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lunedì 4 maggio 2015

Santos Suárez, di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud rebelde del 3/5/15

Il reparto Santos Suárez, nel municipio avanero Diez de Octubre, deve il suo nome alla famiglia proprietaria dei terreni sui quali si stabilì questa urbanizzazione. Si trattava di quattro fratelli nati nella regione centrale dell’Isola e trasferitisi nella capitale: José Indalecio, Leonardo, Nicolás y Joaquin, mio dice il dottor Ismael Pérez Gutiérrez, professore in Medicina che sta facendo una paziente investigazione sulle strade e quartieri dell’Avana. Il nome di due di essi lo portano note strade locali: Sani Indalecio e San Leonardo.
Dei quettro fratelli, Leonardo fu quello più in vista. Non solo per essere stato il più ricco del gruppo, ma anche per il suo prodigarsi politico. Più di un autore assicura che Santos Suarez si chiama così per lui. Come José Indalecio, il fratello maggiore, Leonardo stidiò Diritto e con Félix Varela e Tomás Gener, venne eletto deputato alle Cortes nel 1822.
La Costituzione di Cadice del 1812, ristabilita in Spagna nel marzo del 1820, fu proclamata a Cuba un mese dopo. Un elemento più progressista della Colonia suggerì senza indugi la creazione di una cattedra della Costituzione e la mise sotto gli auspici del Vescovo Espada, “col giusto apprezzamento delle eminenti qualità che concorrono nelle sua venerabile persona”, come si affermava nella proposta.
Espada rimase abilitato per regolamentare la cattedra ed eleggere la persona che l’avrebbe impartita. Il Vescovo la aggiunse ai programmi curricolarti del Seminario di San Carlos e determinò che si operasse per ponenza, ma allo stesso tempo invitò il padre Varela a che partecipasse al concorso. Nessuno poteva disimpegnaral con maggior dominio ed efficacia. Gli esercizi che Varela presentò furono brillanti; Nessuno poté discutergli la proprietà di una cattedra che egli chiamò “della libertà e dei diritti dell’uomo”. La popolarità di Varela a partire da lì salì come cresta dell’onda. La sua integrità morale e il suo patriottismo lo resero un candidato indiscutibile per l’elezione a deputato. Venne eletto. Furono eletti anche Santos Suárez e Gener. Nonostante non volesse, Varela dovette cambiare la vita tranquilla dello studioso con l’esistenza agitata del politico.
Tre progetti erano presentati alle Cortes dai deputati avaneri capeggiati da Varela: abolizione della schiavitù, autonomia per Cuba e riconoscimento dell’indipendenza dell’America spagnola. I cubani sono trattati con profonda considerazione, ma la reazione assolutista non era morta e aspettava il omento della rivincita. Col ritorno di fernando VII arriva al termine il breve periodo costituzionale. I cubani che si pronunciarono sull’incapacità del monarca di governare e la sua sostituzione per un consiglio di reggenza, furono condannati a morte e dovettero fuggire dalla Spagna. Varela riesce a raggiungere Gibilterra da dove parte per New York.

