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mercoledì 20 maggio 2015

La regata

Il campo di regata è stato tracciato nel tratto di mare prospiciente l'Ufficio d'Interesse degli Stati Uniti (sarà un caso?) e fino all'altezza dell'hotel Nacional. Per la cronaca la competizione è stata vinta dalla barca con al timone Alejandro de la Guardia, di Matanzas che è olimpionico nella squadra cubana di vela. Oggi ci sarà una "sfilata" di tutte le barche presenti, lungo tutto il Malecón, fino ad entrare nella Bahía de Carenas, ovvero il porto dell'Avana.








Preparativi per la regata

Ieri si è svolta la seconda "Challenge dell'Avana" riservata ai catamarani classe Hobie Cat, a cui hanno preso aprte 5 equipaggi cubani e 4 statunitensi. La manifestazione è stata promossa, anche quest'anno dal Club Nautico Internazionale della Marina Hemingway tramite il suo presidente, Comodoro José Miguel Díaz Escritch. Per i nordamericani in gara non è stata la prima volta, in quanto per le manifestazioni sportive c'è sempre stata l'autorizzazione del Dipartimento del Tesoro, secondo quanto previsto dalla legge, non ancora abolita, sull'embargo economico a Cuba.
Quello che non accadeva da oltre 50 anni, invece, è stata la presenza di altre imbarcazioni statunitensi, non direttamente coinvolte nella competizione che grazie alle ultime disposizioni prese dal presidente Obama, hanno potuto entrare a Cuba in deroga e nelle "pieghe" della suddetta legge. Tra le varie imbarcazioni a vela e motore vi erano una splendida goletta e un brigantino goletta che hanno veleggiato davanti al Malecón avanero assistendo alla regata.







martedì 19 maggio 2015

Salotto

SALOTTO: conoscitore del gioco dei numeri e delle "ruote"

lunedì 18 maggio 2015

Strade trasversali, di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud Rebelde del 17/5/15

Sull’origine, a Cuba, del cognome O’Reilly e la strada avanera che porta questo nome, chiede il lettore José Roque. Anteriormente questa via ebbe diversi nomi. Si chiamò Honda y del Sumidero e anche del Basurero per lo scopo a cui la destinavano gli abitanti ed ebbe anche il nome di calle de la Aduana per esservi stata nella la medesima, in prossimità dei moli, una sede di questo ufficio. Le si dette il nome ufficiale di Presidente Zayas, ma si dice che il proprio primo cittadino non fu contento di questa sviolinata, sapendo che nessuno avrebbe chiamato col suo nome questa strada per quanto targhe, targhette o tavolette lo proclamassero in ogni angolo. Zayas ha la sua strada sulla collina di Chaple e O’ Reilly, continuò, contnua e continuerà ade essere O’Reilly.
Fino al 1915 O’Reilly fu, con Obispo, la mecca del commercio e della moda; strade del passeggio mattutino dove l’avanero passeggiava per essere visto. Nello spazio compreso da O’Reilly fino ad Amargura – da Mercaderes fino a Compostela – si trovava il cosiddetto Distretto Bancario, vale a dire la nostra piccola Wall Street, sede delle banche principali; edifici maestosi con facciate e colonne monumentali che non lasciavano dubbi sulla solidità, la ricchezza e l’eternità delle istituzioni che ospitavano, nonostante alcune di esse crollarono come castelli di carte in tempo di crisi.
Fra le altre banche, in O’Reilly, avevano sede la Previsora Latino Americana, di capitalizzazione e risparmio, costituita con capitale messicano; il Banco Financiero, manovrato da Julio Lobo; la Banca Garrigó che sorse a Santiago de las Vegas e venne spandendosi e consolidandosi; la Banca Godoy Zayán e la Banca Godoy Zayán di Risparmio e Capitalizzazione, entrambe ubicate nell’edificio de La Metropolitana, immobile di uffici e sede di importanti compagnie e agenzie di assicurazioni. Adiacente a questo edificio si trovava un’altra banca, The First Nacional City Bank of New York. Lo spazio della banca nordamericana e de La Metropolitana, era quello che occupavano la chiesa e il convento di Santa Caterina da Siena, fondati nel 1688 dal vescovo Compostela a richiesta delle sorelle Aréchaga che volevano servire come monache dominicane. La congregazione religiosa rimase lì fino al 1918, quando si trasferì in un convento molto più amplio, con una bella chiesa di stile gotico, nell’isolato compreso fra le strade Paseo, A, 23 e 25, nel Vedado. Il vecchio edificio fu demolito “senza che si perdesse niente con lui, per certo era carente di ogni valore artistico”, assicurava Emilio Roig.
In questa strada ebbe il suo studio il Dottor José Miró Cardona, avvocato degli avvocati che occupò l’incarico di premier nel primo gabinetto della Rivoluzione e che in seguito ebbe un comportamento politico detestabile. Vi erano lì anche linee di navigazione come la American Export che faceva viaggi in Europa per la rotta sud e la Italian Line, con i suoi lussuosi transatlantici tra le 25.000 e 30.000 tonnellate di stazza. Inoltre vi erano la Casa Potín di alimentari e liquori fini e un caffè come Revoredo, molto frequentato negli anni ’50, dal poeta José Lezama Lima che ogni pomeriggio prendeva per Obispo, la Plaza de Armas e tornava per O’Reilly verso la Manzana de Gómez.
Di fronte all’edificio de La Metropolitana si trovava la libreria Martí che ancora negli anni ’60 esibiva nelle sue vetrine adizioni Principe de Góngora e Cervantes e la libreria Económica, dove lo scriba acquistò le Opere Complete di José Martí con i suoi primi onorari di giornalista, di cui presto ricorrerà il cinquantesimo. Potrei, io, ripetere adesso con Rubén Darío la frase: “Che vecchio sono, Dio mio che vecchio sono”, ma voglio supporre che non sia proprio così. Succede che cominciai al giornale El Mundo a 17 anni.
Tornando a O’Reilly, questo deve essere il suo nome perché fece la sua entrata in città per essa nel 1793, il generale Alejandro O’ Reilly, vice ispettore delle truppe spagnole quando la Spagna recuperò la capitale dell’Isola dopo l’occupazione inglese. Il militare rimase a Cuba mentre riorganizzava l’Esercito. Più tardi venne suo figlio, si stabilì qui e creò una famiglia che nella colonia e nella repubblica, si distinse per la sua posizione preminente, gli incarichi svolti e le azioni benefiche.
Un.ampia e dettagliata visione di questa famiglia, col titolo I Conti O’Reilly, la offre la Dottoressa María Teresa Cornide nel suo libro De La Habana, de siglos y familias. Vale la pena dargli un’occhiata.

