Pubblicato su Juventud Rebelde del 17/5/15
Sull’origine, a Cuba, del cognome O’Reilly e la strada avanera che porta questo nome, chiede il lettore José Roque. Anteriormente questa via ebbe diversi nomi. Si chiamò Honda y del Sumidero e anche del Basurero per lo scopo a cui la destinavano gli abitanti ed ebbe anche il nome di calle de la Aduana per esservi stata nella la medesima, in prossimità dei moli, una sede di questo ufficio. Le si dette il nome ufficiale di Presidente Zayas, ma si dice che il proprio primo cittadino non fu contento di questa sviolinata, sapendo che nessuno avrebbe chiamato col suo nome questa strada per quanto targhe, targhette o tavolette lo proclamassero in ogni angolo. Zayas ha la sua strada sulla collina di Chaple e O’ Reilly, continuò, contnua e continuerà ade essere O’Reilly.
Fino al 1915 O’Reilly fu, con Obispo, la mecca del commercio e della moda; strade del passeggio mattutino dove l’avanero passeggiava per essere visto. Nello spazio compreso da O’Reilly fino ad Amargura – da Mercaderes fino a Compostela – si trovava il cosiddetto Distretto Bancario, vale a dire la nostra piccola Wall Street, sede delle banche principali; edifici maestosi con facciate e colonne monumentali che non lasciavano dubbi sulla solidità, la ricchezza e l’eternità delle istituzioni che ospitavano, nonostante alcune di esse crollarono come castelli di carte in tempo di crisi.
Fra le altre banche, in O’Reilly, avevano sede la Previsora Latino Americana, di capitalizzazione e risparmio, costituita con capitale messicano; il Banco Financiero, manovrato da Julio Lobo; la Banca Garrigó che sorse a Santiago de las Vegas e venne spandendosi e consolidandosi; la Banca Godoy Zayán e la Banca Godoy Zayán di Risparmio e Capitalizzazione, entrambe ubicate nell’edificio de La Metropolitana, immobile di uffici e sede di importanti compagnie e agenzie di assicurazioni. Adiacente a questo edificio si trovava un’altra banca, The First Nacional City Bank of New York. Lo spazio della banca nordamericana e de La Metropolitana, era quello che occupavano la chiesa e il convento di Santa Caterina da Siena, fondati nel 1688 dal vescovo Compostela a richiesta delle sorelle Aréchaga che volevano servire come monache dominicane. La congregazione religiosa rimase lì fino al 1918, quando si trasferì in un convento molto più amplio, con una bella chiesa di stile gotico, nell’isolato compreso fra le strade Paseo, A, 23 e 25, nel Vedado. Il vecchio edificio fu demolito “senza che si perdesse niente con lui, per certo era carente di ogni valore artistico”, assicurava Emilio Roig.
In questa strada ebbe il suo studio il Dottor José Miró Cardona, avvocato degli avvocati che occupò l’incarico di premier nel primo gabinetto della Rivoluzione e che in seguito ebbe un comportamento politico detestabile. Vi erano lì anche linee di navigazione come la American Export che faceva viaggi in Europa per la rotta sud e la Italian Line, con i suoi lussuosi transatlantici tra le 25.000 e 30.000 tonnellate di stazza. Inoltre vi erano la Casa Potín di alimentari e liquori fini e un caffè come Revoredo, molto frequentato negli anni ’50, dal poeta José Lezama Lima che ogni pomeriggio prendeva per Obispo, la Plaza de Armas e tornava per O’Reilly verso la Manzana de Gómez.
Di fronte all’edificio de La Metropolitana si trovava la libreria Martí che ancora negli anni ’60 esibiva nelle sue vetrine adizioni Principe de Góngora e Cervantes e la libreria Económica, dove lo scriba acquistò le Opere Complete di José Martí con i suoi primi onorari di giornalista, di cui presto ricorrerà il cinquantesimo. Potrei, io, ripetere adesso con Rubén Darío la frase: “Che vecchio sono, Dio mio che vecchio sono”, ma voglio supporre che non sia proprio così. Succede che cominciai al giornale El Mundo a 17 anni.
