Il reparto Santos Suárez,
nel municipio avanero Diez de Octubre, deve il suo nome alla famiglia
proprietaria dei terreni sui quali si stabilì questa urbanizzazione. Si
trattava di quattro fratelli nati nella regione centrale dell’Isola e
trasferitisi nella capitale: José Indalecio, Leonardo, Nicolás y Joaquin, mio
dice il dottor Ismael Pérez Gutiérrez, professore in Medicina che sta facendo
una paziente investigazione sulle strade e quartieri dell’Avana. Il nome di due
di essi lo portano note strade locali: Sani Indalecio e San Leonardo.
Dei quettro fratelli,
Leonardo fu quello più in vista. Non solo per essere stato il più ricco del
gruppo, ma anche per il suo prodigarsi politico. Più di un autore assicura che
Santos Suarez si chiama così per lui. Come José Indalecio, il fratello
maggiore, Leonardo stidiò Diritto e con Félix Varela e Tomás Gener, venne
eletto deputato alle Cortes nel 1822.
La Costituzione di Cadice
del 1812, ristabilita in Spagna nel marzo del 1820, fu proclamata a Cuba un
mese dopo. Un elemento più progressista della Colonia suggerì senza indugi la
creazione di una cattedra della Costituzione e la mise sotto gli auspici del
Vescovo Espada, “col giusto apprezzamento delle eminenti qualità che concorrono
nelle sua venerabile persona”, come si affermava nella proposta.
Espada rimase abilitato per
regolamentare la cattedra ed eleggere la persona che l’avrebbe impartita. Il
Vescovo la aggiunse ai programmi curricolarti del Seminario di San Carlos e
determinò che si operasse per ponenza, ma allo stesso tempo invitò il padre
Varela a che partecipasse al concorso. Nessuno poteva disimpegnaral con maggior
dominio ed efficacia. Gli esercizi che Varela presentò furono brillanti;
Nessuno poté discutergli la proprietà di una cattedra che egli chiamò “della
libertà e dei diritti dell’uomo”. La popolarità di Varela a partire da lì salì
come cresta dell’onda. La sua integrità morale e il suo patriottismo lo resero
un candidato indiscutibile per l’elezione a deputato. Venne eletto. Furono
eletti anche Santos Suárez e Gener. Nonostante non volesse, Varela dovette
cambiare la vita tranquilla dello studioso con l’esistenza agitata del
politico.
Tre progetti erano
presentati alle Cortes dai deputati avaneri capeggiati da Varela: abolizione
della schiavitù, autonomia per Cuba e riconoscimento dell’indipendenza dell’America
spagnola. I cubani sono trattati con profonda considerazione, ma la reazione
assolutista non era morta e aspettava il omento della rivincita. Col ritorno di
fernando VII arriva al termine il breve periodo costituzionale. I cubani che si
pronunciarono sull’incapacità del monarca di governare e la sua sostituzione
per un consiglio di reggenza, furono condannati a morte e dovettero fuggire
dalla Spagna. Varela riesce a raggiungere Gibilterra da dove parte per New
York.
Ritratto
di gruppo
In questa città giunse anche
Leonardo Santos Suárez. Collaborò con Varela nel suo giornale El Habanero,
pubblicazione che segnalerebbe la strada proprio ai separatisti cubani e che,
naturalmente, non poté circolare a Cuba. Già per allora Santos Suárez aveva
esperienza nel campo delle parole stampate ebbene, anni prima all’Avana, fu
assieme a José Agustin Govantes e Nicolàs Manuel de Escobedo – “il cieco che ci
vide bene”- come si chiamò a suo tempo – nella fondazione de El Observador
Habanero, rivista di alto valore letterario. Non persisterà in questo impegno.
D’altra parte si sarebbe disincantato della politica – si accolse all’amnistia del 1832 promulgata dal governo spagnolo – e si mise
completamente, con grande successo, nel mondo degli affari. Morì a Madrid nel
1874 a 79 anni d’età. Suo fratello maggiore non visse così a lungo, il già
citato José Indalecio. Morì nel 1836 a 44 anni d’età. Fece gli studi secondari
all’Avana e frequentò Filosofia al Seminario di San Carlos. Molto giovane, ad
appena 21 anni, nel proprio Seminario, presentò le sue proprie ponenze per la
cattedra di Testo Aristotelico. Nonostante al suo brillante operato, perse
davanti a un rivale della taglia di Escobedo che sarà il professore che
sostituirà Varela alla cattedra della Costituzione quando il futuro autore di
Lettere a Elpidio si recheràa Madrid per occupare il suo posto di deputato alle
Cortes.
