Pubblicato su Juventud Rebelde del 4/10/15
In occasione della serie sui
terreni del Capitolio, pubblicata in questo giornale i giorni 13, 20 e 27 di
settembre scorso, non poche persone mi hanno fermato per strada per domandare
quanti operai e tecnici hanno lavorato nella costruzione di questo edificio.
Il dato interessante per se
stesso, ha anche tinta di aneddoto. Accade che Carlos Miguel de Céspedes,
segretario (ministro) delle Opere Pubbliche del presidente Gerardo Machado e
massimo interessato nello spingere la costruzione, “volle riunire sulla
scalinata tutti i costruttori che giorno per giorno, con il loro sforzo
creatore, eressero quest’opera faraonica e fotografarli, tutti assieme, come
documento e ricordo”.
La scena in questione fu
catturata allo stesso tempo da circa 30 fotoreporter della stampa nazionale,
qualche corrispondente straniero e alcuni fotografi professionisti. L’immagine,
catturata dalle fotocamere, si considera la fotografia “dove hanno posato a
Cuba”, scrive José Oller nel multitudinario ritratto ne El multitudinario retrato de los constructores del Capitolio che ha
dato a conoscere già da un po’ di tempo
sulla sua colonna del sito digitale cubaperiodistas.cu.
Oller ricorda che Rafael
Pegudo che era stato reporter grafico del giornale El Mundo e professore di
Fotografia della Scuola di Giornalismo Manuel Márquez Sterling, gli raccontò
nel 1980 che quando la costruzione del Capitolio stava per essere ultimata, “il
Dinamico” che era come soprannominavano Carlos Miguel, chiese all’architetto
Eugenio Rayneri, direttore tecnico e artistico dell’opera che prendesse le
misure pertinenti perché la fotografia si realizzasse secondo le sue
indicazioni. Carlos Miguel voleva la disposizione ordinata sulla scalinata di
tutti i lavoratori. Rayneri e la sua equipe, allora, fecero una mappa,
censirono il numero di lavoratori che prestava servizio in ogni area e a
partire da li calcolarono lo spazio che avrebbe occupato sulla scalinata ogni
settore o fronte di lavoro. Nel centro ci sarebbe stato un posto d’onore per
Carlos Miguel e il presidente Machado.
“Lo studio previo,
realizzato dal gruppo di Rayneri, indicò che c’erano circa cinquemila operai
cubani, spagnoli e di altre nazionalità lavorando al pié di opera come
capigruppo, falegnami, spaccapietre, elettricisti, muratori, giardinieri, meccanici,
scultori, fabbri, cuochi, manovali e personale d’appoggio. Si comprendeva un
centinaio che avevano già concluso il loro compito e gli specialisti di una
ventina di aziende cubane e straniere contrattate per le rifiniture. Senza
dubbio, altri temila lavoratori, non potevano essere fotografati perché
lavoravano in studi in Italia, Francia e Inghilterra creando sculture o quadri
o fabbricando utensili, tende e decorazioni che inviavano all’Avana”. Scrive
José Oller ne El multitudinario retrato
de los constructores del Capitolio.
Rayneri e Manuel Martínez
Illa, capo della Fotografia della Segreteria delle Opere Pubbliche, studiarono
la posizione del Sole nei diffferenti orari e stabilirono che la foto doveva
farsi tra le 10 e le 11 del mattino. Accordarono anche l’altezza e la
collocazione di una piattaforma che avrebbero messo di fronte alla scalinata
affinché fotografi e operatori cinematografici avessero ua miglior visuale. I
dirigenti dell’impresa Purdy&Henderson, incaricata della costruzione dell’edificio,
offrirono un premio al fotografo che captasse la miglior immagine del gruppo.