Tornando a O’Reilly, questo deve essere il suo nome perché fece la sua entrata in città per essa nel 1793, il generale Alejandro O’ Reilly, vice ispettore delle truppe spagnole quando la Spagna recuperò la capitale dell’Isola dopo l’occupazione inglese. Il militare rimase a Cuba mentre riorganizzava l’Esercito. Più tardi venne suo figlio, si stabilì qui e creò una famiglia che nella colonia e nella repubblica, si distinse per la sua posizione preminente, gli incarichi svolti e le azioni benefiche.
Un.ampia e dettagliata visione di questa famiglia, col titolo I Conti O’Reilly, la offre la Dottoressa María Teresa Cornide nel suo libro De La Habana, de siglos y familias. Vale la pena dargli un’occhiata.
Messaggio Santiaguero
E già che parliamo delle strade avanere, voglio pubblicare un messaggio elettronico inviato da Santiago de Cuba. Lo firma il professore universitario Humberto Ocaña Dayar. Lo riproduco tale come l’ho ricevuto, in fin dei conti anche lo scriba ha il suo cuoricino. Dice:
“Con piacere le scrivo nuovamente, ebbene la settimana scorsa le ho scritto a proposito del ‘congrí’. In questo caso si tratta di un tema molto affine alla mia tesi dottorale che ho discusso positivamente all’Università dell’Avana, nel 2008, circa i nomi delle strade della mia città, Santiago de Cuba. Vorrei innanzitutto che sapesse che due dei suoi articoli sono serviti come bibliografia per la mia tesi: uno di loro sui generali spagnoli, nel 2007, e l’altro sulle strade dell’Avana, nel 2008. Così che adesso approfitto per ringraziarla per il suo apporto al mio dottorato, anche se avrei dovuto farlo in quel momento, già sette anni or sono.
Ebbene, ecco a cosa mi riferivo. Ho letto nella sua pagina su Santos Suárez e mi ha dato molta soddisfazione che nomi delle strade del quartiere portino il 'san' senza riferirsi a veri santi come San Indalecio e San Leonardo. Nelle mie investigazioni a Santiago avevo già comprovato che ciò succedeva in numerose strade con presunti nomi di ‘santi’ e che in realtà sono dedicate a peccatori che per essere ricchi, potenti o importanti, le autorità locali di altri tempi santificarono col loro nome la strada dove vivevano o della quale li consideravano una specie di patroni. Ciò è qualcosa degno di nota, ebbene, la maggior parte delle persone suole credere che le strade che iniziano con un San, sono sempre dedicate a un santo cattolico, sappiamo già che non è così e non solo a Santiago de Cuba dove oltre 20 strade del centro storico iniziano per San o Santa...
Vorrei aggiungere che mi sentirei molto onorato di essere suo collaboratore, ebbene molti dei temi che lei investiga all’Avana io lo faccio, in parte, nella mia Santiago. Certo che non giungo a sapere tante cose per non dedicarvi tutto il mio tempo (ricordi che sono professore in un’Università) e perché non esiste molta bibliografia a rispetto in archivi o biblioteche dato che in provincia sono molto meno che nella capitale. Ad ogni modo posso mettere a sua disposizione molti aneddoti che può conoscere su nomi e luoghi, raccolti in oltre 15 anni d’investigazione.
Attentamente, Humberto Ocaña Dayar”
Una fibra della sua vita
Lo scriba continua a guardarsi l’ombelico, adesso col messaggio su La Plaza del Vapor che ha inviato Ciro Benemelis, figura notevole dell’arte e l’industria del disco. Dichiara: “Nella sua cronaca sulla Plaza del Vapor mi ha riportato ricordi della mia infanzia frettolosa e l’età adulta prematura. Tutto così dettagliato che mi ha riportato molto del vissuto. Per le relazioni di mio padre con un camagüeyano chiamato Tomás, ho cominciato a lavorare in un piccolo caffè sito nella calle Águila nella Plaza.
Lì si vendevano principalmente caffè e dolci, come lunghi dolci di cocco, scuri e bianchi. Allora avevo fra i 13 e i 14 anni. Erano tempi in cui anche noi bambini dovevamo lavorare per aiutare i genitori e poter mangiare, pagare l’affitto e alcune altre necessità. Guadagnavo sei pesos settimanali.
Allora abitavo relativamente vicino alla Plaza, in Monte e Cienfuegos e mi alzavo alle quattro di mattina per aprire il baretto e preparare la caffettiera, già che attorno a quest’ora cominciavano a muoversi i passanti e i lavoratori per i quali era imprescindibile il caffettino mattutino. Lavoravo fino alle 11 di mattina e rientravo alle cinque del pomeriggio per chiudere verso le nove di sera. Nei pomeriggi studiavo alla Scuola Pubblica.