José Indalecio si iscrisse
allora alla facoltà di Diritto alla Reale e Pontificia Università dell’Avana,
dove divenne avvocato. Ebbe la fortuna di lavorare nel gruppo del venezuelano
Juan ignacio Rendón Dorsuna, considerato uno dei grandi letterati della Cuba
coloniale, cos che gli permise in qualche modo alle cause più celebri
dell’epoca che erano d’incombenza di Rendón, dato il suo incarico di auditore
all’Udienza di Porto Principe.
Lo elessro deputato
provinciale per l’Avana e deputato supplente alle Cortes. L’amministrazione
coloniale lo designò magistrato del Tribunale della Real Hacienda. La salute,
indubbiamente, non lo accompagnò. Molto
malato, si recò negli Stati Uniti al fine di trovare una cura per i suoi mali.
Ci tentò per tutto un anno. Non ci riuscì e tornò a Cuba per morire. Decedette
lo stesso anno in cui m orì il suo maestro Rendón che arrivò ai 75.
Diiamo, prima di proseguire
che Santos Suárez era un cognome composto e che Pérez è il secondo cogome di
questi quattro fratelli. Dei due fratelli mminori si conosce meno che dei
maggiori. Ebbero una vita più privata che pubblica. Nicolás, il terzo in ordine
cronologico, fu pure avvocato. Studiò nella capitale dell’Isola e dopo essere
stato in Europa, si stabilì a Pensacola, quando la Florida era ancora
territorio spagnolo ed era sotto la giurisdizione della capitania generale
dell’Avana. Lì si disimpegnò come Auditore di Guerra fino a che tornò a Cuba ed
esercitò come giudice a Guanabacoa.
Scrisse vari foglietti di
carattere letterario e giuridico.
Il minore dei fratelli
Santos Suarez Pérez si chiamò Joaquín. Fu l’eccezione alla regola. Non studiò
Diritto. Si fece medico e fu membro eccellente della Società Economica Amici
del Paese, dell’Accademia di Scienze e del Liceo Artistico e Letterario.
Entrano
i Mendoza
I nonni dei Mendoza-Freyre
de Andrade, contrassero matrimonio nel 1855. Lo fecero nonostante l’opposizione
del padre di Maria Teresa, la sposa, che faceva notare la scadente fortuna
economica del pretendente di sua figlia. In ogni caso, sette dei 12 figli della
coppia dettero origine a rami che “costituirono alcune delle famiglie cubane
più influenti” prima del 1959. I loro discendenti si sarebbero allacciati, dice
Guillermo Jiménez, con i maggiorenti di ogni epoca e sarebbero stati
proprietari in diversi settori del Paese.
Fra loro ci furono banchieri
e operatori dello zucchero e della borsa valori, proprietari di zuccherifici e
di colonie di canna, di fabbriche di fertilizzanti, di imprese di costruzione e
immobiliari, di entità ipotacarie e assicurazioni... Il centro commerciale dell
Rampa, dove adesso funzionano gli uffici della compagnie di aviazione, era
proprietà di membri di questa famiglia. Figuravano fra i principali azionisto
privati di Cubana de Aviación ed erano proprietari delllo studio Mendoza,
specializzato in questioni mercantili ed era uno dei più antichi ne importanti
della città, sito in Calle Amargura 205 tra Habana e Aguiar, nall’Avana
Vecchia. Il palazzo di Aldame era tra le loro proprietà e per non lasciare di
avere altre appartenenze giunsero ad acquisire il Fondo Coronado, così chiamato
per il suo proprietario oiginale, l’erudito Francisco de Paula Cronado che è la
maggior collezione esistente di libri, stampati, materiali di stampa, mappe e
qualunque tipo di documento relativo a Cuba che i Mendoza vendettero,
opportunamente, all’Università Centrale di Las Villas, dove oggi si trova.
