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martedì 12 maggio 2015

La Plaza del Vapor, di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud Rebelde del 10/5/15


“All’Avana si trova un mercato famoso in ogni quartiere, ma il migliore di tutti è quello della Plaza del Vapor. All’interno di questo edificio si vende la carne e ogni tipo di legumi e verdure, all’esterno si vende la frutta. Ma quello che sorprende è la varietà e miscela,  proprio a fianco di arance e ananas si trova un lussuoso magazzino di vestiti e tutti i corridoi sono zeppi di piccole ribendite. Specialmente la sera regna molta aniumazione, essendo tutta la piazza illuminata con gas e molto visitata per le ragazze di fuori delle mura per fare i loro acquisti. La Plaza del Vapor, inoltre, racchiude caffè, barbieri e ogni tipo di esercizio, si può dire che è la capitale dell’Avana, così come il Palais Royale si potrebbe chiamare la capitale di Parigi”.
Il colombiano Nicolás Tanco Armero, autore delle citate parole,visse all’Avana nella metà della decade del 1850. Le sue idee politiche conservatrici lo avevano condotto in carcere al suo Paesee, senza un cenetsimo, albergava la speranza di diventare ricco a Cuba. Correva l’anno 1953 e qua si era appena costituita una società potente per sfruttare il traffico di cinesi. I suoi dirigenti ricorsero a Tanco; era ambizioso, aveva buone maniere, dominava perfettamente inglese e francese. Lo schedarono. La scelta non poteva essere più fortunata: Tanco organizzò con diabolica efficacia il traffico di cinesi, non solo verso l’Avana, ma nche verso El Callao e oltre duecnto schiavi “gialli” attraversarono le “nere acque” grazie ai suoi uffici.
L’investigatore cubano Juan Pérez de la Riva lo definì come “un erudito con vocazione da negriero” perché Tanco pubblicò a Parigi, nel 1881, un libro interessantissimo, Viaggio da Nuova Granada alla Cina e dalla Cina alla Francia, dove incluse non pochi riferimenti –alcuni di essi molto acuti- sull’Avana che gli toccò di conoscere, come la sua visione sulla Plaza del Vapor che si è riprodotta sopra. Il curioso del fatto –e per questo lo scriba l’ha introdotto- è che la Plaza del Vapor  che vide Tanco Armero nel XIX secolo, continuò ad essere valida fino al 1958 e forse anche un po’ dopo.
Lo scriba non crede che siano molti i giovani che sappiano di cosa si sta parlando quando ci si riferisce alla Plaza del Vapor, conosciuta anche con il nome di Meracto di Tacón. Diciamo subito che si trattava della fiera o mercato che occupava l’isolato compreso fra le starde Galiano, Reina, Águila e Dragones in Centro Avana. Ledificio fu demolito dopo la vittoria della Rivoluzione quando si progettò, in questo spazio, la costruzione di un grande edificio di appartamenti, idea che non giunse a concretizzarsi. Allora si decdise di costruire in quel luogo il parco che porterà il nome di America Libera. In effetti fu costruito, ma lo scriba non sa se questo è il suo nome ufficiale, perché popolarmente chiamiamo questo spazio il parco del Pretino, importante nodo di trasporto dei passeggeri nella capitale.
Ebbene, chi fu il Pretino? Che nesso ha la vecchia Plaza del Vapor con la vita di questo valoroso combattente rivoluzionario, capo di Azione e Sabotaggio del Movimento 26 di Luglio, asassinato nel marzo del 1958?
Meglio di quelli spagnoli
Il primo mercato pubblico con cui contò l’Avana era ubicato nella Plaza de San Francisco.
Fu trasferito, a richiesta dei frati, alla piazza che oggi conosciamo come Vieja e che allora si chiamava Plaza Nueva. Non si trattava propriamente di un edificio, ma di soppalchi coperti o meno, per uso dei venditori. Già nel 1836 si costruiscono Il mercati di Crsitina nella Plaza Vieja e del Cristo, nella piazza con questo nome. Siappronterebbero i mercati di Tacón e di Colón che gli avaneri hanno sempre chiamato della Polveriera e che si trovavano dove adesso si trovano le sale cubane del Museo Nazionale.