Il sabato 9 febbraio del
1929 fu il giorno scelto per la foto; il Capitolio si sarebbe inaugurato il 20
di maggio successivo. Alla mattina, molto presto, operai, tecnici e dirigenti
andavano ad occupare le posizioni che avevano assegnate sulla scalinata. Giunse
anche la stampa. Pegudo che allora lavorava per la rivista Carteles, ricordava
nella sua conversazione con José Oller, la presenza dei reporter grafici de El
Mundo, Bohemia, Diario de la Marina, Heraldo de Cuba, Excélsior, La
Prensa...Federico Gilbert, capo della fotografia del giornale El País, giunse
con tutto il personale del suo reparto. Ai piedi della piattaforma li salutava
il capo della fotografia delle Opere Pubbliche a chi Carlos Miguel aveva
affidato l’attenzione ai giornalisti. Arrivò anche il fotografo della
segreteria delle Opere Pubbliche e Arturo Martínez Illa, fratello del capo
reparto che prcorreva l’Isola con la sua fotocamera panoramica e catturava
immagini di industrie e zuccherifici, oltre a grandi concentramenti di persone.
Manuel lo aveva invitato a partecipare alla megafoto, perché la
Segreteria era carente di una camera come la sua. Tutti i fotografi salirono
sulla piattaforma e installarono le loro enormi camere, pronti a captare
l’avvenimento.
Oller scrive in
cubaperiodistas.cu:
“Alle 10.30 di mattina, un
presentatore annunciava tramite gli altoparlanti collocati nei dintorni della
scalinata, l’arrivo del presidente Machado e di Carlos Miguel de Céspedes. Dopo
i saluti e le acclamazioni si rimisero tutti nelle loro posizioni. Si udì
nuovamente la voce dell’annunciatore indicando che i fotografi erano pronti per
fotografarli e dovevano mantenersi fermi e guardando le camere. Immediatamente
gli otturatori di circa 30 camere cominciarono a funzionare. Dieci minuti dopo,
Machado alzò le braccia per salutare i fotografi e dopo gli operai che erano ai
lati e sul fondo. In mezzo ad applausi e acclamazioni se ne andarono e in circa
20 minuti la scalinata rimase deserta; sulla piattaforma, alcuni fotografi
sparsi raccoglievano le loro fotocamere e lastre”.
Il premio alla miglior foto
(150 pesos e diploma) corrispose a Octavio de la Torre, fotografo di Opere
Pubbliche e il secondo (75 pesos e diploma) fu per la panoramica di Arturo
Martínez Illa. Ognuno dei fotografati ricevette una copia della fotografia,
come ricordo e omaggio per aver dedicato circa tre anni alla costruzione del
Capitolio. Un compito enorme cadde su Manuel Martínez Illa e al suo aiutante
Octavio de la Torre per le numerose copie che Carlos Miguel chiedeva per
regalare.
José Oller precisa che
cinque lavoratori persero la vita mentre lavoravano alla costruzione del
Capitolio e conclude:
“Il talento di tutti questi
uomini si ricorda in una semplice e onorata targa posta in una delle sue
pareti: Una preghiera per quelli che dettero la loro vita. Un ricordo per tutti
quelli che posero in queste pietre braccia, scienza e anima”.
Ambasciata
americana
Il lettore Félix León Pérez,
capo del Gruppo di Assicurazione e Gestione della Qualitá di Cubana de Acero, chiede informazioni
sull’ambasciata nordamericana all’Avana.
Questa sede diplomatica non
sempre fu dove si trova adesso. Lo scriba non ha idea precisa di tutti i luoghi
dove ebbe sede – non ha trovato informazioni nonostante everle cercate – ma sa
che per un periodo ebbe sede nel cosiddetto Palazzo di Echarte, nella Calle
Santa Catalina (nella calle, non l’avenida) nel Cerro. Anche nell’Avenida de
las Misiones numero 5 che fu, alla vigilia della caduta della dittatura di
Machado, lo scenario della mediazione che fece Benjamín Sumner Welles, inviato
del presidente Roosvelt, per frustrare la rivoluzione del ’33 e prorogare il
machadato senza Machado.