Tutto l’isolato di Águila era come ‘la strada del peccato’ e le prostitute lavoravano dalla mattina fino alla sera tardi. Con quasi tutte ebbi eccellenti relazioni e credo che si dovette al vedere un bambino lavorando in quel modo. Per loro ero una mascotte.
Di fronte al baretto, si facevano i migliori tamales che ho mangiato in vita mia. Credo si chiamasse la Casa del Tamal. Era una specie di grande caffetteria dove si vendeva anche caffè e latte con involtini, ma la specialità erano i tamales. Era un posto ideale per la colazione del mattino.
Verso l’angolo c’era la posada dove erano ‘occupate’ le donne di vita. (Non ho mai saputo perché le chiamano così, ebbene credo che siamo tutti di vita), che camminavano tutto il tratto da Reina fino a Dragones cercando di conquistare qualche cliente.
La Plaza del Vapor era un buon nascondiglio per i rivoluzionari che sfuggivano alla polizia e anche per i ladri, specialmente per furfantelli occasionali, fra cui si includono i borsaioli. Generalmente la polizia non vi entrava.
Mi portarono all’Avana quando avevo dieci anni e da allora ho dovuto fare diversi mestieri per mantenerci.
Mi perdoni, omonimo, che le abbia rubato un po’ del suo tempo prezioso. Ho voluto scriverle molte volte, ma mi sono deciso oggi e dev’essere perché ha toccato una fibra importante della mia vita”.
Altro sul Pretino
La lettrice Virginia Caunedo, fa un chiarimento su Sergio González, “il Pretino”, per la quale lo scriba ringrazia molto. Nella pagina di domenica scorsa dissi che questo valoroso combattente anti batistiano lavorò in una tipografia de La Plaza del Vapor. Questo fu così, ma è incompleto, Virginia precisa che fu amministratore e poi proprietario di quell’esercizio. Era stata una proprietà di sua sorella e alla di lei morte, il suo socio trapassò la proprietà al Pretino. A partire da quel momento il locale si trasformò in un crogiolo della cospirazione contro Batista. “Un altro che non fosse stato lui, avrebbe semplicemente visto in quell’attività un buco dove poter vivacchiare e fare un po’ di soldi per raggiungere uno status sociale distinto e piacevole. Ma lui era un sognatore altruista e combattente per i sogni di molti”, aggiunge la lettrice.
Entrecalles
Sobre el origen en Cuba del apellido O’Reilly y la calle habanera que lleva ese nombre, inquiere el lector José Roque. Varios nombres tuvo esa vía con anterioridad. Se le llamó Honda y del Sumidero, y también del Basurero por el fin al que la destinaban los vecinos, y tuvo además el nombre de calle de la Aduana por haber estado situadas en ella, en la proximidad de los muelles, las dependencias de ese departamento. Se le dio el nombre oficial de Presidente Zayas, pero se dice que el propio mandatario no se mostró satisfecho con el guatacazo, sabiendo que nadie llamaría por su nombre a esa calle por más que las tarjas o tabletas lo proclamaran en cada esquina. Zayas tiene su calle en la loma de Chaple, y O’Reilly fue, es y seguirá siendo O’Reilly.
Hasta 1915 O’Reilly fue, junto con Obispo, la meca del comercio y la moda; calles del visiteo matinal por donde el habanero paseaba para ver y para que lo vieran. En el espacio comprendido desde O’Reilly hasta Amargura —y desde Mercaderes hasta Compostela— se hallaba el llamado Distrito Bancario, es decir, nuestro pequeño Wall Street, sede de los bancos principales; edificios majestuosos y con fachadas de columnas monumentales que no dejaban duda sobre la solidez, la riqueza y la eternidad de las instituciones que albergaban, aunque algunas de ellas se desplomaran como castillos de naipes en tiempos de crisis.