I Mendoza, in qualunque dei
loro sette rami, erano proprietari di grandi estensioni di terreni in tutta la
città. Possedevano parcelle e appezzamenti a Cojimar e anche a Biltmore, Nei
reparti Barandilla, La Croronela e La Puntilla. LI possedevano anche alla
Vibora, quando questa arrivava fino a La Palma. Nel 1915 acquisirono terreni
nella zona di Santo Suárez e cominciò la sua urbanizzazione.
Viaggio
nella memoria
A Santos Suárez ci sono zone
in cui le strade – Santa Emilia, Santa Catalina, Santa Irene- esauriscono
l’iconofrafia. Altre –Mayia Rodríguez, Juan Delgado, Lacret- rendono tributo
agli eroi dell’indipendenza e altre –Saco, Heredia, Luz Caballero- ricordano i
nostri più illustri intellettuali e creatori, mentre tutta una cesta di frutta
cubana si riempie coi nomi di Zapotes, Melones, Cocos...Per certo, Cocos
continua ad essere Cocos e non Alfredo Martín Morales e nessuno ha mai chiamato
José Miguel Góme, Correa né José Antolín del Cueto, Melones.
Per noi che vivevamo nel
reparto Lawton, zona eminentemente studentesca, mentre Luyanó era
essenzialmente operaia, le scappatelle a santo Suárez erano tutta un’avventura
dell’adolescenza. Perfino le ragazze sembravano più carine, elerganti, in voga
anche se non ricordo se si usasse questa espressione. Lo scriba ammirava già le
grandi case del quartiere, anche se non laciava di avvertire che le sue aree si
erano congestionate in un eccesso di edifici d’appartamenti, uno sull’altro, in
un impeto di sfruttare al massimo i terreni.
Un cinema come il Los
Angeles, in Juan Delgado quasi all’angolo di Lacret, non solo sembrava migliore
di quelli che funzionavano nella nostra zona, ma che lo era realmente con le
sue poltrone imbottite e l’aria condizionata, mentre altri –Ma’Ra e Santa
Catalina- rimanevano con le poltroncine di legno, nell’attrattivo delle loro
facciate. La Gran Via, ubicata precisamente nella calle Santo Suarez, fra San
Indalecio e San Benigno era, nei compleanni, il massimo con le sue torte e la
sua pasticceria fine. Nella Caffetteria Niágara di Juan Delgado e Santa Catalina,
Paco il paninaro offriva i migliosri sandwiches della città e i gelati de El
Gallito, in Santa Catalina e Saco non avevano niente che vedere con quelli che
sarebbero molto richiesti successivamente.
Più in la, per Santa
Catalina verso Palatino e la Città Sportiva, la chiesa di San Giovanni Bosco
nella cui via crucis, -si saprà dopo- il pittore Eberto Escobedo rappresentò il
poeta José Lezama Lima. Più in la, la fabbrica della Coca Cola e quasi di
fronte la tenuta Las delicias, di Rosalía Abreu, impenetrabile nel mistero
delle sue scimmie.
Santos Suárez
Ciro Bianchi Ross * digital@juventudrebelde.cu
2 de Mayo del 2015 21:11:59 CDT
El reparto Santos Suárez, en el municipio habanero de Diez de Octubre,
debe su nombre a la familia propietaria de los terrenos donde se
asentó esa urbanización. Se trataba de cuatro hermanos nacidos en la
región central de la Isla y avecindados en la capital: José Indalecio,
Leonardo, Nicolás y Joaquín, me dice el doctor Ismael Pérez Gutiérrez,
profesor de Medicina, que lleva a cabo una paciente investigación
sobre calles y barriadas de La Habana. El nombre de dos de ellos lo
llevan sendas calles locales: San Indalecio y San Leonardo.
De los cuatro hermanos, Leonardo fue el más prominente. No solo por
haber sido el más rico del grupo, sino por su quehacer político. Más
de un autor asegura que es por él que Santos Suárez se llama así.
Al igual que José Indalecio, el hermano mayor, Leonardo estudió
Derecho y, junto con Félix Varela y Tomás Gener, resultó electo
diputado a Cortes en 1822.
