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lunedì 5 ottobre 2015

Una foto monumentale, di Ciro Bianchi Ross

Pubblicato su Juventud Rebelde del 4/10/15

In occasione della serie sui terreni del Capitolio, pubblicata in questo giornale i giorni 13, 20 e 27 di settembre scorso, non poche persone mi hanno fermato per strada per domandare quanti operai e tecnici hanno lavorato nella costruzione di questo edificio.
Il dato interessante per se stesso, ha anche tinta di aneddoto. Accade che Carlos Miguel de Céspedes, segretario (ministro) delle Opere Pubbliche del presidente Gerardo Machado e massimo interessato nello spingere la costruzione, “volle riunire sulla scalinata tutti i costruttori che giorno per giorno, con il loro sforzo creatore, eressero quest’opera faraonica e fotografarli, tutti assieme, come documento e ricordo”.
La scena in questione fu catturata allo stesso tempo da circa 30 fotoreporter della stampa nazionale, qualche corrispondente straniero e alcuni fotografi professionisti. L’immagine, catturata dalle fotocamere, si considera la fotografia “dove hanno posato a Cuba”, scrive José Oller nel multitudinario ritratto ne El multitudinario retrato de los constructores del Capitolio che ha dato a conoscere già da un po’ di  tempo sulla sua colonna del sito digitale cubaperiodistas.cu.
Oller ricorda che Rafael Pegudo che era stato reporter grafico del giornale El Mundo e professore di Fotografia della Scuola di Giornalismo Manuel Márquez Sterling, gli raccontò nel 1980 che quando la costruzione del Capitolio stava per essere ultimata, “il Dinamico” che era come soprannominavano Carlos Miguel, chiese all’architetto Eugenio Rayneri, direttore tecnico e artistico dell’opera che prendesse le misure pertinenti perché la fotografia si realizzasse secondo le sue indicazioni. Carlos Miguel voleva la disposizione ordinata sulla scalinata di tutti i lavoratori. Rayneri e la sua equipe, allora, fecero una mappa, censirono il numero di lavoratori che prestava servizio in ogni area e a partire da li calcolarono lo spazio che avrebbe occupato sulla scalinata ogni settore o fronte di lavoro. Nel centro ci sarebbe stato un posto d’onore per Carlos Miguel e il presidente Machado.
“Lo studio previo, realizzato dal gruppo di Rayneri, indicò che c’erano circa cinquemila operai cubani, spagnoli e di altre nazionalità lavorando al pié di opera come capigruppo, falegnami, spaccapietre, elettricisti, muratori, giardinieri, meccanici, scultori, fabbri, cuochi, manovali e personale d’appoggio. Si comprendeva un centinaio che avevano già concluso il loro compito e gli specialisti di una ventina di aziende cubane e straniere contrattate per le rifiniture. Senza dubbio, altri temila lavoratori, non potevano essere fotografati perché lavoravano in studi in Italia, Francia e Inghilterra creando sculture o quadri o fabbricando utensili, tende e decorazioni che inviavano all’Avana”. Scrive José Oller ne El multitudinario retrato de los constructores del Capitolio.
