in tutta la città. Possedevano parcelle e appezzamenti a Cojimar e anche a Biltmore, Nei reparti Barandilla, La Croronela e La Puntilla. LI possedevano anche alla Vibora, quando questa arrivava fino a La Palma. Nel 1915 acquisirono terreni nella zona di Santo Suárez e cominciò la sua urbanizzazione.

Viaggio nella memoria

A Santos Suárez ci sono zone in cui le strade – Santa Emilia, Santa Catalina, Santa Irene- esauriscono l’iconofrafia. Altre –Mayia Rodríguez, Juan Delgado, Lacret- rendono tributo agli eroi dell’indipendenza e altre –Saco, Heredia, Luz Caballero- ricordano i nostri più illustri intellettuali e creatori, mentre tutta una cesta di frutta cubana si riempie coi nomi di Zapotes, Melones, Cocos...Per certo, Cocos continua ad essere Cocos e non Alfredo Martín Morales e nessuno ha mai chiamato José Miguel Góme, Correa né José Antolín del Cueto, Melones.
Per noi che vivevamo nel reparto Lawton, zona eminentemente studentesca, mentre Luyanó era essenzialmente operaia, le scappatelle a santo Suárez erano tutta un’avventura dell’adolescenza. Perfino le ragazze sembravano più carine, elerganti, in voga anche se non ricordo se si usasse questa espressione. Lo scriba ammirava già le grandi case del quartiere, anche se non laciava di avvertire che le sue aree si erano congestionate in un eccesso di edifici d’appartamenti, uno sull’altro, in un impeto di sfruttare al massimo i terreni.
Un cinema come il Los Angeles, in Juan Delgado quasi all’angolo di Lacret, non solo sembrava migliore di quelli che funzionavano nella nostra zona, ma che lo era realmente con le sue poltrone imbottite e l’aria condizionata, mentre altri –Ma’Ra e Santa Catalina- rimanevano con le poltroncine di legno, nell’attrattivo delle loro facciate. La Gran Via, ubicata precisamente nella calle Santo Suarez, fra San Indalecio e San Benigno era, nei compleanni, il massimo con le sue torte e la sua pasticceria fine. Nella Caffetteria Niágara di Juan Delgado e Santa Catalina, Paco il paninaro offriva i migliosri sandwiches della città e i gelati de El Gallito, in Santa Catalina e Saco non avevano niente che vedere con quelli che sarebbero molto richiesti successivamente.
Più in la, per Santa Catalina verso Palatino e la Città Sportiva, la chiesa di San Giovanni Bosco nella cui via crucis, -si saprà dopo- il pittore Eberto Escobedo rappresentò il poeta José Lezama Lima. Più in la, la fabbrica della Coca Cola e quasi di fronte la tenuta Las delicias, di Rosalía Abreu, impenetrabile nel mistero delle sue scimmie.


Santos Suárez
Ciro Bianchi Ross * 
digital@juventudrebelde.cu
2 de Mayo del 2015 21:11:59 CDT

El reparto Santos Suárez, en el municipio habanero de Diez de Octubre,
debe su nombre a la familia propietaria de los terrenos donde se
asentó esa urbanización. Se trataba de cuatro hermanos nacidos en la
región central de la Isla y avecindados en la capital: José Indalecio,
Leonardo, Nicolás y Joaquín, me dice el doctor Ismael Pérez Gutiérrez,
profesor de Medicina, que lleva a cabo una paciente investigación
sobre calles y barriadas de La Habana. El nombre de dos de ellos lo
llevan sendas calles locales: San Indalecio y San Leonardo.
De los cuatro hermanos, Leonardo fue el más prominente. No solo por
haber sido el más rico del grupo, sino por su quehacer político. Más
de un autor asegura que es por él que Santos Suárez se llama así.
Al igual que José Indalecio, el hermano mayor, Leonardo estudió
Derecho y,  junto con Félix Varela y Tomás Gener, resultó electo
diputado a Cortes en  1822.
La Constitución de Cádiz de 1812, restablecida en España en marzo de
1820, fue proclamada en Cuba un mes más tarde. El elemento más
progresista de la Colonia sugirió sin demora la creación de una
cátedra de Constitución y la puso bajo los auspicios del obispo
Espada, “en justo aprecio de las eminentes cualidades que concurren en
su venerable persona”, como se afirmaba en la propuesta.
Queda Espada facultado para reglamentar la cátedra y elegir a la
persona que la impartiría. La sumó el Obispo a los programas
curriculares  del Seminario de San Carlos y determinó que se cubriera
por oposición, pero al mismo tiempo invitó al padre Varela a que
participara en el concurso. Nadie podía desempeñarla con más dominio y
eficacia. Los ejercicios que presentó Varela fueron brillantes; nadie
pudo discutirle la propiedad de una cátedra que él llamó “de la
libertad y los derechos del hombre”. La popularidad de Varela, a
partir de ahí, subió  como la espuma. Su integridad moral y su
patriotismo lo hicieron un candidato indiscutible para las elecciones
a diputado. Salió electo. También fueron elegidos Santos Suárez y
Gener.  Aunque no quería, debió  Varela cambiar la vida sosegada del
estudioso por la existencia agitada del  político.
Tres proyectos llevan  a Cortes los diputados habaneros que encabeza
Varela: abolición de la esclavitud, autonomía para Cuba y
reconocimiento de la independencia de la América española. Los cubanos
son tratados con profunda consideración, pero la reacción absolutista
no está muerta y espera el momento de la revancha. Con el retorno de
Fernando VII llega a su fin el breve período constitucional. Los
cubanos que se pronunciaron sobre la incapacidad del monarca para
gobernar y su sustitución por un consejo de regencia, son condenados a
muerte y deben huir de España. Varela logra llegar a Gibraltar y desde
allí viaja a Nueva York.