La Constitución de Cádiz de 1812, restablecida en España en marzo de
1820, fue proclamada en Cuba un mes más tarde. El elemento más
progresista de la Colonia sugirió sin demora la creación de una
cátedra de Constitución y la puso bajo los auspicios del obispo
Espada, “en justo aprecio de las eminentes cualidades que concurren en
su venerable persona”, como se afirmaba en la propuesta.
Queda Espada facultado para reglamentar la cátedra y elegir a la
persona que la impartiría. La sumó el Obispo a los programas
curriculares del Seminario de San Carlos y determinó que se cubriera
por oposición, pero al mismo tiempo invitó al padre Varela a que
participara en el concurso. Nadie podía desempeñarla con más dominio y
eficacia. Los ejercicios que presentó Varela fueron brillantes; nadie
pudo discutirle la propiedad de una cátedra que él llamó “de la
libertad y los derechos del hombre”. La popularidad de Varela, a
partir de ahí, subió como la espuma. Su integridad moral y su
patriotismo lo hicieron un candidato indiscutible para las elecciones
a diputado. Salió electo. También fueron elegidos Santos Suárez y
Gener. Aunque no quería, debió Varela cambiar la vida sosegada del
estudioso por la existencia agitada del político.
Tres proyectos llevan a Cortes los diputados habaneros que encabeza
Varela: abolición de la esclavitud, autonomía para Cuba y
reconocimiento de la independencia de la América española. Los cubanos
son tratados con profunda consideración, pero la reacción absolutista
no está muerta y espera el momento de la revancha. Con el retorno de
Fernando VII llega a su fin el breve período constitucional. Los
cubanos que se pronunciaron sobre la incapacidad del monarca para
gobernar y su sustitución por un consejo de regencia, son condenados a
muerte y deben huir de España. Varela logra llegar a Gibraltar y desde
allí viaja a Nueva York.
Retrato de grupo
Ciro Bianchi Ross * digital@juventudrebelde.cu
2 de Mayo del 2015 21:11:59 CDT
El reparto Santos Suárez, en el municipio habanero de Diez de Octubre,
debe su nombre a la familia propietaria de los terrenos donde se
asentó esa urbanización. Se trataba de cuatro hermanos nacidos en la
región central de la Isla y avecindados en la capital: José Indalecio,
Leonardo, Nicolás y Joaquín, me dice el doctor Ismael Pérez Gutiérrez,
profesor de Medicina, que lleva a cabo una paciente investigación
sobre calles y barriadas de La Habana. El nombre de dos de ellos lo
llevan sendas calles locales: San Indalecio y San Leonardo.
De los cuatro hermanos, Leonardo fue el más prominente. No solo por
haber sido el más rico del grupo, sino por su quehacer político. Más
de un autor asegura que es por él que Santos Suárez se llama así.
Al igual que José Indalecio, el hermano mayor, Leonardo estudió
Derecho y, junto con Félix Varela y Tomás Gener, resultó electo
diputado a Cortes en 1822.
La Constitución de Cádiz de 1812, restablecida en España en marzo de
1820, fue proclamada en Cuba un mes más tarde. El elemento más
progresista de la Colonia sugirió sin demora la creación de una
cátedra de Constitución y la puso bajo los auspicios del obispo
Espada, “en justo aprecio de las eminentes cualidades que concurren en
su venerable persona”, como se afirmaba en la propuesta.
Queda Espada facultado para reglamentar la cátedra y elegir a la
persona que la impartiría. La sumó el Obispo a los programas
curriculares del Seminario de San Carlos y determinó que se cubriera
por oposición, pero al mismo tiempo invitó al padre Varela a que
participara en el concurso. Nadie podía desempeñarla con más dominio y
eficacia. Los ejercicios que presentó Varela fueron brillantes; nadie
pudo discutirle la propiedad de una cátedra que él llamó “de la
libertad y los derechos del hombre”. La popularidad de Varela, a
partir de ahí, subió como la espuma. Su integridad moral y su
patriotismo lo hicieron un candidato indiscutible para las elecciones
a diputado. Salió electo. También fueron elegidos Santos Suárez y
Gener. Aunque no quería, debió Varela cambiar la vida sosegada del
estudioso por la existencia agitada del político.