Rayneri e Manuel Martínez Illa, capo della Fotografia della Segreteria delle Opere Pubbliche, studiarono la posizione del Sole nei diffferenti orari e stabilirono che la foto doveva farsi tra le 10 e le 11 del mattino. Accordarono anche l’altezza e la collocazione di una piattaforma che avrebbero messo di fronte alla scalinata affinché fotografi e operatori cinematografici avessero ua miglior visuale. I dirigenti dell’impresa Purdy&Henderson, incaricata della costruzione dell’edificio, offrirono un premio al fotografo che captasse la miglior immagine del gruppo.
Il sabato 9 febbraio del 1929 fu il giorno scelto per la foto; il Capitolio si sarebbe inaugurato il 20 di maggio successivo. Alla mattina, molto presto, operai, tecnici e dirigenti andavano ad occupare le posizioni che avevano assegnate sulla scalinata. Giunse anche la stampa. Pegudo che allora lavorava per la rivista Carteles, ricordava nella sua conversazione con José Oller, la presenza dei reporter grafici de El Mundo, Bohemia, Diario de la Marina, Heraldo de Cuba, Excélsior, La Prensa...Federico Gilbert, capo della fotografia del giornale El País, giunse con tutto il personale del suo reparto. Ai piedi della piattaforma li salutava il capo della fotografia delle Opere Pubbliche a chi Carlos Miguel aveva affidato l’attenzione ai giornalisti. Arrivò anche il fotografo della segreteria delle Opere Pubbliche e Arturo Martínez Illa, fratello del capo reparto che prcorreva l’Isola con la sua fotocamera panoramica e catturava immagini di industrie e zuccherifici, oltre a grandi concentramenti di persone. Manuel lo aveva invitato a partecipare alla megafoto, perché la Segreteria era carente di una camera come la sua. Tutti i fotografi salirono sulla piattaforma e installarono le loro enormi camere, pronti a captare l’avvenimento.
Oller scrive in cubaperiodistas.cu:
“Alle 10.30 di mattina, un presentatore annunciava tramite gli altoparlanti collocati nei dintorni della scalinata, l’arrivo del presidente Machado e di Carlos Miguel de Céspedes. Dopo i saluti e le acclamazioni si rimisero tutti nelle loro posizioni. Si udì nuovamente la voce dell’annunciatore indicando che i fotografi erano pronti per fotografarli e dovevano mantenersi fermi e guardando le camere. Immediatamente gli otturatori di circa 30 camere cominciarono a funzionare. Dieci minuti dopo, Machado alzò le braccia per salutare i fotografi e dopo gli operai che erano ai lati e sul fondo. In mezzo ad applausi e acclamazioni se ne andarono e in circa 20 minuti la scalinata rimase deserta; sulla piattaforma, alcuni fotografi sparsi raccoglievano le loro fotocamere e lastre”.
Il premio alla miglior foto (150 pesos e diploma) corrispose a Octavio de la Torre, fotografo di Opere Pubbliche e il secondo (75 pesos e diploma) fu per la panoramica di Arturo Martínez Illa. Ognuno dei fotografati ricevette una copia della fotografia, come ricordo e omaggio per aver dedicato circa tre anni alla costruzione del Capitolio. Un compito enorme cadde su Manuel Martínez Illa e al suo aiutante Octavio de la Torre per le numerose copie che Carlos Miguel chiedeva per regalare.
José Oller precisa che cinque lavoratori persero la vita mentre lavoravano alla costruzione del Capitolio e conclude:
“Il talento di tutti questi uomini si ricorda in una semplice e onorata targa posta in una delle sue pareti: Una preghiera per quelli che dettero la loro vita. Un ricordo per tutti quelli che posero in queste pietre braccia, scienza e anima”.