Messaggio Santiaguero

E già che parliamo delle strade avanere, voglio pubblicare un messaggio elettronico inviato da Santiago de Cuba. Lo firma il professore universitario Humberto Ocaña Dayar. Lo riproduco tale come l’ho ricevuto, in fin dei conti anche lo scriba ha il suo cuoricino. Dice:
“Con piacere le scrivo nuovamente, ebbene la settimana scorsa le ho scritto a proposito del ‘congrí’. In questo caso si tratta di un tema molto affine alla mia tesi dottorale che ho discusso positivamente all’Università dell’Avana, nel 2008, circa i nomi delle strade della mia città, Santiago de Cuba. Vorrei innanzitutto che sapesse che due dei suoi articoli sono serviti come bibliografia per la mia tesi: uno di loro sui generali spagnoli, nel 2007, e l’altro sulle strade dell’Avana, nel 2008. Così che adesso approfitto per ringraziarla per il suo apporto al mio dottorato, anche se avrei dovuto farlo in quel momento, già sette anni or sono.
Ebbene, ecco a cosa mi riferivo. Ho letto nella sua pagina su Santos Suárez e mi ha dato molta soddisfazione che nomi delle strade del quartiere portino il 'san' senza riferirsi a veri santi come San Indalecio e San Leonardo. Nelle mie investigazioni a Santiago avevo già comprovato che ciò succedeva in numerose strade con presunti nomi di ‘santi’ e che in realtà sono dedicate a peccatori che per essere ricchi, potenti o importanti, le autorità locali di altri tempi santificarono col loro nome la strada dove vivevano o della quale li consideravano una specie di patroni. Ciò è qualcosa degno di nota, ebbene, la maggior parte delle persone suole credere che le strade che iniziano con un San, sono sempre dedicate a un santo cattolico, sappiamo già che non è così e non solo a Santiago de Cuba dove oltre 20 strade del centro storico iniziano per San o Santa...
Vorrei aggiungere che mi sentirei molto onorato di essere suo collaboratore, ebbene molti dei temi che lei investiga all’Avana io lo faccio, in parte, nella mia Santiago. Certo che non giungo a sapere tante cose per non dedicarvi tutto il mio tempo (ricordi che sono professore in un’Università) e perché non esiste molta bibliografia a rispetto in archivi o biblioteche dato che in provincia sono molto meno che nella capitale. Ad ogni modo posso mettere a sua disposizione molti aneddoti che può conoscere su nomi e luoghi, raccolti in oltre 15 anni d’investigazione.
Attentamente, Humberto Ocaña Dayar”

Una fibra della sua vita

Lo scriba continua a guardarsi l’ombelico, adesso col messaggio su La Plaza del Vapor che ha inviato Ciro Benemelis, figura notevole dell’arte e l’industria del disco. Dichiara: “Nella sua cronaca sulla Plaza del Vapor mi ha riportato ricordi della mia infanzia frettolosa e l’età adulta prematura. Tutto così dettagliato che mi ha riportato molto del vissuto. Per le relazioni di mio padre con un camagüeyano chiamato Tomás, ho cominciato a lavorare in un piccolo caffè sito nella calle Águila nella Plaza.
Lì si vendevano principalmente caffè e dolci, come lunghi dolci di cocco, scuri e bianchi. Allora avevo fra i 13 e i 14 anni. Erano tempi in cui anche noi bambini dovevamo lavorare per aiutare i genitori e poter mangiare, pagare l’affitto e alcune altre necessità. Guadagnavo sei pesos settimanali.
Allora abitavo relativamente vicino alla Plaza, in Monte e Cienfuegos e mi alzavo alle quattro di mattina per aprire il baretto e preparare la caffettiera, già che attorno a quest’ora cominciavano a muoversi i passanti e i lavoratori per i quali era imprescindibile il caffettino mattutino. Lavoravo fino alle 11 di mattina e rientravo alle cinque del pomeriggio per chiudere verso le nove di sera. Nei pomeriggi studiavo alla Scuola Pubblica.
Tutto l’isolato di Águila era come ‘la strada del peccato’ e le prostitute lavoravano dalla mattina fino alla sera tardi. Con quasi tutte ebbi eccellenti relazioni e credo che si dovette al vedere un bambino lavorando in quel modo. Per loro ero una mascotte.
Di fronte al baretto, si facevano i migliori tamales che ho mangiato in vita mia. Credo si chiamasse la Casa del Tamal. Era una specie di grande caffetteria dove si vendeva anche caffè e latte con involtini, ma la specialità erano i tamales. Era un posto ideale per la colazione del mattino.
Verso l’angolo c’era la posada dove erano ‘occupate’ le donne di vita. (Non ho mai saputo perché le chiamano così, ebbene credo che siamo tutti di vita), che camminavano tutto il tratto da Reina fino a Dragones cercando di conquistare qualche cliente.
La Plaza del Vapor era un buon nascondiglio per i rivoluzionari che sfuggivano alla polizia e anche per i ladri, specialmente per furfantelli occasionali, fra cui si includono i borsaioli. Generalmente la polizia non vi entrava.
Mi portarono all’Avana quando avevo dieci anni e da allora ho dovuto fare diversi mestieri per mantenerci.
Mi perdoni, omonimo, che le abbia rubato un po’ del suo tempo prezioso. Ho voluto scriverle molte volte, ma mi sono deciso oggi e dev’essere perché ha toccato una fibra importante della mia vita”.

Altro sul Pretino

La lettrice Virginia Caunedo, fa un chiarimento su Sergio González, “il Pretino”, per la quale lo scriba ringrazia molto. Nella pagina di domenica scorsa dissi che questo valoroso combattente anti batistiano lavorò in una tipografia de La Plaza del Vapor. Questo fu così, ma è incompleto, Virginia precisa che fu amministratore e poi proprietario di quell’esercizio. Era stata una proprietà di sua sorella e alla di lei morte, il suo socio trapassò la proprietà al Pretino. A partire da quel momento il locale si trasformò in un crogiolo della cospirazione contro Batista. “Un altro che non fosse stato lui, avrebbe semplicemente visto in quell’attività un buco dove poter vivacchiare e fare un po’ di soldi per raggiungere uno status sociale distinto e piacevole. Ma lui era un sognatore altruista e combattente per i sogni di molti”, aggiunge la lettrice.