Tres proyectos llevan a Cortes los diputados habaneros que encabeza
Varela: abolición de la esclavitud, autonomía para Cuba y
reconocimiento de la independencia de la América española. Los cubanos
son tratados con profunda consideración, pero la reacción absolutista
no está muerta y espera el momento de la revancha. Con el retorno de
Fernando VII llega a su fin el breve período constitucional. Los
cubanos que se pronunciaron sobre la incapacidad del monarca para
gobernar y su sustitución por un consejo de regencia, son condenados a
muerte y deben huir de España. Varela logra llegar a Gibraltar y desde
allí viaja a Nueva York.
Retrato de grupo
A esa ciudad llegó también Leonardo Santos Suárez. Colaboró con Varela
en su periódico El Habanero, publicación que señalaría el camino justo
a los separatistas cubanos, y que, por supuesto, no pudo circular en
Cuba. Ya para entonces Santos Suárez tenía experiencia en el campo de
la letra impresa, pues años antes, en La Habana, estuvo, junto a José
Agustín Govantes y Nicolás Manuel de Escobedo –“el ciego que vio
claro”, como se le llamó en su tiempo-- en la fundación de El
Observador Habanero, revista de alto valor literario. No persistiría
en ese empeño. Se desencantaría por otra parte de la política --debe
haberse acogido a la amnistía de 1832 promulgada por el Gobierno
español-- y se metió de lleno, con gran éxito, en el mundo de los
negocios. Murió en Madrid, en 1874, a los 79 años de edad.
No vivió tanto su hermano mayor, el ya aludido José Indalecio.
Falleció, en 1836, con 44 años. Hizo estudios secundarios en La
Habana y cursó Filosofía en el Seminario de San Carlos. Muy joven,
apenas con 21 años y en el propio Seminario, se presentó a las
oposiciones para la cátedra de Texto Aristotélico. Pese a su brillante
papel, perdió ante un contrincante de la talla de Escobedo, que sería
el profesor que sustituirá a Varela en la cátedra de Constitución
cuando el futuro autor de Cartas a Elpidio viajara a Madrid, para
ocupar su plaza de diputado a Cortes.
Matriculó entonces José Indalecio la carrera de Derecho en la Real y
Pontificia Universidad de La Habana, donde se graduó como abogado.
Tuvo la suerte de laborar en el equipo del venezolano Juan Ignacio
Rendón Dorsuna, considerado uno de los grandes letrados de la Cuba
colonial, lo que le permitió participar de alguna manera en las causas
más célebres de la época, que eran de la incumbencia de Rendón, dado
su cargo de oidor de la Audiencia de Puerto Príncipe.
Lo eligieron diputado provincial por La Habana y diputado suplente a
Cortes. La administración colonial lo designó magistrado del Tribunal
de la Real Hacienda. La salud, sin embargo, no lo acompañó. Muy
enfermo, viajó a Estados Unidos a fin de encontrar remedio a sus
males. Lo intentó durante todo un año. No lo consiguió y regresó a
Cuba para morir. Falleció en el mismo año en que murió su maestro
Rendón, que llegó a los 75.
Digamos antes de proseguir que Santos Suárez es un apellido compuesto,
y que Pérez es el segundo apellido de estos cuatro hermanos. De los
dos hermanos menores se conoce menos que de los mayores. Tuvieron una
vida más privada que pública. Nicolás, el tercero en orden
cronológico, fue también abogado. Estudió en la capital de la Isla y
luego de viajar por Europa, se estableció en Pensacola, cuando la
Florida era aún territorio español y estaba bajo la jurisdicción de la
capitanía general de La Habana. Se desempeñó allí como Auditor de
Guerra hasta que volvió a Cuba y ejerció como juez en Guanabacoa.
Escribió varios folletos de carácter literario y jurídico.
El menor de los hermanos Santos Suárez Pérez se llamó Joaquín. Fue la
excepción de la regla. No estudió Derecho. Se hizo médico y fue
miembro destacado de la Sociedad Económica de Amigos del País, de la
Academia de Ciencias y del Liceo Artístico Literario.