Ritratto di gruppo

In questa città giunse anche Leonardo Santos Suárez. Collaborò con Varela nel suo giornale El Habanero, pubblicazione che segnalerebbe la strada proprio ai separatisti cubani e che, naturalmente, non poté circolare a Cuba. Già per allora Santos Suárez aveva esperienza nel campo delle parole stampate ebbene, anni prima all’Avana, fu assieme a José Agustin Govantes e Nicolàs Manuel de Escobedo – “il cieco che ci vide bene”- come si chiamò a suo tempo – nella fondazione de El Observador Habanero, rivista di alto valore letterario. Non persisterà in questo impegno. D’altra parte si sarebbe disincantato della politica – si accolse all’amnistia del 1832 promulgata dal governo spagnolo – e si mise completamente, con grande successo, nel mondo degli affari. Morì a Madrid nel 1874 a 79 anni d’età. Suo fratello maggiore non visse così a lungo, il già citato José Indalecio. Morì nel 1836 a 44 anni d’età. Fece gli studi secondari all’Avana e frequentò Filosofia al Seminario di San Carlos. Molto giovane, ad appena 21 anni, nel proprio Seminario, presentò le sue proprie ponenze per la cattedra di Testo Aristotelico. Nonostante al suo brillante operato, perse davanti a un rivale della taglia di Escobedo che sarà il professore che sostituirà Varela alla cattedra della Costituzione quando il futuro autore di Lettere a Elpidio si recheràa Madrid per occupare il suo posto di deputato alle Cortes.
José Indalecio si iscrisse allora alla facoltà di Diritto alla Reale e Pontificia Università dell’Avana, dove divenne avvocato. Ebbe la fortuna di lavorare nel gruppo del venezuelano Juan ignacio Rendón Dorsuna, considerato uno dei grandi letterati della Cuba coloniale, cos che gli permise in qualche modo alle cause più celebri dell’epoca che erano d’incombenza di Rendón, dato il suo incarico di auditore all’Udienza di Porto Principe.
Lo elessro deputato provinciale per l’Avana e deputato supplente alle Cortes. L’amministrazione coloniale lo designò magistrato del Tribunale della Real Hacienda. La salute, indubbiamente, non  lo accompagnò. Molto malato, si recò negli Stati Uniti al fine di trovare una cura per i suoi mali. Ci tentò per tutto un anno. Non ci riuscì e tornò a Cuba per morire. Decedette lo stesso anno in cui m orì il suo maestro Rendón che arrivò ai 75.
Diiamo, prima di proseguire che Santos Suárez era un cognome composto e che Pérez è il secondo cogome di questi quattro fratelli. Dei due fratelli mminori si conosce meno che dei maggiori. Ebbero una vita più privata che pubblica. Nicolás, il terzo in ordine cronologico, fu pure avvocato. Studiò nella capitale dell’Isola e dopo essere stato in Europa, si stabilì a Pensacola, quando la Florida era ancora territorio spagnolo ed era sotto la giurisdizione della capitania generale dell’Avana. Lì si disimpegnò come Auditore di Guerra fino a che tornò a Cuba ed esercitò come giudice a Guanabacoa.
Scrisse vari foglietti di carattere letterario e giuridico.
Il minore dei fratelli Santos Suarez Pérez si chiamò Joaquín. Fu l’eccezione alla regola. Non studiò Diritto. Si fece medico e fu membro eccellente della Società Economica Amici del Paese, dell’Accademia di Scienze e del Liceo Artistico e Letterario.

Entrano i Mendoza

I nonni dei Mendoza-Freyre de Andrade, contrassero matrimonio nel 1855. Lo fecero nonostante l’opposizione del padre di Maria Teresa, la sposa, che faceva notare la scadente fortuna economica del pretendente di sua figlia. In ogni caso, sette dei 12 figli della coppia dettero origine a rami che “costituirono alcune delle famiglie cubane più influenti” prima del 1959. I loro discendenti si sarebbero allacciati, dice Guillermo Jiménez, con i maggiorenti di ogni epoca e sarebbero stati proprietari in diversi settori del Paese.
Fra loro ci furono banchieri e operatori dello zucchero e della borsa valori, proprietari di zuccherifici e di colonie di canna, di fabbriche di fertilizzanti, di imprese di costruzione e immobiliari, di entità ipotacarie e assicurazioni... Il centro commerciale dell Rampa, dove adesso funzionano gli uffici della compagnie di aviazione, era proprietà di membri di questa famiglia. Figuravano fra i principali azionisto privati di Cubana de Aviación ed erano proprietari delllo studio Mendoza, specializzato in questioni mercantili ed era uno dei più antichi ne importanti della città, sito in Calle Amargura 205 tra Habana e Aguiar, nall’Avana Vecchia. Il palazzo di Aldame era tra le loro proprietà e per non lasciare di avere altre appartenenze giunsero ad acquisire il Fondo Coronado, così chiamato per il suo proprietario oiginale, l’erudito Francisco de Paula Cronado che è la maggior collezione esistente di libri, stampati, materiali di stampa, mappe e qualunque tipo di documento relativo a Cuba che i Mendoza vendettero, opportunamente, all’Università Centrale di Las Villas, dove oggi si trova.
I Mendoza, in qualunque dei loro sette rami, erano proprietari di grandi estensioni di terreni in tutta la città. Possedevano parcelle e appezzamenti a Cojimar e anche a Biltmore, Nei reparti Barandilla, La Croronela e La Puntilla. LI possedevano anche alla Vibora, quando questa arrivava fino a La Palma. Nel 1915 acquisirono terreni nella zona di Santo Suárez e cominciò la sua urbanizzazione.