Ambasciata americana

Il lettore Félix León Pérez, capo del Gruppo di Assicurazione e Gestione della Qualitá  di Cubana de Acero, chiede informazioni sull’ambasciata nordamericana all’Avana.
Questa sede diplomatica non sempre fu dove si trova adesso. Lo scriba non ha idea precisa di tutti i luoghi dove ebbe sede – non ha trovato informazioni nonostante everle cercate – ma sa che per un periodo ebbe sede nel cosiddetto Palazzo di Echarte, nella Calle Santa Catalina (nella calle, non l’avenida) nel Cerro. Anche nell’Avenida de las Misiones numero 5 che fu, alla vigilia della caduta della dittatura di Machado, lo scenario della mediazione che fece Benjamín Sumner Welles, inviato del presidente Roosvelt, per frustrare la rivoluzione del ’33 e prorogare il machadato senza Machado.
La rappresentanza nordamericana nella capitale cubana è stata anche nell’edificio Horter, in Obispo tra Oficios e Baratillo, di fronte alla Plaza de Armas. Non in tutto l’edificio che dava spazio anche a studi e uffici, fra questi la Camera di Commercio Americana. Questo fu negli anni ’40. Mi dicono che in altri tempi fu in Galiano, angolo Malecón, dove adesso c’è l’hotel Deauville e in Prado e Trocadero, residenza che fu del maggior generale José Miguel Gómez. Non lo posso assicurare.
Nel 1953 l’ambasciata inaugurò il suo nuovo edificio compreso fra le calles Calzada, Malecón, L e M. È opera degli architetti statunitensi Max Abramovitz (1908-2004) e Wallace Harrison (1895-1981) della ditta Harrison&Abramovitz, la stessa che progettò il Lincoln Center e l’edificio dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Un altro architetto, anch’egli nordamericano, della California, Thomas D. Church, assunse i giardini e l’arredamento fu a carico di Knoll Associates.

Palazzo di durañona

Un lettore chiede di questo palazzo.
È uno degli edifici emblematici di Marianao; è ubicato nell’Avenida 51 angolo 118. Costruito nel 1858 da Francisco Durañona, ricco imprenditore spagnolo, padrone dello zuccherificio Toledo e socio dell’impresa ferroviaria Marianao-Avana. I nome dello zuccherificio si deve alla città natale del suo proprietario.
Nella guerra del 1895, il Palazzo fu ospedale militare. Alla fine della contesa, quartier generale dell’Esercito nordamericano e residenza del generale Lee, governatore militare dell’Avana.
Dopo l’occupazione militare nordamericana del 1906, sede del Governo interventista e il 29 di giugno del 1913, Menocal lo convertì in Palazzo Presidenziale estivo.
Fu inoltre accademia delle arti manuali, internato maschile Claudio Dumas e sede di un tabacchificio.

Oggi ospita l’accademia di balletto Pro Danza, diretta da Laura Alonso.

Una foto monumental
Ciro Bianchi Ross 
digital@juventudrebelde.cu
3 de Octubre del 2015 20:20:48 CDT