Entran los Mendoza
en su periódico El Habanero, publicación que señalaría el camino justo
a los separatistas cubanos, y que, por supuesto, no pudo circular en
Cuba. Ya para entonces Santos Suárez tenía experiencia en el campo de
la letra impresa, pues años antes, en La Habana, estuvo, junto a José
Agustín Govantes y Nicolás Manuel de Escobedo –“el ciego que vio
claro”, como se le llamó en su tiempo-- en la fundación de El
Observador Habanero, revista de alto valor literario. No persistiría
en ese empeño. Se desencantaría por otra parte de la política --debe
haberse acogido a la amnistía de 1832 promulgada por el Gobierno
español-- y se metió de lleno, con gran éxito, en el mundo de los
negocios. Murió en Madrid, en 1874, a los 79 años de edad.
No vivió tanto su hermano mayor, el ya aludido José Indalecio.
Falleció, en 1836, con 44 años. Hizo estudios secundarios en La
Habana y cursó Filosofía en el Seminario de San Carlos. Muy joven,
apenas con 21 años y en el propio Seminario, se presentó a las
oposiciones para la cátedra de Texto Aristotélico. Pese a su brillante
papel, perdió ante un contrincante de la talla de Escobedo, que sería
el profesor que sustituirá a Varela en la cátedra de Constitución
cuando el futuro autor de Cartas a Elpidio viajara a Madrid, para
ocupar su plaza de diputado a Cortes.
Matriculó entonces José Indalecio la carrera de Derecho en la Real y
Pontificia Universidad de La Habana, donde se graduó como abogado.
Tuvo la suerte de laborar en el equipo del venezolano Juan Ignacio
Rendón Dorsuna, considerado uno de los grandes letrados de la Cuba
colonial, lo que le permitió participar de alguna manera en las causas
más célebres de la época, que eran de la incumbencia de Rendón, dado
su cargo de oidor de la Audiencia de Puerto Príncipe.
Lo eligieron diputado provincial por La Habana y diputado suplente a
Cortes. La administración colonial lo designó magistrado del Tribunal
de la Real Hacienda. La salud, sin embargo, no lo acompañó. Muy
enfermo, viajó a Estados Unidos a fin de encontrar remedio a sus
males. Lo intentó durante todo un año. No lo consiguió y regresó a
Cuba para morir. Falleció en el mismo año en que murió su maestro
Rendón, que llegó a los 75.
Digamos antes de proseguir que Santos Suárez es un apellido compuesto,
y que Pérez es el segundo apellido de estos cuatro hermanos. De los
dos hermanos menores se conoce menos que de los mayores. Tuvieron una
vida más privada que pública. Nicolás, el tercero en orden
cronológico, fue también abogado. Estudió en la capital de la Isla y
luego de viajar por Europa, se estableció en Pensacola, cuando la
Florida era aún territorio español y estaba bajo la jurisdicción de la
capitanía general de La Habana. Se desempeñó allí como Auditor de
Guerra hasta que volvió a Cuba y ejerció como juez en Guanabacoa.
Escribió varios folletos de carácter literario y jurídico.
El menor de los hermanos Santos Suárez Pérez se llamó Joaquín. Fue la
excepción de la regla. No estudió Derecho. Se hizo médico y fue
miembro destacado de la Sociedad Económica de Amigos del País, de la
Academia de Ciencias y del Liceo Artístico Literario.
Entran los Mendoza
Los abuelos de los Mendoza-Freyre de Andrade contrajeron matrimonio en
1855. Lo hicieron pese a la oposición del padre de María Teresa, la
novia, que alegaba la escasa fortuna del pretendiente de su hija. Sin
embargo, siete de los 12 hijos de la pareja originaron ramas que
“constituyeron algunas de las familias cubanas más influyentes” antes
de 1959. Sus descendientes enlazarían, dice Guillermo Jiménez, con los
principales de cada época y serían propietarios en diversos sectores
del país.
Hubo entre ellos banqueros y corredores de azúcar y de bolsa de
valores, propietarios de centrales azucareros y de colonias cañeras,
de fábricas de fertilizantes, de empresas constructoras e
inmobiliarias, de entidades hipotecarias y de seguros... De miembros de
esa familia era propiedad el centro comercial La Rampa, donde
funcionan ahora las oficinas de las compañías de aviación.