Viaggio nella memoria

A Santos Suárez ci sono zone in cui le strade – Santa Emilia, Santa Catalina, Santa Irene- esauriscono l’iconofrafia. Altre –Mayia Rodríguez, Juan Delgado, Lacret- rendono tributo agli eroi dell’indipendenza e altre –Saco, Heredia, Luz Caballero- ricordano i nostri più illustri intellettuali e creatori, mentre tutta una cesta di frutta cubana si riempie coi nomi di Zapotes, Melones, Cocos...Per certo, Cocos continua ad essere Cocos e non Alfredo Martín Morales e nessuno ha mai chiamato José Miguel Góme, Correa né José Antolín del Cueto, Melones.
Per noi che vivevamo nel reparto Lawton, zona eminentemente studentesca, mentre Luyanó era essenzialmente operaia, le scappatelle a santo Suárez erano tutta un’avventura dell’adolescenza. Perfino le ragazze sembravano più carine, elerganti, in voga anche se non ricordo se si usasse questa espressione. Lo scriba ammirava già le grandi case del quartiere, anche se non laciava di avvertire che le sue aree si erano congestionate in un eccesso di edifici d’appartamenti, uno sull’altro, in un impeto di sfruttare al massimo i terreni.
Un cinema come il Los Angeles, in Juan Delgado quasi all’angolo di Lacret, non solo sembrava migliore di quelli che funzionavano nella nostra zona, ma che lo era realmente con le sue poltrone imbottite e l’aria condizionata, mentre altri –Ma’Ra e Santa Catalina- rimanevano con le poltroncine di legno, nell’attrattivo delle loro facciate. La Gran Via, ubicata precisamente nella calle Santo Suarez, fra San Indalecio e San Benigno era, nei compleanni, il massimo con le sue torte e la sua pasticceria fine. Nella Caffetteria Niágara di Juan Delgado e Santa Catalina, Paco il paninaro offriva i migliosri sandwiches della città e i gelati de El Gallito, in Santa Catalina e Saco non avevano niente che vedere con quelli che sarebbero molto richiesti successivamente.
Più in la, per Santa Catalina verso Palatino e la Città Sportiva, la chiesa di San Giovanni Bosco nella cui via crucis, -si saprà dopo- il pittore Eberto Escobedo rappresentò il poeta José Lezama Lima. Più in la, la fabbrica della Coca Cola e quasi di fronte la tenuta Las delicias, di Rosalía Abreu, impenetrabile nel mistero delle sue scimmie.


Santos Suárez
Ciro Bianchi Ross * 
digital@juventudrebelde.cu
2 de Mayo del 2015 21:11:59 CDT

El reparto Santos Suárez, en el municipio habanero de Diez de Octubre,
debe su nombre a la familia propietaria de los terrenos donde se
asentó esa urbanización. Se trataba de cuatro hermanos nacidos en la
región central de la Isla y avecindados en la capital: José Indalecio,
Leonardo, Nicolás y Joaquín, me dice el doctor Ismael Pérez Gutiérrez,
profesor de Medicina, que lleva a cabo una paciente investigación
sobre calles y barriadas de La Habana. El nombre de dos de ellos lo
llevan sendas calles locales: San Indalecio y San Leonardo.
De los cuatro hermanos, Leonardo fue el más prominente. No solo por
haber sido el más rico del grupo, sino por su quehacer político. Más
de un autor asegura que es por él que Santos Suárez se llama así.
Al igual que José Indalecio, el hermano mayor, Leonardo estudió
Derecho y,  junto con Félix Varela y Tomás Gener, resultó electo
diputado a Cortes en  1822.
La Constitución de Cádiz de 1812, restablecida en España en marzo de
1820, fue proclamada en Cuba un mes más tarde. El elemento más
progresista de la Colonia sugirió sin demora la creación de una
cátedra de Constitución y la puso bajo los auspicios del obispo
Espada, “en justo aprecio de las eminentes cualidades que concurren en
su venerable persona”, como se afirmaba en la propuesta.
Queda Espada facultado para reglamentar la cátedra y elegir a la
persona que la impartiría. La sumó el Obispo a los programas
curriculares  del Seminario de San Carlos y determinó que se cubriera
por oposición, pero al mismo tiempo invitó al padre Varela a que
participara en el concurso. Nadie podía desempeñarla con más dominio y
eficacia. Los ejercicios que presentó Varela fueron brillantes; nadie
pudo discutirle la propiedad de una cátedra que él llamó “de la
libertad y los derechos del hombre”. La popularidad de Varela, a
partir de ahí, subió  como la espuma. Su integridad moral y su
patriotismo lo hicieron un candidato indiscutible para las elecciones
a diputado. Salió electo. También fueron elegidos Santos Suárez y
Gener.  Aunque no quería, debió  Varela cambiar la vida sosegada del
estudioso por la existencia agitada del  político.
Tres proyectos llevan  a Cortes los diputados habaneros que encabeza
Varela: abolición de la esclavitud, autonomía para Cuba y
reconocimiento de la independencia de la América española. Los cubanos
son tratados con profunda consideración, pero la reacción absolutista
no está muerta y espera el momento de la revancha. Con el retorno de
Fernando VII llega a su fin el breve período constitucional. Los
cubanos que se pronunciaron sobre la incapacidad del monarca para
gobernar y su sustitución por un consejo de regencia, son condenados a
muerte y deben huir de España. Varela logra llegar a Gibraltar y desde
allí viaja a Nueva York.