Lo storico Jacobo de la Pezuela dice che nel costruire le nuove costruzioni fuori dalle mura nel 1824, rimase libero l’isolato compreso fra le vie Galiano, Reina, Águila e Dragones. Lì senza ordine né concertazione e per soddisfare i clienti di quella zona, si stabilirono molti venditori di pezzi di ricambio  che vendevano i loro prodotti in cassette di legno montate su ruote. Miguel Tacón, governatore generale dell’Isola, volle porre fine a quei chioschetti brutti e ineguali e dotare quella zona avanera di un mercato degno di lei. Dette l’ incarico del progetto a Emanuel Pastor e l’ingegnere principale dell’amministrazione coloniale concepì un edificio in muratura di due piani di circa cento per 145 metri, con gallerie coperte e sostenute da colonne di pietra. In relazione a questo edificio, Joaquín Weiss, uno dei grandi studiosi dell’architettura cubana, affermò che per la sau concezione e condizione “è possibile che eguagliasse e superasse i mercati esistenti a quel tempo in Spagna”.
Tacón mise il suo nome a tutto ciò che alla sua epoca costruì all’Avana: il mercato, il carcere, la paseggiata, il teatro...Il mercato di Tacón fu conosciuto, sopratuttto, per la Plaza del Vapor. In questo intervenne un personaggio che lo scriba ha citato molte volte, il catalano Francisco Marty, commerciante delcontorno del Governatore Generale, costruttore e impresario del teatro Tacón: l’uomo che controllava il monopolio del pesce nella capitale. In una osteria di sua proprietà che dava alla calle Galiano, nel Mercato, Marty fece collocare un quadro in cui si riproduceva l’immagine del battello Neptuno, il primo a vapore che si conoscesse nell’Isola e che a partire dal 1819 compì il viaggio Avana-Matanzas-Avana. Fu l’immagine di questa imbarcazione quello che terminò col dare nome all’edificio.
All’alba del 7 settembre del 1872, un incendio vorace distrusse completamente l’immobile, per cui si eresse un mercato provvisorio nella Plaza de Marte, attuale Parque de la Fraternidad Americana. Due anni più tardi la Junta de Obras Públicas determinò di costruire un nuovo mercato nel luogo che occupava quello distrutto e che si sarebbe chiamato ugualmente Plaza del Vapor. Il nuovo edificio, opera dell’architetto Rayneri Sorrentino, costituì, grazie al sistema di travi e piastrelle, tutta una novità all’Avana dal punto di vista tecnico e causò ammirazione per il disegno delle verande di ferro forgiato tra l’interrato e il piano superiore.
Nel 1918 questo edificio non privo di eleganza e che esaltava solide armature di ferro nel cortile centrale, smise di essere mercato. I suoi venditori furono trasferiti nei terreni di quella che fu la stazione ferroviaria di Villanueva, dove poi si elevò il Capitolio e poi trasferiti al Mercato Unico di Cuatro Caminos. Fu allora che si demolirono le armature metalliche del cortile, cosa che consentì di guadagnare spazio dove si poterono effettuare partite di baseball e calcio. Lo storico Emilio Roig scrisse che la Plaza del Vapor fu sempre un mercato. La parte esterna dell’edifico non cessò mai di essere occupata da piccol rivendite di ogni tipo che fungevano da vendita di frutta, prodotti del mare, fiori, erbe medicinali, barberie, sartorie, cappellerie, calzolerie...e qualsiasi altra cosa che fosse possibile vendere, perfino carezze nelle notti. Il piano superiore e principale era occupato dagli appartamenti di circa 200 famiglie e l’edificio si convertì nel vero e proprio mercato del biglietto. Lì si vendeva non meno del 50 per cento dei biglietti della lotteria che si stampavano per tutto il Paese.` Il biglietto che non si trovava lì, non sarebbe apparso in nessun altro posto.