Retrato de grupo


A esa ciudad llegó también Leonardo Santos Suárez. Colaboró con Varela
en su periódico El Habanero, publicación que señalaría el camino justo
a los separatistas cubanos, y que, por supuesto, no pudo circular en
Cuba. Ya para entonces Santos Suárez tenía experiencia en el campo de
la letra impresa, pues años antes, en La Habana, estuvo, junto a José
Agustín Govantes y Nicolás Manuel de Escobedo –“el ciego que vio
claro”, como se le llamó en su tiempo-- en la fundación de El
Observador Habanero, revista de alto valor literario. No persistiría
en ese empeño. Se desencantaría por otra parte de la política --debe
haberse acogido a la amnistía de 1832 promulgada por el Gobierno
español-- y se metió de lleno, con gran éxito,  en el mundo de los
negocios. Murió en Madrid, en 1874, a los 79 años de edad.
No vivió tanto su hermano mayor, el ya aludido José Indalecio.
Falleció, en 1836, con  44 años. Hizo estudios secundarios en La
Habana y cursó Filosofía en el Seminario de San Carlos. Muy joven,
apenas con 21 años y en el propio Seminario, se presentó a las
oposiciones para la cátedra de Texto Aristotélico. Pese a su brillante
papel,  perdió ante un contrincante de la talla de Escobedo, que sería
el profesor que sustituirá a Varela en la cátedra de Constitución
cuando el futuro autor de Cartas a Elpidio viajara a Madrid, para
ocupar su plaza de diputado a Cortes.
Matriculó entonces José Indalecio la carrera de Derecho en la Real y
Pontificia Universidad de La Habana, donde se graduó como abogado.
Tuvo la suerte de laborar en el equipo del venezolano Juan Ignacio
Rendón  Dorsuna, considerado uno de los grandes letrados de la Cuba
colonial, lo que le permitió participar de alguna manera en las causas
más célebres de la época, que eran de la incumbencia de Rendón, dado
su cargo de oidor de la Audiencia de Puerto Príncipe.
Lo eligieron diputado provincial por La Habana y diputado suplente a
Cortes. La administración colonial lo designó magistrado del Tribunal
de la Real Hacienda. La salud, sin embargo, no lo acompañó. Muy
enfermo, viajó a Estados Unidos a fin de encontrar remedio a sus
males. Lo intentó durante todo un año. No lo consiguió y regresó a
Cuba para morir. Falleció en el mismo año en que murió su maestro
Rendón, que llegó a los 75.
Digamos antes de proseguir que Santos Suárez es un apellido compuesto,
y que Pérez es el segundo apellido de estos cuatro hermanos. De los
dos hermanos menores se conoce menos que de los mayores. Tuvieron una
vida más privada que pública. Nicolás, el tercero en orden
cronológico,  fue también abogado. Estudió en la capital de la Isla  y
luego de viajar por Europa, se estableció en Pensacola, cuando la
Florida era aún territorio español y estaba bajo la jurisdicción de la
capitanía general de La Habana. Se desempeñó allí como Auditor de
Guerra hasta que volvió a Cuba y ejerció como juez en Guanabacoa.
Escribió varios folletos de carácter literario y jurídico.
El menor de los hermanos Santos Suárez Pérez se llamó Joaquín. Fue la
excepción de la regla. No estudió Derecho. Se hizo médico y fue
miembro destacado de la Sociedad Económica de Amigos del País, de la
Academia de Ciencias y del Liceo Artístico Literario.

Entran los Mendoza


Los abuelos de los Mendoza-Freyre de Andrade contrajeron matrimonio en
1855. Lo hicieron pese a la oposición del padre de María Teresa, la
novia, que alegaba la escasa fortuna del pretendiente de su hija.  Sin
embargo, siete de los 12 hijos de la pareja originaron ramas que
“constituyeron algunas de las familias cubanas más influyentes” antes
de 1959. Sus descendientes enlazarían, dice Guillermo Jiménez, con los
principales de cada época y serían propietarios en diversos sectores
del país.
Hubo entre ellos banqueros y corredores de azúcar y de bolsa de
valores,  propietarios de centrales azucareros y de colonias cañeras,
de fábricas de fertilizantes, de empresas constructoras e
inmobiliarias, de entidades hipotecarias y de seguros... De miembros de
esa familia era propiedad el centro comercial La Rampa, donde
funcionan ahora las oficinas de las compañías de aviación.
Figuraban entre los principales accionistas privados de Cubana de
Aviación y eran dueños del Bufete Mendoza, especializado en asuntos
mercantiles y uno de los más importantes y antiguos de la ciudad,
situado en  calle Amargura 205, entre Habana y Aguiar, La Habana
Vieja. El Palacio de Aldama estaba entre sus propiedades, y por no
dejar de tener llegaron a adquirir el Fondo Coronado, llamado así por
su propietario original, el erudito Francisco de Paula Coronado, y que
es la mayor colección existente de libros, folletos, materiales de
prensa, mapas y todo tipo de documentos relativos a Cuba, que los
Mendoza vendieron oportunamente a la Universidad Central de Las
Villas, donde hoy se encuentra.
Los Mendoza, en cualquiera de sus siete ramas, eran propietarios de
grandes extensiones de tierra en toda la ciudad. Poseían parcelas y
solares en Cojímar y también en el Biltmore. En los repartos
Barandilla y La Coronela y en La Puntilla. Los poseían asimismo en La
Víbora, cuando esta llegaba hasta La Palma. En 1915 adquirieron
terrenos  en la zona de Santos Suárez y comenzó su urbanización.