La rappresentanza
nordamericana nella capitale cubana è stata anche nell’edificio Horter, in
Obispo tra Oficios e Baratillo, di fronte alla Plaza de Armas. Non in tutto
l’edificio che dava spazio anche a studi e uffici, fra questi la Camera di
Commercio Americana. Questo fu negli anni ’40. Mi dicono che in altri tempi fu
in Galiano, angolo Malecón, dove adesso c’è l’hotel Deauville e in Prado e
Trocadero, residenza che fu del maggior generale José Miguel Gómez. Non lo
posso assicurare.
Nel 1953 l’ambasciata
inaugurò il suo nuovo edificio compreso fra le calles Calzada, Malecón, L e M.
È opera degli architetti statunitensi Max Abramovitz (1908-2004) e Wallace
Harrison (1895-1981) della ditta Harrison&Abramovitz, la stessa che
progettò il Lincoln Center e l’edificio dell’Organizzazione delle Nazioni
Unite. Un altro architetto, anch’egli nordamericano, della California, Thomas
D. Church, assunse i giardini e l’arredamento fu a carico di Knoll Associates.
Palazzo
di durañona
Un lettore chiede di questo
palazzo.
È uno degli edifici
emblematici di Marianao; è ubicato nell’Avenida 51 angolo 118. Costruito nel
1858 da Francisco Durañona, ricco imprenditore spagnolo, padrone dello
zuccherificio Toledo e socio dell’impresa ferroviaria Marianao-Avana. I nome
dello zuccherificio si deve alla città natale del suo proprietario.
Nella guerra del 1895, il
Palazzo fu ospedale militare. Alla fine della contesa, quartier generale
dell’Esercito nordamericano e residenza del generale Lee, governatore militare
dell’Avana.
Dopo l’occupazione militare
nordamericana del 1906, sede del Governo interventista e il 29 di giugno del
1913, Menocal lo convertì in Palazzo Presidenziale estivo.
Fu inoltre accademia delle
arti manuali, internato maschile Claudio Dumas e sede di un tabacchificio.
Oggi ospita l’accademia di
balletto Pro Danza, diretta da Laura Alonso.
Una foto monumental
Ciro Bianchi Ross • digital@juventudrebelde.cu
3 de Octubre del 2015 20:20:48 CDT
Con motivo de la serie sobre los terrenos del
Capitolio, publicada en
este diario los días 13, 20 y 27 de septiembre
pasados, no pocas
personas me han interceptado en la calle para
preguntar cuántos
obreros y técnicos laboraron en la construcción
de ese edificio.
El dato, interesante de por sí, está matizado
por la anécdota. Sucede
que Carlos Miguel de Céspedes, secretario
(ministro) de Obras Públicas
del presidente Gerardo Machado y máximo impulsor
de la edificación,
«quiso reunir en la escalinata a todos los
constructores que día a
día, con su esfuerzo creador, levantaron esa
obra faraónica y
retratarlos a todos juntos como documento y
recuerdo».
La escena en cuestión fue captada al mismo
tiempo por unos 30
fotorreporteros de la prensa nacional, algún que
otro corresponsal
extranjero y algunos fotógrafos profesionales.
La imagen atrapada por
las cámaras se considera la fotografía «donde
mayor número de personas
ha posado en Cuba», escribe José Oller en El
multitudinario retrato de
los constructores del Capitolio, que hace ya
bastante tiempo dio a
conocer en su columna del sitio digital
cubaperiodistas.cu.
Recuerda Oller que Rafael Pegudo, que había sido
reportero gráfico del
periódico El Mundo y profesor de Fotografía de
la Escuela de
Periodismo Manuel Márquez Sterling, le contó en
1980 que cuando la
construcción del Capitolio estaba a punto de
finalizar, «el Dinámico»,
que era como apodaban a Carlos Miguel, pidió al
arquitecto Eugenio
Rayneri, director técnico y artístico de la
obra, que tomara las
medidas pertinentes para que la fotografía se
realizara según sus
indicaciones. Quería Carlos Miguel la
disposición ordenada en la
escalinata de todos los trabajadores. Rayneri y
su equipo entonces
levantaron un plano, precisaron el número de
trabajadores que prestaba
servicio en cada área y calcularon a partir de
ahí el espacio que
ocuparía en la escalinata cada sector o frente
de trabajo. En el
centro habría un lugar de honor para Carlos
Miguel y el presidente
Machado.