Nel 1947 il Ministero della Salute chiuse il mercato di Colón o della Piazza della Polveriera e i venditori che vi operavano si riubicarono nel cortile centrale della Plaza del Vapor, con questo terminarono i giochi di baseball e calcio. All’inizio della Rivoluzione, il Ministero della Salute Pubblica dichiarò il luogo insalubre, il luogo e i venditori che vi operavano furono riubicati in un terreno della calle Amistad fra Estella e Monte, dove per anni ebbe sede l’accademia di ballo di Marte e Belona, demolita in quei giorni. Sergio R. San Pedro del Valle nel suo libro Vivido ayer (Miami, 2008) dice che erano oltre 160 i commercianti che aprivano le loro porte alla Plaza.
Viyaya
In quei giochi di baseball che si organizzavano nel suo cortile centrale il Deportivo Tacón, squadra del quartiere, godette di un’enorme popolarità perché con lei giocava un’abitante de la Plaza del Vapor: Eulalia González, più conosciuta come Viyaya. La ragazza giocava come iniziale come qualunque giocatore consacrato. Ma non solo nella Plaza, ma in qualunque luogo famoso della capitale e in alcune località dell’interno, nelle decadi degli anno ’40 e ’50.
Giocò in varie posizioni e fu anche lanciatrice, ma dove divenne celebre fu nella prima base. Elio Menéndez, premio nazionale di Giornalismo, dice: “Era talmente tanto quello che sollevava con il guantone che per aumentare l’interesse dello spettacolo, i direttivi della Lega Cubana la invitarono, a volte, alle pratiche che precedono gli incontri ufficiali, di modo che il pubblico presente si deliziasse vedendola ricevere le fucilate dei lanciatori professionisti”.
Emerse più nella difesa che alla battuta, anche se non fu nemmeno un “nessuno” vestito da giocatore di baseball. I lanciatori rivali non avevano riguardi con lei. Nessun lanciatore avrebbe ben visto che una donna gli rispondesse con la battuta e per evitarlo le rendevano la palla sdrucciolevole, cosa che dette origine a diverse risse.
Nell’aprile 1947 venne a Cuba l’imprenditore nordamericano Max Carey con due squadre di baseball formate da donne e fece un contratto a Viyaya perché giocasse negli Stati Uniti. Lei andò e tornò dopo poco tempo, per continuare a giocare nei campi della capitale.
Una vita da film
Sergio González ebbe una vita da film. Nacque ad Aguada de pasajeros, nel 1921 e per nove anni si preparò al sacerdozio nei seminari di San Basilio il Magno, di Santiago de Cuba e San Carlo e Sant’Ambrogio dell’Avana. Da lì il suo soprannome. Lo chiamavano con affetto Il Pretino.
Molte furono le sue prodezze. Imprigionato al Castillo del Príncipe, vi organizzò uno sciopero della fame e fu protagonista di una fuga spettacolare. Fu responsabile del sabotaggio ai depositi di combustibile della raffineria Belot, la cui fumata nera dimostrò agli avaneri, per diversi giorni, che si riattivava la lotta contro Batista e organizzò la cosiddetta notte delle Cento Bombe, con la quale dimostrò che la dittatura non poteva controllare la città. Questa fu un’azione che Il Pretino pianificò con molta cura, dette ordine tassativo ai suoi uomini che non si dovevano causare vittime e in realtà non ce ne furono.
Le forze repressive lo perseguivano senza sosta. L’11 marzo 1958 un emissario della Sierra Maestra, a nome di Fidel, chiese al Pretino che si trasferisse sulle montagne al fine di preservargli la vita. Rispose all’emissario che rispettava l’autorità del Comandante in Capo, ma il suo luogo era all’Avana. Il giorno 18 cadde in una trappola in un appartamento del Vedado. Nel Buró de Investigaciones lo torturarono con accanimento. Il giorno seguente il suo cadavere, crivellato di colpi, apparve in Athabana.