Viaje a la memoria


Hay en Santos Suárez zonas  cuyas calles  --Santa Emilia, Santa
Catalina, Santa Irene...--  agotan el santoral. Otras -Mayía Rodríguez,
Juan Delgado, Lacret...-- rinden tributo a los héroes de la
Independencia, y otras más --Saco, Heredia, Luz Caballero...-- recuerdan a
nuestros más ilustres intelectuales y creadores, en tanto que  toda
una canasta de frutas cubanas se llena con los nombres de  calles como
 Zapotes, Melones, Cocos... Por cierto, Cocos sigue siendo Cocos  y no
Alfredo Martín Morales, y nadie llamó nunca José Miguel Gómez a
Correa, ni José Antolín del Cueto a Melones.
Para los que vivíamos en el reparto Lawton, zona eminentemente
estudiantil, mientras Luyanó era, en lo esencial,  obrero, las
escapadas a Santos Suárez eran toda una aventura en la adolescencia.
Hasta las muchachas parecían más lindas, elegantes, más en la onda,
aunque no recuerdo si ya se usaba esa expresión.  El escribidor
admiraba ya las grandes casonas de la barriada, aunque no dejaba de
advertir que sus áreas se habían congestionado en exceso con edificios
de apartamentos apiñados prácticamente unos sobre  otros, en un afán
de aprovechar al máximo los terrenos.
Un cine como Los Ángeles, en Juan Delgado casi esquina a Lacret, no
solo nos parecía mejor que los que funcionaban en nuestra zona, sino
que lo era realmente con sus butacas acolchadas y el aire
acondicionado, mientras que otros --Ma'Ra y Santa Catalina-- se
quedaban, con sus asientos de palo,  en el atractivo de sus fachadas.
La Gran Vía, ubicada precisamente en la calle Santos Suárez, entre San
Indalecio y San Benigno, era, en los cumpleaños, lo máximo con sus
cakes y su confitería fina. En la cafetería Niágara, de Juan Delgado y
Santa Catalina, Paco el lunchero ofertaba los mejores sándwiches de la
ciudad, y los frozzen de El Gallito, en Santa Catalina y Saco, nada
tenían que ver con los se harían muy demandados después.
Más allá, por Santa Catalina hacia Palatino y la Ciudad Deportiva, la
iglesia de San Juan Bosco, en cuyo vía crucis --lo sabríamos después--
el  pintor Eberto Escobedo representó al poeta José Lezama Lima. Más
allá, la fábrica de la Coca Cola y casi enfrente la quinta Las
Delicias, de Rosalía Abreu, impenetrable en el misterio de sus monos.

Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
http://wwwcirobianchi.blogia.com/
http://cbianchiross.blogia.com/

Retrocedere

RETROCEDERE: vendere, affittare o regalare la parte posteriore

sabato 2 maggio 2015

Presentato l'ultimo libro di Ciro Bianchi Ross

Nell'abituale cornice del "Sabado del Libro" nella Plaza de Armas, nello spazio prospiciente il Palacio de los Capitanes Generales, è stato presentato l'ennesimo libro con raccolte di aneddoti e conversazioni frutto dell'investigazione, " Oye la historia que contome un día", di Ciro Bianchi Ross cubano purosangue, ma risalente alla quinta generazione di immigrati italiani a Cuba.
Lunga coda per acquistare il libro e altra per farselo firmare e dedicare dall'autore. Fra il numeroso pubblico presente si è notata la presenza di Ricardo Alarcón de Quesada, figura di spicco nella storia della Rivoluzione cubana nell'ambito della quale ha rivestito e riveste incarichi di primissimo piano








Remoto

REMOTO: Harley Davidson

venerdì 1 maggio 2015

Si lavora ancora in una città provata

Fonte: Granma

Continúan las labores de recuperación en La Habana
Más de 1 200 evacuados tras fuertes lluvias
30 de abril de 2015 22:04:41
Un total de 1 249 personas se encontraban evacuadas al cierre de esta información, tanto en las instituciones estatales habilitadas para este fin como en casas de familiares y vecinos, por las afectaciones sufridas a causa de las intensas lluvias y vientos reportados en la tarde del miércoles en la capital cubana.
Según información del puesto de mando de la Dirección de la Defensa Civil en la provincia, ascendía a tres el número de fallecidos. Aníbal Cabrera Fernández, de 42 años y vecino de La Habana Vieja, fue otra de las víctimas que murió por ahogamiento.
También, de los primeros 24 derrumbes parciales reportados la cifra se elevó a 44 y se mantenían los tres totales, concentrados en su ma­yoría en los municipios de Centro Habana, La Habana Vieja, Regla y San Miguel del Padrón.
Se contabilizan afectaciones en 31 centros educacionales que sufrieron inundaciones en áreas exteriores y sótanos, filtraciones, derrumbes de muros, contaminación de sus cisternas y otros.
Instalaciones de comercio y gastronomía fueron dañadas por las aguas y en muchos lugares tuvieron que reponerse los productos de la canasta básica para garantizar su entrega.
La Organización Básica Eléctrica atiende 408 quejas fundamentalmente por interrupciones parciales en las viviendas, aunque ya habían restablecido los 39 circuitos dañados y se trabajaba en el cambio de ocho transformadores.
El acceso al túnel de la bahía y tránsito en las principales vías ya se había restablecido, como también el servicio de gas que se vio afectado en algunos lugares de la ciudad, por ejemplo Centro Habana.
Fuerzas del gobierno provincial y del Mi­nisterio de la Construcción trabajan en la recogida de los residuos sólidos y limpiando las áreas inundadas, para lo cual hasta el momento disponen de más de 170 camiones.
Igualmente con fines recuperativos se dispone de motobombas para la limpieza de las cisternas contaminadas de los edificios multifamiliares y otras viviendas, a los que se abastece con pipas de agua luego de la higienización.
Se mantienen las condiciones indispensables para la atención a los damnificados en los tres centros disponibles para este fin, así como se continúa trabajando en la evaluación de las afectaciones para su posterior tratamiento.


1° Maggio bagnato...