Figuraban entre los principales accionistas privados de Cubana de
Aviación y eran dueños del Bufete Mendoza, especializado en asuntos
mercantiles y uno de los más importantes y antiguos de la ciudad,
situado en calle Amargura 205, entre Habana y Aguiar, La Habana
Vieja. El Palacio de Aldama estaba entre sus propiedades, y por no
dejar de tener llegaron a adquirir el Fondo Coronado, llamado así por
su propietario original, el erudito Francisco de Paula Coronado, y que
es la mayor colección existente de libros, folletos, materiales de
prensa, mapas y todo tipo de documentos relativos a Cuba, que los
Mendoza vendieron oportunamente a la Universidad Central de Las
Villas, donde hoy se encuentra.
Los Mendoza, en cualquiera de sus siete ramas, eran propietarios de
grandes extensiones de tierra en toda la ciudad. Poseían parcelas y
solares en Cojímar y también en el Biltmore. En los repartos
Barandilla y La Coronela y en La Puntilla. Los poseían asimismo en La
Víbora, cuando esta llegaba hasta La Palma. En 1915 adquirieron
terrenos en la zona de Santos Suárez y comenzó su urbanización.
Viaje a la memoria
Hay en Santos Suárez zonas cuyas calles --Santa Emilia, Santa
Catalina, Santa Irene...-- agotan el santoral. Otras -Mayía Rodríguez,
Juan Delgado, Lacret...-- rinden tributo a los héroes de la
Independencia, y otras más --Saco, Heredia, Luz Caballero...-- recuerdan a
nuestros más ilustres intelectuales y creadores, en tanto que toda
una canasta de frutas cubanas se llena con los nombres de calles como
Zapotes, Melones, Cocos... Por cierto, Cocos sigue siendo Cocos y no
Alfredo Martín Morales, y nadie llamó nunca José Miguel Gómez a
Correa, ni José Antolín del Cueto a Melones.
Para los que vivíamos en el reparto Lawton, zona eminentemente
estudiantil, mientras Luyanó era, en lo esencial, obrero, las
escapadas a Santos Suárez eran toda una aventura en la adolescencia.
Hasta las muchachas parecían más lindas, elegantes, más en la onda,
aunque no recuerdo si ya se usaba esa expresión. El escribidor
admiraba ya las grandes casonas de la barriada, aunque no dejaba de
advertir que sus áreas se habían congestionado en exceso con edificios
de apartamentos apiñados prácticamente unos sobre otros, en un afán
de aprovechar al máximo los terrenos.
Un cine como Los Ángeles, en Juan Delgado casi esquina a Lacret, no
solo nos parecía mejor que los que funcionaban en nuestra zona, sino
que lo era realmente con sus butacas acolchadas y el aire
acondicionado, mientras que otros --Ma'Ra y Santa Catalina-- se
quedaban, con sus asientos de palo, en el atractivo de sus fachadas.
La Gran Vía, ubicada precisamente en la calle Santos Suárez, entre San
Indalecio y San Benigno, era, en los cumpleaños, lo máximo con sus
cakes y su confitería fina. En la cafetería Niágara, de Juan Delgado y
Santa Catalina, Paco el lunchero ofertaba los mejores sándwiches de la
ciudad, y los frozzen de El Gallito, en Santa Catalina y Saco, nada
tenían que ver con los se harían muy demandados después.
Más allá, por Santa Catalina hacia Palatino y la Ciudad Deportiva, la
iglesia de San Juan Bosco, en cuyo vía crucis --lo sabríamos después--
el pintor Eberto Escobedo representó al poeta José Lezama Lima. Más
allá, la fábrica de la Coca Cola y casi enfrente la quinta Las
Delicias, de Rosalía Abreu, impenetrable en el misterio de sus monos.
Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
http://wwwcirobianchi.blogia.com/
http://cbianchiross.blogia.com/
1855. Lo hicieron pese a la oposición del padre de María Teresa, la
novia, que alegaba la escasa fortuna del pretendiente de su hija. Sin
embargo, siete de los 12 hijos de la pareja originaron ramas que
“constituyeron algunas de las familias cubanas más influyentes” antes
de 1959. Sus descendientes enlazarían, dice Guillermo Jiménez, con los
principales de cada época y serían propietarios en diversos sectores
del país.
