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lunedì 4 febbraio 2013

Giovanni Ardizzone, l'unica vittima della "crisi dei missili"





(foto prese dal web)

Non ho conosciuto Giovanni Ardizzone, abitavamo in due luoghi distanti e non frequentavamo gli stessi posti. Lui è diventato famoso suo malgrado, credo non lo avrebbe voluto così come certamente non lo volevano i suoi genitori. Era di famiglia borghese: il padre, farmacista a Castano Primo, dove il Ticino separa il Piemonte dalla Lombardia e dove inizia la brughiera che va verso la piana del varesotto: Malpensa, Gallarate...Mamma e papà non immaginavano nemmeno lontanamente che il loro ragazzo manifestasse idee politiche così lontane dalle loro e anche se sapevano che Giovanni ha sempre avuto uno spiccato senso della giustizia, era ben lungi da loro il pensiero che quel giorno fosse a manifestare assieme ai “comunisti”. Oltre al dolore profondo nell'apprendere di aver perso un figlio che avevano visto uscire di casa, allegro come tutti gli altri giorni e che pensavano fosse a studiare con i compagni dell’università, scoprirono che in fondo non lo conoscevano così bene. Ma questo, è un caso abbastanza comune fra i genitori di adolescenti.
I diversamente giovani lo ricorderanno e le generazioni successive, forse, lo hanno letto su libri e/o giornali: Giovanni si trovava a Milano il pomeriggio del 27 ottobre 1962, era in corso uno dei momenti più drammatici, almeno per i possibili sviluppi, che mai abbia vissuto l’umanità. L’Unione Sovietica stava inviando navi con missili strategici dotati di testate nucleari al suo recente alleato nel continente americano: Cuba. Gli Stati Uniti avevano basi simili in tutta Europa e anche ai confini sud occidentali dell’URSS, la Turchia, ma non accettavano chei comunisti potessero averne in quello che consideravano “il cortile di casa”, ovvero il centro e sud America. Kennedy e Kruscev facevano il braccio di ferro con le rispettive flotte di fronte alle coste cubane e alla fine i sovietici cedettero, con l’accordo che gli americani non invadessero militarmente Cuba. Venne sottoscritto, a Parigi, un accordo fra le due superpotenze senza nemmeno interpellare il governo cubano.
In tutto il mondo ci furono manifestazioni di protesta, al grido di “giù le mani da Cuba”, “via gli americani da Cuba”, “viva Cuba libera” eccetera, contro l’arroganza degli Stati Uniti, ma solo in Italia, a Milano, ci fu l’unica vittima reale di quel confronto. Per disperdere i dimostranti la polizia iniziò a fare dei “caroselli” su e giù dei marciapiedi con le camionette e nel fuggi fuggi generale Giovanni fu investito, in Piazza Cordusio, assieme ad altri due giovani. Per lui non ci fu niente da fare, gli altri due invece si salvarono seppure dopo un lungo periodo di ricovero in gravi condizioni.
Erano eventi abbastanza eccezionali, in quegli anni, le manifestazioni moltitudinarie di giovani e studenti, il ’68 doveva ancora arrivare e probabilmente le forze dell’ordine, non preparate, intervennero in maniera inappropriata. Non c’erano minacce o aggressioni contro di loro, ricevettero solo l’ordine di sciogliere l’assembramento non autorizzato. Non ci furono spari o lanci di “molotov”, ma “solo” dei veicoli a caccia di pedoni in fuga. Purtroppo anche i veicoli, diventano armi, se usati in modo improprio.
Ho ricordato Giovanni Ardizzone perché nel riordinare qualche scatolone che era rimasto ancora chiuso, dopo qualche anno dal trasloco, ho ritrovato una lettera che ricevetti dalla mamma di Giovanni, la signora Rosi Cassini Ardizzone (il papà nel frattempo era deceduto) che mi scrisse dopo una sua visita a Cuba con una delegazione del Comune di Castano Primo che venne a visitare la scuola intitolata col nome di Giovanni Ardizzone e fa parte del piano didattico internazionalista dell’Isola della Gioventù. Ebbi l’onore e il piacere di accompagnare e fare da interprete ai componenti del gruppo durante il loro soggiorno. Conservo di lei il l’immagine di una persona veramente dolce e squisita che mi ha lasciato, anche con questo suo scritto, un bel ricordo suo e di suo figlio che non ho mai conosciuto.






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