Entrecalles

Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
16 de Mayo del 2015 18:46:33 CDT


Sobre el origen en Cuba del apellido O’Reilly y la calle habanera que lleva ese nombre, inquiere el lector José Roque. Varios nombres tuvo esa vía con anterioridad.  Se le llamó Honda y del Sumidero, y también del Basurero por el fin al que la destinaban los vecinos, y tuvo además el nombre de calle de la Aduana por haber estado situadas en ella, en la proximidad de los muelles,  las dependencias de ese departamento. Se le dio el nombre oficial de Presidente Zayas, pero se dice que el propio mandatario no se mostró satisfecho con el guatacazo, sabiendo que nadie llamaría por su nombre a esa calle por más que las tarjas o tabletas lo proclamaran en cada esquina. Zayas tiene su calle en la loma de Chaple, y O’Reilly fue, es y seguirá siendo O’Reilly.
Hasta 1915 O’Reilly fue, junto con Obispo, la meca del comercio y la moda; calles del visiteo matinal por donde el habanero paseaba para ver y para que lo vieran. En el espacio comprendido desde O’Reilly hasta Amargura —y desde Mercaderes hasta Compostela— se hallaba el llamado Distrito Bancario, es decir, nuestro pequeño Wall Street, sede de los bancos principales; edificios majestuosos y con fachadas de columnas monumentales que no dejaban duda sobre la solidez, la riqueza y la eternidad de las instituciones que albergaban, aunque algunas de ellas se desplomaran como castillos de naipes en tiempos de crisis.
Entre otros bancos, en O’Reilly encontraban asiento el Previsora Latino Americana, de capitalización y ahorro, constituido con capital mexicano; el Banco Financiero, manejado por Julio Lobo; el Banco Garrigó, que surgió en Santiago de las Vegas y fue expandiéndose y consolidándose; el Banco Godoy Zayán y el Banco Godoy Zayán de ahorro y capitalización, ubicados ambos en el edificio de La Metropolitana, inmueble  de oficinas y sede de importantes compañías y agencias de seguro. Inmediato a ese edificio se hallaba otro banco, The First National City Bank of Nueva York. El espacio del banco norteamericano y de La Metropolitana era el que ocupaban la iglesia y el convento de Santa Catalina de Sena, fundados en 1688 por el obispo Compostela a pedido de las hermanas Aréchaga, que querían profesar como monjas dominicas. La congregación religiosa radicó allí hasta 1918, cuando se trasladó a un convento muchísimo más amplio, con una bella iglesia de estilo gótico, en la manzana comprendida entre las calles Paseo, A, 23 y 25, en el Vedado. La vieja edificación fue arrasada, “sin que nada se perdiera con ello, pues carecía de todo valor artístico”, aseguraba Emilio Roig.
En esa calle tuvo su bufete el Doctor José Miró Cardona, abogado de abogados que ocupó el premierato en el primer gabinete de la Revolución y que tuvo después una actuación política deleznable. También había allí oficinas de líneas de navegación como la American Export, que hacía viajes a Europa por la ruta del sur, e Italian Line, con sus lujosos trasatlánticos de entre 25 000 y 30 000 toneladas de desplazamiento. Además, se encontraban La Casa Potin, de víveres y licores finos, y un café como Revoredo, tan frecuentado en los años 50 por el poeta José Lezama Lima, que todas las tardes buscaba por Obispo la Plaza de Armas y retornaba por O’Reilly hacia la Manzana de Gómez. Frente al edificio de La Metropolitana se hallaba la librería Martí, que todavía en los años 60 exhibía en sus vitrinas ediciones Príncipe de Góngora y Cervantes, y la librería Económica, donde el escribidor adquirió las Obras Completas de José Martí con sus primeros honorarios como periodista hará pronto 50 años. Podría yo  repetir ahora con Rubén Darío aquello de “Qué viejo soy, Dios mío, qué viejo soy”, pero quiero suponer que no es tan así. Lo que sucede es que empecé en el periódico El Mundo, con 17 años.
Volviendo a O’Reilly, esta debe su denominación  a que por ella hizo su entrada en la ciudad el general Alejandro O’Reilly, subinspector de las tropas españolas, en 1763, cuando España recuperó la capital de la Isla tras la ocupación inglesa. El militar permaneció en Cuba mientras reorganizaba al Ejército. Más tarde vino su hijo, se afincó aquí y creó una familia que, en la colonia y en la república, sobresalió por su posición preeminente, los cargos desempeñados y sus acciones benéficas.
Una amplia y detallada visión de esta familia, bajo el título Los condes O’Reilly, la ofrece la Doctora María Teresa Cornide, en su libro De La Havana, de siglos y familias. Vale la pena tirarle un vistazo.

Recado Santiaguero

Y ya que hablamos sobre calles habaneras, quiero publicar un mensaje electrónico remitido desde Santiago de Cuba. Lo firma el profesor universitario Humberto Ocaña Dayar. Lo reproduzco tal cual lo recibí, a fin de cuenta el escribidor también tiene su corazoncito. Dice:
“Con gusto le escribo nuevamente, pues la semana pasada le escribí acerca del ‘congrí’. En este caso, se trata de un tema muy afín a mi tesis doctoral, que discutí exitosamente en la Universidad de La Habana, en 2008, acerca de los nombres de las calles de mi ciudad, Santiago de Cuba. Quería ante todo que conociera que dos de sus artículos sirvieron como bibliografía de mi tesis: uno de ellos sobre generales españoles, en 2007, y el otro sobre las calles de La Habana, en 2008. Así que ahora aprovecho para agradecerle su aporte a mi doctorado, aunque debí haberme decidido a hacerlo en aquel momento, hace ya casi siete años.
Pues, a lo que iba. Leí su página sobre Santos Suárez y me dio mucha satisfacción conocer que nombres de calles de ese reparto lleven el “san” sin referirse a verdaderos santos, como San Indalecio y San Leonardo. En mis investigaciones en Santiago ya había comprobado que eso sucedía en  numerosas calles con supuestos nombres de ‘santos’ y que en realidad están dedicadas a pecadores que por ser ricos, poderosos o importantes, las autoridades locales de otros tiempos santificaron con su nombre la calle donde vivían o de la cual consideraban una especie de patrono. Esto es algo digno de anotar, pues la mayor parte de las personas suelen creer que las calles que comienzan con un San, siempre se dedican a un santo católico, y ya sabemos que no es así, y no solo en Santiago de  Cuba donde más de 20 calles del centro histórico comienzan por San o Santa...
Quisiera añadir que me sentiría muy honrado en ser su colaborador, pues muchos de los temas que usted investiga en La Habana, yo lo hago, en parte, en mi Santiago. Claro que no llego a conocer tantas cosas por no dedicar todo mi tiempo a ello (recuerde que soy profesor en una universidad) y por no existir mucha bibliografía disponible al respecto en archivos o bibliotecas, que en provincia es mucho menos que en la capital. De todos modos, puedo poner a su disposición muchas anécdotas que pude conocer sobre nombres de lugares, en más de 15 años de investigación.
Atentamente, Humberto Ocaña Dayar».