La tradizionale sfilata in saluto alla Giornata del Lavoro è iniziata sotto un cielo plumbeo, ma senza precipitazioni che sono invece avvenute nel bel mezzo e fino quasi alla fine della manifestazione. Successivamente il cielo ha cominciato a presentare beffarde schiarite...
Gli strascichi delle piogge torrenziali dell'altro giorno si fanno ancora sentire, seppure in modo infinitamente più tenue

giovedì 30 aprile 2015

Remissione

REMISSIONE: compiere un dovere per la corona

Gravi danni per intensa precipitazione

Dopo un inverno particolarmente secco, è iniziata con un paio di giorni di anticipo sul calendario convenzionale che la prevede, la stagione delle piogge o "ciclonica" che dura da maggio a novembre.
Personalmente sono riuscito a tornare a casa grazie alla particolarità di "mulo" della mia gloriosa polsky fiat 126 (anno 1987) che ha sfidato gli elementi nonostante l'acqua fosse penetrata all'interno dell'abitacolo e all'altezza di calle 42 con la 7ma avenida mi sono trovato bloccato per la pressione dell'acqua che non permetteva l'avanzamento del veicolo che sono riuscito a estrarre dalla "buca" grazie all'aiuto, giustamente non disinteressato, di tre ragazzi che sotto il violento acquazzone mi hanno aiutato a spingere il veicolo in una zona più alta della strada. Visto il livello raggiunto, pensavo che la macchina non ripartisse, invece: sorpresa, il motore si è rimesso subito in moto e a fatica, con molti slalom e velocità ridotta anche per la scarsa visibilità, sono riuscito ad arrivare, completamente bagnato, a casa.
Purtroppo, la tormenta che avrà uno strascico anche oggi, ha lasciato due morti, 24 crolli parziali di case e 2 totali nei quartieri dell'Avana Vechie e del Cerro.
Di seguito riporto l'articolo del "Granma" di oggi.


Intensas lluvias dejan pérdidas humanas y daños materiales en La Habana (+ Fotos)
Fuentes de la Dirección de la Defensa Civil Provincial de La Habana informaron a la prensa que a causa de las intensas lluvias se reportan dos fallecidos


                                    Foto: Juvenal Balán

Las intensas lluvias y vientos reportados en la capital en la tarde del miércoles causaron pérdidas de vidas humanas y daños materiales.
Fuentes de la Dirección de la Defensa Civil Provincial de La Habana informaron a la prensa que se reportan dos fallecidos. Ellos se nombran: Marta Damiana Acanda Ledesma, de 81 años de edad y residente del municipio Habana Vieja, quien murió por asfixia por ahogamiento, a causa de la inundación; y Julio Eugenio Andino Arzola, de 24 años de edad, quien falleció electrocutado a causa de la caída de cables del tendido eléctrico.
Al cierre de esta información se habían reportado 24 derrumbes parciales y tres totales, y los municipios Centro Habana, Habana Vieja y el Cerro han sido los más afectados por las áreas de inundaciones.
Los centros internos Eduardo García Delgado y Villena Revolución en Boyeros, y la escuela Van Troi, del Cerro son los tres centros de protección a la población que se han activado, adonde se trasladan las personas afectadas tanto por derrumbes como por inundaciones, con las condiciones de atención médica y de alojamiento.
Se cuantifican todavía las afectaciones y las personas que reciben atención de las autoridades de los municipios y la máxima dirección del Partido y el Gobierno en la provincia, quienes han visitado los lugares y revisan las medidas que se toman en cada caso.
Se reportan además afectaciones en 39 circuitos eléctricos. Cuando se dio esta información quedaban 18 por restablecer, de ellos 9 con una situación más compleja por los postes y cables caídos en los municipios de Plaza, Cerro y Habana del Este.
También se afectó el fluido eléctrico a las fuentes de abasto de agua de la provincia, pero quedaron restablecidas desde las 10 de la noche.
La Organización Básica Eléctrica, además de los circuitos afectados ha recibido 350 quejas, que se están atendiendo con varias brigadas que trabajan en el territorio.
Las inundaciones también se están atendiendo con 12 carros de alta presión y 4 bombas de achique. Producto a las inundaciones también se afectaron cisternas de edificios multifamiliares que se trabaja en su limpieza de conjunto con la población.
El tránsito de la ciudad se vio afectado, así como el transporte público que vieron limitada su circulación, situación que se fue normalizando paulatinamente en la mayoría de los casos, aunque persistía en algunos lugares bajos.


Informaciones relacionadas

·         Fuerte línea de tormentas eléctricas prefrontal afectó a la capital

·         Rápida respuesta ante las afectaciones (+ Fotos)

·         Línea de tormentas eléctricas severas afectó a la capital

·         Información de la Empresa Eléctrica de La Habana



mercoledì 29 aprile 2015

Fonte: El Nuevo Herald

Raúl Castro y responsable del Vaticano hablan en Cuba de próxima visita papal
AFP
 El cardenal italiano Beniamino Stella, prefecto de la Congregación para el clero en la Santa Sede y colaborador cercano a Francisco I, habla a los medios tras oficiar una misa el domingo 26 de abril de 2015, en la Catedral de La Habana (Cuba). ALEJANDRO ERNESTO EFE

Comments
LA HABANA 
El mandatario cubano, Raúl Castro, recibió el lunes en La Habana al prefecto de la Congregación para el Clero del Vaticano, cardenal Beniamino Stella, con quien conversó sobre la próxima visita a la isla del papa Francisco, se informó este martes en un comunicado oficial.
Stella y Castro sostuvieron un “cordial encuentro” la tarde del lunes en el que “dialogaron sobre temas de mutuo interés, en particular la próxima visita a Cuba de su Santidad el papa Francisco”, señaló la nota publicada por los medios locales.
Stella, quien fue nuncio en La Habana entre 1993 y 1999, llegó a la isla el pasado miércoles, el mismo día en que el Vaticano confirmó que el papa argentino visitaría Cuba en septiembre antes de viajar a Estados Unidos, en un claro apoyo al proceso de reconciliación entre Washington y La Habana iniciado en diciembre.
Durante su estancia en la isla, Stella visitó seminarios y ofició misas en las ciudades de Santiago de Cuba, Las Tunas, Bayamo, Camagüey y La Habana, y se reunió con los obispos cubanos, según fuentes de la Iglesia.
El papa Francisco, un actor clave en el proceso de deshielo entre Estados Unidos y la isla comunista tras más de medio siglo de conflictos, se convertirá en el tercer pontífice que visita Cuba en 17 años, después de Juan Pablo II, en enero de 1998, y Benedicto XVI, en marzo de 2012.
El pontífice intervino en las negociaciones secretas entre Washington y La Habana, envió cartas e hizo varias llamadas telefónicas personales, y con su estilo simple y directo, recibió en octubre del año pasado en el Vaticano a delegaciones de ambos países para normalizar las tensas relaciones entre ambos países.