Il Pretino lavoró in una piccola tipografia installata nella Plaza del Vapor. Li si stampó in modo clandestino la prima edizione de La historia me absolverá, il documento di Fidel letto ai giudici del processo per i fatti della caserma Moncada. La distribuzione dell’opuscolo nel Paese, prima dell’amnistia dei partecipanti all’assalto, nel 1955, contribuí in modo determinante a forgiare l’avanguardia che vrebbe capeggiato la lotta armata contro Batista.

(n.d.t., per "plaza", si intende anche mercato oltre che piazza vera e propria)


La Plaza del Vapor
Ciro Bianchi Ross * 
digital@juventudrebelde.cu
9 de Mayo del 2015 22:02:58 CDT

“En La Habana se encuentra un famoso mercado en cada barrio, pero el
mejor de todos es el de la Plaza del Vapor. En el interior de este
edificio se vende la carne y toda especie de legumbres y verduras, y
en el exterior las frutas. Pero lo que sorprende es la mezcolanza y
variedad, pues al lado de naranjas y piñas se encuentra un lujoso
almacén de ropas, y todas las galerías están plagadas de baratillos.
De noche particularmente presenta mucha animación, hallándose toda la
plaza alumbrada con gas y muy visitada por las muchachas de extramuros
que van a hacer sus compras. La Plaza del Vapor, además, encierra
cafés, barberías y toda especie de establecimientos; puede decirse que
es la capital de La Habana, así como el Palais Royal podría llamarse
la capital de París”.
El colombiano Nicolás Tanco Armero, el autor de las palabras citadas,
vivió en La Habana a mediados de la década de 1850. Sus ideas
políticas conservadoras lo habían llevado a la cárcel en su país y,
sin un centavo, abrigaba la esperanza de hacerse rico en Cuba.  Corría
el año de 1853 y aquí acababa de constituirse una poderosa sociedad
para explotar el tráfico de chinos. Sus directivos repararon en Tanco;
era ambicioso, tenía buenos modales, dominaba a la perfección el
inglés y el francés. Lo ficharon. La elección no pudo ser más
afortunada: Tanco organizó con diabólica eficacia el tráfico de
chinos, no solo hacia La Habana sino también hacia El Callao, y más de
200 000 esclavos amarillos atravesaron “las aguas negras” gracias a
sus oficios.
El investigador cubano Juan Pérez de la Riva lo definió como un
erudito con vocación de negrero”, porque Tanco publicó en París,  en
1881, un libro interesantísimo, Viaje de Nueva Granada a China y de
China a Francia, donde incluyó no pocas referencias --y algunas de
ellas muy agudas--  sobre La Habana que le tocó conocer, como su visión
de la Plaza del Vapor que se reprodujo antes. Lo curioso del asunto --y
por eso la incluyó el escribidor-- es que la Plaza del Vapor que vio
Tanco Armero en el siglo XIX siguió siendo válida hasta 1958 y quizá
un poco después.
No cree el escribidor que sean muchos los jóvenes que sepan de qué se
está hablando cuando se alude a la Plaza del Vapor, conocida asimismo
con el nombre de Mercado de Tacón. Digamos enseguida que se trató de
la plaza o mercado que ocupó la manzana enmarcada por las calles
Galiano, Reina, Águila y Dragones, en Centro Habana. La edificación
fue demolida tras el triunfo de la Revolución, cuando se proyectó la
construcción en ese espacio de un gran edificio de apartamentos, idea
que no llegó a concretarse. Se decidió entonces construir en el lugar
el parque que llevaría el nombre de América Libre. En efecto, fue
construido, pero desconoce el escribidor si ese es su nombre oficial,
porque popularmente llamamos a dicho espacio el parque del Curita,
importante entronque del transporte de pasajeros en la capital.
Ahora bien, ¿quién fue El Curita?, ¿qué relación guarda la vieja Plaza
del Vapor con la vida de este valeroso combatiente revolucionario,
jefe de Acción y Sabotaje del Movimiento 26 de Julio, asesinado en
marzo de 1958?