Una fibra de su vida

Sigue el escribidor mirándose el ombligo, ahora con el mensaje que sobre la Plaza del Vapor remitió Ciro Benemelis, figura notable en el mundo del arte y la industria del disco. Expresa: “Su crónica sobre la Plaza del Vapor me trajo recuerdos de mi niñez apresurada y de mi adultez prematura. Todo tan detallado, que me trajo muchas vivencias. Por relaciones de mi padre con un camagüeyano llamado Tomás, comencé a trabajar en un pequeño cafetín ubicado por la calle Águila, en la Plaza.
Allí se vendían principalmente café y dulces, como los largos dulces de coco, prietos y blancos. Entonces tenía entre 13 y 14 años. Eran tiempos en que hasta los niños teníamos que trabajar para ayudar a los padres y poder comer, pagar el alquiler y algunas otras necesidades. Ganaba seis pesos semanales.
Entonces vivía relativamente cerca de la Plaza, en Monte y Cienfuegos, y me levantaba a las cuatro de la madrugada para abrir el cafetín y preparar la cafetera, porque sobre esa hora comenzaban a moverse transeúntes y trabajadores, y siempre el cafecito mañanero les era imprescindible. Trabajaba hasta las 11 de la mañana y volvía a entrar  a las cinco de la tarde, para cerrar sobre las nueve de la noche. En las tardes estudiaba en la Escuela Pública.
Toda la cuadra de Águila era como “la calle del pecado”, y las prostitutas laboraban desde la mañana hasta tarde en la noche. Con casi todas tuve excelentes relaciones y creo que se debió al  ver a un casi niño trabajando de esa manera.  Para ellas era como una mascota.
Frente por frente al cafetín, se hacían los mejores tamales que he comido en mi vida. Creo que se llamaba La Casa del Tamal. Era como una gran cafetería donde también se vendía café con leche y empanadas, pero su especialidad eran los tamales. Era un lugar ideal para el desayuno.
Hacia la esquina se encontraba la posada donde “se ocupaban” la mujeres de la vida (nunca he sabido por qué las llamaban así, pues creo que todos somos de la vida), quienes caminaban  toda la cuadra desde Reina hasta
Dragones tratando de conquistar algún cliente.
La Plaza del Vapor  era un buen escondite para los revolucionarios que huían de la policía, y también de ladrones, en especial para rateros de ocasión, donde se incluían los carteristas. Generalmente, la policía no entraba.
Me trajeron para La Habana cuando tenía diez años y desde entonces tuve que hacer muchas labores para poder mantenernos.
Disculpe, tocayo, que le haya robado un poco de su ocupado tiempo. Muchas veces he querido escribirle, pero hoy me decidí y debe ser porque tocó una fibra importante de mi vida".

Más sobre el Curita

La lectora Virginia Caunedo hace una aclaración sobre Sergio González, "el Curita", que mucho agradece el escribidor. Dije en la página del domingo anterior que ese destacado combatiente antibatistiano laboró en una imprenta en la Plaza del Vapor. Eso fue así, pero es incompleto, precisa Virginia, pues fue administrador y luego propietario de dicho establecimiento. Había sido propiedad de su hermana y al fallecer esta, su socio traspasó la posesión a El Curita. A partir de ese momento el local se convirtió en un hervidero de conspiración opositora contra Batista.  “Otro que no fuera él, sencillamente hubiera visto en el pequeño negocio el hueco por donde escapar y hacer dinero, y lograr un estatus social distinto y placentero. Pero él era un soñador altruista y combatiente por los sueños de muchos”, indica la lectora.


domenica 17 maggio 2015

Salmone

SALMONE: defunto di grandi dimensioni

sabato 16 maggio 2015

Salmeria

SALMERIA: deposito di defunti

venerdì 15 maggio 2015

Saliscendi

SALISCENDI: controsenso

giovedì 14 maggio 2015

Salina

SALINA: Lina è informata

mercoledì 13 maggio 2015

Saldare

SALDARE: elargire sale

martedì 12 maggio 2015

Visita del Presidente Hollande

Ieri mi sono trovato a passare dalla Plaza de la Revolución, proprio nel momento in cui, alle note dell'Inno di Bayamo e della Marsigliese, eseguite dalla Banda dell'Esercito, la delegazione del Presidente francese François Hollande stava deponendo il tradizionale omaggio floreale al monumento dell'Eroe Nazionale José Martí.




La Plaza del Vapor, di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud Rebelde del 10/5/15