Entre otros bancos, en O’Reilly encontraban asiento el Previsora Latino Americana, de capitalización y ahorro, constituido con capital mexicano; el Banco Financiero, manejado por Julio Lobo; el Banco Garrigó, que surgió en Santiago de las Vegas y fue expandiéndose y consolidándose; el Banco Godoy Zayán y el Banco Godoy Zayán de ahorro y capitalización, ubicados ambos en el edificio de La Metropolitana, inmueble de oficinas y sede de importantes compañías y agencias de seguro. Inmediato a ese edificio se hallaba otro banco, The First National City Bank of Nueva York. El espacio del banco norteamericano y de La Metropolitana era el que ocupaban la iglesia y el convento de Santa Catalina de Sena, fundados en 1688 por el obispo Compostela a pedido de las hermanas Aréchaga, que querían profesar como monjas dominicas. La congregación religiosa radicó allí hasta 1918, cuando se trasladó a un convento muchísimo más amplio, con una bella iglesia de estilo gótico, en la manzana comprendida entre las calles Paseo, A, 23 y 25, en el Vedado. La vieja edificación fue arrasada, “sin que nada se perdiera con ello, pues carecía de todo valor artístico”, aseguraba Emilio Roig.
En esa calle tuvo su bufete el Doctor José Miró Cardona, abogado de abogados que ocupó el premierato en el primer gabinete de la Revolución y que tuvo después una actuación política deleznable. También había allí oficinas de líneas de navegación como la American Export, que hacía viajes a Europa por la ruta del sur, e Italian Line, con sus lujosos trasatlánticos de entre 25 000 y 30 000 toneladas de desplazamiento. Además, se encontraban La Casa Potin, de víveres y licores finos, y un café como Revoredo, tan frecuentado en los años 50 por el poeta José Lezama Lima, que todas las tardes buscaba por Obispo la Plaza de Armas y retornaba por O’Reilly hacia la Manzana de Gómez. Frente al edificio de La Metropolitana se hallaba la librería Martí, que todavía en los años 60 exhibía en sus vitrinas ediciones Príncipe de Góngora y Cervantes, y la librería Económica, donde el escribidor adquirió las Obras Completas de José Martí con sus primeros honorarios como periodista hará pronto 50 años. Podría yo repetir ahora con Rubén Darío aquello de “Qué viejo soy, Dios mío, qué viejo soy”, pero quiero suponer que no es tan así. Lo que sucede es que empecé en el periódico El Mundo, con 17 años.
Volviendo a O’Reilly, esta debe su denominación a que por ella hizo su entrada en la ciudad el general Alejandro O’Reilly, subinspector de las tropas españolas, en 1763, cuando España recuperó la capital de la Isla tras la ocupación inglesa. El militar permaneció en Cuba mientras reorganizaba al Ejército. Más tarde vino su hijo, se afincó aquí y creó una familia que, en la colonia y en la república, sobresalió por su posición preeminente, los cargos desempeñados y sus acciones benéficas.
Una amplia y detallada visión de esta familia, bajo el título Los condes O’Reilly, la ofrece la Doctora María Teresa Cornide, en su libro De La Havana, de siglos y familias. Vale la pena tirarle un vistazo.
Recado Santiaguero
Y ya que hablamos sobre calles habaneras, quiero publicar un mensaje electrónico remitido desde Santiago de Cuba. Lo firma el profesor universitario Humberto Ocaña Dayar. Lo reproduzco tal cual lo recibí, a fin de cuenta el escribidor también tiene su corazoncito. Dice:
“Con gusto le escribo nuevamente, pues la semana pasada le escribí acerca del ‘congrí’. En este caso, se trata de un tema muy afín a mi tesis doctoral, que discutí exitosamente en la Universidad de La Habana, en 2008, acerca de los nombres de las calles de mi ciudad, Santiago de Cuba. Quería ante todo que conociera que dos de sus artículos sirvieron como bibliografía de mi tesis: uno de ellos sobre generales españoles, en 2007, y el otro sobre las calles de La Habana, en 2008. Así que ahora aprovecho para agradecerle su aporte a mi doctorado, aunque debí haberme decidido a hacerlo en aquel momento, hace ya casi siete años.
Pues, a lo que iba. Leí su página sobre Santos Suárez y me dio mucha satisfacción conocer que nombres de calles de ese reparto lleven el “san” sin referirse a verdaderos santos, como San Indalecio y San Leonardo. En mis investigaciones en Santiago ya había comprobado que eso sucedía en numerosas calles con supuestos nombres de ‘santos’ y que en realidad están dedicadas a pecadores que por ser ricos, poderosos o importantes, las autoridades locales de otros tiempos santificaron con su nombre la calle donde vivían o de la cual consideraban una especie de patrono. Esto es algo digno de anotar, pues la mayor parte de las personas suelen creer que las calles que comienzan con un San, siempre se dedican a un santo católico, y ya sabemos que no es así, y no solo en Santiago de Cuba donde más de 20 calles del centro histórico comienzan por San o Santa...