Remare

REMARE: Nettuno

martedì 28 aprile 2015

Refuso

REFUSO: sovrano stressato

lunedì 27 aprile 2015

Profumo di Avana...gratis

Un romanzo che si svolge nell'Avana degli anni '80, inizio del '90

www.ilvecchioeilmare2002.com/profumo-di-avana/

Dal 5 al 7 maggio prossimo la XXXV edizione della Fit-Cuba

Quest’anno l’edizione XXXV della FIT-Cuba, la Fiera Internazionale del Turismo avrà la sua sede nell’arcipelago de Los Jardines del Rey, al nord della provincia di Ciego de Ávila. Questa località viene sfruttata dal turismo da poco più di 20 anni, quando si sono costruite le attuali strutture alberghiere e dopo la costruzione del terrapieno che permette di raggiungere i poli principali in bus o automobile.
È stato annunciato ufficialmente che l’Italia, uno dei mercati a cui punta la crescita del settore, sarà il Paese invitato d’onore a questa edizione. La delegazione italiana sarà guidata dalla sottosegretaria ai Beni Culturali e Turismo Francesca Barracciu e sarà composta da operatori turistici e costruttori di strutture e infrastrutture per il turismo.

Uno dei punti su cui si concentrerà la maggior attenzione è l’attività nautica per la quale il Gruppo Imprenditore della Nautica e Marine (Marlin s.a) presenta una ventina di progetti da sviluppare e rianimare con il flusso di nuovi investimenti stranieri per far rifiorire il turismo sulle zone costiere dell’Isola.

Macchiatori di tovaglie, di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su juventud Rebelde del 26/4/15


Nell’Ambasciata di Cuba a Parigi, c’erano invitati quella sera e il grande chef Gilberto Smith assunse, come d’abitudine, la preparazione della cena. Mandò i primi piatti alla tavola e quando si disponeva a farlo con l’aragosta, già pronta per essere servita, una caraffa di caffè si rovesciò su di essa.  Caffè cubano, forte e aromatico. Smith la sgocciolò, ma il liquido era penetrato nella massa e il sapore del caffè si faceva sentire. Pensò di “ammazzarlo” con cognac, whisky o altro liquore, ma fu inutile sapeva sempre più di caffè. L’aragosta era molto ben preparata. Appetitosissima, ma il gusto del caffè era sempre lì. Allora gli aggiunse salsa olandese; niente. Panna montata; nemmeno. L’aragosta diventava sempre migliore, ma il caffè continuava ad uscire. Ricorse al formaggio parmigiano. È forte e molto profumato. L’unica cosa che ottenne fu di migliorare il sapore del suo piatto.
Stordito, sconcertato, madò l’aragosta a tavola. Lo struggeva l’idea della figuraccia quando, quelli che la degustarono, richiesero la sua presenza. Aspettava il rimprovero, ma no. Non avevano mai provato niente di simile, dissero. Vollero conoscere il nome di quel piatto e la sua ricetta. “Si chiama argosta al caffè ed è stata preparata apposta per voi” rispose Gilberto Smith. Non dicendo nessuna bugia.
Successivamente l’avrebbe perfezionata. Le aggiunse funghi, la intinse nel cognac, aumentò il tabasco e la salsa inglese...Il piatto cominciò a camminare da solo. Si estese in Francia, Belgio, Italia. A Milano, dove l’aragosta al caffè vinse il primo premio in un concorso internazionale, la gente riconosceva Smith pert la strada elo chiamava “Commendatore”. Anni dopo, Fidel Castro, lo raccontò nella celebre intervista che concedette a Frei Betto.
Suo padre, in un certo senso, fu il suo primo maestro epoi “si fece” in trattorie e ristoranti di secondo ordine fino a che, a 16 anni, lo designarono come chef di cucina in un importante hotel avanero. Fu membro dell’Accademia Culinaria di Francia e lo soprannominarono “Il mago delle salse”. I suoi piatti a base di pesce e frutti di mare sono famosi e sono innumerevoli le personalità che assaporarono quello che usciva dalle sue mani. Cucinò per Chirac, Mitterand e Pompidou, tre presidenti della Francia. Per Alain Delon, Jean Paul Belmondo, Edith Piaf e Maurice Chevalier. Romy Schneider e Julio Iglesias. Paco Rabanne, Nat King Cole, Brigitte Bardot, Juan Manuel Serrat, Geraldine Chaplin, Jean Paul Sartre, Alicia Alonso...
García Márquez fu affascinato dal consommè di oca che Smith gli preparò al ristorante La Rueda. Alejo Carpentier che si sentiva svenire per l’anatra all’arancia del maestro, nel dedicargli il suo romanzo La consacrazione della primavera, scrisse: “Per il gran chef Smith, maestro nella lte arti culinarie”.
Il Giappone gli assegnò la Medaglia d’Oro Speciale. Il Governo italiano gli conferì l’Ordine di Caterina de’ Medici. Nel megaevento culinario Perú 2001 gli venne attribuito il titolo di Chef del Millennio. Fu, si dice, il cuoco più premiato del mondo’
Ricordiamolo nel quinto anniversario della sua morte.