Mejor que los de España

El primer mercado público con que contó La Habana se ubicó en la Plaza

de San Francisco. Fue trasladado, a petición de los frailes, a la
plaza que hoy conocemos como Vieja y que entonces se llamó Plaza
Nueva. No se trataba propiamente de un edificio, sino de tarimas,
techadas o no, para uso de los expendedores. Ya en 1836 se construyen
el mercado de Cristina, en la Plaza Vieja, y el del Cristo, en la
plaza de ese nombre. Se emplazarían los mercados de Tacón y de Colón,
que los habaneros llamaron siempre del Polvorín y que se ubicaban
donde ahora radican las salas cubanas del Museo Nacional.
Dice el historiador Jacobo de la Pezuela que al acometerse el ensanche
de extramuros de 1824, quedó yerma la manzana comprendida entre las
calles Galiano, Reina, Águila y Dragones. Allí, sin orden ni concierto
y para dar satisfacción a clientes de aquella zona, se establecieron
numerosos vendedores de abastos que expedían sus productos en casillas
de madera montadas sobre ruedas. Miguel Tacón, gobernador general de
la Isla, quiso acabar con dichos puestos feos y desiguales, y dotar a
aquella zona habanera de un mercado digno de ella. Encargó el proyecto
a Manuel Pastor, y el ingeniero principal de la administración
colonial concibió un edificio de albañilería de dos plantas de cien
por 145 varas, con galerías cubiertas y sostenidas por   columnas de
piedra. Respecto a esa edificación, Joaquín Weiss, uno de los grandes
estudiosos de la arquitectura cubana, afirmó que por su concepción y
condiciones “es posible que igualara y superara a los mercados
existentes en ese tiempo en España”.
Tacón puso su nombre a todo lo que, en su tiempo, construyó en La
Habana: el mercado, la cárcel, el paseo, el teatro... El Mercado de
Tacón fue conocido, sobre todo, por la Plaza del Vapor. Y en eso
intervino un personaje al que el escribidor ha aludido muchas veces,
el catalán Francisco Marty, negociante del entorno del Gobernador
General, constructor y empresario del teatro Tacón; el hombre que
controlaba el monopolio del pescado en la capital. En una fonda de su
propiedad y que daba a la calle Galiano, en el Mercado, Marty hizo
colocar un cuadro en que se reproducía la imagen del buque Neptuno, el
primero de vapor que se conoció en la Isla y que a partir de 1819
cumplió la travesía Habana-Matanzas-Habana. Fue la imagen de ese navío
lo que terminó dándole nombre al edificio.
En la madrugada del 7 de septiembre de 1872, un voraz incendio
destruyó totalmente el inmueble, por lo que se levantó un mercado
provisional en la Plaza de Marte, actual Parque de la Fraternidad
Americana. Dos años más tarde, la Junta de Obras Públicas determinó
edificar un nuevo mercado en el sitio que ocupara el destruido y que
se llamaría asimismo Plaza del Vapor. El nuevo edificio, obra del
arquitecto Rayneri Sorrentino, constituyó, gracias al sistema de viga
y losa,  toda una novedad en La Habana desde el punto de vista
técnico, y causó admiración por el diseño de las barandas de hierro
forjado del entresuelo y el piso alto.
En 1918 dejó de ser mercado este edificio no exento de elegancia y que
lucía sólidas armazones de hierro en el patio central. Sus vendedores
fueron ubicados en los terrenos de lo que fue la estación de trenes de
Villanueva, donde se alzó después el Capitolio, y trasladados, con
posterioridad, al Mercado Único de Cuatro Caminos. Fue entonces que se
demolieron las armazones de metal del patio, lo que propició ganar un
espacio donde se llevaron a cabo juegos de béisbol y balompié.
Escribió el historiador Emilio Roig que la Plaza del Vapor siempre fue
 mercado. La parte exterior del edificio no dejó nunca de estar
ocupada por unos pequeños establecimientos de todas clases, que
funcionaban como expendios de frutas, mariscos, flores, yerbas
medicinales, barberías, sastrería, sombrerería, zapaterías... y
cualquier otra cosa que fuese posible vender, hasta caricias por las
noches. El piso superior y principal estaba ocupado por las viviendas
de unas 200 familias, y el edificio se convirtió sobre todo en el
verdadero mercado habanero del billete. Allí se vendía no menos del 50
por ciento de los billetes de lotería que se imprimían, para todo el
país, en La Habana. El billete que no se encontrara allí, no aparecía
prácticamente en ningún otro sitio.
En 1947 el Ministerio de Salubridad clausura el Mercado de Colón o
Plaza del Polvorín, y los vendedores que operaban en ella se reubican
en el patio central de la Plaza del Vapor, con lo que finalizan los
juegos de pelota y balompié. A comienzos de la Revolución, el
Ministerio de Salud Pública declaró insalubre el lugar y sus
vendedores fueron reasentados en el terreno de la calle Amistad entre
Estrella y Monte, donde funcionó durante años la  academia de baile de
Marte y Belona, demolida en esos días. Dice Sergio R. San Pedro del
Valle en su libro Vivido ayer (Miami, 2008) que eran más de 160 los
comercios que abrían sus puertas en la Plaza.