“All’Avana si trova un mercato famoso in ogni quartiere, ma il migliore di tutti è quello della Plaza del Vapor. All’interno di questo edificio si vende la carne e ogni tipo di legumi e verdure, all’esterno si vende la frutta. Ma quello che sorprende è la varietà e miscela,  proprio a fianco di arance e ananas si trova un lussuoso magazzino di vestiti e tutti i corridoi sono zeppi di piccole ribendite. Specialmente la sera regna molta aniumazione, essendo tutta la piazza illuminata con gas e molto visitata per le ragazze di fuori delle mura per fare i loro acquisti. La Plaza del Vapor, inoltre, racchiude caffè, barbieri e ogni tipo di esercizio, si può dire che è la capitale dell’Avana, così come il Palais Royale si potrebbe chiamare la capitale di Parigi”.
Il colombiano Nicolás Tanco Armero, autore delle citate parole,visse all’Avana nella metà della decade del 1850. Le sue idee politiche conservatrici lo avevano condotto in carcere al suo Paesee, senza un cenetsimo, albergava la speranza di diventare ricco a Cuba. Correva l’anno 1953 e qua si era appena costituita una società potente per sfruttare il traffico di cinesi. I suoi dirigenti ricorsero a Tanco; era ambizioso, aveva buone maniere, dominava perfettamente inglese e francese. Lo schedarono. La scelta non poteva essere più fortunata: Tanco organizzò con diabolica efficacia il traffico di cinesi, non solo verso l’Avana, ma nche verso El Callao e oltre duecnto schiavi “gialli” attraversarono le “nere acque” grazie ai suoi uffici.
L’investigatore cubano Juan Pérez de la Riva lo definì come “un erudito con vocazione da negriero” perché Tanco pubblicò a Parigi, nel 1881, un libro interessantissimo, Viaggio da Nuova Granada alla Cina e dalla Cina alla Francia, dove incluse non pochi riferimenti –alcuni di essi molto acuti- sull’Avana che gli toccò di conoscere, come la sua visione sulla Plaza del Vapor che si è riprodotta sopra. Il curioso del fatto –e per questo lo scriba l’ha introdotto- è che la Plaza del Vapor  che vide Tanco Armero nel XIX secolo, continuò ad essere valida fino al 1958 e forse anche un po’ dopo.
Lo scriba non crede che siano molti i giovani che sappiano di cosa si sta parlando quando ci si riferisce alla Plaza del Vapor, conosciuta anche con il nome di Meracto di Tacón. Diciamo subito che si trattava della fiera o mercato che occupava l’isolato compreso fra le starde Galiano, Reina, Águila e Dragones in Centro Avana. Ledificio fu demolito dopo la vittoria della Rivoluzione quando si progettò, in questo spazio, la costruzione di un grande edificio di appartamenti, idea che non giunse a concretizzarsi. Allora si decdise di costruire in quel luogo il parco che porterà il nome di America Libera. In effetti fu costruito, ma lo scriba non sa se questo è il suo nome ufficiale, perché popolarmente chiamiamo questo spazio il parco del Pretino, importante nodo di trasporto dei passeggeri nella capitale.
Ebbene, chi fu il Pretino? Che nesso ha la vecchia Plaza del Vapor con la vita di questo valoroso combattente rivoluzionario, capo di Azione e Sabotaggio del Movimento 26 di Luglio, asassinato nel marzo del 1958?
Meglio di quelli spagnoli
Il primo mercato pubblico con cui contò l’Avana era ubicato nella Plaza de San Francisco.
Fu trasferito, a richiesta dei frati, alla piazza che oggi conosciamo come Vieja e che allora si chiamava Plaza Nueva. Non si trattava propriamente di un edificio, ma di soppalchi coperti o meno, per uso dei venditori. Già nel 1836 si costruiscono Il mercati di Crsitina nella Plaza Vieja e del Cristo, nella piazza con questo nome. Siappronterebbero i mercati di Tacón e di Colón che gli avaneri hanno sempre chiamato della Polveriera e che si trovavano dove adesso si trovano le sale cubane del Museo Nazionale.
Lo storico Jacobo de la Pezuela dice che nel costruire le nuove costruzioni fuori dalle mura nel 1824, rimase libero l’isolato compreso fra le vie Galiano, Reina, Águila e Dragones. Lì senza ordine né concertazione e per soddisfare i clienti di quella zona, si stabilirono molti venditori di pezzi di ricambio  che vendevano i loro prodotti in cassette di legno montate su ruote. Miguel Tacón, governatore generale dell’Isola, volle porre fine a quei chioschetti brutti e ineguali e dotare quella zona avanera di un mercato degno di lei. Dette l’ incarico del progetto a Emanuel Pastor e l’ingegnere principale dell’amministrazione coloniale concepì un edificio in muratura di due piani di circa cento per 145 metri, con gallerie coperte e sostenute da colonne di pietra. In relazione a questo edificio, Joaquín Weiss, uno dei grandi studiosi dell’architettura cubana, affermò che per la sau concezione e condizione “è possibile che eguagliasse e superasse i mercati esistenti a quel tempo in Spagna”.
Tacón mise il suo nome a tutto ciò che alla sua epoca costruì all’Avana: il mercato, il carcere, la paseggiata, il teatro...Il mercato di Tacón fu conosciuto, sopratuttto, per la Plaza del Vapor. In questo intervenne un personaggio che lo scriba ha citato molte volte, il catalano Francisco Marty, commerciante delcontorno del Governatore Generale, costruttore e impresario del teatro Tacón: l’uomo che controllava il monopolio del pesce nella capitale. In una osteria di sua proprietà che dava alla calle Galiano, nel Mercato, Marty fece collocare un quadro in cui si riproduceva l’immagine del battello Neptuno, il primo a vapore che si conoscesse nell’Isola e che a partire dal 1819 compì il viaggio Avana-Matanzas-Avana. Fu l’immagine di questa imbarcazione quello che terminò col dare nome all’edificio.
All’alba del 7 settembre del 1872, un incendio vorace distrusse completamente l’immobile, per cui si eresse un mercato provvisorio nella Plaza de Marte, attuale Parque de la Fraternidad Americana. Due anni più tardi la Junta de Obras Públicas determinò di costruire un nuovo mercato nel luogo che occupava quello distrutto e che si sarebbe chiamato ugualmente Plaza del Vapor. Il nuovo edificio, opera dell’architetto Rayneri Sorrentino, costituì, grazie al sistema di travi e piastrelle, tutta una novità all’Avana dal punto di vista tecnico e causò ammirazione per il disegno delle verande di ferro forgiato tra l’interrato e il piano superiore.
Nel 1918 questo edificio non privo di eleganza e che esaltava solide armature di ferro nel cortile centrale, smise di essere mercato. I suoi venditori furono trasferiti nei terreni di quella che fu la stazione ferroviaria di Villanueva, dove poi si elevò il Capitolio e poi trasferiti al Mercato Unico di Cuatro Caminos. Fu allora che si demolirono le armature metalliche del cortile, cosa che consentì di guadagnare spazio dove si poterono effettuare partite di baseball e calcio. Lo storico Emilio Roig scrisse che la Plaza del Vapor fu sempre un mercato. La parte esterna dell’edifico non cessò mai di essere occupata da piccol rivendite di ogni tipo che fungevano da vendita di frutta, prodotti del mare, fiori, erbe medicinali, barberie, sartorie, cappellerie, calzolerie...e qualsiasi altra cosa che fosse possibile vendere, perfino carezze nelle notti. Il piano superiore e principale era occupato dagli appartamenti di circa 200 famiglie e l’edificio si convertì nel vero e proprio mercato del biglietto. Lì si vendeva non meno del 50 per cento dei biglietti della lotteria che si stampavano per tutto il Paese.` Il biglietto che non si trovava lì, non sarebbe apparso in nessun altro posto.
Nel 1947 il Ministero della Salute chiuse il mercato di Colón o della Piazza della Polveriera e i venditori che vi operavano si riubicarono nel cortile centrale della Plaza del Vapor, con questo terminarono i giochi di baseball e calcio. All’inizio della Rivoluzione, il Ministero della Salute Pubblica dichiarò il luogo insalubre, il luogo e i venditori che vi operavano furono riubicati in un terreno della calle Amistad fra Estella e Monte, dove per anni ebbe sede l’accademia di ballo di Marte e Belona, demolita in quei giorni. Sergio R. San Pedro del Valle nel suo libro Vivido ayer (Miami, 2008) dice che erano oltre 160 i commercianti che aprivano le loro porte alla Plaza.
Viyaya
In quei giochi di baseball che si organizzavano nel suo cortile centrale il Deportivo Tacón, squadra del quartiere, godette di un’enorme popolarità perché con lei giocava un’abitante de la Plaza del Vapor: Eulalia González, più conosciuta come Viyaya. La ragazza giocava come iniziale come qualunque giocatore consacrato. Ma non solo nella Plaza, ma in qualunque luogo famoso della capitale e in alcune località dell’interno, nelle decadi degli anno ’40 e ’50.
Giocò in varie posizioni e fu anche lanciatrice, ma dove divenne celebre fu nella prima base. Elio Menéndez, premio nazionale di Giornalismo, dice: “Era talmente tanto quello che sollevava con il guantone che per aumentare l’interesse dello spettacolo, i direttivi della Lega Cubana la invitarono, a volte, alle pratiche che precedono gli incontri ufficiali, di modo che il pubblico presente si deliziasse vedendola ricevere le fucilate dei lanciatori professionisti”.
Emerse più nella difesa che alla battuta, anche se non fu nemmeno un “nessuno” vestito da giocatore di baseball. I lanciatori rivali non avevano riguardi con lei. Nessun lanciatore avrebbe ben visto che una donna gli rispondesse con la battuta e per evitarlo le rendevano la palla sdrucciolevole, cosa che dette origine a diverse risse.
Nell’aprile 1947 venne a Cuba l’imprenditore nordamericano Max Carey con due squadre di baseball formate da donne e fece un contratto a Viyaya perché giocasse negli Stati Uniti. Lei andò e tornò dopo poco tempo, per continuare a giocare nei campi della capitale.
Una vita da film
Sergio González ebbe una vita da film. Nacque ad Aguada de pasajeros, nel 1921 e per nove anni si preparò al sacerdozio nei seminari di San Basilio il Magno, di Santiago de Cuba e San Carlo e Sant’Ambrogio dell’Avana. Da lì il suo soprannome. Lo chiamavano con affetto Il Pretino.
Molte furono le sue prodezze. Imprigionato al Castillo del Príncipe, vi organizzò uno sciopero della fame e fu protagonista di una fuga spettacolare. Fu responsabile del sabotaggio ai depositi di combustibile della raffineria Belot, la cui fumata nera dimostrò agli avaneri, per diversi giorni, che si riattivava la lotta contro Batista e organizzò la cosiddetta notte delle Cento Bombe, con la quale dimostrò che la dittatura non poteva controllare la città. Questa fu un’azione che Il Pretino pianificò con molta cura, dette ordine tassativo ai suoi uomini che non si dovevano causare vittime e in realtà non ce ne furono.
Le forze repressive lo perseguivano senza sosta. L’11 marzo 1958 un emissario della Sierra Maestra, a nome di Fidel, chiese al Pretino che si trasferisse sulle montagne al fine di preservargli la vita. Rispose all’emissario che rispettava l’autorità del Comandante in Capo, ma il suo luogo era all’Avana. Il giorno 18 cadde in una trappola in un appartamento del Vedado. Nel Buró de Investigaciones lo torturarono con accanimento. Il giorno seguente il suo cadavere, crivellato di colpi, apparve in Athabana.