Piatti di sempre

L’investigatrice spagnola Beatriz Calvo Peña studia tre libri di ricette di cucina cubana che si trovano a cavallo tra la fine del XIX scolo e l’inizio del XX. Il primo s’intitola Nuovo manuale della cuoca catalana e cubana, del cuoco catalano Juan Cabrisas, pubblicato roriginariamente nel 1858. Il secondo libro non fa riferimento a nessun  autore. Fu pubblicato nel 1862 e si intitola Il cuoco dei malati, convalescenti e disappetenti. Mentre il terzo, Nuovo manuale del cuoco creolo, è del 1914 ed è firmato da José  Triay, giornalista del Diario de la Marina.
Nei tre libri appaiono le ricette del “ajiaco” (tipo di brodo) del “picadillo” (piatto abase di carne macinata) e “la ropa vieja” (specie di stufato di carne), piatti che arrivano fino a noi con lo stesso nome e una preparazione più o meno simile. Nell’opinione dell’autrice, la poca variazione che si riscontra negli ingredienti di questi piatti nei tre ricettari, conferma che già a metà del XIX secolo esisteva una rdizione di cucina cubana ben radicata e che certi piatti erano già identificati come autentici e propri dell’Isola. Si mette in evidenza anche l’interesse degli autori di questi libri di accentuare una cucina sopratutto cubana, avanera, anche se non scartano l’inclusione di piatti che chiamano “piatti dell’interno” e che arrivano a identificare anche col nome della località a cui si attribuisce la loro origine.
La cucina cubana è differenziata, nei tre titoli, da quella spagnola. Per l’autore del Nuovo manuale della cuoca catalana e cubana esiste un modo, nattamente creolo, di elaborare i piatti. Ci sono anche ingredienti caratteristici come le frutta del tropico e lo zucchero. L’impiego di verdure e tubercoli di origine americana e i contorni a base di riso bianco, banane fritte o condimentate sono costanti nel palato cubano.
Gli autori alludono a piatti alla cubana, alla creola e all’avanera di cui questi ultmi sono i più elaborati.
Le caratteristiche emergenti della cucina cubana della fine del XIX  secolo e inizio del XX, sono nell’uso del grasso di maiale, il predominio della carne di questo animale che comincia a profilarsi come alimento nettamente cubano, l’utilizzazione come ingredienti base di silantro e il peperone, il misto di dolce e salato...Beatriz Calvo scrive: “Riassumendo, quello che caratterizza definitivamente la cucina cubana è l’oscillazione tra la semplicità di un piatto di riso con grasso di maiale, ovvero il riso bianco creolo e il barocco di una padella cubana, un ajiaco o delle uova pasticciate all’avanera, il colmo della complessità".
Un altro aspetto che identifica la cucina cubana è la decorazione dei piatti. Nei tre libri c’è una chiara coincidenza di come si addobbano. I piatti denominati alla cubana, alla creola o all’avanera normalmente compartono la caratteristica di essere addobbati con un prodotto essenziale a Cuba, la banana. Illustra la spagnola Calvo: “Questo dettaglio, per semplice che appaia, è tutta una rivendicazione di identità. Assieme alla banana, le frutta tropicali sono un elemento essenziale nell’immaginazione della comunità cubana”.
L’investigatrice della penisola concede eccezionale importanza all’ajiaco. Dice che si trata del piatto più ricco in quanto alla varietà d’ingredienti, ebbene riunisce tre tipi di carne – bovina, di maiale e pollo o gallina – verdure essenzialmente americane e specie mediterranee come lo zafferano, il comino e il culantro, assieme allo stesso limone, propri anche della cucina del Mediterraneo e il peperone, non sempre presente in ogni ajiaco.
L’ajiaco si convertì in tutta un’istituzione dentro la cucina cubana, in ogni mitologia, come disse Fernando Ortiz, contiene in sé tutta l’essenza del creolo isolano. Il cocido è un piatto genuinamente spagnolo, l’ajiaco cubano è il suo derivato naturale. In definitiva, le banane el’ajiaco si convertono in autentiche mitologie dell’identità cubana.
Cuba comincia a dipendere dagli USA e il cambiamento lascia la sua traccia in cucina. C’è un desiderio di modernità, entrano le conserve, entra il forno. Anteriormente al 1914, l’ora d’infornare era il momento di chedere questo favore al panettiere. A partire da questa data la casalinga può disporre di questo apparato che si importa e si vende all’Avana. Il turismo fa che si estenda il gusto per i piatti stranieri. In questo modo, piatti di altre cucine prendono dirittto di cittadinanza nella nostra.
Un Paese ha i suoi propri cibi e li elabora nel modo migliore alle sue caratteristiche, in quasto caso “al gusto dell’Isola di Cuba”. E qua la parola gusto ha le sue connotazioni patriottiche, giacché si tratta del nostro, del nazionale.

Congrí, gloria della cucina cubana

Il congrí, questa gioia della cucina cubana, è un misto di riso bianco con i fagioli rossi, conditi assieme, Non si deve confondere il congrí con los moros y cristianos che è la condimentazione del riso bianco con i fagioli neri, seppure per estensione anche coi neri lo si chiama congrí.
Nella cucina dei popoli dei Caraibi è onnipresente la combinazione di riso con diverse varietà di fagioli. C’è in Giamaica, nella Guadalupa e a Trinidad. In Venezuela è riso con caraotas; a Portorico, riso con fagiolini, a Santo Domingo moros y cristianos o semplicemente moros. In Centro America, riferendosi forse giovialmente alle nostre sintesi etniche, matrimonio. Gli andalusi lo chiamano Empedrado alla salsina di riso con fagioli e gli haitiani, per preparare il congrí, innaffiano il riso bianco con latte di cocco.
Alejo carpentier porta la nostalgiandi questo piatto al suo racconto I fuggitivi.Uno schiavo fugge col suo cane dalle baracche della tenuta e già nella boscaglia, sembra fuori dalla portata dei capoccia e cacciatori, rimpiangono la sicurezza della dimora. Il cane rimpiange le ossa portate all’azienda verso il tramonto, mentre l’uomo ha nostalgia del congrí, portato in secchi alle baracche, dopo del ritnocco delle orazioni o quando si riponevano i tamburi, la domenica.
Il folklorista orientale Ramón Martínez affermava che un congrí si compone di riso con fagioli, grasso e pezzettini di pancetta fatti a ciccioli, senza specificare che tipo di fagioli. Attribuisceb origine africana a questa parola.
Anche Fernando Ortiz da, tanto al congrí come ai moros una possibile, ma non provata, origine africana. Ortiz afferma che congrí è voce del creolo haitiano, già che in quest’isola caraibica  i fagioli rossi si chiamano congos e il riso si chiama riz, come in francese e da congo e riz, argomenta i savio cubano, sorge la voce congrí. Anche se Ortiz non lo dice, a Cuba si chiamò congo il fagiolo rosso.
L’erudito José Juan Arrom assicura che “non ci sarebbe niente di strano se i coloni francesi che si rifugiarono a Santiago de Cuba, fuggendo agli schiavi sollevati ad Haiti non chiamassero questo piatto pois et riz, come si chiama ancora in quell’isola, ma congue el riz. E questa frase terminerebbe pronunciandosi cong-e-rí in  francese e naturalmente congrí in spagnolo.
Ortiz anticipa la possibile origine di questo piatto, nel redigere il suo studio La cucina afrocubana, quello che dice il già citato Ramón Martínez nel suo libro Oriente folklórico del qual peraltro poté fare solo 12 esemplari.
Martínez scrive che un negro volendo cucinare cibo veloce e senza condimento, mise a bollire riso e fagioli assieme che si cucinarono quasi contemporaneamente, perché i fagioli erano freschi. Più tardi il piatto si cucinò con maggior attenzione; si misero a cuocere prima i fagioli fino a che fossero morbidi, dopo si condirono e gli si aggiunse il riso e quando questo si aprí, si tolse un po’ d’acqua dalla casseruola e si lasció asiugare il condimento a fuoco lento.