«El estudio previo realizado por el equipo de
Rayneri indicó que había
unos cinco mil obreros cubanos, españoles y de
otras nacionalidades
trabajando a pie de obra como capataces,
carpinteros, canteros,
electricistas, albañiles, jardineros, mecánicos,
escultores,
cerrajeros, cocineros, peones y personal de
apoyo. Se incluía a unos
cientos de trabajadores que ya habían concluido
sus tareas y a los
especialistas de una veintena de empresas
cubanas y extranjeras
contratadas para el acabado. Sin embargo, otros
tres mil trabajadores
no podían retratarse porque trabajaban en
talleres de Italia, Francia
e Inglaterra creando las esculturas y cuadros o
fabricando herrajes,
cortinas y decorados que enviaban a La Habana»,
escribe José Oller en
El multitudinario retrato de los constructores
del Capitolio.
Rayneri y Manuel Martínez Illa, jefe de
Fotografía de la Secretaría de
Obras Públicas, estudiaron la posición del Sol
en los distintos
horarios y determinaron que la foto debía
hacerse entre las 10 y las
11 de la mañana. Acordaron también la altura y
ubicación de una
plataforma que situarían frente a la escalinata
para que los
fotógrafos y camarógrafos tuvieran una mejor
visualización. Los
ejecutivos de la empresa Purdy&Henderson,
encargada de la construcción
del edificio, ofrecieron un premio al fotógrafo
que captara la mejor
imagen del grupo.
El sábado 9 de febrero de 1929 fue el día
escogido para la foto; el
Capitolio se inauguraría el 20 de mayo
siguiente. Muy temprano en la
mañana, obreros, técnicos y dirigentes fueron
ocupando las posiciones
que tenían asignadas en la escalinata. Arribó
también la prensa.
Pegudo, que trabajaba entonces para la revista
Carteles, rememoraba en
su conversación con José Oller la presencia de
los reporteros gráficos
de El Mundo, Bohemia, Diario de la Marina,
Heraldo de Cuba, Excélsior,
La Prensa… Federico Gilbert, jefe de Fotografía
del periódico El País,
llegó con todo el personal de su departamento.
Al pie de la plataforma
los saludaba el jefe de Fotografía de Obras
Públicas a quien Carlos
Miguel confiara la atención de los periodistas.
Llegó además el
fotógrafo de la Secretaría de Obras Públicas y
Arturo Martínez Illa,
hermano del jefe del departamento, que recorría
la Isla con su cámara
panorámica y atrapaba imágenes de industrias y
centrales azucareros y
grandes concentraciones de personas. Manuel lo
había invitado a
participar de la megafoto porque la Secretaría
carecía de una cámara
como la suya. Todos los fotógrafos subían a la
plataforma e instalaban
sobre trípodes sus enormes cámaras, preparados
para captar el
acontecimiento.
Escribe Oller en cubaperiodistas.cu:
«A las 10 y 30 de la mañana un locutor anunciaba
por unos altavoces
colocados en los alrededores de la escalinata la
llegada del
presidente Machado y Carlos Miguel de Céspedes.
Después de los saludos
y aclamaciones se situaron todos en sus
posiciones. De nuevo se
escuchó la voz del locutor indicando que los
fotógrafos estaban listos
para fotografiarlos y debían permanecer quietos
y mirando a las
cámaras. De inmediato los obturadores de unas 30
cámaras comenzaron a
funcionar. Diez minutos después Machado alzó los
brazos para saludar a
los fotógrafos y después a los obreros que
estaban a los lados y al
fondo. En medio de aplausos y aclamaciones se
marcharon y en unos 20
minutos la escalinata quedó vacía; en la
plataforma algunos fotógrafos
rezagados recogían sus cámaras y placas».