Hubo entre ellos banqueros y corredores de azúcar y de bolsa de
valores, propietarios de centrales azucareros y de colonias cañeras,
de fábricas de fertilizantes, de empresas constructoras e
inmobiliarias, de entidades hipotecarias y de seguros... De miembros de
esa familia era propiedad el centro comercial La Rampa, donde
funcionan ahora las oficinas de las compañías de aviación.
Figuraban entre los principales accionistas privados de Cubana de
Aviación y eran dueños del Bufete Mendoza, especializado en asuntos
mercantiles y uno de los más importantes y antiguos de la ciudad,
situado en calle Amargura 205, entre Habana y Aguiar, La Habana
Vieja. El Palacio de Aldama estaba entre sus propiedades, y por no
dejar de tener llegaron a adquirir el Fondo Coronado, llamado así por
su propietario original, el erudito Francisco de Paula Coronado, y que
es la mayor colección existente de libros, folletos, materiales de
prensa, mapas y todo tipo de documentos relativos a Cuba, que los
Mendoza vendieron oportunamente a la Universidad Central de Las
Villas, donde hoy se encuentra.
Los Mendoza, en cualquiera de sus siete ramas, eran propietarios de
grandes extensiones de tierra en toda la ciudad. Poseían parcelas y
solares en Cojímar y también en el Biltmore. En los repartos
Barandilla y La Coronela y en La Puntilla. Los poseían asimismo en La
Víbora, cuando esta llegaba hasta La Palma. En 1915 adquirieron
terrenos en la zona de Santos Suárez y comenzó su urbanización.
Viaje a la memoria
Hay en Santos Suárez zonas cuyas calles --Santa Emilia, Santa
Catalina, Santa Irene...-- agotan el santoral. Otras -Mayía Rodríguez,
Juan Delgado, Lacret...-- rinden tributo a los héroes de la
Independencia, y otras más --Saco, Heredia, Luz Caballero...-- recuerdan a
nuestros más ilustres intelectuales y creadores, en tanto que toda
una canasta de frutas cubanas se llena con los nombres de calles como
Zapotes, Melones, Cocos... Por cierto, Cocos sigue siendo Cocos y no
Alfredo Martín Morales, y nadie llamó nunca José Miguel Gómez a
Correa, ni José Antolín del Cueto a Melones.
Para los que vivíamos en el reparto Lawton, zona eminentemente
estudiantil, mientras Luyanó era, en lo esencial, obrero, las
escapadas a Santos Suárez eran toda una aventura en la adolescencia.
Hasta las muchachas parecían más lindas, elegantes, más en la onda,
aunque no recuerdo si ya se usaba esa expresión. El escribidor
admiraba ya las grandes casonas de la barriada, aunque no dejaba de
advertir que sus áreas se habían congestionado en exceso con edificios
de apartamentos apiñados prácticamente unos sobre otros, en un afán
de aprovechar al máximo los terrenos.
Un cine como Los Ángeles, en Juan Delgado casi esquina a Lacret, no
solo nos parecía mejor que los que funcionaban en nuestra zona, sino
que lo era realmente con sus butacas acolchadas y el aire
acondicionado, mientras que otros --Ma'Ra y Santa Catalina-- se
quedaban, con sus asientos de palo, en el atractivo de sus fachadas.
La Gran Vía, ubicada precisamente en la calle Santos Suárez, entre San
Indalecio y San Benigno, era, en los cumpleaños, lo máximo con sus
cakes y su confitería fina. En la cafetería Niágara, de Juan Delgado y
Santa Catalina, Paco el lunchero ofertaba los mejores sándwiches de la
ciudad, y los frozzen de El Gallito, en Santa Catalina y Saco, nada
tenían que ver con los se harían muy demandados después.
Más allá, por Santa Catalina hacia Palatino y la Ciudad Deportiva, la
iglesia de San Juan Bosco, en cuyo vía crucis --lo sabríamos después--
el pintor Eberto Escobedo representó al poeta José Lezama Lima. Más
allá, la fábrica de la Coca Cola y casi enfrente la quinta Las
Delicias, de Rosalía Abreu, impenetrable en el misterio de sus monos.
Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
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