 Mancha manteles
Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
25 de Abril del 2015


Había invitados esa noche en la Embajada de Cuba en París, y el gran chef Gilberto Smith asumió, como de costumbre, la preparación de la cena. Envió los primeros platos a la mesa, y cuando se disponía a hacerlo con la langosta, lista ya para servir, una jarra de café se derramó sobre ella. Café cubano, fuerte y aromático. La escurrió Smith, pero el líquido había penetrado la masa y el sabor del café se hacía bien patente. Pensó en “matarlo” con coñac o whisky y algún licor, pero fue inútil: más le sabía el café. Estaba muy bien la langosta, sabrosísima, pero el gusto del café estaba ahí. Le puso entonces salsa holandesa; nada. Nata de leche batida; tampoco. Cada vez se ponía mejor la langosta, y el café, sin embargo, seguía “saliendo”n. Recurrió al queso parmesano. Es fuerte, huele mucho. Lo único que consiguió fue mejorar el sabor de su plato.
Aturdido, desconcertado, envió la langosta a la mesa. Le agobiaba la idea del papelazo, cuando los que la degustaron requirieron su presencia. Esperaba el reproche, pero no. Nunca habían probado nada igual, aseguraron. Quisieron conocer el nombre de aquel plato, su elaboración. “Se llama langosta al café y fue confeccionada especialmente para ustedes”, respondió Gilberto Smith. No dijo ninguna mentira.
Luego lo perfeccionaría. Le añadió champiñones, quemó la langosta con coñac, aumentó el tabasco y la salsa inglesa… El plato comenzó a caminar solo. Se extendió por Francia, Bélgica, Italia. En Milán, donde la langosta al café ganó el primer premio en un concurso internacional, la gente reconocía a Smith en la calle y le llamaba “Comendador”. Años después, Fidel Castro lo mencionaría en la célebre entrevista que le concediera a Frei Betto.
Su padre, en cierto sentido, fue su primer maestro y luego “se hizo” en fondas y restaurantes de poca monta, hasta que a los 16 años lo designaron jefe de cocina de un importante hotel habanero. Fue miembro de la Academia Culinaria de Francia y le llamaron “El mago de las salsas”. Sus platos a base de pescados y mariscos son famosos y resultan incontables las personalidades que se deleitaron con lo que salía de sus manos. Cocinó para Chirac, Mitterrand y Pompidou, presidentes de Francia los tres. Para Alain Delon y Jean Paul Belmondo. Edith Piaf y Maurice Chevalier. Romy Schneider y Julio Iglesias. Paco Rabanne, Nat King Cole, Brigitte Bardot, Juan Manuel Serrat, Geraldine Chaplin, Jean Paul Sartre, Alicia Alonso…
A García Márquez le fascinó el consomé de oca que Smith le preparó en el restaurante habanero La Rueda. Alejo Carpentier, que se desvivía por el pato a la naranja del maestro, al dedicarle su novela La consagración de la primavera, escribió: “Para el gran chef Smith, maestro en altas artes culinarias”.
Japón le otorgó la Medalla de Oro Especial. El Gobierno italiano le confirió la Orden Catalina de Médicis. En el megaevento culinario Perú 2001 se le entregó el título de Chef del Milenio. Fue, dicen, el cocinero más galardonado del mundo.
Recordémoslo en el quinto aniversario de su muerte.