Il Pretino lavoró in una piccola tipografia installata nella Plaza del Vapor. Li si stampó in modo clandestino la prima edizione de La historia me absolverá, il documento di Fidel letto ai giudici del processo per i fatti della caserma Moncada. La distribuzione dell’opuscolo nel Paese, prima dell’amnistia dei partecipanti all’assalto, nel 1955, contribuí in modo determinante a forgiare l’avanguardia che vrebbe capeggiato la lotta armata contro Batista.

(n.d.t., per "plaza", si intende anche mercato oltre che piazza vera e propria)


La Plaza del Vapor
Ciro Bianchi Ross * 
digital@juventudrebelde.cu
9 de Mayo del 2015 22:02:58 CDT

“En La Habana se encuentra un famoso mercado en cada barrio, pero el
mejor de todos es el de la Plaza del Vapor. En el interior de este
edificio se vende la carne y toda especie de legumbres y verduras, y
en el exterior las frutas. Pero lo que sorprende es la mezcolanza y
variedad, pues al lado de naranjas y piñas se encuentra un lujoso
almacén de ropas, y todas las galerías están plagadas de baratillos.
De noche particularmente presenta mucha animación, hallándose toda la
plaza alumbrada con gas y muy visitada por las muchachas de extramuros
que van a hacer sus compras. La Plaza del Vapor, además, encierra
cafés, barberías y toda especie de establecimientos; puede decirse que
es la capital de La Habana, así como el Palais Royal podría llamarse
la capital de París”.
El colombiano Nicolás Tanco Armero, el autor de las palabras citadas,
vivió en La Habana a mediados de la década de 1850. Sus ideas
políticas conservadoras lo habían llevado a la cárcel en su país y,
sin un centavo, abrigaba la esperanza de hacerse rico en Cuba.  Corría
el año de 1853 y aquí acababa de constituirse una poderosa sociedad
para explotar el tráfico de chinos. Sus directivos repararon en Tanco;
era ambicioso, tenía buenos modales, dominaba a la perfección el
inglés y el francés. Lo ficharon. La elección no pudo ser más
afortunada: Tanco organizó con diabólica eficacia el tráfico de
chinos, no solo hacia La Habana sino también hacia El Callao, y más de
200 000 esclavos amarillos atravesaron “las aguas negras” gracias a
sus oficios.
El investigador cubano Juan Pérez de la Riva lo definió como un
erudito con vocación de negrero”, porque Tanco publicó en París,  en
1881, un libro interesantísimo, Viaje de Nueva Granada a China y de
China a Francia, donde incluyó no pocas referencias --y algunas de
ellas muy agudas--  sobre La Habana que le tocó conocer, como su visión
de la Plaza del Vapor que se reprodujo antes. Lo curioso del asunto --y
por eso la incluyó el escribidor-- es que la Plaza del Vapor que vio
Tanco Armero en el siglo XIX siguió siendo válida hasta 1958 y quizá
un poco después.
No cree el escribidor que sean muchos los jóvenes que sepan de qué se
está hablando cuando se alude a la Plaza del Vapor, conocida asimismo
con el nombre de Mercado de Tacón. Digamos enseguida que se trató de
la plaza o mercado que ocupó la manzana enmarcada por las calles
Galiano, Reina, Águila y Dragones, en Centro Habana. La edificación
fue demolida tras el triunfo de la Revolución, cuando se proyectó la
construcción en ese espacio de un gran edificio de apartamentos, idea
que no llegó a concretarse. Se decidió entonces construir en el lugar
el parque que llevaría el nombre de América Libre. En efecto, fue
construido, pero desconoce el escribidor si ese es su nombre oficial,
porque popularmente llamamos a dicho espacio el parque del Curita,
importante entronque del transporte de pasajeros en la capital.
Ahora bien, ¿quién fue El Curita?, ¿qué relación guarda la vieja Plaza
del Vapor con la vida de este valeroso combatiente revolucionario,
jefe de Acción y Sabotaje del Movimiento 26 de Julio, asesinado en
marzo de 1958?