Viyaya

En aquellos juegos de pelota que se organizaban en su patio central,
el Deportivo Tacón, equipo de la barriada, gozó de una popularidad
enorme porque en él jugaba una inquilina de la Plaza del Vapor:
Eulalia González, más conocida por Viyaya. La muchacha jugaba la
inicial como cualquier consagrado. Y no solo en la Plaza, sino en los
más renombrados placeres de la capital y aun en algunas localidades
del interior en las décadas de los 40 y los 50.
Jugó varias posiciones y hasta lanzó, pero donde se hizo célebre fue
en la primera base. Dice Elio Menéndez, premio nacional de Periodismo:
“Era tanto lo que levantaba con el mascotín que, para aumentar el
interés del espectáculo, los directivos de la Liga Cubana la invitaron
en ocasiones a las prácticas que precedían a los desafíos oficiales,
de manera que el público contribuyente disfrutara viéndola recibir los
escopetazos de los infielders profesionales”.
Sobresalió más a la defensiva que al bate, aunque tampoco fue un out
vestido de pelotero. Los pitcheres rivales no tenían consideración con
ella. Ningún lanzador veía bien que una mujer le bateara y para
evitarlo le arrimaban la bola, lo que dio origen a muchas trifulcas.
En abril de 1947 vino a Cuba el empresario norteamericano Max Carey
con dos grupos de pelota conformados por mujeres, y contrató a Viyaya
para que jugara en EE.UU. Ella fue y regresó al poco tiempo, para
seguir jugando en los terrenos de la capital.

Una vida de Película

Sergio González tuvo una vida de película. Nació en Aguada de
Pasajeros, en 1921, y durante nueve años se preparó para el sacerdocio
en los seminarios de San Basileo el Magno, de Santiago de Cuba, y San
Carlos y San Ambrosio, de La Habana. De ahí su sobrenombre. Le
llamaban con cariño El Curita.
Fueron múltiples sus hazañas. Encarcelado en el Castillo del Príncipe,
organizó allí una huelga de hambre y protagonizó luego una fuga
espectacular. Fue el responsable del sabotaje a los tanques de
combustible de la refinería Belot, cuya negra humareda, durante varios
días, demostró a los habaneros que se reactivaba la lucha contra
Batista y organizó la llamada Noche de las Cien Bombas, con la que
demostró que la dictadura no podía ya controlar la ciudad. Esta fue
una acción que El Curita planeó con sumo cuidado, pues exigió a sus
participantes que no podía ocasionar víctimas, y no las hubo
realmente.
Las fuerzas represivas lo perseguían sin descanso. El 11 de marzo de
1958 un emisario de la Sierra Maestra, a nombre de Fidel, pidió a El
Curita que se trasladara a las montañas a fin de preservarle la vida.
Respondió al emisario que respetaba la autoridad del Comandante en
Jefe, pero que su lugar estaba en La Habana. El día 18 cayó en una
trampa en un apartamento del Vedado. En el Buró de Investigaciones lo
torturaron con saña. Al día siguiente, su cadáver, cosido a balazos,
aparecía en Altabana.
El Curita laboró en una pequeña imprenta instalada en la Plaza del
Vapor. Allí se imprimió de manera clandestina la primera edición de La
historia me absolverá, el alegato de Fidel ante sus jueces por los
sucesos del cuartel Moncada. La distribución del opúsculo en el país,
antes de la amnistía de los moncadistas, en 1955, contribuyó de manera
decisiva a forjar la vanguardia que encabezaría la lucha armada contra
Batista.
 
Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
http://wwwcirobianchi.blogia.com/
http://cbianchiross.blogia.com/

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