Con motivo de la serie sobre los terrenos del Capitolio, publicada en
este diario los días 13, 20 y 27 de septiembre pasados, no pocas
personas me han interceptado en la calle para preguntar cuántos
obreros y técnicos laboraron en la construcción de ese edificio.
El dato, interesante de por sí, está matizado por la anécdota. Sucede
que Carlos Miguel de Céspedes, secretario (ministro) de Obras Públicas
del presidente Gerardo Machado y máximo impulsor de la edificación,
«quiso reunir en la escalinata a todos los constructores que día a
día, con su esfuerzo creador, levantaron esa obra faraónica y
retratarlos a todos juntos como documento y recuerdo».
La escena en cuestión fue captada al mismo tiempo por unos 30
fotorreporteros de la prensa nacional, algún que otro corresponsal
extranjero y algunos fotógrafos profesionales. La imagen atrapada por
las cámaras se considera la fotografía «donde mayor número de personas
ha posado en Cuba», escribe José Oller en El multitudinario retrato de
los constructores del Capitolio, que hace ya bastante tiempo dio a
conocer en su columna del sitio digital cubaperiodistas.cu.
Recuerda Oller que Rafael Pegudo, que había sido reportero gráfico del
periódico El Mundo y profesor de Fotografía de la Escuela de
Periodismo Manuel Márquez Sterling, le contó en 1980 que cuando la
construcción del Capitolio estaba a punto de finalizar, «el Dinámico»,
que era como apodaban a Carlos Miguel, pidió al arquitecto Eugenio
Rayneri, director técnico y artístico de la obra, que tomara las
medidas pertinentes para que la fotografía se realizara según sus
indicaciones. Quería Carlos Miguel la disposición ordenada en la
escalinata de todos los trabajadores. Rayneri y su equipo entonces
levantaron un plano, precisaron el número de trabajadores que prestaba
servicio en cada área y calcularon a partir de ahí el espacio que
ocuparía en la escalinata cada sector o frente de trabajo. En el
centro habría un lugar de honor para Carlos Miguel y el presidente
Machado.
«El estudio previo realizado por el equipo de Rayneri indicó que había
unos cinco mil obreros cubanos, españoles y de otras nacionalidades
trabajando a pie de obra como capataces, carpinteros, canteros,
electricistas, albañiles, jardineros, mecánicos, escultores,
cerrajeros, cocineros, peones y personal de apoyo. Se incluía a unos
cientos de trabajadores que ya habían concluido sus tareas y a los
especialistas de una veintena de empresas cubanas y extranjeras
contratadas para el acabado. Sin embargo, otros tres mil trabajadores
no podían retratarse porque trabajaban en talleres de Italia, Francia
e Inglaterra creando las esculturas y cuadros o fabricando herrajes,
cortinas y decorados que enviaban a La Habana», escribe José Oller en
El multitudinario retrato de los constructores del Capitolio.
Rayneri y Manuel Martínez Illa, jefe de Fotografía de la Secretaría de
Obras Públicas, estudiaron la posición del Sol en los distintos
horarios y determinaron que la foto debía hacerse entre las 10 y las
11 de la mañana. Acordaron también la altura y ubicación de una
plataforma que situarían frente a la escalinata para que los
fotógrafos y camarógrafos tuvieran una mejor visualización. Los
ejecutivos de la empresa Purdy&Henderson, encargada de la construcción
del edificio, ofrecieron un premio al fotógrafo que captara la mejor
imagen del grupo.
El sábado 9 de febrero de 1929 fue el día escogido para la foto; el
Capitolio se inauguraría el 20 de mayo siguiente. Muy temprano en la
mañana, obreros, técnicos y dirigentes fueron ocupando las posiciones
que tenían asignadas en la escalinata. Arribó también la prensa.
Pegudo, que trabajaba entonces para la revista Carteles, rememoraba en
su conversación con José Oller la presencia de los reporteros gráficos
de El Mundo, Bohemia, Diario de la Marina, Heraldo de Cuba, Excélsior,
La Prensa… Federico Gilbert, jefe de Fotografía del periódico El País,
llegó con todo el personal de su departamento. Al pie de la plataforma
los saludaba el jefe de Fotografía de Obras Públicas a quien Carlos
Miguel confiara la atención de los periodistas. Llegó además el
fotógrafo de la Secretaría de Obras Públicas y Arturo Martínez Illa,
hermano del jefe del departamento, que recorría la Isla con su cámara
panorámica y atrapaba imágenes de industrias y centrales azucareros y
grandes concentraciones de personas. Manuel lo había invitado a
participar de la megafoto porque la Secretaría carecía de una cámara
como la suya. Todos los fotógrafos subían a la plataforma e instalaban
sobre trípodes sus enormes cámaras, preparados para captar el
acontecimiento.
Escribe Oller en cubaperiodistas.cu:
«A las 10 y 30 de la mañana un locutor anunciaba por unos altavoces
colocados en los alrededores de la escalinata la llegada del
presidente Machado y Carlos Miguel de Céspedes. Después de los saludos
y aclamaciones se situaron todos en sus posiciones. De nuevo se
escuchó la voz del locutor indicando que los fotógrafos estaban listos
para fotografiarlos y debían permanecer quietos y mirando a las
cámaras. De inmediato los obturadores de unas 30 cámaras comenzaron a
funcionar. Diez minutos después Machado alzó los brazos para saludar a
los fotógrafos y después a los obreros que estaban a los lados y al
fondo. En medio de aplausos y aclamaciones se marcharon y en unos 20
minutos la escalinata quedó vacía; en la plataforma algunos fotógrafos
rezagados recogían sus cámaras y placas».
El premio a la mejor foto (150 pesos y diploma) correspondió a Octavio
de la Torre, fotógrafo de Obras Públicas, y el segundo (75 pesos y
diploma) fue para la panorámica de Arturo Martínez Illa. Cada uno de
los fotografiados recibió una copia de la fotografía, como recuerdo y
homenaje por haber dedicado unos tres años a la construcción del
Capitolio. Una tarea enorme cayó sobre Manuel Martínez Illa y su
ayudante Octavio de la Torre por las numerosas fotocopias que Carlos
Miguel pedía para regalar.
Precisa José Oller que cinco trabajadores perdieron la vida mientras
laboraban en la construcción del Capitolio, y concluye:
«El talento de todos estos hombres se recuerda en una sencilla y
honrosa placa situada en una de sus paredes: Una plegaria para los que
dieron su vida. Un recuerdo para todos los que pusieron en estas
piedras brazos, ciencia y espíritu».