Mejor que los de España

El primer mercado público con que contó La Habana se ubicó en la Plaza

de San Francisco. Fue trasladado, a petición de los frailes, a la
plaza que hoy conocemos como Vieja y que entonces se llamó Plaza
Nueva. No se trataba propiamente de un edificio, sino de tarimas,
techadas o no, para uso de los expendedores. Ya en 1836 se construyen
el mercado de Cristina, en la Plaza Vieja, y el del Cristo, en la
plaza de ese nombre. Se emplazarían los mercados de Tacón y de Colón,
que los habaneros llamaron siempre del Polvorín y que se ubicaban
donde ahora radican las salas cubanas del Museo Nacional.
Dice el historiador Jacobo de la Pezuela que al acometerse el ensanche
de extramuros de 1824, quedó yerma la manzana comprendida entre las
calles Galiano, Reina, Águila y Dragones. Allí, sin orden ni concierto
y para dar satisfacción a clientes de aquella zona, se establecieron
numerosos vendedores de abastos que expedían sus productos en casillas
de madera montadas sobre ruedas. Miguel Tacón, gobernador general de
la Isla, quiso acabar con dichos puestos feos y desiguales, y dotar a
aquella zona habanera de un mercado digno de ella. Encargó el proyecto
a Manuel Pastor, y el ingeniero principal de la administración
colonial concibió un edificio de albañilería de dos plantas de cien
por 145 varas, con galerías cubiertas y sostenidas por   columnas de
piedra. Respecto a esa edificación, Joaquín Weiss, uno de los grandes
estudiosos de la arquitectura cubana, afirmó que por su concepción y
condiciones “es posible que igualara y superara a los mercados
existentes en ese tiempo en España”.
Tacón puso su nombre a todo lo que, en su tiempo, construyó en La
Habana: el mercado, la cárcel, el paseo, el teatro... El Mercado de
Tacón fue conocido, sobre todo, por la Plaza del Vapor. Y en eso
intervino un personaje al que el escribidor ha aludido muchas veces,
el catalán Francisco Marty, negociante del entorno del Gobernador
General, constructor y empresario del teatro Tacón; el hombre que
controlaba el monopolio del pescado en la capital. En una fonda de su
propiedad y que daba a la calle Galiano, en el Mercado, Marty hizo
colocar un cuadro en que se reproducía la imagen del buque Neptuno, el
primero de vapor que se conoció en la Isla y que a partir de 1819
cumplió la travesía Habana-Matanzas-Habana. Fue la imagen de ese navío
lo que terminó dándole nombre al edificio.
En la madrugada del 7 de septiembre de 1872, un voraz incendio
destruyó totalmente el inmueble, por lo que se levantó un mercado
provisional en la Plaza de Marte, actual Parque de la Fraternidad
Americana. Dos años más tarde, la Junta de Obras Públicas determinó
edificar un nuevo mercado en el sitio que ocupara el destruido y que
se llamaría asimismo Plaza del Vapor. El nuevo edificio, obra del
arquitecto Rayneri Sorrentino, constituyó, gracias al sistema de viga
y losa,  toda una novedad en La Habana desde el punto de vista
técnico, y causó admiración por el diseño de las barandas de hierro
forjado del entresuelo y el piso alto.
En 1918 dejó de ser mercado este edificio no exento de elegancia y que
lucía sólidas armazones de hierro en el patio central. Sus vendedores
fueron ubicados en los terrenos de lo que fue la estación de trenes de
Villanueva, donde se alzó después el Capitolio, y trasladados, con
posterioridad, al Mercado Único de Cuatro Caminos. Fue entonces que se
demolieron las armazones de metal del patio, lo que propició ganar un
espacio donde se llevaron a cabo juegos de béisbol y balompié.
Escribió el historiador Emilio Roig que la Plaza del Vapor siempre fue
 mercado. La parte exterior del edificio no dejó nunca de estar
ocupada por unos pequeños establecimientos de todas clases, que
funcionaban como expendios de frutas, mariscos, flores, yerbas
medicinales, barberías, sastrería, sombrerería, zapaterías... y
cualquier otra cosa que fuese posible vender, hasta caricias por las
noches. El piso superior y principal estaba ocupado por las viviendas
de unas 200 familias, y el edificio se convirtió sobre todo en el
verdadero mercado habanero del billete. Allí se vendía no menos del 50
por ciento de los billetes de lotería que se imprimían, para todo el
país, en La Habana. El billete que no se encontrara allí, no aparecía
prácticamente en ningún otro sitio.
En 1947 el Ministerio de Salubridad clausura el Mercado de Colón o
Plaza del Polvorín, y los vendedores que operaban en ella se reubican
en el patio central de la Plaza del Vapor, con lo que finalizan los
juegos de pelota y balompié. A comienzos de la Revolución, el
Ministerio de Salud Pública declaró insalubre el lugar y sus
vendedores fueron reasentados en el terreno de la calle Amistad entre
Estrella y Monte, donde funcionó durante años la  academia de baile de
Marte y Belona, demolida en esos días. Dice Sergio R. San Pedro del
Valle en su libro Vivido ayer (Miami, 2008) que eran más de 160 los
comercios que abrían sus puertas en la Plaza.