Retrato de grupo


A esa ciudad llegó también Leonardo Santos Suárez. Colaboró con Varela
en su periódico El Habanero, publicación que señalaría el camino justo
a los separatistas cubanos, y que, por supuesto, no pudo circular en
Cuba. Ya para entonces Santos Suárez tenía experiencia en el campo de
la letra impresa, pues años antes, en La Habana, estuvo, junto a José
Agustín Govantes y Nicolás Manuel de Escobedo –“el ciego que vio
claro”, como se le llamó en su tiempo-- en la fundación de El
Observador Habanero, revista de alto valor literario. No persistiría
en ese empeño. Se desencantaría por otra parte de la política --debe
haberse acogido a la amnistía de 1832 promulgada por el Gobierno
español-- y se metió de lleno, con gran éxito,  en el mundo de los
negocios. Murió en Madrid, en 1874, a los 79 años de edad.
No vivió tanto su hermano mayor, el ya aludido José Indalecio.
Falleció, en 1836, con  44 años. Hizo estudios secundarios en La
Habana y cursó Filosofía en el Seminario de San Carlos. Muy joven,
apenas con 21 años y en el propio Seminario, se presentó a las
oposiciones para la cátedra de Texto Aristotélico. Pese a su brillante
papel,  perdió ante un contrincante de la talla de Escobedo, que sería
el profesor que sustituirá a Varela en la cátedra de Constitución
cuando el futuro autor de Cartas a Elpidio viajara a Madrid, para
ocupar su plaza de diputado a Cortes.
Matriculó entonces José Indalecio la carrera de Derecho en la Real y
Pontificia Universidad de La Habana, donde se graduó como abogado.
Tuvo la suerte de laborar en el equipo del venezolano Juan Ignacio
Rendón  Dorsuna, considerado uno de los grandes letrados de la Cuba
colonial, lo que le permitió participar de alguna manera en las causas
más célebres de la época, que eran de la incumbencia de Rendón, dado
su cargo de oidor de la Audiencia de Puerto Príncipe.
Lo eligieron diputado provincial por La Habana y diputado suplente a
Cortes. La administración colonial lo designó magistrado del Tribunal
de la Real Hacienda. La salud, sin embargo, no lo acompañó. Muy
enfermo, viajó a Estados Unidos a fin de encontrar remedio a sus
males. Lo intentó durante todo un año. No lo consiguió y regresó a
Cuba para morir. Falleció en el mismo año en que murió su maestro
Rendón, que llegó a los 75.
Digamos antes de proseguir que Santos Suárez es un apellido compuesto,
y que Pérez es el segundo apellido de estos cuatro hermanos. De los
dos hermanos menores se conoce menos que de los mayores. Tuvieron una
vida más privada que pública. Nicolás, el tercero en orden
cronológico,  fue también abogado. Estudió en la capital de la Isla  y
luego de viajar por Europa, se estableció en Pensacola, cuando la
Florida era aún territorio español y estaba bajo la jurisdicción de la
capitanía general de La Habana. Se desempeñó allí como Auditor de
Guerra hasta que volvió a Cuba y ejerció como juez en Guanabacoa.
Escribió varios folletos de carácter literario y jurídico.
El menor de los hermanos Santos Suárez Pérez se llamó Joaquín. Fue la
excepción de la regla. No estudió Derecho. Se hizo médico y fue
miembro destacado de la Sociedad Económica de Amigos del País, de la
Academia de Ciencias y del Liceo Artístico Literario.