Embajada americana


Información sobre la embajada norteamericana en La Habana inquiere el
lector Félix León Pérez, jefe del Grupo de Aseguramiento y Gestión de
la Calidad de Cubana de Acero.
Esa sede diplomática no siempre radicó donde ahora. El escribidor no
tiene una idea precisa de todos los lugares donde estuvo emplazada —no
ha conseguido la información por más que la ha buscado—, pero sabe que
en una época radicó en el llamado Palacio de Echarte, en la calle
Santa Catalina (en la calle, no en la avenida) en el Cerro. También en
Avenida de las Misiones número 5, que fue, vísperas de la caída de la
dictadura de Machado, el escenario de la mediación que libró Benjamín
Sumner Welles, enviado del presidente Roosevelt, para frustrar la
revolución del 33 y prorrogar el machadato sin Machado.
La representación norteamericana en la capital cubana estuvo también
en el edificio Horter, en Obispo entre Oficios y Baratillo, frente a
la Plaza de Armas. No en todo el edificio, que daba cabida además a
bufetes y oficinas, entre estas la de la Cámara Americana de Comercio.
Eso fue en los años 40. Me dicen que en otros tiempos estuvo en
Galiano esquina a Malecón, donde ahora está el hotel Deauville, y en
Prado y Trocadero, residencia que fuera del mayor general José Miguel
Gómez. No puedo asegurarlo.
En 1953 la embajada inauguró su nuevo edificio enmarcado por las
calles Calzada, Malecón, L y M. Es obra de los arquitectos
estadounidenses Max Abramovitz (1908-2004) y Wallace Harrison
(1895-1981) de la firma Harrison&Abramovitz, la misma que proyectó el
Lincoln Center y el edificio de la Organización de Naciones Unidas.
Otro arquitecto, también norteamericano, de California, Thomas D.
Church, asumió los jardines, y el mobiliario estuvo a cargo de Knoll
Associates.

Palacio de durañona

Pregunta un lector sobre este palacio.
Es uno de los edificios emblemáticos de Marianao; se ubica en la
Avenida 51 esquina a 118. Construido en 1858 por Francisco Durañona,
rico empresario español, dueño del central Toledo y socio de la
empresa del ferrocarril Marianao-Habana. El nombre del central obedece
al de la ciudad natal de su propietario.
En la guerra del 95, el Palacio fue hospital militar. Y al finalizar
la contienda, cuartel general del Ejército norteamericano y residencia
del general Lee, gobernador militar de La Habana.
Tras la ocupación militar norteamericana de 1906, sede del Gobierno
interventor, y el 29 de junio de 1913 Menocal lo convirtió en Palacio
Presidencial de verano.
Fue además academia de artes manuales, internado de varones Claudio
Dumas y sede de una tabaquería.
Alberga hoy la academia de ballet Pro Danza, que dirige Laura Alonso.

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