Viyaya

En aquellos juegos de pelota que se organizaban en su patio central,
el Deportivo Tacón, equipo de la barriada, gozó de una popularidad
enorme porque en él jugaba una inquilina de la Plaza del Vapor:
Eulalia González, más conocida por Viyaya. La muchacha jugaba la
inicial como cualquier consagrado. Y no solo en la Plaza, sino en los
más renombrados placeres de la capital y aun en algunas localidades
del interior en las décadas de los 40 y los 50.
Jugó varias posiciones y hasta lanzó, pero donde se hizo célebre fue
en la primera base. Dice Elio Menéndez, premio nacional de Periodismo:
“Era tanto lo que levantaba con el mascotín que, para aumentar el
interés del espectáculo, los directivos de la Liga Cubana la invitaron
en ocasiones a las prácticas que precedían a los desafíos oficiales,
de manera que el público contribuyente disfrutara viéndola recibir los
escopetazos de los infielders profesionales”.
Sobresalió más a la defensiva que al bate, aunque tampoco fue un out
vestido de pelotero. Los pitcheres rivales no tenían consideración con
ella. Ningún lanzador veía bien que una mujer le bateara y para
evitarlo le arrimaban la bola, lo que dio origen a muchas trifulcas.
En abril de 1947 vino a Cuba el empresario norteamericano Max Carey
con dos grupos de pelota conformados por mujeres, y contrató a Viyaya
para que jugara en EE.UU. Ella fue y regresó al poco tiempo, para
seguir jugando en los terrenos de la capital.

Una vida de Película

Sergio González tuvo una vida de película. Nació en Aguada de
Pasajeros, en 1921, y durante nueve años se preparó para el sacerdocio
en los seminarios de San Basileo el Magno, de Santiago de Cuba, y San
Carlos y San Ambrosio, de La Habana. De ahí su sobrenombre. Le
llamaban con cariño El Curita.
Fueron múltiples sus hazañas. Encarcelado en el Castillo del Príncipe,
organizó allí una huelga de hambre y protagonizó luego una fuga
espectacular. Fue el responsable del sabotaje a los tanques de
combustible de la refinería Belot, cuya negra humareda, durante varios
días, demostró a los habaneros que se reactivaba la lucha contra
Batista y organizó la llamada Noche de las Cien Bombas, con la que
demostró que la dictadura no podía ya controlar la ciudad. Esta fue
una acción que El Curita planeó con sumo cuidado, pues exigió a sus
participantes que no podía ocasionar víctimas, y no las hubo
realmente.
Las fuerzas represivas lo perseguían sin descanso. El 11 de marzo de
1958 un emisario de la Sierra Maestra, a nombre de Fidel, pidió a El
Curita que se trasladara a las montañas a fin de preservarle la vida.
Respondió al emisario que respetaba la autoridad del Comandante en
Jefe, pero que su lugar estaba en La Habana. El día 18 cayó en una
trampa en un apartamento del Vedado. En el Buró de Investigaciones lo
torturaron con saña. Al día siguiente, su cadáver, cosido a balazos,
aparecía en Altabana.
El Curita laboró en una pequeña imprenta instalada en la Plaza del
Vapor. Allí se imprimió de manera clandestina la primera edición de La
historia me absolverá, el alegato de Fidel ante sus jueces por los
sucesos del cuartel Moncada. La distribución del opúsculo en el país,
antes de la amnistía de los moncadistas, en 1955, contribuyó de manera
decisiva a forjar la vanguardia que encabezaría la lucha armada contra
Batista.
 
Ciro Bianchi Ross
cbianchi@enet.cu
http://wwwcirobianchi.blogia.com/
http://cbianchiross.blogia.com/

Cuba all'Expo di Milano

Ricevo e pubblico informazioni sulla presenza cubana alla Esposizione Universale di Milano, come sempre ringrazio l'attento amico Luca Lombroso

Ciao Aldo

ecco qualcosa su Cuba a Expo
http://www.expo2015.org/it/partecipanti/paesi/cuba
Cuba | Expo Milano 2015
Tema della partecipazione: "Sulla strada per l’indipendenza alimentare"
Il concept
A Expo Milano 2015, il Padiglione cubano celebra la sua visione di "Cuba - Sulla strada per l’indipendenza alimentare", con intuizioni sui due temi chiave della prossima Esposizione Universale: il cibo nelle culture e tra i gruppi etnici del mondo e la scienza per la sicurezza e la qualità alimentare.
Il Padiglione di Cuba propone la cucina come chiave dell'identità del Paese che rivela il modo cubano di intendere la vita e la convivenza con la natura, elemento essenziale della sua espressione artistica e culturale. Raccontando la sua storia cubana attraverso la cucina, si percepisce una fusione di influenze tra aborigeni, spagnoli, africani, francesi, franco-haitiani, cinesi, arabi e creoli che permeano le creazioni culinarie cubane. Questo mix culturale si applica anche ai ricchi prodotti locali come il tabacco, un prodotto di lusso originale cubano; la canna da zucchero, importato in Europa da Cristoforo Colombo; il rum "massima espressione della canna da zucchero" piacere insuperabile e patrimonio dell'identità cubana; il caffè, portato dai francesi dopo la rivoluzione anti-schiavitù ad Haiti nel tardo 18° secolo e il cacao, introdotto dagli spagnoli, che a Baracoa, primo villaggio di Cuba, viene coltivato e utilizzato secondo le antiche tradizioni.
Come parte del Cluster sul Cacao, a Expo Milano 2015 Cuba descrive la sua Stazione di Ricerca che si dedica alla ricerca e alla produzione di ibridi resistenti alle epidemie. La Stazione dispone anche di un deposito di plasma germinale che conserva almeno dieci campioni di ciascuno dei 256 genotipi di cacao esistenti nel Paese.
Il gusto è conoscenza e perciò, prima di lasciare il padiglione, i visitatori sono invitati a provare un assaggio di Cuba, scegliendo tra rum o tabacco, e a partecipare alle degustazioni di caffè e cacao. Un barman è a disposizione per condurre i visitatori a degustare genuine bevande cubane.
Sulla strada per l’indipendenza alimentare


luca lombroso
www.lombroso.it
luca@lombroso.it

lunedì 11 maggio 2015

Per chi volesse alloggi in case private a Cuba

Ricevo e pubblico la segnalazione di un sito che offre un'ampia scelta di case "particular" a Cuba. Per chi fosse interessato:

www.yourcasaparticular.com

Salatino

SALATINO: Tino cosparge di sale