El premio a la mejor foto (150 pesos y diploma)
correspondió a Octavio
de la Torre, fotógrafo de Obras Públicas, y el
segundo (75 pesos y
diploma) fue para la panorámica de Arturo
Martínez Illa. Cada uno de
los fotografiados recibió una copia de la
fotografía, como recuerdo y
homenaje por haber dedicado unos tres años a la
construcción del
Capitolio. Una tarea enorme cayó sobre Manuel
Martínez Illa y su
ayudante Octavio de la Torre por las numerosas
fotocopias que Carlos
Miguel pedía para regalar.
Precisa José Oller que cinco trabajadores
perdieron la vida mientras
laboraban en la construcción del Capitolio, y
concluye:
«El talento de todos estos hombres se recuerda
en una sencilla y
honrosa placa situada en una de sus paredes: Una
plegaria para los que
dieron su vida. Un recuerdo para todos los que
pusieron en estas
piedras brazos, ciencia y espíritu».
Embajada
americana
Información sobre la embajada norteamericana en
La Habana inquiere el
lector Félix León Pérez, jefe del Grupo de
Aseguramiento y Gestión de
la Calidad de Cubana de Acero.
Esa sede diplomática no siempre radicó donde
ahora. El escribidor no
tiene una idea precisa de todos los lugares
donde estuvo emplazada —no
ha conseguido la información por más que la ha
buscado—, pero sabe que
en una época radicó en el llamado Palacio de
Echarte, en la calle
Santa Catalina (en la calle, no en la avenida)
en el Cerro. También en
Avenida de las Misiones número 5, que fue,
vísperas de la caída de la
dictadura de Machado, el escenario de la
mediación que libró Benjamín
Sumner Welles, enviado del presidente Roosevelt,
para frustrar la
revolución del 33 y prorrogar el machadato sin
Machado.
La representación norteamericana en la capital
cubana estuvo también
en el edificio Horter, en Obispo entre Oficios y
Baratillo, frente a
la Plaza de Armas. No en todo el edificio, que
daba cabida además a
bufetes y oficinas, entre estas la de la Cámara
Americana de Comercio.
Eso fue en los años 40. Me dicen que en otros tiempos
estuvo en
Galiano esquina a Malecón, donde ahora está el
hotel Deauville, y en
Prado y Trocadero, residencia que fuera del
mayor general José Miguel
Gómez. No puedo asegurarlo.
En 1953 la embajada inauguró su nuevo edificio
enmarcado por las
calles Calzada, Malecón, L y M. Es obra de los
arquitectos
estadounidenses Max Abramovitz (1908-2004) y
Wallace Harrison
(1895-1981) de la firma Harrison&Abramovitz,
la misma que proyectó el
Lincoln Center y el edificio de la Organización
de Naciones Unidas.
Otro arquitecto, también norteamericano, de
California, Thomas D.
Church, asumió los jardines, y el mobiliario
estuvo a cargo de Knoll
Associates.
Palacio
de durañona
Pregunta un lector sobre este palacio.
Es uno de los edificios emblemáticos de
Marianao; se ubica en la
Avenida 51 esquina a 118. Construido en 1858 por
Francisco Durañona,
rico empresario español, dueño del central
Toledo y socio de la
empresa del ferrocarril Marianao-Habana. El
nombre del central obedece
al de la ciudad natal de su propietario.
En la guerra del 95, el Palacio fue hospital
militar. Y al finalizar
la contienda, cuartel general del Ejército
norteamericano y residencia
del general Lee, gobernador militar de La
Habana.
Tras la ocupación militar norteamericana de
1906, sede del Gobierno
interventor, y el 29 de junio de 1913 Menocal lo
convirtió en Palacio
Presidencial de verano.
Fue además academia de artes manuales, internado
de varones Claudio
Dumas y sede de una tabaquería.
Alberga hoy la academia de ballet Pro Danza, que
dirige Laura Alonso.