Platos de siempre

La investigadora española Beatriz Calvo Peña estudia tres libros de recetas de cocina cubana que se encuentran a caballo entre finales del siglo XIX y comienzos del XX. El primero se titula Nuevo manual de la cocinera catalana y cubana, del cocinero catalán Juan Cabrisas, publicado originalmente en 1858. El segundo libro no consigna autor alguno. Se publicó en 1862 y se titula El cocinero de los enfermosconvalecientes y desganados. En tanto, el tercero, Nuevo manual del cocinero criollo, es de 1914 y está firmado por José Triay, periodista del Diario de la Marina.
En los tres libros aparecen las recetas del ajiaco, el picadillo y la ropa vieja, platos que llegan hasta nosotros con el mismo nombre y una preparación más o menos similar. En opinión de la autora, la poca variación que se evidencia entre los ingredientes de esos platos en los tres recetarios, confirma que ya para mediados del siglo XIX existía una tradición de cocina cubana bien asentada, y que ciertos platos eran ya identificados como auténticos y propios de la Isla. Se pone de manifiesto asimismo el interés de los autores de esos libros por acentuar una cocina sobre todo urbana, habanera, aunque no descartan la inclusión de lo que llaman “platos de tierra adentro” y que llegan a identificar incluso con el nombre de la localidad a que se atribuye su origen.
La cocina cubana está en los tres títulos diferenciada de la española. Para el autor del Nuevo manual de la cocinera catalana y cubana existe una manera netamente criolla de elaborar los platos. Hay también ingredientes característicos como las frutas del trópico y el azúcar. El empleo de viandas y tubérculos de origen americano y la guarnición a base de arroz blanco o de plátanos fritos o salcochados son constantes en el paladar cubano. Los autores aluden a platos a lo cubano, a lo criollo y a lo habanero, que son, estos últimos, los más elaborados.
Las características sobresalientes de la cocina cubana de fines del siglo XIX y comienzos del XX son el uso de la manteca de puerco, el predominio de la carne de ese animal, que empieza a perfilarse como alimento netamente cubano, la utilización como ingredientes básicos de especias como el cilantro y el ají, la mezcla de lo dulce con lo salado… Escribe Beatriz Calvo: “En resumen, lo que definitivamente caracteriza a la cocina cubana es una oscilación entre la sencillez de un plato de arroz con manteca, o sea, el arroz blanco criollo, y el barroquismo de una olla cubana, un ajiaco o unos huevos guisados a la habanera, el colmo de la complejidad”.
Otro aspecto que identifica a la cocina cubana es la decoración de los platos. Hay en los tres libros una clara conciencia de cómo se adorna. Los platos denominados a lo cubano, a lo criollo o a lo habanero suelen compartir la característica de estar adornados con un producto esencial en Cuba, el plátano. Expresa la española Calvo: “Este detalle, por sencillo que parezca, es para la cocina de la Isla toda una reivindicación de identidad. Junto al plátano, las frutas tropicales son un elemento esencial en la imaginación de la comunidad cubana”.
Concede la investigadora peninsular excepcional importancia al ajiaco. Se trata, dice, del plato más rico en cuanto a la variedad de ingredientes, pues reúne tres tipos de carne —vaca, puerco y pollo o gallina—, viandas esencialmente americanas y especias mediterráneas como el azafrán, el comino y el culantro, junto al limón, propio también de la cocina del Mediterráneo, y el ají, no siempre presente en todos los ajiacos.
El ajiaco se convirtió en toda una institución dentro de la cocina cubana, en toda una mitología pues, como dijo Fernando Ortiz, contiene en sí toda la esencia del criollismo de la Isla. El cocido es un plato genuinamente español, el ajiaco cubano es su natural derivado. En definitiva, los plátanos y el ajiaco se convierten en auténticas mitologías de la identidad cubana.
Cuba empieza a depender de EE.UU., y el cambio deja su huella en la cocina. Hay anhelo de modernidad, entran las conservas, entra el horno. Con anterioridad a 1914, la hora de hornear era el momento de pedirle ese favor al panadero. A partir de esa fecha, el ama de casa puede disponer de ese aparato que se importa y se vende en La Habana. El turismo hace que se extienda el gusto por platos foráneos. De esa manera, platos de otras cocinas toman carta de ciudadanía en la nuestra.
Un país tiene sus propios alimentos y los elabora además acorde con su idiosincrasia, en este caso “al gusto de la Isla de Cuba”. Y aquí la palabra “gusto” tiene connotaciones patrióticas, ya que se trata del nuestro, del nacional.

Congrí, gloria de la cocina cubana

El congrí, esa joya de la cocina cubana, es la mezcla del arroz blanco con los frijoles colorados, guisados juntos. No debe confundirse el congrí con los moros y cristianos, que es el guiso del arroz blanco con los frijoles negros, aunque por extensión también a los moros se les llama congrí.
En la cocina de los pueblos del Caribe es omnipresente la combinación del arroz con diversas variedades de frijoles. La hay en Jamaica, en Guadalupe y en Trinidad. En Venezuela es arroz con caraotas; en Puerto Rico, arroz con habichuelas; en Santo Domingo, moros y cristianos o, simplemente, moros. Y en Centroamérica, aludiendo quizá jovialmente a nuestras síntesis étnicas, matrimonio. Empedrado llaman los andaluces al guiso de arroz con judías, y los haitianos, para preparar el congrí, aderezan el arroz blanco con leche de coco.
Alejo Carpentier lleva la añoranza de ese plato a su cuento Los fugitivos. Un esclavo huye con su perro de los barracones de la hacienda y ya en el monte, al parecer fuera del alcance de mayorales y rancheadores, echan de menos la seguridad del condumio. El perro extraña los huesos llevados al batey al caer la tarde, mientras que el hombre añora el congrí, traído en cubos a los barracones, después del toque de oración o cuando se guardaban los tambores del domingo.
El folclorista oriental Ramón Martínez afirmaba que un congrí se compone de arroz con frijoles, manteca y pedacitos de tocino hechos chicharrones, sin especificar qué clase de frijol. Atribuye origen africano a esa palabra.
También Fernando Ortiz da, tanto al congrí como a los moros, un posible pero no probado origen africano. Afirma Ortiz que congrí es voz del creole haitiano, ya que en esa isla caribeña se llama congos a los frijoles colorados y al arroz se le llama riz, como en francés, y de congo y riz, argumenta el sabio cubano, surge la voz congrí. Aunque Ortiz no lo dice, en Cuba también se llamó congo al frijol colorado.
El erudito José Juan Arrom asegura que “nada tendría de particular que los colonos franceses que se refugiaron en Santiago de Cuba huyendo de los esclavos sublevados en Haití no llamaran a ese plato pois et riz, como todavía se nombra en aquella isla, sino congue el riz. Y esta frase sí terminaría pronunciándose cong-e-rí en francés y, desde luego, congrí en español”.
Ortiz adelanta el posible origen de este plato, al relatar en su estudio La cocina afrocubana lo que con relación a eso dice el ya aludido Ramón Martínez en su libroOriente folklórico, del que, por cierto, solo pudo hacer 12 ejemplares.
Escribe Martínez que un negro de nación queriendo cocinar una comida rápida y sin condimento, echó a hervir arroz y frijoles juntos y casi se cocinaron al mismo tiempo, porque los frijoles eran frescos. Más tarde el plato se cocinó con más cuidado: se cocieron primero los frijoles hasta que estuvieron blandos, se aliñaron luego y se les echó el arroz, y cuando este reventó, se sacó un poco de agua de la cacerola y se dejó secar el guiso a fuego lento.














Reduce

REDUCE: monarca assoluto

domenica 26 aprile 2015

Rebus

REBUS: torpedone per trasporto di regnanti