Entran los Mendoza


Los abuelos de los Mendoza-Freyre de Andrade contrajeron matrimonio en
1855. Lo hicieron pese a la oposición del padre de María Teresa, la
novia, que alegaba la escasa fortuna del pretendiente de su hija.  Sin
embargo, siete de los 12 hijos de la pareja originaron ramas que
“constituyeron algunas de las familias cubanas más influyentes” antes
de 1959. Sus descendientes enlazarían, dice Guillermo Jiménez, con los
principales de cada época y serían propietarios en diversos sectores
del país.
Hubo entre ellos banqueros y corredores de azúcar y de bolsa de
valores,  propietarios de centrales azucareros y de colonias cañeras,
de fábricas de fertilizantes, de empresas constructoras e
inmobiliarias, de entidades hipotecarias y de seguros... De miembros de
esa familia era propiedad el centro comercial La Rampa, donde
funcionan ahora las oficinas de las compañías de aviación.
Figuraban entre los principales accionistas privados de Cubana de
Aviación y eran dueños del Bufete Mendoza, especializado en asuntos
mercantiles y uno de los más importantes y antiguos de la ciudad,
situado en  calle Amargura 205, entre Habana y Aguiar, La Habana
Vieja. El Palacio de Aldama estaba entre sus propiedades, y por no
dejar de tener llegaron a adquirir el Fondo Coronado, llamado así por
su propietario original, el erudito Francisco de Paula Coronado, y que
es la mayor colección existente de libros, folletos, materiales de
prensa, mapas y todo tipo de documentos relativos a Cuba, que los
Mendoza vendieron oportunamente a la Universidad Central de Las
Villas, donde hoy se encuentra.
Los Mendoza, en cualquiera de sus siete ramas, eran propietarios de
grandes extensiones de tierra en toda la ciudad. Poseían parcelas y
solares en Cojímar y también en el Biltmore. En los repartos
Barandilla y La Coronela y en La Puntilla. Los poseían asimismo en La
Víbora, cuando esta llegaba hasta La Palma. En 1915 adquirieron
terrenos  en la zona de Santos Suárez y comenzó su urbanización.

Viaje a la memoria


Hay en Santos Suárez zonas  cuyas calles  --Santa Emilia, Santa
Catalina, Santa Irene...--  agotan el santoral. Otras -Mayía Rodríguez,
Juan Delgado, Lacret...-- rinden tributo a los héroes de la
Independencia, y otras más --Saco, Heredia, Luz Caballero...-- recuerdan a
nuestros más ilustres intelectuales y creadores, en tanto que  toda
una canasta de frutas cubanas se llena con los nombres de  calles como
 Zapotes, Melones, Cocos... Por cierto, Cocos sigue siendo Cocos  y no
Alfredo Martín Morales, y nadie llamó nunca José Miguel Gómez a
Correa, ni José Antolín del Cueto a Melones.
Para los que vivíamos en el reparto Lawton, zona eminentemente
estudiantil, mientras Luyanó era, en lo esencial,  obrero, las
escapadas a Santos Suárez eran toda una aventura en la adolescencia.
Hasta las muchachas parecían más lindas, elegantes, más en la onda,
aunque no recuerdo si ya se usaba esa expresión.  El escribidor
admiraba ya las grandes casonas de la barriada, aunque no dejaba de
advertir que sus áreas se habían congestionado en exceso con edificios
de apartamentos apiñados prácticamente unos sobre  otros, en un afán
de aprovechar al máximo los terrenos.
Un cine como Los Ángeles, en Juan Delgado casi esquina a Lacret, no
solo nos parecía mejor que los que funcionaban en nuestra zona, sino
que lo era realmente con sus butacas acolchadas y el aire
acondicionado, mientras que otros --Ma'Ra y Santa Catalina-- se
quedaban, con sus asientos de palo,  en el atractivo de sus fachadas.
La Gran Vía, ubicada precisamente en la calle Santos Suárez, entre San
Indalecio y San Benigno, era, en los cumpleaños, lo máximo con sus
cakes y su confitería fina. En la cafetería Niágara, de Juan Delgado y
Santa Catalina, Paco el lunchero ofertaba los mejores sándwiches de la
ciudad, y los frozzen de El Gallito, en Santa Catalina y Saco, nada
tenían que ver con los se harían muy demandados después.
Más allá, por Santa Catalina hacia Palatino y la Ciudad Deportiva, la
iglesia de San Juan Bosco, en cuyo vía crucis --lo sabríamos después--
el  pintor Eberto Escobedo representó al poeta José Lezama Lima. Más
allá, la fábrica de la Coca Cola y casi enfrente la quinta Las
Delicias, de Rosalía Abreu, impenetrable en el misterio de sus monos.

Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
http://wwwcirobianchi.blogia.com/
http://cbianchiross.blogia.com/

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