Quisiera añadir que me sentiría muy honrado en ser su colaborador, pues muchos de los temas que usted investiga en La Habana, yo lo hago, en parte, en mi Santiago. Claro que no llego a conocer tantas cosas por no dedicar todo mi tiempo a ello (recuerde que soy profesor en una universidad) y por no existir mucha bibliografía disponible al respecto en archivos o bibliotecas, que en provincia es mucho menos que en la capital. De todos modos, puedo poner a su disposición muchas anécdotas que pude conocer sobre nombres de lugares, en más de 15 años de investigación.
Atentamente, Humberto Ocaña Dayar».
Una fibra de su vida
Sigue el escribidor mirándose el ombligo, ahora con el mensaje que sobre la Plaza del Vapor remitió Ciro Benemelis, figura notable en el mundo del arte y la industria del disco. Expresa: “Su crónica sobre la Plaza del Vapor me trajo recuerdos de mi niñez apresurada y de mi adultez prematura. Todo tan detallado, que me trajo muchas vivencias. Por relaciones de mi padre con un camagüeyano llamado Tomás, comencé a trabajar en un pequeño cafetín ubicado por la calle Águila, en la Plaza.
Allí se vendían principalmente café y dulces, como los largos dulces de coco, prietos y blancos. Entonces tenía entre 13 y 14 años. Eran tiempos en que hasta los niños teníamos que trabajar para ayudar a los padres y poder comer, pagar el alquiler y algunas otras necesidades. Ganaba seis pesos semanales.
Entonces vivía relativamente cerca de la Plaza, en Monte y Cienfuegos, y me levantaba a las cuatro de la madrugada para abrir el cafetín y preparar la cafetera, porque sobre esa hora comenzaban a moverse transeúntes y trabajadores, y siempre el cafecito mañanero les era imprescindible. Trabajaba hasta las 11 de la mañana y volvía a entrar a las cinco de la tarde, para cerrar sobre las nueve de la noche. En las tardes estudiaba en la Escuela Pública.
Toda la cuadra de Águila era como “la calle del pecado”, y las prostitutas laboraban desde la mañana hasta tarde en la noche. Con casi todas tuve excelentes relaciones y creo que se debió al ver a un casi niño trabajando de esa manera. Para ellas era como una mascota.
Frente por frente al cafetín, se hacían los mejores tamales que he comido en mi vida. Creo que se llamaba La Casa del Tamal. Era como una gran cafetería donde también se vendía café con leche y empanadas, pero su especialidad eran los tamales. Era un lugar ideal para el desayuno.
Hacia la esquina se encontraba la posada donde “se ocupaban” la mujeres de la vida (nunca he sabido por qué las llamaban así, pues creo que todos somos de la vida), quienes caminaban toda la cuadra desde Reina hasta
Dragones tratando de conquistar algún cliente.
La Plaza del Vapor era un buen escondite para los revolucionarios que huían de la policía, y también de ladrones, en especial para rateros de ocasión, donde se incluían los carteristas. Generalmente, la policía no entraba.
Me trajeron para La Habana cuando tenía diez años y desde entonces tuve que hacer muchas labores para poder mantenernos.
Disculpe, tocayo, que le haya robado un poco de su ocupado tiempo. Muchas veces he querido escribirle, pero hoy me decidí y debe ser porque tocó una fibra importante de mi vida".
Más sobre el Curita
La lectora Virginia Caunedo hace una aclaración sobre Sergio González, "el Curita", que mucho agradece el escribidor. Dije en la página del domingo anterior que ese destacado combatiente antibatistiano laboró en una imprenta en la Plaza del Vapor. Eso fue así, pero es incompleto, precisa Virginia, pues fue administrador y luego propietario de dicho establecimiento. Había sido propiedad de su hermana y al fallecer esta, su socio traspasó la posesión a El Curita. A partir de ese momento el local se convirtió en un hervidero de conspiración opositora contra Batista. “Otro que no fuera él, sencillamente hubiera visto en el pequeño negocio el hueco por donde escapar y hacer dinero, y lograr un estatus social distinto y placentero. Pero él era un soñador altruista y combatiente por los sueños de muchos”, indica la lectora.
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